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Autore: Sybelle    14/01/2010    5 recensioni
"Come potevano sapere che quello era l’Inferno? Un Inferno persino peggiore del monastero, persino peggiore dell’Inferno stesso.
Come potevano sapere che quello sarebbe stato il primo passo verso la tragedia?"

Se siete pronti ad entrare negli abissi di una mente disperata, prego...accomodatevi.
Sybelle
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Takao Kinomiya, Yuri
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve =)
Finalmente di ritorno, eh? ^_-
Ho il capitolo dopo di questo a tre quarti, quindi posso sentirmi abbastanza tranquilla da pubblicare.
Non ho molto da dire: è un capitolo di transizione, ma non credo lo stesso che sia consigliabile leggerlo con poca attenzione… Ogni minimo dettaglio è importante.
Ha tutto un senso, anche se non sembra. =)
Vi auguro buona lettura.
Kissone
Sybelle


Ironic - Ironico

Dove il dolore dimora il suolo è sacro
-Oscar Wilde-



Le increspature del mare scintillavano placide, illuminate debolmente da qualche flebile raggio solare; le onde si infrangevano su una costa di sabbia e scogli, con pochi arbusti ed un solo fiore, che fragile sopravviveva nella roccia: il Sole era arancione, ma la sua luce non era forte e sicura, anzi, era delicata e quieta.
Era un’alba meravigliosa, che colorava il cielo con tinte calde e rassicuranti, mentre il celeste prendeva pian piano possesso del nuovo giorno.
Oh…era un dipinto così vivido che per un istante avevo sperato fosse reale. Era l’unico elemento d’arredo nella camera da letto in cui mi trovavo, se camera da letto, poi, potevo definirla: più la guardavo più mi sembrava una grande bara.
Era una stanza di pianta quadrata, piccola e scura –probabilmente sotterranea-; qualche candela illuminava l’abitacolo, e rimasi incantata nel constatare che quei ceri non si esaurissero mai.
Per il resto non c’era granché: un vecchio armadio, un piccolo tavolo, un letto incassato nel legno, con le lenzuola nere.
Ma il quadro…! Troneggiava sulla parete di fronte al giaciglio, ed io non potevo fare altro che invidiare il pittore, sicuramente vampiro, che era riuscito a ritrarre il sole senza averlo nemmeno mai visto, mentre io a malapena ricordavo cosa fosse!
Mi sedetti sul letto, senza distogliere lo sguardo dal dipinto.
Avevo ovvi motivi per credere che quella fosse la stanza di Armand; in verità, quegli ovvi motivi erano tutt’al più il ricordo di un momento umiliante e doloroso conclusosi nelle sue braccia…
Ma era successo davvero?
Ricordavo di essere stata brutalmente ferita, eppure il mio corpo era pulito e ben curato.

I vampiri per guarire i tagli e le ferite usano gocce del loro stesso sangue.

L’idea che Armand potesse aver curato ogni parte del mio corpo mi faceva rabbrividire…ma non era una cattiva sensazione. Anzi, provai un qualcosa di insolito: mentre una parte di me reprimeva violentemente quella sensazione, quasi disgustata, un’altra parte l’anelava e la bramava, sentendola come il contatto con l’unica persona da cui si vorrebbe essere toccati.
Mi sedetti sulla sponda del letto, lisciando con una mano il corto vestito nero che indossavo: mi arrivava a metà coscia, il seno era coperto da due triangoli di stoffa le cui bretelle erano catene dorate e sotto il petto scendeva a balze; era comodo e leggero, migliore di altri ingombranti vestiti che avevo indossato: se l’avessi detto a Logan, probabilmente si sarebbe ingelosito.
Già, Logan…
Di certo sapeva dov’ero: mi controllava, era nella mia mente; doveva sapere dov’ero.
Perché allora non mi richiamava, non tentava di riportarmi da lui?
Ero lì dannazione, senza compagnia e pronta per essere punzecchiata dalla sua irrisoria voce! Desideravo soltanto che mi ricordasse che ero sua, che avevamo un patto e che potevamo ancora convivere in “pace”, solo chiarendo gli ultimi avvenimenti.
Ma lui non c’era, la sua irrisoria voce non mi punzecchiava e le sue candide mani non mi sfioravano da giorni.
Mi sentii terribilmente trascurata – sola.
Mi era apparso chiaro il suo profondo odio verso Armand, un odio di certo ricambiato con la medesima intensità; eppure, tanto più mi sforzavo, tanto più non ne comprendevo il motivo: i vampiri erano creature crudeli, spietate, lussuriose, superbe, vanitose e solitarie, ma tra di loro vi era una grande equità, un certo rispetto.
Amavano rubarsi la preda e giocarsi tiri a dir poco disonesti, ma alla fine agivano sempre nell’interesse del gruppo. Sempre.
Forse perché Logan era un capo temuto e potente, forse perché sapevano di essere gli unici che potevano capirsi e aiutarsi, fatto sta che non esistevano aperte rivalità.
O almeno lo credevo… Eppure ricordavo bene l’astio di Armand quando mi aveva chiesto se ero l’amante del bel biondo.
Iniziai a pensare che forse Armand era pericoloso, che poteva esserlo non solo per me ma anche per la comunità di cui ero prigioniera.
Cercavo un’arma, un qualcosa di così terribile che avrebbe potuto distruggere tutto ciò che io stessa avevo alimentato e aiutato a crescere; Armand era indubbiamente quell’arma.

Mentre pensavo a come acconciarmi i capelli, mi accorsi che era necessario che io riordinassi le mie idee, perché la confusione mi stava lentamente distruggendo: non riuscivo più a percepire spazio e tempo.
Mi trovavo in una stanza sotterranea - probabilmente -, ma da quanto?
Forse un giorno, forse di meno…o forse di più.
Purtroppo non sapevo definirlo.
E da quanto, invece, ero in quel castello?
Otto mesi, forse. Forse di più…Di certo non di meno.
Dov’ero stata tutto quel tempo? Com’era possibile che non mi fossi accorta di nulla???
Mi resi conto solo in quel momento –mentre intrecciavo i capelli dietro la nuca- che le ciocche più lunghe arrivavano fin oltre la metà della schiena: ricordavo con precisione che, quando tutto era iniziato per me, arrivavano ben al di sopra della metà del mio busto.
Incredibilmente, quel cambiamento mi spaventò: stavo crescendo, ma sapevo bene che la persona che mi guardava allo specchio non doveva avere quell’aspetto, non doveva crescere con la mia anima.
Davvero, mi spaventò.

Nell’allacciarmi i sandali alla schiava che avevo trovato insieme all’abito mi resi conto di avere bisogno d’aria: in quei mesi ero uscita solo una volta, e non era di certo stata una passeggiata…In tutti i sensi.
Se avessi provato a varcare le soglie del palazzo mi avrebbero fermata?
Sì, di sicuro. Non avevo né l’autorità né le motivazioni adeguate – o il permesso – per farlo: ma io non respiravo più, sentivo solo fumo.
Fumo che avvolgeva le narici, gli occhi, la pelle, il corpo, i sensi…
Gli odiosi candelabri sorreggevano candele immortali e fuochi eterni sorgevano su esse.
La mia mente era invasa dalla nebbia: forse svenni.

Ancora la stessa stanza, ma avevo dormito?
Non era cambiato nulla, non c’era traccia di vita, nemmeno io stessa potevo considerarmi Vita.
Vidi sul tavolo una foto in una cornice, prima non c’era: mi avvicinai confusa, la foto raffigurava il cielo stellato; volevo piangere dalla gioia (era fuori, era aria, era cielo, era Luna!), ma non mi uscì altro che un suono ovattato dalle labbra, come un singulto.

Volevo uscire da quella stanza, ma avevo paura di farmi vedere dai vampiri: le dita di Zefir erano ovunque, mi graffiavano incattivite; gli occhi di Zefir erano ovunque, spogliavano il mio corpo persino della pelle; la lingua di Zefir era in un solo posto, ma permaneva maliziosa.
Mi lasciai andare ad un urlo che crebbe dal fievole all’acuto, e la mia voce risuonò per un breve momento; toccai le pareti, il quadro lo sfiorai soltanto: mi chinai a guardare cosa ci fosse sotto il letto, ma lo spiraglio era talmente piccolo che non vidi nulla se non buio – quel luccichio rosso era solo la mia immaginazione…O almeno lo speravo.

C’era un libro: era sigillato.
La copertina era consumata e la lingua del titolo a me ignota: probabilmente era la lingua dell’universo parallelo dei Bit Powers.
Provai a rompere il sigillo, ma mi ruppi un’unghia, tagliandomi il dito stesso: vi rinunciai, amareggiata.

In silenzio, rimasi ferma sul mio posto, inerte. Così, come statua. Come inerte bambola di porcellana.

Dovevo uscire da quella gabbia: ero sempre stata coraggiosa, potevo farcela.
La porta era lì, davanti a me, lo era sempre stata….
È solo una porta Sarah, no?
È solo una porta, no?
Cosa può farti una porta?
Non ha denti, né artigli, né veleno: ha solo un pomello.
Afferralo Sarah, brava: ora muovi la mano, fai scattare la serratura, apri.
Dai Sarah, so che puoi farcela.
Sarah… ce la fai?
Dai Sarah, voglio uscire…Fallo!
C’è qualcosa di importante fuori da questa porta, lo so! Sento una strana sensazione all’altezza del cuore Sarah, IO ce l’ho ancora e sta soffrendo!
Non senti questo fragore di pianti, e urla, ed ossa rotte? Non senti? Ascolta Sarah, è tutto oltre questa porta!
Ho paura Sarah, ma tu non puoi averla: io posso, tu no.
Tu sei la mia maschera, Sarah: il tuo viso è il mio. Se tu non mostrerai paura, io non ne avrò.
Forza, forza! Ho fretta, il fuoco delle candele brucia la mia pazienza!

Corri Sarah, corri Sarah!

Mi ritrovai a correre per scale che non sapevo dove portassero, per corridoi che emanavano solo gelo e stanze circolari dove niente aveva senso, nemmeno quei quadri appesi al contrario.
Correvo e non sapevo dove andavo, né perché ci andavo: volevo controllo e stavo ottenendo caos.
Ma una forza più grande di me mi portava… Giù per le scale, lungo l’atrio principale, urtando spalle di vampiri ed evitando in tempo ostacoli pericolosi: infine mi ritrovai nel corridoio che portava alla Cella.
Ripresi fiato, ma tremavo.
Avevo paura di Zefir, dei suoi occhi, delle sue dita e della sua lingua: l’immagine di un bambino piangente, magro e malato, si presentò alla mia mente, ma fu solo il ricordo di un sogno…O forse era la realtà, e Zefir il sogno?
Avevo un gran mal di testa, ebbi un capogiro: mi ripresi, poggiando la fronte sul muro di pietra; in un momento di calma e silenzio, percepii un rumore.
Vago, inizialmente.
Un vocio soffuso, pacato lì per lì: prestai attenzione a tale mormorio.
Percepii le lacrime del lutto.
Ed allora sbiancai.
Logan non poteva aver ripetuto lo stesso gioco! Non poteva aver voluto uccidere un altro estraneo per i suoi capricci!
E chissà quante comodità aveva tolto ai miei amici, quanto cibo e quanti letti…!
In un leggero fruscio del mio vestito scattai verso il ponte, furiosa: questa volta avrei reagito diversamente al turpe crimine.
Avanzai a grandi falcate, e Zefir non mi fece alcun effetto: Logan non c’era.
Mi parve strano non vedere il cadavere, ed ancor più strano mi parve vedere Takao svenuto; non capivo perché c’erano poche ma sincere lacrime, e non capivo il perché di tanto pallore e tante labbra tremanti: non capivo quella strana sensazione che mi suggeriva di guardare con attenzione chi c’era nella cella…

… E chi non c’era.
Ed io, nel secondo più lungo di tutta la mia vita, vidi chi non c’era.

“Certo prof…certo….perchè posso chiamarti così,, vero?”

“Kenny…” Dov’erano le mie gambe? Non le sentivo più. E nemmeno il resto del corpo, nemmeno i miei stessi pensieri.
“E’ caduto giù…” Si scusò il guardiano, con un tono dispiaciuto per niente convincente, e tutt’altro che serio.
Provai ad immaginarmi K che veniva afferrato da Zefir, veniva azzannato e poi veniva gettato come un rifiuto: qualche lamento inconscio scaturì dalle mie labbra incredule.

Tranquilla Sarah: non l’ha azzannato. L’ha toccato solo per scaraventarlo nel baratro: pensandoci, forse era preferibile per lui la morte per dissanguamento.
Pensaci, è precipitato per miglia e miglia nell’oscurità che conduce al Vortice Infernale, vivo.

Il ripresentarsi improvviso di Logan nella mia mente fu la goccia… Quella di sangue, mi seguiva da giorni, mesi. Anni.

Odiosa vocetta irrisoria, ti ho bramata: muori ora, bastarda insensibile! Io soffro e tu ridi!

Non avevo il coraggio di affrontare il dolore delle persone che avevo imparato ad amare: il prof era morto a causa mia.
Che strano modo ha la vita di rimediare alle punizioni non inferte; che strano modo aveva di punirmi; se fossi rimasta, mi avrebbero punito anche i vivi rimasti?
Non posso crederci…Vivi…Sto parlando di VIVI RIMASTI!
“No…non anche voi…” Non mi scese alcuna lacrima dal volto, ma la mia voce piangeva.
Ebbi nuovamente paura, e non lasciai a nessuno di loro il tempo di dirmi che non era stata colpa mia, che la loro disperazione era giunta al limite e che si arrendevano per sempre; non li consolai, non mi lasciai consolare; scappai.
Ripercorsi i corridoi, risalii e riscesi le scale, ritornai nell’atrio, andai ancora a sbattere contro vampiri che non m’interessava vedere in volto, mi precipitai in stanze che non conoscevo e rividi quegli assurdi quadri appesi all’in giù: quando giunsi infine in quel luogo sotterraneo da cui avevo desiderato fuggire, furono ancora le braccia di Armand ad accogliermi ed a stringermi con delicatezza.
Affondai le unghie nella sua pelle e morsi con rabbia e frustrazione la sua spalla nuda, ben sapendo di non fargli nulla: lui sopportò in silenzio, impassibile, ed il suo sguardo era rivolto al corridoio, verso il nulla.
Non volevo nessun’altro in quel momento, a consolarmi: me ne resi conto quando mi fece entrare e chiuse la porta con uno scatto secco; e se anche Logan avesse visto il suo dolce sorriso nei miei confronti e ne avesse voluto eliminare il proprietario per gelosia, io non me ne sarei curata: la distruzione dell’animo non concede preoccupazioni materiali.
“Dimmi che sono cattiva…” Lo supplicai, poiché in quel momento desideravo solo parole crudeli, sgarbate e reali: se avesse osato sussurrarmi una sola parola cortese e consolatoria, sarei stata capace di aggredirlo.
Il bel vampiro mi scrutò a lungo, e sembrava profondamente rattristato: “Non voglio mentire.”
“Allora dimmi che sono una bugiarda…” Sussurrai, realizzando solo in quell’istante che la parola “cattivo” deriva dal latino captivus, prigioniero: ah sì, era una prigione la mia testa, che comprimeva il cervello, le idee e il buon senso!
“Sei una bugiarda Sarah.” Pronunciò solennemente, e scorsi mille pensieri e mille tormenti lottare tra loro nei suoi occhi; mi sentii in dovere di ringraziarlo, e lui sospirò quando lo feci.
“Sei una bugiarda Sarah… Ma credimi quando ti dico che nella tua colpa sei onesta, e che i veri bugiardi sono coloro che mentono a se stessi credendo di non esserlo; hai ingannato, ordito, tramato e programmato orribili congiure contro coloro che tu chiami a buon titolo amici: eppure se potessi ti uccideresti pur di non doverlo più fare.”
Si sedette sul letto, e con un lento movimento mi accarezzò i capelli: “Sei solo un essere umano, e solo esseri umani sono i tuoi amici: sbagli, sbagliano. Morirai, loro pure; alcuni stanno morendo ora, altri grazie a te potrebbero sopravvivere.”
Posai la mia mano sulla sua, socchiudendo gli occhi: “Adesso come potrò impedire loro di consegnare i Bit? Non vorranno darmi retta.”
Armand mi baciò la fronte: “Non puoi continuare a impedire loro di difendersi: potrebbero iniziare a insospettirsi, non credi?”
Compresi solo in quel momento quale danno sarebbe stato, se loro avessero scoperto la verità: “Sono intrappolata dalle mie stesse menzogne. È una fine terribile, non volevo questo per me.”
Lui iniziò a baciarmi la guancia e l’incavo del collo con veloci baci a fior di pelle: “Ah, solo questo non volevi?”
Stordita lo lasciai fare, ed a lungo rimasi a meditare su quella domanda: poi, non so come, la dimenticai; iniziai invece a riflettere su una considerazione che volevo esporre, ed infine cedetti al mio desiderio: “Vorrei che tu avessi potuto conoscere Kei: Yuri dice che siamo simili, ma non può sapere quanto siamo diversi.”
Mi fissò negli occhi, ed il suo sguardo fu così intenso che ne rimasi catturata; con mano tremante gli sfiorai i capelli, ed erano morbidi e setosi; lui mi lasciò fare, poi semplicemente disse: “Io lo sto conoscendo, Sarah. Non credere che la sua fiamma sia spenta: la sua condanna è l’immortalità.”
Mi scostai d’un tratto, infastidita: “Non scherzare col fuoco: non c’è speranza che sopravviva, e tu lo sai!”
“Eppure sento di averlo conosciuto…” Soffiò.
Lo guardai smarrita, e una scintilla di speranza si accese in me; con voce flebile gli domandai come l’avesse trovato, ed un po’ di orgoglio riempì il mio cuore quando capii che Kei era più forte di me.
“Oh, mi è molto piaciuto; anzi, credo davvero di essermene innamorato…” Confessò il vampiro.
Mi venne incontro, spingendomi contro il materasso: mi sorrise malizioso, per poi baciarmi con dolcezza; fu semplice per lui togliermi l’abito, e per me fu lo stesso con i suoi indumenti.
L’aria sapeva di buono, come se le candele stessero bruciando un delicato incenso; i cuscini erano estremamente morbidi, ed il corpo di Armand era come un mare: a tratti lo attraversavano correnti fredde, a tratti invece erano calde e confortanti.
Perché non riesco a resisterti?” Gli chiesi con un filo di voce, e nel prendergli il viso tra le mani sentii un brivido di piacere e timore.
Perché non vuoi farlo.” Rispose lui, e tutto divenne insignificante.

Svegliarmi nel letto di Logan fu alquanto sconcertante: non ricordavo di essere stata lì, il giorno prima; anzi, non avevo alcun dubbio sul luogo dove ero stata e sulla persona con cui ero stata…
Gli unici, pochi avvenimenti “felici” che avevo vissuto in quel posto me li tenevo stretti, e nessuno sarebbe riuscito a farmi credere che fosse stato un sogno.
Armand mi aveva amato il giorno prima, e di questo ero assolutamente certa.
Ma allora perché Logan non era con me? Perché non mi guardava con disprezzo?
La sua scomparsa dalla mia vita era incomprensibile: temevo ormai che tutti i vampiri mi stessero nascondendo qualcosa… qualcosa che invece avrei dovuto sapere.
Mi alzai, vestendomi con il primo vestito che vidi nell’armadio: era un completo da cavallerizza, con la gonna a pieghe nera e la giacca (a collo alto, dalle spalle bombate e l’allacciatura sulla schiena) azzurra; infilai gli stivali e legai senza troppa cura i capelli in una coda alta, poi mi precipitai fuori dalla stanza: se anche Logan mi avesse ignorato in eterno non contava, poiché Armand non mi avrebbe negato una spiegazione.
Scesi rapidamente le scale; cercai di non prestare attenzione ai soliti vampiri che oziavano nell’atrio principale, eppure non potei non fermarmi quando uno di questi mi chiamò con tono di scherno.
“Sono di fretta Francisco, vedi di sbrigarti.” Chiarii subito, irritata.
Francisco era un vampiro veramente suo generis, una creatura interessante: quando era giunto sulla Terra la sua prima vittima era stata un chitarrista metallaro, e Francisco ne era rimasto talmente abbagliato da decidere di plasmare il proprio aspetto in suo onore.
Si presentava ora come un pallidissimo ed incantevole rocker dalla folta chioma nera, le braccia tatuate ed i vestiti cigolanti. A quanto ne sapevo Logan lo teneva in altissima considerazione.
Con Baldazarre, Zefir e Mathias Francisco completava il gruppo dei favoriti del mio biondo castigatore.
Non potei fare a meno di interrogarmi su quale ruolo avesse assunto Armand in quella gerarchia sociale che si era istituita nel castello.
Comunque Francisco non colse la mia provocazione, anzi, non esitò a prendersi tutto il tempo necessario, prima per intrappolarmi con il suo sguardo ammiccante, poi per deridermi spudoratamente.
Puntò i suoi occhi castani sul mio profilo, sghignazzando (ritenni che per lui una donna non era degna che di questo: il suo disprezzo): “Ma quanto siamo carine oggi! Vai forse ad una festa?”
Chiusi gli occhi a fessura: “Perché tu di certo troveresti un motivo per festeggiare. Sbaglio?”
Sorrise: “Ammetto che ho un debole per i funerali. Soprattutto quelli degli umani schiantati al suolo!” Così detto scoppiò in un’isterica risata malevola.
Persi la testa. Oh, la persi davvero.
“Non permetterti di parlare così di lui! Non permetterti!” Urlai, e sentii ogni parte del mio corpo bruciare di rabbia e disperazione.
Potevano insultarmi, ferirmi, umiliarmi e deridermi quanto più li aggradava, poiché ero solo una bambola di pezza e non ritenevo di meritare un trattamento migliore: ma non dovevano nemmeno osare offendere un innocente morto, men che meno se quell’innocente era tutto ciò di cui m’importava.
“…Ooooh…Sennò che mi fai? Mi fai la bua?” Rise ancora.
A quel punto avevo più possibilità: girare i tacchi e andare da Armand, urlare ancora rendendolo ancora più ilare, oppure…
Ora come ora ritengo sia il caso di dire che feci la scelta più sbagliata: eppure non credo che difendere la memoria di un amico sia una scelta poi così sbagliata.
Se io fossi stata al posto di K, avrei voluto che lui difendesse la dignità umana che ancora mi rimaneva, seppur nella morte.
C’era una torcia appesa al muro, a poca distanza da me: in un momento di pura follia non vidi altro che la sua fiamma; l’intelligenza di un vampiro non può battere in alcun modo l’imprevedibilità di un individuo arrabbiato, e così Francisco non potè neanche lontanamente immaginare i miei piani.
In un istante la fiaccola era nelle mie mani, l’istante dopo corrodeva i vestiti e la pelle del mio avversario: molti vampiri accorsero in suo aiuto, altri digrignarono i denti e spalancarono le bocche ringhiando con le loro fauci assassine in mia direzione.
Alcuni provarono a ghermirmi, a catturarmi, ma io mi ero fatta furba ormai: prima che potessero farmi qualunque cosa, ero già giunta davanti alla porta di Armand.
Sentii le loro grida ed i loro insulti, ma non me ne importò nulla.
Risi fino alle lacrime, e ringraziai il cielo con cuore pieno di gioia.
Avevo quasi ucciso un vampiro… E se non fossi morta prima, chi lo sa? Forse uno sarebbe diventato dieci, forse dieci sarebbe diventato mille…

Sorridi?! Sorridi?! Hai anche l’ardire di farlo?
L’impudenza non ti manca, caduca rosa: gli innocenti muoiono e tu, criminale, ridi e gioisci delle tue violenze.
Oh Sarah, sappiamo che non sei cattiva… Sappiamo che ridi perché hai ritrovato la speranza.
Però sei prigioniera: prigioniera della tua utopia.
Puoi sognare, nessuno ti vieta di farlo.
Ma forse aprire gli occhi ti aiuterebbe, captiva.
Guarda con attenzione Sarah, ascolta i segnali.
Ad una sola persona dovresti associare la parola “bugiardo”.
Giochiamo, ti va? Indovina a chi…
Se vinci avrai una bambola, piccola fanciulla… O forse una tomba.
Tutta per te.
But death can’t win again, can it? So smile, smile, smile…

Fine

Dunque… è un capitolo un po’ movimentato, per certi versi. ^^
Riassumiamo, vah!
I punti importanti sono, ovviamente:
- il nuovo amore sbocciato tra Armand e Sarah, sviluppatosi in pieno, aggiungerei. O.ò
- la morte di Kappa
- l’attacco a Francisco

So che la morte di Kappa non renderà troppa gente triste, ma avevo bisogno di partire da un personaggio che, nel suo piccolo, ha fatto la storia di bey.
Ed in questo contesto diventa estremamente importante…
Poi vediamo… passiamo alle curiosità ^^

Curiosità
In seguito agli sviluppi della storia, ho deciso di porre, come definitivo epilogo, un chiarimento di ogni parte confusa. Insomma, nei capitoli inserirò tante piccolezze che con il tempo si dimenticano… Io le ricorderò e darò loro significato.
La stanza di Armand l’ho presa da un’immagine che si è radicata nella mia mente: penso fosse l’immagine di un gioco su internet, comunque mi aveva affascinata.
Il modo di curare che utilizzano i vampiri non è una mia invenzione, bensì è una creazione di Anne Rice.
Il tempo nella storia non è ben definito per scelta: essendo tutto visto dalla mente di Sarah (piuttosto confusa, converrete), anche il tempo è deformato.
La canzone (Ironic di Alanis Morissette) è stata una scelta casuale, dovuta ad un testo che ho sempre amato.

Purtroppo non ho modo di rispondere alle vostre bellissime recensioni, per le quali vi ringrazio con tutto il cuore e tutta l’anima.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^

Traduzione Ironic:
Un vecchio compì 98 anni
Vinse alla lotterie e morì il giorno dopo
È una mosca nera nel tuo Chardonnay
È un assoluzione della pena di morte due minuti troppo tardi
È ironico,non credi
È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio
È un giro gratis quando hai già pagato
È il buon consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe pensato,funziona
Mr Gioco Sicuro aveva paura di volare
Fece la valigia diede il bacio d’addio ai suoi figli
Aspettò tutta la vita per prendere quel volo
E mentre l’aereo si stava per schiantare lui pensò
"bene non è perfetto"
ed è ironico,non credi?
È come la pioggia il giorno del tuo compleanno
È un giro gratis quando hai già pagato
È il buon consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe pensato,funziona
La vita ha un bel modo di infierire su di te
Quando pensi che tutti è okay è tutto sta andando bene
E la vita ha un bel modo di aiutarti
Credi che tutto sia andato male e tutti ti scoppi sulla faccia
Un ingorgo quando sei già in ritardo
Un cartello “no smoking”durante la tua pausa sigaretta
È come diecimila cucchiai quanco tutto ciò di cui hai bisogno è un coltello
È conoscere l’uomo dei miei sogni
E dopo incontrare la sua bellissima moglie
Ed è ironico,non credi?
Un pò troppo ironico,lo credo davvero
È come la pioggia il giorno del tuo compleanno
È un giro gratis quando hai già pagato
È il buon consiglio che non hai seguito
E chi ci avrebbe pensato,funziona
La vita ha un bel modo di infierire su di te
E la vita ha un bel modo di aiutarti.

 

   
 
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