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Autore: Fedora    12/01/2010    1 recensioni
Il mio primo giallo nonche' la mia prima "fanfic" (anche se di fan non ha proprio niente). La detective Elizabeth Boudelaire deve risolvere uno strano caso di omicidio senza tracce. Suspence! Amore! Hello Kitty! E robaccia del genere troverete se aprirete la pagina. Andate in pace.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Perdere qualcosa non e' mai bello.
Mai."



La pioggia del giorno prima aveva continuato a cadere per tutto il giorno prima e anche quel giorno aveva piovuto. Ma oramai aveva finito da un pezzo. Guardava fuori dalla finestra seduta sul pavimento, mentre si stringeva nella coperta e teneva in mano una tazza di te'. Stava bevendo del te' per qualche assurda ragione... Lei odiava il te'... Ma pensava a tutt'altro. Suo padre era morto e sua madre andava avanti come se non fosse successo niente. Aveva già pensato che fosse uno stratagemma per non cadere in depressione, ma era troppo poco triste per essere una vedova da pochi giorni. Ogni giorno che passava sentiva di odiarla di più per questo suo menefreghismo e sapeva che lei odiava lei... sperava che almeno amasse suo padre. Invece sua madre non era scossa. Non piangeva. Ne' parlava. Ne' viveva. Semplicemente... respirava contro la sua volontà. Non poteva sopportarlo. Il suo respiro si condensava sulla finestra, mentre del vapore che usciva dalla tazza le saliva alle narici. Sbatte' la tazza a terra, mentre sentiva che la sua anima si rompeva in mille pezzi come quella tazza. Scoppio' in un pianto disperato per l'ennesima volta in quei giorni . Per tutti era un viscido bastardo, ma per lei era quello che aveva di più caro e prezioso.

Guardo' fuori dalla finestra osservando il cielo dubbiosa, mentre sorseggiava del te'. Non era abituata alle piogge di fine stagione e nemmeno alle morti improvvise. Aveva pensato, aveva sognato, aveva sperato molte volte alla morte di suo marito, ma non aveva mai pensato che lui avrebbe lasciato questo mondo prima di lei. Guardava nella sua tazza adesso: la tazza le rimandava il riflesso di una donna dai capelli castano scuro e dai grandi occhi grigi entrambi spenti e soprattutto stanca. Stanca di vivere. Aveva cercato di dare un senso alla sua vita che non fosse assumere le occupazioni di una brava moglie e madre. Senza occupazioni se non quella di vivere. Senza ragione se non la speranza che lui sarebbe presto morto. O viceversa. Poso' la tazza sul ripiano di marmo, avviandosi verso le scale. Sentiva quella stupida mocciosa piangere per l'ennesima volta. Se non fosse morta sua figlia, sarebbe morta lei.

< Toc! Toc! Toc! >

L'assenza di campanello in quella casa fece arrabbiare Elizabeth più di quanto non lo fosse già. Ritornare alla sua vita normale attuale fatta di dolcetti, pettegolezzi e giardini curatissimi le sembrava uno strazio. Il giorno prima aveva passato una fantastica giornata con Ed: picnic sull'erba verde della campagna anche se sotto la pioggia, ma che importava? Ma come ogni cosa era finita ricordandole che aveva ancora del lavoro da fare. Era veramente uno strazio.

Si fermo' sul primo scalino, girando la testa  di scatto. Qualcuno aveva suonato e con molto disappunto constato' che era lei. Quella donna dai capelli assurdi, di altezza altrettanto assurda in una donna con quell'assurdo e ridicolo coso rosso. Era lei quella che pochi giorni fa si aggirava nella sua casa come se invece fosse stata sua. Senti' bussare ancora.

< Toc! Toc! >

Respiro' a fondo per non perdere la calma e sfondare la porta a calci. Quella stupida neo-vedova la voleva veramente far uscire fuori dai gangheri. Per non essere volgari.

Era riluttante ad aprire, ma doveva farlo.

Perse la pazienza e carico' il calcio.

"Buon pomeriggio! Si e' persa? Le posso essere di aiuto?" sorrideva in modo disgustoso e parlava in modo altrettanto disgustoso. Un po' eccessivo anche per Fay Hutton.
"Oh, salve!" Elizabeth adotto' quello stesso tono. Non era tanto difficile dopotutto. "Stavo cercando... Cora... e...." Controllo' i nomi sul foglio. Era una frana a ricordarsi i nomi di persone potenzialmente sgradevoli. "Si Cora Hutton e Fa..." Il nome sul foglio non riusciva a leggerlo. "Fa...nny?"
"No. Sono Fay, Fay Hutton." aveva abbandonato per un attimo quel tono. Come se avesse detto una cosa orribile, si copri la bocca scandalizzata. "Oh... scusami cara. Vuoi entrare?" e la fece accomodare.
"E lei deve essere...?" disse mentre si avviavano nel salotto.
"Elizabeth Boudelaire, piacere."Dicendo questo, le tese la mano e se la strinsero.
"E per quale motivo e' qui?" Nascose la mano che le aveva stretto. -Uh, come siamo tese.- constato' Elizabeth.
"A dire la verità sono qui per l'omicidio di suo marito, signora."
La guardo' con occhi spalancati, dopodiché sussurro': "E' stato ucciso...?"
"Si, stiamo seguendo questa pista." disse con poca enfasi, quasi annoiata. "Sono qui per farle qualche domanda, se non le spiace naturalmente." -E sarà meglio che non ti spiaccia.-
"Prego. Si accomodi." disse conducendola verso il salotto. Elizabeth si sedette mentre la vedova diceva:
"Le offro qualcosa? Te'? Caffè? Limonata? Forse preferisce questa, dopotutto anche se piove non significa che fa per forza freddo. Ma il suo cappotto dice il contrario eh?"
"A dirla tutta non e' molto pesante. Comunque del te' va benissimo."
"Bene."

Prendendo il bollitore e riempiendolo d'acqua, pensava a come mai il veleno non ci fosse mai proprio quando serviva. Posiziono' il bollitore sul fuoco e butto' un'occhiata al salotto.

Aveva la testa fra le nuvole e non poteva permetterselo. Fissava un quadro particolarmente brutto. O forse appariva solo a lei brutto. Scosse la testa con foga.

La fissava con enorme interesse. Non poteva essere quello che era. Era troppo... Il fischio del bollitore la riscosse dai suoi pensieri. Prese le due tazze, verso' l'acqua e si diresse in salotto.

"Eccoci qua." esclamo'. Voleva proprio vedere dove voleva andare a parare questa.
"Grazie." disse, prendendo la tazza.
"Bene..." Stava per dire qualcosa quando...
"Lei amava suo marito?" Diretta, fin troppo. Ma il tono con cui l'aveva domandato aveva un che di innocente.
"Oh... beh... si... certo... e' ovvio no?" Era stata spiazzata da quella domanda.
-Invece no.- "Sua figlia quanti anni ha?"
"Credo diciasette."
"Quanti anni avevate quando l'avuta?"
"Ventotto." La prima domanda a cui rispondeva con sicurezza.
"E quando invece si e' sposata?"
"Io ne avevo da poco venti."
"E si e' sposata per quale motivo?"
"Stavo aspettando un bambino."
"E cosa e' successo?"
"Lo persi. Anzi mori' a sette mesi." Le si appannarono gli occhi per le lacrime, ma non le colo' nemmeno una. Anche se aveva amato molto quel figlio.
"Perché'?"
"Era piccolo e di salute cagionevole. Si ammalo'... e questo successe." Singhiozzo' ma non pianse.
Non era vera una cosa del genere. Sembrava una scusa.
"Lei sta coprendo suo marito, non e' vero Fay?"
"Lo uccise. Non so perché', ma lo fece. Non potevo fare niente. Potevo solo guardare come...." e le cadde una lacrima: " come lo uccise."
"Ha ucciso lei suo marito?"
"Ho pensato molte volte di farlo, ma non ho mai provato."
"Perché?"
"Come perché? Era mio marito. Gli avevo giurato eterna fedeltà."

Non credeva che quella donna fosse stata sempre fedele a Hutton e nemmeno che non avesse mai provato ad ucciderlo almeno una volta. Aveva visto tante mogli angosciate per il marito morto al punto da strapparsi i capelli per la disperazione. Lei invece restava composta e dritta, senza versare una lacrima per suo marito. Ma soprattutto non era "Gli ho giurato" ma "Gli avevo giurato".

Non l'avrebbe mai capito. Mai, mai, mai...

"Lei ha provato ad ucciderlo."

Si rese conto che non era una domanda, ma una schiacciante verità.

"Si lo feci. Ventisette anni fa. Per paura sbagliai le dosi. Passo' tutto per un semplice avvelenamento da cibo, ma lui capi che avevo cercato di ucciderlo."
"E perciò si faceva consegnare il cibo."
Fay la osservo' intensamente. Sembrava che stesse pensando.
"Grazie per il te', era ottimo."
"Oh si... prego." L'aveva colta di nuovo di sorpresa.
"Vorrei parlare con sua figlia. E' possibile?"
"Si, certo. Secondo piano. Seconda porta a sinistra."
"Mi accompagna?"
"No. Secondo piano. Seconda porta a sinistra.
"Allora si vede che dovrò fare da sola."
Attraverso' il salotto sotto gli occhi di quella vedova. Sali' le scale di legno scricchiolanti, con passo pesante attutito dalla moquette rossa. Giro' a sinistra e busso' alla seconda porta, piena di poster dove capeggiava la scritta "DO NOT ENTER" a lettere cubitali su una lavagnetta.

La tazza rotta era ancora li', mentre il te' scorreva nelle venature del parquet. Il suo respiro formava nuvolette e guardando fuori di nuovo si asciugo' l'ultima lacrima. Vede quella strana donna con quel cappotto rosso e sente bussare alla porta. Sua madre non apre, forse sta in cucina... Adesso ha aperto e dice qualcosa con quel suo solito parlare. Qualcuno entra e parla con lo stesso tono zuccheroso della madre. A lei non piaceva quel tono, ancora più del te'. Sentiva parlare, poi dei passi e dopo quasi cinque minuti il fischio del bollitore. Altri passi e toni zuccherosi. Parlavano, ma non riusciva a sentire che dicevano e ebbe la conferma che quella con cui parlava la madre era quella tizia dal cappotto rosso, perché se fosse stata un'amica avrebbero cianciato ad alta voce. Parlarono per più di venti minuti finché non senti' passi sulle scale. Non stava andando da lei, non si preoccupava. Sentiva passi nel corridoio, passi davanti la sua porta e qualcuno che bussava.
"Chi e'?" domando'.
"Sono Elizabeth. Un'amica di mamma. Posso farti qualche domanda?"
Cora si alzo' e apri' la porta. Elizabeth entro' senza tante cerimonie.
 "Comunque dillo che non sei un'amica di mamma ma un agente. E poi dovresti saperlo che le amiche di mai madre non sono interessate a me, avresti dovuto usare un'altra scusa."
"Accidenti! Sono stata scoperta. Pero' non sono un'agente." La osservo'. Aveva occhi rossi e gonfi, avvolta in una coperta nera e con una faccia cadaverica. A quanto pare a qualcuno era mancato Hutton.
"Spara."
"Chi credi sia stato ad uccidere tuo padre?"

Era fin troppo ovvi che le avrebbe chiesto questo e lei si era preparata questa risposta dal momento preciso in cui ha scoperto il cadavere di suo padre.

"Mia madre. O la vedova Calamy."

Quella vecchia non era quello che sembrava e Elizabeth aveva sbagliato di grosso fidandosi di lei.



Quello che avete letto e' il capitolo quattro. Meglio renderlo chiaro. Non sia mai qualcuno crede che sia il quinto o addirittura il sesto... meglio essere cri-stal-li-ni!
Ok... ho fatto uno schifo di battuta.
Per questo capitolo ho sperimentato una diversa angolazione, perché una cosa deve essere vista da vari punti. Dite grazie a "L'attimo fuggente" e al mio professore di latino e greco che ci ha fatto alzare  in piedi sui banchi. Tuttavia non e' solo per questo. Fay diventa un personaggio sempre più complesso man mano che scrivo. In questo capitolo sembra che sia tutto li', ma credo di no. All'inizio la volevo fare ubriacona e rompiballe (scusate i termini) e soprattutto l'assassina. Ma ci ho pensato su e non mi piaceva, quindi volevo modificare il primo capitolo e farla diventare la cameriera, solo che sarebbe stato offensivo per tutte le cameriere e soprattutto avrebbe ripreso quel pregiudizio di ogni omicidio "E' stato il maggiordomo!" o la cameriera che e' la stessa cosa. A dirla tutta non so nemmeno io chi sia veramnte Fay, ma forse lo capirò più avanti... lo spero! Forse faro' un flashback o qualcosa del genere... o qualcos altro....
Se la lettura vi sembra difficile tenete presente che non ci saranno mai due pensieri di Fay o di Elizabeth o di Cora di seguito, o almeno ci sarà quello che dicono o che fanno.
Cora non mi piace tanto. E' il tipo di diciassettenne che non vorrei mai essere, ma ho dato spazio ai suoi pensieri. Applauso prego!
L'idea dell'avvelenamento mi e' venuta mentre scrivevo tipo illuminazione. Una figata assurda. Wow... Ok la smetto.
Sto dando poco spazio agli altri personaggi tipo Vic, Dalia (la tizia all'inizio vicino Hutton con la farfalla verde) o Edward, ma viene prima il lavoro, poi lo svago, poi le manette per l'assassino e forse l'acido solforico. Muhahahahaha!
Questo fatto delle citazioni all'inizio di ogni capitolo fa tanto Bleach (Il cui autore mette citazioni all'inizio di ogni volume)... le mie pero' non sono citazioni. Sono cose che mi vengono in mente alla fine del capitolo. Eh già, sembrava che le scrivessi all'inizio ed invece no! Che malvagità'! Mi scuso per il ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo ma... non ho uno schema preciso. Quando mi capita il pc in mano scrivo. Quindi mai.
Have a nice day!
\
P.S. Dato che il titolo richiede una piccola conoscenza di latino vi dico la traduzione: la solitudine di madre e figlia. Sa tanto di cosa catastrofica ma... mi sembra il più appropriato tra quelli che ho pensato...  Forse stavolta ho esagerato con la carica drammatica, mah... non so.
  
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