L’ultimo giorno di gennaio
Quell’anno
l’inverno era davvero rigido. Fui costretta ad avvolgermi più
volte la sciarpa intorno al collo, mentre camminavo da sola tra le lapidi,
cercando di riparare come potevo dalla neve il mazzo di fiori che avevo tra le
braccia. Narcisi. I preferiti di Light.
«Lo sai,
fratellone? Si dice che il narciso simboleggi autostima, vanità e
incapacità d’amare…»
«Si dicono
tante cose stupide, Sayu.»
«Hai ragione.
Tu non sei così, fratellone. Tu sei il migliore!»
Erano passati tre giorni dalla sua morte, e finalmente
pensavo di aver speso abbastanza lacrime da riuscire a rimettere piede in quel
cimitero.
La morte di papà era stata diversa. Avevamo sempre
saputo che il suo lavoro lo avrebbe messo in pericolo, un giorno, e ce l’avrebbe
strappato. Questo non rendeva meno dolorosa la sua scomparsa, certo; ma avevamo
creduto – avevo sperato –
di poterlo accettare.
Light però non era un poliziotto. Era solo un
ragazzo. Un ragazzo che aveva amato troppo la vita. Un ragazzo che aveva voluto
lottare con quanto c’era di più sbagliato. E per questo motivo,
mai, mai sarei riuscita ad accettare.
La vista di quella tomba era la cosa più straziante
che avessi mai provato.
C’erano stati molti dolori nella nostra famiglia.
Avevo conosciuto il terrore di un rapimento e la paura stessa di morire. Quando
papà era rimasto ucciso, la mamma si era lasciata andare per molto tempo
ad uno stato di apatia totale. E adesso, se n’era andato anche Light.
Tutto questo non
sarebbe accaduto, se Kira non fosse mai esistito.
«Tu ci credi a
questa storia, fratellone? È vero che nel mondo c’è
qualcuno che giustizia i malvagi?»
«Se
c’è, sta sbagliando su tutto, Sayu. E la giustizia lo
prenderà. Vedrai, è solo questione di tempo.»
L’aveva detto, a tutti noi, che si sarebbe battuto
per fermarlo. Ma ci sono cose – ci sono mostri – che non si possono
fermare in alcun modo.
Se soltanto avessimo immaginato.
Light
Yagami
28.02.1989
– 28.01.2013
La neve imbiancava il marmo. Mi inginocchiai accanto alla
lapide e mi asciugai il viso con una mano; forse non erano soltanto fiocchi
sciolti, forse in fondo avevo ancora qualche lacrima inutile da versare per
lui. Guardai la fotografia. Era bello, il mio fratellone. Era sempre stato il
mio sole, la mia luna, il mio mondo. Quasi mi vergognavo nel piangere davanti a
quella foto, al suo sguardo sempre così sicuro.
«Mi dispiace. Pensavo di essere più forte.»
Sorrisi amaramente, e cominciai a sostituire i narcisi ad
altri fiori già appassiti. Ad ognuno, un ricordo.
«Mamma, perché
piangi?»
«Sayu…
Tuo fratello è…»
…
«No, non
è vero! Non può essere! Non può essere!»
«Sayu,
tesoro… Calmati.»
«Lui non
è morto! Non è vero, non è vero, non è vero!»
«Sayu!»
…
«Dove sei
stata?»
«Volevo stare
da sola.»
«Sayu…»
«Non ho voglia
di parlare, mamma.»
Fu il rumore più normale di questo mondo a
scuotermi. Un suono di passi lievi, quasi esitanti, alle mie spalle. E poi una
voce sconosciuta.
«Chiedo scusa. Tu sei Sayu Yagami?»
Mi voltai, schermandomi gli occhi dalla neve che ora
scendeva più fitta.
Un ragazzo pallido e minuto, interamente vestito di
bianco. Al massimo un paio di anni meno di me. Aveva capelli chiarissimi, di un
biondo platino quasi candido, e un portamento strano, quasi come non fosse
abituato a stare in piedi. L’unica nota di colore nella sua figura erano
gli occhi, due pozzi scuri e lontanissimi.
Annuii lentamente, cercando di ricordare dove mai potessi
averlo incontrato. Ero sicura di non conoscerlo.
«Come sai il mio nome?»
Lui non rispose. Si avvicinò alla tomba, dalla parte
opposta, e accosciandosi di fronte a me fissò intensamente la lapide.
Era tanto vicino che, se avessi sollevato un braccio,
avrei potuto toccare la sua pelle chiarissima. Nel suo biancore, creava un
contrasto assoluto con i miei capelli e i miei vestiti scuri.
Lo osservai a lungo. C’era qualcosa di strano in
lui. Forse il suo modo di stare rannicchiato, chiuso in se stesso; o forse
soltanto il modo in cui guardava la foto di Light e si riempiva gli occhi di
lucidi sottintesi, senza alcuna traccia di emozione.
Capii che aveva volontariamente evitato di rispondere
alla mia domanda.
«Sei un amico di Light?»
Le parole mi uscirono dalle labbra a bruciapelo, si
condensarono in nuvolette di vapore e si persero nell’aria fredda.
Mi guardò per un solo istante, prima di
concentrare di nuovo l’attenzione sulla lapide, portandosi una mano ai
capelli e torcendosi nervosamente una ciocca – nonostante i suoi
lineamenti rimanessero imperturbabili.
«Un conoscente.»
Sentivo che mi nascondeva qualcosa. Ma in quel momento,
qualunque cosa fosse, non me ne importava.
Rimasi in silenzio. In qualche modo sentivo che non
c’era bisogno di parlare. Ancora oggi non capisco cosa accadde quel
giorno; ricordo però chiaramente che davanti a lui, in sua compagnia, le
parole sembravano superflue.
Ci limitammo entrambi a guardare quelle scritte nere
sulla tomba bianca, mentre la neve si mescolava alle ultime tracce delle mie
lacrime e dei miei ricordi.
«Light,
è pericoloso! Non andare!»
«Non posso
permettere che papà lotti da solo, Sayu. Voglio aiutarlo. Voglio
aiutarlo a combattere Kira!»
«Ma io… Ho
paura…»
«Lo so. Ho
paura anch’io.»
«È stato ucciso da lui, vero?»
Sussultai. Lo sconosciuto mi guardò, distaccato,
tremendamente obiettivo. Mi fece rabbrividire.
Nessuno era a conoscenza delle circostanze in cui Light
era morto. Matsuda e gli altri agenti che un tempo erano stati alle direttive
di mio padre lo avevano trovato così, abbandonato alla morte – la
vendetta di Kira a chi per ultimo aveva cercato di contrastarlo. Soltanto mia
madre ed io sapevamo. Per tutti, persino per Misa, Light Yagami era rimasto
vittima di un tragico incidente.
Ma questo ragazzo doveva conoscere mio fratello molto
meglio di quanto non volesse dare a vedere.
Avrei potuto negare. O, più semplicemente, farmi
spiegare con esattezza chi fosse e cosa lo autorizzasse a formulare una tale
ipotesi. Invece non feci nulla di tutto ciò. Di nuovo, annuii
debolmente.
Lui chiuse per un attimo gli occhi, come in reazione ad
una conferma che aveva temuto. Tacque ancora. Aveva smesso di tormentarsi i
capelli.
Questa volta non resistetti. Avevo bisogno del suono di una
qualche parola, una qualsiasi, amica o nemica; un altro silenzio denso di
rimpianti mi avrebbe trascinata di nuovo nell’abisso.
«È tutta colpa mia.»
Aprì gli occhi e guardò dritto nei miei.
Con molta attenzione, si poteva trovare un barlume di sorpresa nelle sue iridi
quasi nere.
«Che cosa intendi dire con questo?»
Chinai il viso e sospirai. Una nuova nuvoletta perduta
tra i fiocchi di neve.
«Avrei potuto fermarlo. Avrei dovuto. Sapevamo entrambi – tutti – che sarebbe stato
pericoloso. Eppure l’ho lasciato andare. Non sono riuscita ad impedirgli
di andare a farsi uccidere da un folle.» Qualcosa di caldo mi percorse le
guance. Di nuovo, maledizione. «È tutta colpa mia» ripetei,
in un gemito.
Per alcuni lunghi secondi il silenzio fu assordante. Non
mi ero mai accorta di quanto potesse essere opprimente, quel senso ovattato che
la neve dà all’udito, smorzando totalmente la realtà
circostante e lasciandoti a tu per tu con ciò che hai dentro –
impedendoti di scappare nel fuori.
Poi, come un appiglio nel mare in burrasca, un tocco
gentile e leggerissimo raffreddò la mia guancia, là dove il
pianto aveva incendiato la pelle.
«Capisco cosa provi.»
Rimasi a capo chino, gli occhi e i pugni serrati. Non era
vero, non poteva capire.
«Kira ha tolto anche a me qualcuno che amavo e
ammiravo molto, qualcuno di cui avevo bisogno.»
Non c’era tristezza in quelle parole. Soltanto una
fredda razionalità, che mi fece pensare che la disperazione che vi
covava sotto andasse al di là di qualsiasi parola o lacrima.
Sollevai finalmente lo sguardo, e il ragazzo ritrasse la
mano dal mio viso. Ci fu un momento di strano imbarazzo. Non sembrava avere
dimestichezza con gesti come il toccare, consolare qualcuno, meno che mai
un’estranea appena incontrata.
«Il senso di colpa non porta a nulla» disse
infine, recuperando quello sguardo privo di sentimento. «Non
c’è mai modo di tornare indietro. Non si può fare altro che
ricostruire dalle macerie.»
Sorrisi, amara. «Se ne si ha la forza…»
«Sono certo che tu la troverai, Sayu-san.»
Ci guardammo ancora per un minuto, senza più
parlare. Il punto in cui mi aveva sfiorata non era né caldo né
gelido, ma di un piacevole tiepido.
Avrei voluto ringraziarlo, ma ancora una volta le parole
si scelsero da sole.
«Come ti chiami?»
Mi studiò come soppesando
l’eventualità di rispondere sinceramente o meno.
Chissà se scelse di dirmi la verità, alla
fine.
«Nate.»
Tesi la mano, fino al suo viso, come lui aveva fatto con
me. «Grazie, Nate.»
Lui esitò per un istante sotto il mio palmo.
Quindi si ritrasse lentamente e si alzò.
Cominciò ad allontanarsi in quel modo strano in
cui si era avvicinato, dandomi le spalle senza aggiungere parola. E di colpo mi
sentii di nuovo sola.
«Ti rivedrò?»
Si fermò, ma non si voltò a guardarmi.
«Temo di dover a breve lasciare il Giappone.»
Non dissi nulla. Non sapevo spiegare neppure a me stessa
la delusione che provavo. Probabilmente, l’essermi ritrovata nelle sue
parole e nella sua lieve carezza mi aveva illuso di aver mosso il primo passo
per trovare quella forza che mi era necessaria per ricostruire dalle macerie.
Lui rimase fermo al suo posto per un altro lungo secondo.
«Sayu-san, tuo fratello…»
Il cuore mi sobbalzò in gola. Tenni gli occhi
puntati sulla sua nuca, in attesa.
Nate voltò appena il capo, quel tanto da potermi
lanciare di nuovo il suo sguardo oscuro.
«Sono certo che ti volesse davvero bene.»
«Fratellone,
ma tu mi vuoi bene?»
«Ma certo che
ti voglio bene, Sayu.»
«Allora non mi
lascerai mai?»
«No, non ti
lascerò mai. Ora però vai a dormire.»
«Ma la mia
stanza è piena di mostri!»
«I mostri non
esistono, sorellina. E poi non hai nulla da temere. Ci sono sempre io insieme a
te.»
«Me lo
prometti?»
«Te lo
prometto.»
La sua figura scomparve nel turbinio dei fiocchi
trasportati dal vento. Il suono dei suoi passi sulla neve si spense in
lontananza.
Abbassai lo sguardo, e mi accorsi di avere ancora tra le
mani un narciso. Mi voltai verso la lapide e delicatamente lo posi al suo posto
con gli altri. Poi mi alzai.
Pregai brevemente, congedandomi da mio fratello. Mi
allontanai dalla tomba con un ricordo più dolce nel cuore.
Il mostro alla fine se l’era portato via davvero,
ma lui mi aveva fatto una promessa.
«Sempre
sempre?»
«Sempre
sempre.»
Ho avuto
una visione. Una visione Near x Sayu. Ditemi quello che volete, ma l’idea
mi ha fatta sciogliere. *////*
Per un
attimo ho pensato di scrivere una What if?
o qualcosa del genere, ma poi mi è venuto in mente che il finale
dell’anime non escludeva che i due potessero eventualmente incontrarsi
dopo la morte di Light. Meglio ancora, Near avrebbe potuto trovarsi sul punto
di dire a Sayu la verità su suo fratello, salvo poi trattenersi in tempo
per lasciarle almeno il conforto di un’ultima certezza. E in questo modo
avrei anche potuto concentrarmi su Sayu e sul suo rapporto con Light/Kira; temo
infatti che questo personaggio così positivo sia un po’
sottovalutato, e me ne dispiace.
Insomma,
non so se è venuta fuori una cosa IC, ma io la vedevo plausibile. ^^
Nota sui
narcisi: non ho idea di quali siano i fiori preferiti di Light, ma considerato
il significato dei suddetti, mi sembrava una buona associazione.
Critiche
ben accette, come sempre. Siate comunque comprensivi: questa shot è
stata scritta da una mente inferma alle due di notte. .__. xD
Grazie per
la lettura!