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Autore: Guardian1    10/01/2010    1 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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capitolo quattro
nessun angelo



I thought he was dumb,
I said he was dumb,
Yet I’ve heard him cry.

First faint scream,
Out of life’s unfathomable dawn,
Far off, so far, like a madness, under the horizon’s dawning rim,
Far, far off, far scream.


Pensavo che fosse muto,
Dicevo che era muto,
Eppure l’ho sentito urlare.

Il primo flebile grido,
Per l’insondabile alba della vita,
Un grido remoto, tanto lontano, come la follia, sotto l’orlo dell’orizzonte albeggiante,
Un grido lontano, remoto, lontano.


- dh lawrence



Mi svegliai tardi e grugnii nel cuscino, avvertendo un caldo innaturale; durante la notte mi avevano messo un’altra coperta addosso, e il profumino di qualcosa accanto al mio letto alla fine tramutò il sonno in fame. Aprii confusamente gli occhi: sul mio comodino c’erano un altro bicchiere di latte e una tazza di porridge – che però stranamente si cuoceva al vapore in una fiamma azzurra. Allungai un dito per toccarla – al tatto era molto calda, ma non mi scottai. Lo divorai tutto come una belva affamata, e stavo leccando il cucchiaio quando entrò Rain.

« Buongiorno, Eiko » mi salutò allegramente. « Come ti senti? »

« Bene. » Smisi delicatamente di leccare il cucchiaio e lo riposi nella tazza. « … Però Rain, mi manca casa mia. Tango… Non capisco mai se voglia uccidermi o no. »

« Effettivamente, qualche problemino ce l’ha- »

Sbuffai in onore del vincitore dell’Eufemismo dell’Anno.

« Ma con te si sta addolcendo » continuò lui inaspettatamente, con il cappello che ballonzolava e gli occhi che scintillavano come dei lampioni. « Ho ragione di credere che… Potrebbe lasciarti andare. Prima o poi. Quando tutto sarà… finito. »

« … “Finito” in che senso, Rain? »

Lui non mi rispose. Si mise a spolverare la polvere inesistente del cassettone e a pulire i miei occhiali sulla sua manica.

« Rain, cosa sta cercando di fare Tango? »

« Lo sai cosa sta cercando di fare, Eiko » rispose evasivo, posando gli occhiali e aggiustandosi con imbarazzo il cappellone molle. « Sta cercando di fare un mondo per noi. »

« A discapito del mio? » Corrugai la fronte. « Distruggendo tutto il resto? Rain, perché non lo fermate? Comunque la si giri non è giusto. »

« Forse no. » E si raddrizzò per guardarmi, gli occhi d’oro che brillavano limpidi e sereni. « Ma è tutto ciò che io abbia mai conosciuto, Principessa, e io… gli voglio bene. Lo seguirò ovunque lui mi conduca. »

« Attraversando un mare di sangue. »

« Se necessario. »

Abbozzai un sorriso e inforcai gli occhiali, accogliendo il loro peso familiare e rassicurante. « … Avrei dovuto ricordare la lealtà dei maghi neri. »

Lui raccolse le stoviglie e sorrise, arricciando gli angoli degli occhi. « Allora capisci, Eiko! Forse io non – approvo – ma gli vorrò bene per sempre. L’amore, dopotutto, è il nucleo di tutta la magia. »

La dolcezza del pensiero mi fece scappare un piccolo gemito, ma Rain ridacchiò fra sé, trotterellando via con le mie tazze. Mi leccai qualche traccia di zucchero dalle dita e spostai le coperte, alzandomi in piedi.

« Bene, Eiko » mi dissi allegramente. « È ora di vedere cosa possiamo fare oggi. »



Era un banale pezzo di legno, lungo quasi quanto il mio avambraccio e mezzo lucido da un lato. Non sapevo neanche che tipo di legno fosse; ma era legno vero, e avrebbe funzionato.

Mi ero fatta promettere da Rain che mi avrebbe portato a una fonte d’acqua con il pretesto che volevo lavarmi – anche se gli Dei sapevano quanto avessi bisogno di un bagno. Stavo iniziando a puzzare come un vero ingegnere. Per il momento, comunque, potevo usare soltanto la luce del sole – e la Reggia del Deserto ne aveva più che a sufficienza; dalla mia finestra entravano degli aridi, grossi fasci bianco-gialli. Mi sedetti tenendomi il legnetto in grembo, artigliandolo con una mano, e cominciai a pregare.

Carbuncle, protettore sacro, vieni da me. Non ho smeraldi. Non ho pietre lunari. Non ho diamanti. Vieni da me. Sorreggo soltanto il legno della terra e l’amore del mio cuore, oh Eidolon. So che sei lì. Vieni da me. Consacrazione.

Fenril, latore di rovina, vieni da me. Sono pura. Sono vergine. So che non mi sei stato strappato, risucchiato e estratto prematuramente – ti prego, so di non averti Chiamato, ma vieni da me… Consacrazione.

Fenice, augello di vita, vieni da me. Rispondi alle mie grida. Conosci questo luogo di morte, Fenice, ci siamo già stati. Vieni da me. Consacrazione.


Da una lingua senza voce si alzarono i canti; la fatica e la forza della mia preghiera e della mia disperazione mi stavano praticamente facendo piangere. Era una richiesta forgiata da necessità e ardore piuttosto che dalla calma che mi aveva insegnato mio nonno, lo stesso tipo di disperazione di quando imparai a evocare e a strapparmi gli Eidolon da dentro come organi.

Madein – Madein, madrepadre, Mogu. Vieni da me, amore mio, avvolgimi. Oh, Madein, ti prego, ho tanto bisogno di te. Mi sento così sola. Sto provando a non aver paura, ma ne ho. Vieni da me. Vieni da me. Vieni da me.

Consacrazione.


Mi fermai, poi lo morsi; i miei denti affondarono nel legno, staccandone una scheggia, e rimasi così fino a quando non mi tagliai la bocca e sentii il sapore ramato del sangue che tinse di rosa il candore del bastoncino. Nella mia testa la preghiera non divenne che un secondo battito cardiaco, e fissando il vuoto mi strinsi convulsamente all’aspirante bacchetta, sperando, sperando, gridando con ogni cellula del mio corpo un accorato e indecente vi prego-

E poi il punto che avevo macchiato di sangue mutò, e tutto attorno crebbe una lamina di corteccia liscia. Lo toccai con la lingua, con la bocca; la ferita si richiuse, lasciando una piaga al posto di un buchetto.

Era un passo veramente piccolo, ma prima di fare quel passo non avevo neanche le gambe.



Più tardi Rain mi portò a scegliere qualche vestito per il bagno. Ero un po’ delusa; oltrepassammo soltanto qualche sinuoso corridoio privo di tratti distintivi, di certo poco adatti a una potenziale ricerca di vie di fuga o mezzi di trasporto. Il piccolo mago nero mi condusse in una stanza in cui c’erano solo armadi, un enorme specchio bordato d’oro all’altro capo della stanza, e alcuni dipinti complicati appesi alle pareti; magnifica nella sua spudorata opulenza.

« Prendi tutti i vestiti che vuoi » fischiettò. « Sono tutti puliti. Teniamo lontane le tarme. Li usiamo per farci i vestiti, anche per i nuovi. I vestiti sono terribilmente importanti per i maghi neri. »

« Sì, eh? » Sogghignai fra me, ricordando il grosso soprabito di Vivi e tutta la cura che gli dedicava. Mi avvicinai a una delle ante scorrevoli e la aprii, sentendo il pesante odore di cannella, lavanda e canfora che si occupava delle tarme. Gli abiti non avevano nulla da invidiare allo sfarzo della stanza: velluto, seta e raso, nonché i tessuti fini e incredibilmente leggeri di cui si rivestivano i nobili del deserto. « Sicuro che non vi dà fastidio se prendo qualcosa? »

« Sicurissimo. » Rain si schiarì delicatamente la gola. « Poi Eiko, se vuoi della biancheria la trovi nei cassetti di quell’armadio lì, però… »

« Però? »

« Non sembra per donne. »

Presi qualcosa e ne osservai il taglio: maschile, sgargiante. Mi diressi verso l’armadio che Rain mi aveva indicato e aprii con cautela un cassetto con intagli molto elaborati; tirai fuori una cosa grottesca che riconobbi come un minuscolo paio di pantaloncini, e poi mi resi conto di star frugando tra le mutande di Kuja.

Frugare tra le cose indicibili del tuo vecchio nemico ti mette al suo livello. Scoppiai in risolini incontrollabili, sollevando un altro paio e guardando schifata il tanga di seta verde che mi ritrovai tra le mani. Allora era questo che indossava il jenoma sotto la gonna. I risolini si trasformarono in una risata isterica non appena ne localizzai una con discreti – ma cazzo comunque – fiorellini ricamati.

« Io, uh, ti lascio a questa roba…? » domandò Rain, profondamente confuso, e mi lasciò a quella roba – “roba” che si rivelò la più grande, grassa risata degli ultimi mesi.

Quando le mie lacrime di ilarità si placarono, infilai i fiori verso il fondo del cassetto facendo il voto di non riprenderli mai più, per paura di immagini mentali. I vestiti di Kuja da soli erano molto più divertenti di quando li metteva lui; Kuja aveva un’aria di colta raffinatezza, di una bellezza che andava oltre il genere sessuale, e il fatto che fosse strano e stravagante quanto il suo vestiario non aveva mai attenuato il pericolo che rappresentava. Era un uomo, ed era un uomo con dei fianchi molto carini per un uomo, e gli piaceva metterli in mostra – ma aveva un potere tale da ustionarti la lingua.

Però. Santi numi. Fiori. C’era pure un foretto per la coda che aveva tenuto decorosamente nascosta sotto i vestiti. Come avrei mai potuto avere altri incubi che lo riguardassero?

Indecisa se indossare (orrore degli orrori) la biancheria di Kuja o andare in giro senza, optai infine per la comodità e presi una di quelle che sembravano le meno scomode. Poi presi una maglia color fiordaliso, che malgrado la vita scoperta e i bottoni che terminavano proprio sotto lo sterno mi sarebbe bastata; c’era anche un ampio foulard dorato di cotone da potermi annodare addosso come un sarong. Andava bene così, potevo muovermici senza inciampare, la prima necessità dell’ingegnere. Se avessi continuato ad esplorare gli abiti dell’uomo avrei perso tutto il giorno.

« Tutta l’acqua corrente della Reggia la prendiamo da delle sorgenti calde » spumeggiò Rain, facendomi strada nell’ennesimo corridoio mentre un’enorme vetrata colorata dipingeva un arcobaleno su di noi. « C’è un’oasi proprio qui accanto – creare l’acqua a volte è difficile se ne serve tanta – perciò non abbiamo bisogno di nulla. »

Avrebbe dovuto fare la guida turistica.

« Rain? » chiesi pensierosamente, prima che iniziasse a sproloquiare sul numero di camere da letto della Reggia o sull’amenità dell’ubicazione. « Dove sono tutti i mostri? »

Si fermò. « Mostri? »

« Prima nella Reggia del Deserto c’erano i mostri. Le guardie di Kuja. »

« Ah, li abbiamo spazzati via » spiegò in tono sbrigativo. « Nidi e tutto. A volte si riproducevano nelle cantine, nei vecchi laboratori, ma li abbiamo presi tutti. Non abbiamo mai toccato i guardiani della Reggia – non ci fanno del male – ma non hai nulla da temere, Eiko, non preoccuparti. »

« A parte il capo-mostro che controlla tutto quanto. » borbottai.

Per educazione lui fece orecchie da mercante, ignorando la mia affermazione. Quando dicevo cose del genere ai politici finivo sempre nei guai con mamma. Invece, fece un cenno a un’altra figura che stava attraversando il corridoio con le braccia piene di libri; era un altro maghetto nero, il doppione di Rain con vestiti rattoppati diversi.

« Ciao, fratello » lo salutò affettuosamente mentre passavamo; il mago mi guardò con deplorevole curiosità prima di rispondere con un tardivo, « Ciao! » mentre proseguivamo.

« Quanti siete? » bisbigliai.

« Un centinaio. » Si risistemò il cappello, pensandoci con attenzione. « Circa. Mago più, mago meno perché ci Fermiamo. »

Io deglutii. « E così Tango non è ancora riuscito a neutralizzare quel problema. »

Nella voce di Rain c’era un sorriso gentile. « Ci prova. Ci prova da anni. Ma non si può Fermare il Fermarsi, secondo me. Non credo che sia così che debbano andare le cose – ma se mi sbagliassi, lui ce la farà. »

Non si può Fermare il Fermarsi. Non si può uccidere la morte. « E allora lui… continua a creare nuovi gruppi, all’infinito? »

« Più o meno. » La voce di Rain era vaga e velatamente prudente; cambiò argomento trascinandosi giù per una piccola scalinata di pietra, aprendo delle porte pesanti e accendendo con la mano una torcia vicino all’entrata. « Qui, Principessa. Qui puoi farti il bagno. »

Più che una vasca era una piscinetta, ampia e rettangolare, e dall’acqua scura usciva un po’ di vapore; non riuscivo a capire da dove provenisse l’acqua, ma improvvisamente non m’importava. Dopo ci sarebbe stato abbastanza tempo per studiare e risolvere il mistero delle tubature. C’erano alcuni asciugamani piegati e una saponetta, e d’un tratto mi sentii più sporca che mai.

« Ti lascio. » disse lui con delicatezza, anche se avevo già scaricato i vestiti sul bordo e stavo testando l’acqua con la punta di un piede. Non gli risposi nemmeno, troppo occupata a scivolare e a immergermi completamente nell’acqua calda. Lui chiuse le porte, e io assaporai quel lusso.

« Beh » sospirai, « non è poi così male. »

Mi trattavano molto bene, un po’ come venivo trattata a casa. In alcuni momenti mi sembrava quasi di essere in vacanza; in altri ero mortalmente spaventata. Comunque, le mie mani attive e la mia testa attiva mi garantivano che essere un giocattolo non mi avrebbe soddisfatto per molto tempo, rapita com’era stata rapita mia madre a sua volta, e con davanti a me giornate costituite solo dalle coccole di – un affettuoso, bisogna ammetterlo – Rain e dalle minacce di Tango. Dovevo completare la bacchetta, evocare qualcuno, e andarmene da lì.

Ma prima volevo scoprire un bel po’ di cose.

Scesi fino al fondo della piscina e mi misi distrattamente alla ricerca di tappi o buchi di ogni tipo. Ne trovai uno; troppo piccolo e inutile per essermi utile in alcun modo; abbandonai quel tiepido tentativo di sgusciare nelle condutture e tornai a galla prima di cercare alla cieca il sapone. Me lo passai generosamente tra i capelli prima di ributtarlo in acqua con un sospiro di sollievo. C’era una brezza leggera che s’insinuava dalla finestra aperta assieme a un arido raggio di sole; produceva un dolce contrasto con l’acqua calda della vasca.

Frena, finestra aperta?

« Sei davvero graziosa, linden-bloom. »

Il sangue mi si ghiacciò nelle vene. Mi abbassai lentamente fino al collo; poi mi voltai. Tango era seduto nella nicchia vicino la finestra, le ali ripiegate e le mani sulle ginocchia. Un liquido rosso e appiccicoso gli colava dai guanti sproporzionati. Lentamente, mi costrinsi a rimettermi eretta e a ignorare quasi totalmente la sua presenza mentre mi insaponavo la gola.

« Io devo lavarmi come fanno gli uccelli » illustrò in tono conversevole. « Mi rotolo nell’acqua e mi rotolo e rotolo e rotolo e poi scaccio la polvere dalle ali. Non mi piace l’acqua. Mi si possono vedere le ossa. »

« Non mi piace che tu mi guardi, Tango. »

« Perché no? Tu sei mia e io posso guardarti. »

Repressi un brivido profondo. Che si facesse tutte le illusioni del mondo se queste potevano salvarmi la pelle. Riuscivo a scorgere il mio riflesso nell’acqua increspata: l’area dove aveva stretto le mani il giorno prima era tutta violacea. « Comunque non mi piace. »

« Il lavoro mi annoia » continuò, come se io non avessi parlato. « Odio i numeri. Mi marciano in mente come piccole formichine. Non come formiche grosse, gli antoleon, quelli sono come i mal di testa. Ce n’è uno nella sabbia sotto di noi – riesco a sentire il suo grido. Grida, grida, grida. »

« Ma ci sei o ci fai? » chiesi io acidamente, strofinandomi le braccia. Il sapone profumava di cannella e camomilla. « Per me è quasi sempre un mistero. »

Lui rise basso, diede un colpetto al suo cappello e si rilassò un po’ contro la parete. « Lo è anche per me, Eiko Carol. Probabilmente ci sono e ci faccio. A volte fa male così tanto che non riesco a stare dritto, e poi quando mi sveglio mi ritrovo a sanguinare di nebbia e sangue. »

« Ma proprio non ci riesci a dire qualcosa che non mi faccia paura? »

« Non pensavo di farti paura. »

« Infatti non me ne fai, però- » Il compiacimento crudele della sua voce mi fece emettere un verso frustrato. « Se hai intenzione di startene lassù a guardarmi mentre mi lavo, almeno applicati a fare una conversazione interessante! »

« D’accordo » mi accontentò Tango Nero, inaspettatamente. « Parlami di Cornelia. »

Decisamente spaesata, lo fissai per qualche istante; non poteva certamente riferirsi all’unica Cornelia che conoscevo. « La figlia di Gidan? »

« Sì. » Aveva la voce carica di un’emozione che non riuscii a decifrare. Si trattava di un territorio che dovevo calpestare con cura.

« Qualche mese fa ha compiuto otto anni. » Gli diedi la schiena, tornando lentamente in acqua e sciacquandomi i capelli. Non badava neanche tanto a me, o al fatto che fossi nuda; dubitavo mi avrebbe mai violentato. « Lei – lei somiglia a Garnet. Garnet ha dei lunghi capelli neri e dei grandi occhi cas- »

« Lo so com’è fatta la figlia della scrofa » sbuffò. « Va’ avanti. »

« Però Cornelia ha gli occhi azzurri. Noi la chiamiamo Elia. Lei – lei vuole diventare un cavaliere, un po’ come Beatrix. » Chiusi gli occhi, ricordando la mia quasi-nipote, strofinandomi il sapone sullo stomaco e sui piccoli fianchi ossuti da ragazzo. « Ha una coda, il corno da sciamana è un po’ piccolo ma tanto dovrebbe esserle utile più avanti. Le interessano soltanto le spade. È molto dolce. »

Ci fu un silenzio, allora. « È sana? »

« Come un chocobo. »

« Ed è bella? »

« Bellissima. »

Avrei dovuto dire che era brutta, malaticcia e in punto di morte.

« Mi sono chiesto spesso » riprese Tango lentamente, « perché Gidan non si è mai Fermato. Ku… Kuja si è Fermato. Pensavo che – pensavo, magari è stato fatto in maniera diversa, il jenoma superiore. Forse lui aveva qualcosa dentro di sé che l’ha fatto morire più facilmente. »

« Ed è così? » chiesi mio malgrado. Non volevo pensare a un Gidan che si fermava, che moriva; occupava ancora una delle parti più tenere del mio cuore di bambina, un eroe tanto amato.

« No. » La sua voce era profondamente amara. « Kuja e Gidan hanno avuto la stessa carne e lo stesso sangue. E pure i Valzer, e pure i maghi neri. Kuja è morto mentre Gidan è sopravvissuto perché la vita è fottutamente ingiusta, ingiusta sempre. »

Tango, dacci un taglio. Ma non riuscii a trattenere una leggera fitta di dolore. « Perché lo odi così tanto? Non ha avuto altra scelta che essere quello che era. Se non fosse stato per Gidan, Gaya adesso sarebbe infestata da- »

« Dai maghi neri. »

Continuai. « E poi alla fine non voleva neanche che Kuja morisse. Me l’ha detto lui. » Non volevo che morisse nessuno, alla fine no, Eiko, mi aveva mormorato una volta. L’ho visto morire e ho sentito le sue dita fragili tra le mie e… Avrei voluto che le cose fossero state diverse, sai. Completamente diverse.

« Credi che sia per Kuja che voglio la testa di Gidan? » Il mago sbuffò di nuovo. « No. Mai. Non voglio che Gidan muoia per quello era, Carol; voglio che muoia per quello che non è stato. Per me non c’è stato nessun angelo di compassionevole morte. Non c’è stata giustizia. Non ci sono stati i germogli del lieto fine. Ucciderò sua figlia di fronte a lui e mi godrò la faccia che farà. »

L’odio gli ribolliva dentro, cupo e verminoso. Tutto doveva iniziare e finire sempre con lui, la sua vendetta, il suo dolore. Come avevo potuto pensare che forse lo faceva per le sue creazioni, per i suoi maghi neri, per Rain? « Ti odio, mostriciattolo demoniaco » ringhiai amaramente. « Sei ancora peggio di tuo padre. »

Tango si avvicinò a me, si inginocchiò sul ciglio della piscina e mi alzò il mento con una mano, lasciandomi una cosa appiccicosa sulla parte inferiore del collo. « Lo so » confermò teneramente. « È per questo che mi ha creato. Alla prossima, linden-bloom. Devo tornare ai miei numeri. »

Si girò bruscamente e saltò fuori dalla finestra, dispiegando le ali con uno schioppo come faceva sempre; lo seguì il grido di un antoleon, e tremai nell’acqua della vasca che di colpo si era fatta fredda.
   
 
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