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Autore: Ariadne Oliver    24/01/2010    0 recensioni
Un adolescente può essere silenzioso come la luna, se confinato nello spazio ristretto di una gabbia di artigli. Può essere ghermito da un Diavolo tentatore, se il futuro che gli si prospetta è stato deciso senza il suo consenso. Oppure può tracciarsi la sua strada da solo, ampia come un viale della Parigi notturna. Un racconto in sei parti sul divenire adulti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ormai sei certo che al solo sguardo non sia possibile darle un’età, il tipo di lineamenti e la pelle levigata non permettono un azzardo.
Proprio come il modo di scrivere e vestire, infatti, An Sun è una donna senza tempo.
Passa attraverso le cose non con la violenza di un coltello, ma con la discrezione di un’infiltrazione d’acqua.
Tutto in lei la ricorda, perfino il colore degli abiti e il riflesso degli occhi.
Ti aspettavi quella visita, la conversazione sarà lunga e niente affatto piacevole.

-Desideri qualcosa da bere? Un tè o un caffè, magari?-
-La ringrazio, ma preferirei di no.-

Enack si ricordò di qualcosa a proposito di alcuni miti antichi in cui chi scende negli inferi si rifiuta di mangiare il cibo di quei luoghi maledetti.
“Signori della morte” non è, appunto, una delle tante definizioni con cui si etichettano i trafficanti d’armi?

-Se non ricordo male, ieri sera ci davamo del tu.-
-Ieri indica, appunto, il passato. Il presente viaggia su un piano diverso, e a falsarlo non sono di certo stata io, Sig. Viljani.-
An Sun intrecciò le dita sottili, raddrizzando la schiena, e non per nervosismo.
Sembrava uno spadaccino pronto a trafiggere il petto dell’altro.
Lo sguardo non accennava ad abbassarsi al livello del tavolo, puntava dritto al viso del suo interlocutore.

-Ho portato tuo figlio a bere qualcosa prima di accompagnarlo in albergo, non credo ci sia nulla di male in questo.-
-No, infatti. Non c’è nulla di male in questo.-
-Ho sbagliato a non chiederti il permesso, di questo ti chiedo scusa. Spero solo che tu non abbia intenzione di punire quel povero ragazzo, mi sentirei in colpa.-

Enack, che si trovava in piedi vicino la finestra, provò ad accennare un inchino.
Detestava scusarsi, ma questa volta era inevitabile: era stato sincero nel dire che si sarebbe dispiaciuto se fosse stato Wang a pagare.
Come a ribadire il suo essere una persona poco raccomandabile, si riempì il bicchiere di un liquore color oro, bevendone un lungo sorso.

-Mi fa piacere che almeno ti preoccupi per lui, Enack, ma non c’è bisogno di portare avanti questa sceneggiata: a Wang non ho detto o fatto nulla, perché non è con lui che ho necessità di chiarirmi. Non adesso, almeno.-

Sentendosi dare nuovamente del tu, anche se in maniera fredda, Enack provò ad accennare un sorriso.

-Accetta almeno un caffè, te ne prego. Sono appena le nove di mattina, e a quest’ora l’unica cosa per cui si è sufficientemente lucidi è confondersi.-
-Io non sono confusa, Enack: sono spaventata. Ho paura per mio figlio, una paura che faccio fatica a dominare.-

Enack era sorpreso: fino a pochi attimi prima era convinto di trovarsi di fronte ad una donna arrabbiata, ed invece ora veniva a sapere che quella stessa donna era profondamente spaventata.
Da cosa, non riusciva a capirlo.
Il liquore a stomaco vuoto era stato una pessima idea, si avviò verso il carrello della colazione versando il caffè caldo in due tazze.
Nel sedersi di fronte ad An Sun, cercò di studiarne l’espressione del viso: sembrava una bambina imbronciata, forse stizzita perché incapace di dominare razionalmente un sentimento che nasceva dal suo lato più istintivo e passionale.

È una donna che non è riuscita a prendere completamente coscienza del suo istinto materno.

Si disse questo, mentre il caffè gli scottava la lingua.

-An, perché dovresti avere paura per tuo figlio? Mi sembra un ragazzo assennato e perfettamente in grado di badare a se stesso. O c’è qualcosa che dovrei sapere?-

An Sun non amava il caffè, ma ne cercò il calore.
Bevve tenendo gli occhi chiusi, cercando di organizzare i pensieri in maniera precisa.
Odiava non riuscire ad esporre con chiarezza quello che doveva dire, e si stizziva se le capitava di incespicare in qualche parola.

-Intanto cominciamo con quello che io so sul tuo conto. Poi, forse, potremmo discutere di quello che non sai tu.-
-E sia. Vedrò di completare il quadro delle chiacchiere, se dovesse servire.-

Di tutti i lussi di cui ha goduto fin dall’infanzia, l’unico di cui Enack si è privato a cuor leggero è stata la menzogna.
Soprattutto quando una persona meritava rispetto, come in questo caso.
Fu lieto di constatare che anche An approvò il suo atteggiamento con un cenno del capo.

-So che ti occupi di affari poco puliti, e so che lo fai per conto di una persona raccapricciante.-

Fece una pausa, concedendosi un pesante sospiro.

- Potrà sembrarti strano, ma non è questo che mi turba: un giudizio del genere si può dare riguardo a molte persone: perfino mio marito, infatti, che pure è una persona onesta e di buon cuore, lavora per un governo che definire ipocrita e meschino è dire poco. E favorirne gli scambi commerciali con un paese straniero, accrescendone il potere economico, non mi pare un affare particolarmente lecito. Tu vendi armi, lui vende la libertà di espressione degli abitanti del mio paese. Per cui, tornando al nostro discorso: non è in ciò che fai il punto.-

Tra loro calò un silenzio denso di interrogativi.

-Esiste davvero, un punto, An? La tua paura è reale? Cosa temi, esattamente?-

Le parole di Enack erano un campo minato: aveva seppellito nel terreno della conversazione esplosivi, e ciò che sarebbe saltato in aria lo avrebbe aiutato a capire meglio la strada per giungere alla conclusione di quel ragionamento. Odiava tergiversare, il tempo non andava perso, al massimo lasciato scivolare con dolcezza tra piaceri di varia natura.

-I punti sono diversi, Enack, e diversa è la loro importanza. Circoscrivono un perimetro netto, e in questo perimetro sono racchiuse molta paura e molto dolore.-

Ora toccò ad Enack concedersi un lungo sospiro di esasperazione.

-La tigre e la sua gabbia, An. Non sono i punti che vuoi chiarire a circoscrivere il perimetro, ma è la tua stessa, immotivata paura a tramutarsi in sbarre. E permettimi di farti notare che questa situazione era già piuttosto visibile ieri sera, prima che decidessi di concedere ad un adolescente un po’ di sano svago.-
-Tu sai cosa ha rappresentato per il mio paese la Rivoluzione Culturale?-

La domanda destabilizzò non poco Enack.

-Sì, lo so.-

Si limitò a rispondere cauto.

-Vorrei sapere, però, cosa c’entra col nostro discorso.-
-Ho sentito diverse voci sul conto dei tuoi gusti sessuali, Enack. Ingannare la gente non è affatto semplice, soprattutto se la gente in questione è annoiata e a caccia di argomenti di conversazione.-

L’andamento di quella discussione ora cominciava ad apparire decisamente più chiaro.

-Se lo scopo di questa visita era sapere se mi sono portato a letto tuo figlio potevi andare subito al sodo, senza fare tutti questi giri di parole.-

Enack evitò malignamente di rispondere, divertito dall’idea di tenere An Sun sulle spine.
Doveva cominciare ad abituarsi all’idea che Wang, nonostante l’aspetto delicato e la fine educazione, era pur sempre un essere fatto di carne dotato di pulsioni sessuali, e se davvero era il bene di quel ragazzo che perseguiva, doveva permettergli di dar sfogo a quelle pulsioni nella maniera più serena possibile.

-Lo hai fatto?-

Le labbra di An tremavano.

-Hai sedotto mio figlio come un qualsiasi amante occasionale?-
-Ho sedotto tuo figlio come farei con qualsiasi creatura degna delle mie attenzioni, An. Il che non significa che l’abbia plagiato.-
-Ah, no?-

Il viso si era trasformato in una maschera di cera dai lineamenti rigidi.

-Fare quello che hai fatto ad un minorenne è un reato! Tu meriteresti di finire in galera!-
-Per aver offerto da bere alcolici ad un minorenne? Possibile, sì, ma sappi che tuo figlio li ha appena assaggiati. Non diventerà un alcolista, e questa è una cosa di cui dovresti andare piuttosto fiera.-

In maniera del tutto inaspettata, esattamente come un felino rabbioso, An Sun prese il coperchio della zuccheriera di porcellana e lo scagliò contro Enack, mancandolo.

-Non offendere la mia intelligenza! Non osare! Sei un essere rivoltante, non riesco a starti accanto!-

La rabbia repressa esplose in una crisi di pianto, come una scarica elettrica che avesse dato vita ad un temporale interiore.
Enack, furente, cercò di mantenersi il più possibile lucido.
Si avvicinò ad An, afferrandola saldamente per le spalle, costringendola ad alzarsi.

-Visto che non desideri veder offesa la tua intelligenza, vedrò di accontentarti dicendoti la verità.-

Disse con tono di sfida, mentre le bucava la fronte con un sguardo carico di rabbia.

-È vero, tuo figlio mi ha attratto fin dal primo momento in cui l’ho visto, ma non per il motivo che immagini. Se dicessi solo per la sua bellezza gli farei un torto, credimi. Wang è una creatura fuori dall’ordinario, un adolescente che nulla ha in comune con l’età che lo caratterizza. Soprattutto, Wang ha una personalità ben delineata, e saresti tu a fargli un torto, se pensassi che si sia lasciato plagiare da un estraneo.-

Passarono lunghi istanti prima che An Sun riuscisse a trovare le parole adatte per replicare a quelle parole.

-Gli hai fatto male?-

Provò a chiedere timidamente.

-Non abbiamo fatto quello che pensi, An. Avrei dato qualunque cosa affinché accadesse, ma non è successo. Ha bisogno di tempo, e tu hai bisogno di imparare ad accettare tutto questo.-

An Sun distolse lo sguardo da quello di Enack, facendolo vagare a caso sul pavimento.

-Stanotte non ha dormito, stamattina si è rifiutato di toccare cibo. Non mi parla, sta chiuso nei suoi pensieri e fa come se non esistessi… sei sicuro di non avergli fatto nulla di male? Non ti perdonerei mai se...-
-An, in questo momento tuo figlio è come una larva chiusa dentro il suo bozzolo. Lascialo nel suo mondo, lascia che si chiarisca. Non intrometterti e non disturbarlo, sta prendendo confidenza con una parte di lui che non ha mai conosciuto.-

La donna si liberò dalla stretta attorno alle spalle.
Cercava aria.
Si diresse lentamente verso la grande finestra di legno bianco, fissando con aria assente il panorama. Suo figlio Wang non era l’unico che doveva fare i conti con una parte di sé sconosciuta.

-Mia madre aveva un fratello.-

Parole che non c’entravano nulla col discorso che si era appena chiuso.
Enack attese pazientemente, in silenzio, che quel sottile filo rosso si dipanasse, giungendo alla sua meta.

-Un fratello più grande di lei, che amava molto. Si chiamava Liu. Liu era l’orgoglio della famiglia. Era un poeta, amava tradurre dall’inglese e dal francese. Molti, a Shangai, sostenevano che sarebbe andato lontano. Doveva soltanto mettersi dalla parte giusta, ovvero quella del Partito. La Rivoluzione Culturale stava incombendo su Shangai, e mio padre decise che era meglio per tutti lasciare il paese in fretta. Così fu. Liu decise di restare, invece. Rinnegò la famiglia che lo aveva generato e divenne un quadro emergente del Partito Comunista. Una volta giunti a Parigi non riuscimmo a sapere più nulla di lui. Eravamo preoccupati, temevamo gli fosse accaduto qualcosa di brutto, che fosse stato deportato in qualche campo di rieducazione a causa dei suoi trascorsi di borghese benestante. Per molto tempo mia madre pianse in silenzio, cercando di tenerci nascosto il suo dolore. Non riuscivo a capire perché fosse tanto sicura che allo zio fosse successo qualcosa di brutto, finché un giorno non arrivò una lettera. Era da parte di Quin, un caro amico di Liu, che ci comunicava che lo zio era morto di malattia. La cosa ci parve molto strana, perché era giovane e aveva sempre goduto di ottima salute. Riuscimmo a scoprire la verità solo molti anni dopo.-

Calde lacrime rigarono le sue guance tinte da un trucco leggero.

-Era stato giustiziato?-

Enack si fece nuovamente alle sue spalle, protettivo.

-Non esattamente. Quin e Liu si conoscevano da molti anni. Quin nutriva per mio zio una sorta di venerazione. Erano inseparabili, tanto che non credo di avere un suo ricordo in cui non compaia anche l’altro. Mio zio era un uomo ricco di fascino, colto, dotato di grande intelligenza. Quin lo invidiava. Fu lui a dirmi che erano amanti. All’inizio avevano pensato che rifugiarsi nella politica li avrebbe messi al riparo dalle accuse, ma ben presto si lasciarono convincere dalle teorie assurde di Mao. Rinnegarono le loro famiglie, disprezzandole, conquistandosi la stima di molti e aumentando la loro velocità di carriera. Nessuno avrebbe potuto sospettare di loro. Ma Quin era invidioso. Temeva che, così come aveva rinnegato i suoi cari, Liu avrebbe potuto liberarsi nello stesso modo anche di lui, per salvarsi la vita. Non capiva che, a differenza di lui, lo zio aveva agito così soltanto per metterci al riparo dai pericoli, almeno fino alla nostra fuga in Francia. Ma Quin aveva troppa paura per riflettere lucidamente. Denunciò Liu alle autorità. A quel tempo, in Cina, l’omosessualità era considerata una malattia. Lo internarono, sottoponendolo a pratiche brutali. Non sopravvisse a lungo, una volta uscito di lì. Quin non si perdonò mai per ciò che aveva fatto, portando con sé questo peso per anni, finché, schiacciato dai sensi di colpa non decise di confessare tutto a mia madre anni dopo che era riuscita con fatica a cicatrizzare quella dolorosa ferita. Per il dolore, morirono entrambi pochi mesi dopo.-

Enack restò a lungo in silenzio prima di parlare.

-Wang non vive in Cina, An. E per quanto il tuo paese sia repressivo, ad ogni modo la Rivoluzione Culturale è finita da tempo. Nessuno può fargli ciò che hanno fatto a tuo zio.-

An Sun annuì in maniera distratta, lo sguardo assorto sulla via animata su cui si apriva la finestra a cui era affacciata.

-Ma se decidesse di fare il diplomatico … -
-Non spetterebbe a te risolvere il problema. Te l’ho già detto, An: devi lasciare Wang libero di vivere la sua vita. Non lasciarti vincere dalla paura, lui non ne ha.-

Enack tornò a stringerla per le spalle, massaggiandole con premura.
La donna rabbrividì, chiudendo gli occhi.

-Wang è una luna silenziosa che splende illuminata dalla vita. Vorrei avere la certezza che quella luce lo aiuterà a non essere inghiottito dal buio.-
-Non hai bisogno di questa certezza, An. Credimi, ho avuto modo di rendermene conto ieri sera.-

An Sun sospirò pesantemente.
Era stanca, e cominciava a provare imbarazzo per quell’incontro.
Non aveva mai perso il controllo di sé, e questo la spaventava.
Prese da un attaccapanni il lungo soprabito bianco e fece per andarsene.

-Ho deciso di darti fiducia, Enack, anche se non la meriti. Sappi che ti odierò a lungo per ciò che hai fatto a mio figlio. Tuttavia, è a lui che devo pensare, prima che a te.-

Enack annuì in silenzio, accompagnandola alla porta.

-Lascia che capisca da solo chi vuole diventare, e lascialo andare quando sarà il momento.-

A quelle ultime parole, An Sun rispose sgranando gli occhi con aria terrorizzata.
Nel richiudere la porta, Enack si chiese come fosse possibile che tanto egoismo albergasse nella maternità.
   
 
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