Finalmente di
ritorno, eh? ^_-
Ho il capitolo
dopo di questo a tre quarti, quindi posso sentirmi abbastanza
tranquilla da pubblicare.
Non ho molto
da dire: è un capitolo di transizione, ma non credo lo
stesso che sia consigliabile leggerlo con poca attenzione…
Ogni minimo dettaglio è importante.
Ha tutto un
senso, anche se non sembra. =)
Vi auguro
buona lettura.
Kissone
Sybelle
Ironic
- Ironico
-Oscar Wilde-
Le
increspature del mare scintillavano placide, illuminate debolmente da
qualche flebile raggio solare; le onde si infrangevano su una costa di
sabbia e scogli, con pochi arbusti ed un solo fiore, che fragile
sopravviveva nella roccia: il Sole era arancione, ma la sua luce non
era forte e sicura, anzi, era delicata e quieta.
Era
un’alba meravigliosa, che colorava il cielo con tinte calde e
rassicuranti, mentre il celeste prendeva pian piano possesso del nuovo
giorno.
Oh…era
un dipinto
così vivido che per un istante avevo sperato fosse reale. Era
l’unico elemento d’arredo nella camera da letto in
cui mi trovavo, se camera da letto, poi, potevo definirla:
più la guardavo più mi sembrava una grande bara.
Era una stanza
di pianta quadrata, piccola e scura –probabilmente
sotterranea-; qualche candela illuminava l’abitacolo, e
rimasi incantata nel constatare che quei ceri non si esaurissero mai.
Per il resto
non c’era granché: un vecchio armadio, un piccolo
tavolo, un letto incassato nel legno, con le lenzuola nere.
Ma il
quadro…! Troneggiava sulla parete di fronte al giaciglio, ed
io non potevo fare altro che invidiare il pittore, sicuramente vampiro,
che era riuscito a ritrarre il sole senza averlo nemmeno mai visto,
mentre io a malapena ricordavo cosa fosse!
Mi sedetti sul
letto, senza distogliere lo sguardo dal dipinto.
Avevo ovvi
motivi per credere che quella fosse la stanza di Armand; in
verità, quegli ovvi motivi erano tutt’al
più il ricordo di un momento umiliante e doloroso conclusosi
nelle sue braccia…
Ma era
successo davvero?
Ricordavo di
essere stata brutalmente ferita, eppure il mio corpo era pulito e ben
curato.
I
vampiri per guarire i tagli e le ferite usano gocce del loro stesso
sangue.
L’idea
che Armand potesse aver curato ogni parte del mio corpo mi faceva
rabbrividire…ma non era una cattiva sensazione. Anzi, provai
un qualcosa di insolito: mentre una parte di me reprimeva violentemente
quella sensazione, quasi disgustata, un’altra parte
l’anelava e la bramava, sentendola come il contatto con
l’unica persona da cui si vorrebbe essere toccati.
Mi sedetti
sulla sponda del letto, lisciando con una mano il corto vestito nero
che indossavo: mi arrivava a metà coscia, il seno era
coperto da due triangoli di stoffa le cui bretelle erano catene dorate
e sotto il petto scendeva a balze; era comodo e leggero, migliore di
altri ingombranti vestiti che avevo indossato: se l’avessi
detto a Logan, probabilmente si sarebbe ingelosito.
Già,
Logan…
Di certo
sapeva dov’ero: mi controllava, era nella mia mente; doveva
sapere dov’ero.
Perché
allora non mi richiamava, non tentava di riportarmi da lui?
Ero
lì dannazione, senza compagnia e pronta per essere
punzecchiata dalla sua irrisoria voce! Desideravo soltanto che mi
ricordasse che ero sua, che avevamo un patto e che potevamo ancora
convivere in “pace”, solo chiarendo gli ultimi
avvenimenti.
Ma lui non
c’era, la sua irrisoria voce non mi punzecchiava e le sue
candide mani non mi sfioravano da giorni.
Mi sentii
terribilmente trascurata – sola.
Mi era apparso
chiaro il suo profondo odio verso Armand, un odio di certo ricambiato
con la medesima intensità; eppure, tanto più mi
sforzavo, tanto più non ne comprendevo il motivo: i vampiri
erano creature crudeli, spietate, lussuriose, superbe, vanitose e
solitarie, ma tra di loro vi era una grande equità, un certo
rispetto.
Amavano
rubarsi la preda e giocarsi tiri a dir poco disonesti, ma alla fine
agivano sempre nell’interesse del gruppo. Sempre.
Forse
perché Logan era un capo temuto e potente, forse
perché sapevano di essere gli unici che potevano capirsi e
aiutarsi, fatto sta che non esistevano aperte rivalità.
O almeno lo
credevo… Eppure ricordavo bene l’astio di Armand
quando mi aveva chiesto se ero l’amante del bel biondo.
Iniziai a
pensare che forse Armand era pericoloso, che poteva esserlo non solo
per me ma anche per la comunità di cui ero prigioniera.
Cercavo
un’arma, un qualcosa di così terribile che avrebbe
potuto distruggere tutto ciò che io stessa avevo alimentato
e aiutato a crescere; Armand era indubbiamente quell’arma.
Mentre pensavo
a come acconciarmi i capelli, mi accorsi che era necessario che io
riordinassi le mie idee, perché la confusione mi stava
lentamente distruggendo: non riuscivo più a percepire spazio e tempo.
Mi trovavo in
una stanza sotterranea - probabilmente -, ma da quanto?
Forse un
giorno, forse di meno…o forse di più.
Purtroppo non
sapevo definirlo.
E da quanto,
invece, ero in quel castello?
Otto mesi,
forse. Forse di più…Di certo non di meno.
Dov’ero
stata tutto quel tempo? Com’era possibile che non mi fossi
accorta di nulla???
Mi resi conto
solo in quel momento –mentre intrecciavo i capelli dietro la
nuca- che le ciocche più lunghe arrivavano fin oltre la
metà della schiena: ricordavo con precisione che, quando
tutto era iniziato per me, arrivavano ben al di sopra della
metà del mio busto.
Incredibilmente,
quel cambiamento mi spaventò: stavo crescendo, ma sapevo
bene che la persona che mi guardava allo specchio non doveva avere
quell’aspetto, non doveva crescere con la mia anima.
Davvero, mi
spaventò.
Nell’allacciarmi
i sandali alla schiava che avevo trovato insieme all’abito mi
resi conto di avere bisogno d’aria: in quei mesi ero uscita
solo una volta, e non era di certo stata una passeggiata…In
tutti i sensi.
Se avessi
provato a varcare le soglie del palazzo mi avrebbero fermata?
Sì,
di sicuro. Non avevo né l’autorità
né le motivazioni adeguate – o il permesso
– per farlo: ma io non respiravo più, sentivo solo
fumo.
Fumo che
avvolgeva le narici, gli occhi, la pelle, il corpo, i sensi…
Gli odiosi
candelabri sorreggevano candele immortali e fuochi eterni sorgevano su
esse.
La mia mente
era invasa dalla nebbia: forse svenni.
Ancora la
stessa stanza, ma avevo dormito?
Non era
cambiato nulla, non c’era traccia di vita, nemmeno io stessa
potevo considerarmi Vita.
Vidi sul
tavolo una foto in una cornice, prima non c’era: mi avvicinai
confusa, la foto raffigurava il cielo stellato; volevo piangere dalla
gioia (era fuori, era aria, era cielo, era Luna!), ma non mi
uscì altro che un suono ovattato dalle labbra, come un
singulto.
Volevo uscire
da quella stanza, ma avevo paura di farmi vedere dai vampiri: le dita
di Zefir erano ovunque, mi graffiavano incattivite; gli occhi di Zefir
erano ovunque, spogliavano il mio corpo persino della pelle; la lingua
di Zefir era in un solo posto, ma lì
permaneva maliziosa.
Mi lasciai
andare ad un urlo che crebbe dal fievole all’acuto, e la mia
voce risuonò per un breve momento; toccai le pareti, il
quadro lo sfiorai soltanto: mi chinai a guardare cosa ci fosse sotto il
letto, ma lo spiraglio era talmente piccolo che non vidi nulla se non
buio – quel luccichio rosso era solo la mia
immaginazione…O almeno lo speravo.
C’era
un libro: era sigillato.
La copertina
era consumata e la lingua del titolo a me ignota: probabilmente era la
lingua dell’universo parallelo dei Bit Powers.
Provai a
rompere il sigillo, ma mi ruppi un’unghia, tagliandomi il
dito stesso: vi rinunciai, amareggiata.
In silenzio,
rimasi ferma sul mio posto, inerte. Così, come statua. Come
inerte bambola di porcellana.
Dovevo uscire
da quella gabbia: ero sempre stata coraggiosa, potevo farcela.
La porta era
lì, davanti a me, lo era sempre stata….
È
solo una porta Sarah, no?
È
solo una porta, no?
Cosa
può farti una porta?
Non ha denti,
né artigli, né veleno: ha solo un pomello.
Afferralo
Sarah, brava: ora muovi la mano, fai scattare la serratura, apri.
Dai Sarah, so
che puoi farcela.
Sarah…
ce la fai?
Dai Sarah,
voglio uscire…Fallo!
C’è
qualcosa di importante fuori da questa porta, lo so! Sento una strana
sensazione all’altezza del cuore Sarah, IO ce l’ho
ancora e sta soffrendo!
Non senti
questo fragore di pianti, e urla, ed ossa rotte? Non senti? Ascolta Sarah,
è tutto oltre questa porta!
Ho paura
Sarah, ma tu non puoi averla: io posso, tu no.
Tu sei la mia
maschera, Sarah: il tuo viso è il mio. Se tu non mostrerai
paura, io non ne avrò.
Forza, forza!
Ho fretta, il fuoco delle candele brucia la mia pazienza!
Corri Sarah,
corri Sarah!
Mi ritrovai a
correre per scale che non sapevo dove portassero, per corridoi che
emanavano solo gelo e stanze circolari dove niente aveva senso, nemmeno
quei quadri appesi al contrario.
Correvo e non
sapevo dove andavo, né perché ci andavo: volevo
controllo e stavo ottenendo caos.
Ma una forza
più grande di me mi portava… Giù per
le scale, lungo l’atrio principale, urtando spalle di vampiri
ed evitando in tempo ostacoli pericolosi: infine mi ritrovai nel
corridoio che portava alla Cella.
Ripresi fiato,
ma tremavo.
Avevo paura di
Zefir, dei suoi occhi, delle sue dita e della sua lingua:
l’immagine di un bambino piangente, magro e malato, si
presentò alla mia mente, ma fu solo il ricordo di un sogno…O
forse era la realtà, e Zefir il sogno?
Avevo un gran
mal di testa, ebbi un capogiro: mi ripresi, poggiando la fronte sul
muro di pietra; in un momento di calma e silenzio, percepii un rumore.
Vago,
inizialmente.
Un vocio
soffuso, pacato lì per lì: prestai attenzione a
tale mormorio.
Percepii le
lacrime del lutto.
Ed allora
sbiancai.
Logan non
poteva aver ripetuto lo stesso gioco! Non poteva aver voluto uccidere
un altro estraneo per i suoi capricci!
E
chissà quante comodità aveva tolto ai miei amici,
quanto cibo e quanti letti…!
In un leggero
fruscio del mio vestito scattai verso il ponte, furiosa: questa volta
avrei reagito diversamente al turpe crimine.
Avanzai a
grandi falcate, e Zefir non mi fece alcun effetto: Logan non
c’era.
Mi parve
strano non vedere il cadavere, ed ancor più strano mi parve
vedere Takao svenuto; non capivo perché c’erano
poche ma sincere lacrime, e non capivo il perché di tanto
pallore e tante labbra tremanti: non capivo quella strana sensazione
che mi suggeriva di guardare con attenzione chi c’era nella
cella…
…
… E
chi non c’era.
Ed io, nel
secondo più lungo di tutta la mia vita, vidi chi non
c’era.
“Certo
prof…certo….perchè posso chiamarti
così,, vero?”
“Kenny…”
Dov’erano le mie gambe? Non le sentivo più. E
nemmeno il resto del corpo, nemmeno i miei stessi pensieri.
“E’
caduto giù…” Si scusò il
guardiano, con un tono dispiaciuto per niente convincente, e
tutt’altro che serio.
Provai ad
immaginarmi K che veniva afferrato da Zefir, veniva azzannato e poi
veniva gettato come un rifiuto: qualche lamento inconscio
scaturì dalle mie labbra incredule.
Tranquilla
Sarah: non l’ha azzannato. L’ha toccato solo per
scaraventarlo nel baratro: pensandoci, forse era preferibile per lui la
morte per dissanguamento.
Pensaci,
è precipitato per miglia e miglia
nell’oscurità che conduce al Vortice Infernale,
vivo.
Il
ripresentarsi improvviso di Logan nella mia mente fu la
goccia… Quella di sangue, mi seguiva da giorni, mesi. Anni.
Non avevo il coraggio
di affrontare il dolore delle persone che avevo imparato ad amare: il
prof era morto a causa mia.
Che strano
modo ha la vita di rimediare alle punizioni non inferte; che strano
modo aveva di punirmi; se fossi rimasta, mi avrebbero punito anche i
vivi rimasti?
Non
posso crederci…Vivi…Sto parlando di VIVI RIMASTI!
“No…non
anche voi…” Non mi scese alcuna lacrima dal volto,
ma la mia voce piangeva.
Ebbi
nuovamente paura, e non lasciai a nessuno di loro il tempo di dirmi che
non era stata colpa mia, che la loro disperazione era giunta al limite
e che si arrendevano per sempre; non li consolai, non mi lasciai
consolare; scappai.
Ripercorsi i
corridoi, risalii e riscesi le scale, ritornai nell’atrio,
andai ancora a sbattere contro vampiri che non m’interessava
vedere in volto, mi precipitai in stanze che non conoscevo e rividi
quegli assurdi quadri appesi all’in giù: quando
giunsi infine in quel luogo sotterraneo da cui avevo desiderato
fuggire, furono ancora le braccia di Armand ad accogliermi ed a
stringermi con delicatezza.
Affondai le
unghie nella sua pelle e morsi con rabbia e frustrazione la sua spalla
nuda, ben sapendo di non fargli nulla: lui sopportò in
silenzio, impassibile, ed il suo sguardo era rivolto al corridoio,
verso il nulla.
Non volevo
nessun’altro in quel momento, a consolarmi: me ne resi conto
quando mi fece entrare e chiuse la porta con uno scatto secco; e se
anche Logan avesse visto il suo dolce sorriso nei miei confronti e ne
avesse voluto eliminare il proprietario per gelosia, io non me ne sarei
curata: la distruzione dell’animo non concede preoccupazioni
materiali.
“Dimmi
che sono cattiva…” Lo supplicai, poiché
in quel momento desideravo solo parole crudeli, sgarbate e reali: se
avesse osato sussurrarmi una sola parola cortese e consolatoria, sarei
stata capace di aggredirlo.
Il bel vampiro
mi scrutò a lungo, e sembrava profondamente rattristato:
“Non voglio mentire.”
“Allora
dimmi che sono una bugiarda…” Sussurrai,
realizzando solo in quell’istante che la parola
“cattivo” deriva dal latino captivus, prigioniero: ah
sì, era una prigione la mia testa, che comprimeva il
cervello, le idee e il buon senso!
“Sei
una bugiarda Sarah.” Pronunciò solennemente, e
scorsi mille pensieri e mille tormenti lottare tra loro nei suoi occhi;
mi sentii in dovere di ringraziarlo, e lui sospirò quando lo
feci.
“Sei
una bugiarda Sarah… Ma credimi quando ti dico che nella tua
colpa sei onesta, e che i veri bugiardi sono coloro che mentono a se
stessi credendo di non esserlo; hai ingannato, ordito, tramato e
programmato orribili congiure contro coloro che tu chiami a buon titolo
amici: eppure se potessi ti uccideresti pur di non doverlo
più fare.”
Si sedette sul
letto, e con un lento movimento mi accarezzò i capelli:
“Sei solo un essere umano, e solo esseri umani sono i tuoi
amici: sbagli, sbagliano. Morirai, loro pure; alcuni stanno morendo
ora, altri grazie a te potrebbero sopravvivere.”
Posai la mia
mano sulla sua, socchiudendo gli occhi: “Adesso come
potrò impedire loro di consegnare i Bit? Non vorranno darmi
retta.”
Armand mi
baciò la fronte: “Non puoi continuare a impedire
loro di difendersi: potrebbero iniziare a insospettirsi, non
credi?”
Compresi solo
in quel momento quale danno sarebbe stato, se loro avessero scoperto la
verità: “Sono intrappolata dalle mie stesse
menzogne. È una fine terribile, non volevo questo per
me.”
Lui
iniziò a baciarmi la guancia e l’incavo del collo
con veloci baci a fior di pelle: “Ah, solo questo non
volevi?”
Stordita lo
lasciai fare, ed a lungo rimasi a meditare su quella domanda: poi, non
so come, la dimenticai; iniziai invece a riflettere su una
considerazione che volevo esporre, ed infine cedetti al mio desiderio:
“Vorrei che tu avessi potuto conoscere Kei: Yuri dice che
siamo simili, ma non può sapere quanto siamo
diversi.”
Mi
fissò negli occhi, ed il suo sguardo fu così
intenso che ne rimasi catturata; con mano tremante gli sfiorai i
capelli, ed erano morbidi e setosi; lui mi lasciò fare, poi
semplicemente disse: “Io lo sto conoscendo, Sarah. Non
credere che la sua fiamma sia spenta: la sua condanna è
l’immortalità.”
Mi scostai
d’un tratto, infastidita: “Non scherzare col fuoco:
non c’è speranza che sopravviva, e tu lo
sai!”
“Eppure
sento di averlo conosciuto…” Soffiò.
Lo guardai
smarrita, e una scintilla di speranza si accese in me; con voce flebile
gli domandai come l’avesse trovato, ed un po’ di
orgoglio riempì il mio cuore quando capii che Kei era
più forte di me.
“Oh,
mi è molto piaciuto; anzi, credo davvero di essermene
innamorato…” Confessò il vampiro.
Mi venne
incontro, spingendomi contro il materasso: mi sorrise malizioso, per
poi baciarmi con dolcezza; fu semplice per lui togliermi
l’abito, e per me fu lo stesso con i suoi indumenti.
L’aria
sapeva di buono, come se le candele stessero bruciando un delicato
incenso; i cuscini erano estremamente morbidi, ed il corpo di Armand
era come un mare: a tratti lo attraversavano correnti fredde, a tratti
invece erano calde e confortanti.
“Perché non riesco a
resisterti?” Gli chiesi con un filo di voce, e
nel prendergli il viso tra le mani sentii un brivido di piacere e
timore.
“Perché non vuoi farlo.”
Rispose lui, e tutto divenne insignificante.
Svegliarmi nel
letto di Logan fu alquanto sconcertante: non ricordavo di essere stata
lì, il giorno prima; anzi, non avevo alcun dubbio sul luogo
dove ero stata e sulla persona con cui ero stata…
Gli unici,
pochi avvenimenti “felici” che avevo vissuto in
quel posto me li tenevo stretti, e nessuno sarebbe riuscito a farmi
credere che fosse stato un sogno.
Armand mi
aveva amato il giorno prima, e di questo ero assolutamente certa.
Ma allora
perché Logan non era con me? Perché non mi
guardava con disprezzo?
La sua
scomparsa dalla mia vita era incomprensibile: temevo ormai che tutti i
vampiri mi stessero nascondendo qualcosa… qualcosa che
invece avrei dovuto sapere.
Mi alzai,
vestendomi con il primo vestito che vidi nell’armadio: era un
completo da cavallerizza, con la gonna a pieghe nera e la giacca (a
collo alto, dalle spalle bombate e l’allacciatura sulla
schiena) azzurra; infilai gli stivali e legai senza troppa cura i
capelli in una coda alta, poi mi precipitai fuori dalla stanza: se
anche Logan mi avesse ignorato in eterno non contava, poiché
Armand non mi avrebbe negato una spiegazione.
Scesi
rapidamente le scale; cercai di non prestare attenzione ai soliti
vampiri che oziavano nell’atrio principale, eppure non potei
non fermarmi quando uno di questi mi chiamò con tono di
scherno.
“Sono
di fretta Francisco, vedi di sbrigarti.” Chiarii subito,
irritata.
Francisco era
un vampiro veramente suo generis, una creatura interessante: quando era
giunto sulla Terra la sua prima vittima era stata un chitarrista
metallaro, e Francisco ne era rimasto talmente abbagliato da decidere
di plasmare il proprio aspetto in suo onore.
Si presentava
ora come un pallidissimo ed incantevole rocker dalla folta chioma nera,
le braccia tatuate ed i vestiti cigolanti. A quanto ne sapevo Logan lo
teneva in altissima considerazione.
Con
Baldazarre, Zefir e Mathias Francisco completava il gruppo dei favoriti
del mio biondo castigatore.
Non potei fare
a meno di interrogarmi su quale ruolo avesse assunto Armand in quella
gerarchia sociale che si era istituita nel castello.
Comunque
Francisco non colse la mia provocazione, anzi, non esitò a
prendersi tutto il tempo necessario, prima per intrappolarmi con il suo
sguardo ammiccante, poi per deridermi spudoratamente.
Puntò
i suoi occhi castani sul mio profilo, sghignazzando (ritenni che per
lui una donna non era degna che di questo: il suo disprezzo):
“Ma quanto siamo carine oggi! Vai forse ad una
festa?”
Chiusi gli
occhi a fessura: “Perché tu di certo troveresti un
motivo per festeggiare. Sbaglio?”
Sorrise:
“Ammetto che ho un debole per i funerali. Soprattutto quelli
degli umani schiantati al suolo!” Così detto
scoppiò in un’isterica risata malevola.
Persi la
testa. Oh, la persi davvero.
“Non
permetterti di parlare così di lui! Non
permetterti!” Urlai, e sentii ogni parte del mio corpo
bruciare di rabbia e disperazione.
Potevano
insultarmi, ferirmi, umiliarmi e deridermi quanto più li
aggradava, poiché ero solo una bambola di pezza e non
ritenevo di meritare un trattamento migliore: ma non dovevano nemmeno
osare offendere un innocente morto, men che meno se
quell’innocente era tutto ciò di cui
m’importava.
“…Ooooh…Sennò
che mi fai? Mi fai la bua?” Rise ancora.
A quel punto
avevo più possibilità: girare i tacchi e andare
da Armand, urlare ancora rendendolo ancora più ilare,
oppure…
Ora come ora
ritengo sia il caso di dire che feci la scelta più
sbagliata: eppure non credo che difendere la memoria di un amico sia
una scelta poi così sbagliata.
Se io fossi
stata al posto di K, avrei voluto che lui difendesse la
dignità umana che ancora mi rimaneva, seppur nella morte.
C’era
una torcia appesa al muro, a poca distanza da me: in un momento di pura
follia non vidi altro che la sua fiamma; l’intelligenza di un
vampiro non può battere in alcun modo
l’imprevedibilità di un individuo arrabbiato, e
così Francisco non potè neanche lontanamente
immaginare i miei piani.
In un istante
la fiaccola era nelle mie mani, l’istante dopo corrodeva i
vestiti e la pelle del mio avversario: molti vampiri accorsero in suo
aiuto, altri digrignarono i denti e spalancarono le bocche ringhiando
con le loro fauci assassine in mia direzione.
Alcuni
provarono a ghermirmi, a catturarmi, ma io mi ero fatta furba ormai:
prima che potessero farmi qualunque cosa, ero già giunta
davanti alla porta di Armand.
Sentii le loro
grida ed i loro insulti, ma non me ne importò nulla.
Risi fino alle
lacrime, e ringraziai il cielo con cuore pieno di gioia.
Avevo quasi
ucciso un vampiro… E se non fossi morta prima, chi lo sa?
Forse uno sarebbe diventato dieci, forse dieci sarebbe diventato
mille…
Sorridi?!
Sorridi?! Hai anche l’ardire di farlo?
L’impudenza
non ti manca, caduca rosa: gli innocenti muoiono e tu, criminale, ridi
e gioisci delle tue violenze.
Oh
Sarah, sappiamo che non sei cattiva… Sappiamo che ridi
perché hai ritrovato la speranza.
Però
sei prigioniera: prigioniera della tua utopia.
Puoi
sognare, nessuno ti vieta di farlo.
Ma
forse aprire gli occhi ti aiuterebbe, captiva.
Guarda
con attenzione Sarah, ascolta i segnali.
Ad
una sola persona dovresti associare la parola
“bugiardo”.
Giochiamo,
ti va? Indovina a chi…
Se
vinci avrai una bambola, piccola fanciulla… O forse una
tomba.
Tutta
per te.
But
death can’t win again, can it? So smile, smile,
smile…
Fine
Dunque…
è un capitolo un po’ movimentato, per certi versi.
^^
Riassumiamo,
vah!
I punti
importanti sono, ovviamente:
- il nuovo
amore sbocciato tra Armand e Sarah, sviluppatosi in pieno, aggiungerei.
O.ò
- la morte di
Kappa
-
l’attacco a Francisco
So che la
morte di Kappa non renderà troppa gente triste, ma avevo
bisogno di partire da un personaggio che, nel suo piccolo, ha fatto la
storia di bey.
Ed in questo
contesto diventa estremamente importante…
Poi
vediamo… passiamo alle curiosità ^^
Curiosità
In seguito
agli sviluppi della storia, ho deciso di porre, come definitivo
epilogo, un chiarimento di ogni parte confusa. Insomma, nei capitoli
inserirò tante piccolezze che con il tempo si
dimenticano… Io le ricorderò e darò
loro significato.
La stanza di
Armand l’ho presa da un’immagine che si
è radicata nella mia mente: penso fosse l’immagine
di un gioco su internet, comunque mi aveva affascinata.
Il modo di
curare che utilizzano i vampiri non è una mia invenzione,
bensì è una creazione di Anne Rice.
Il tempo nella
storia non è ben definito per scelta: essendo tutto visto
dalla mente di Sarah (piuttosto confusa, converrete), anche il tempo
è deformato.
La canzone
(Ironic di Alanis Morissette) è stata una scelta casuale,
dovuta ad un testo che ho sempre amato.
Purtroppo non
ho modo di rispondere alle vostre bellissime recensioni, per le quali
vi ringrazio con tutto il cuore e tutta l’anima.
Spero che il
capitolo vi sia piaciuto ^^
Traduzione Ironic:
Un vecchio
compì 98 anni
Vinse alla lotterie e
morì il giorno dopo
È una mosca
nera nel tuo Chardonnay
È un
assoluzione della pena di morte due minuti troppo tardi
È ironico,non
credi
È come la
pioggia il giorno del tuo matrimonio
È un giro
gratis quando hai già pagato
È il buon
consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe
pensato,funziona
Mr Gioco Sicuro aveva
paura di volare
Fece la valigia diede il
bacio d’addio ai suoi figli
Aspettò tutta
la vita per prendere quel volo
E mentre
l’aereo si stava per schiantare lui pensò
"bene non è
perfetto"
ed è
ironico,non credi?
È come la
pioggia il giorno del tuo compleanno
È un giro
gratis quando hai già pagato
È il buon
consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe
pensato,funziona
La vita ha un bel modo
di infierire su di te
Quando pensi che tutti
è okay è tutto sta andando bene
E la vita ha un bel modo
di aiutarti
Credi che tutto sia
andato male e tutti ti scoppi sulla faccia
Un ingorgo quando sei
già in ritardo
Un cartello
“no smoking”durante la tua pausa sigaretta
È come
diecimila cucchiai quanco tutto ciò di cui hai bisogno
è un coltello
È conoscere
l’uomo dei miei sogni
E dopo incontrare la sua
bellissima moglie
Ed è
ironico,non credi?
Un pò troppo
ironico,lo credo davvero
È come la
pioggia il giorno del tuo compleanno
È un giro
gratis quando hai già pagato
È il buon
consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe
pensato,funziona
La vita ha un bel modo
di infierire su di te
E la vita ha un bel modo
di aiutarti.