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Autore: SakiJune    08/02/2010    1 recensioni
Quando anche il più giovane - e il più amato - dei suoi fratelli parte per Camelot, la piccola Clarissant di Orkney rimane sola con la madre Morgause e la cugina Morvydd. Nemmeno la sua fervida fantasia di bimba può però immaginare quali compromessi, inganni e dolori dovrà affrontare... Quale ruolo avrà nella sua vita colui che chiama nemico, il malinconico Sir Bedivere? E da chi deve guardarsi in realtà?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bedivere, Gawain
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Itonje reloaded'
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Vorrei precisare una cosa. Da questo capitolo in poi il pairing nella storia comincia a delinearsi, e a qualcuno potrebbe dare fastidio la notevole differenza d'età tra i due personaggi. Se è così, siete liberi di non leggere, ma stiamo parlando di un'epoca in cui tale divario non suscitava nessuno scandalo.
Ciò detto, buona lettura.








CAPITOLO QUATTRO.

Dove si piangono i morti e il loro onore perduto, e la piccola Branwen si innamora.





Sir Bedivere cavalcava davanti a loro, in silenzio.
La strada verso Carlisle, luogo un tempo festoso e ameno e ora teatro di morte, sembrò fin troppo breve a chi non aveva fretta di scendere a patti con la realtà.
Clarissant teneva la testa china, pensando a come il marito fosse morto con disonore. Sir Lancelot era disarmato davanti ai suoi aggressori, ed era stata la spada di Sir Colgrevance che aveva usato per sterminarli, dopo averlo ucciso.

"... e non avrebbe potuto far altro che vincere il duello, in quanto io stessa resi la sua spada invincibile..."

Per quanto gli anni del suo matrimonio fossero stati sereni e piacevoli, non riusciva a versare una sola lacrima per il marito. La morte dei suoi nipoti era tutt'altra cosa, però. Sapeva di aver fatto tutto il possibile per dissuadere Lovell, e se né le sue parole dure né quelle accese di Branwen avevano sortito effetto, ecco... non poteva darsi alcuna colpa. Ciò non diminuiva il suo dolore di un briciolo, naturalmente.

Branwen invece guardava davanti a sé, i grandi occhi scuri spalancati e fissi sulle spalle dell'uomo che aveva portato loro una notizia tanto orribile, quanto preannunciata dagli incubi della notte precedente. Erano un poco curve, ma robuste; c'era nobiltà nella sua figura e forza nella mano che reggeva le redini.
Quando Sir Bedivere si voltò a chiedere alle due donne se necessitassero di bere o mangiare o fermarsi un poco, la ragazza sentì una nota di limpida amicizia vibrare in quella voce, diversa da tutte le altre che aveva udito fino a quel giorno.
- Affrettiamoci, invece - rispose, mentre si asciugava le lacrime raffreddatesi sulle guance. - Desidero essere accanto a mio padre, adesso più che mai.

Inchini accompagnarono il loro ingresso al castello, ma nessun sorriso. Branwen, scesa da cavallo, si sentì di colpo spossata dal viaggio e dall’emozione, e Sir Bedivere le porse il braccio per impedirle di cadere: aggrappandosi a lui, nel torpore che minacciava di farla scivolare nell’incoscienza, incontrò il suo sguardo chiaro e sincero e sentì un inspiegabile calore che la rianimò.
- Lasciatela! Avete fatto abbastanza, duca – Sir Bedivere si voltò e lesse tutto il disprezzo negli occhi della principessa di Orkney, ora vedova e dama altera e irraggiungibile. Si era già chiesto in precedenza cosa poteva aver compiuto di tanto ignobile da meritare quell’odio profondo e imbarazzante, e si era ripromesso di chiedere consulto a Lucan – che di donne se ne intendeva un poco di più.
Ma c'era qualcos'altro ora. Un'altra donna. Quasi una bambina, su cui non aveva il diritto di posare gli occhi...


Le due donne furono rifocillate e fu preparata loro una camera per riposare. Clarissant si domandava, nel dormiveglia, quanto fossero vicine al luogo del massacro,

(quale corridoio, quale porta schizzata di sangue, il loro stesso sangue?)

e finalmente ripensò all'uomo che aveva amato, senza più rimurginare sulle sue colpe, e lo rimpianse sinceramente.


L'indomani tutti sarebbero partiti per Camelot. Il Consiglio si sarebbe riunito per decidere il da farsi, a porte sigillate, occupando ormai solo metà della Tavola Rotonda.
Sir Lancelot aveva già dalla sua parte un gran numero di cavalieri: i figli superstiti di re Pellinore, in primo luogo, avevano sentito risvegliarsi in loro l'antico rancore contro il clan di Orkney e lo consideravano un motivo più che sufficiente. Altri, comunque, avevano compiuto tale scelta perché affezionati a Lancelot e davvero preoccupati per la sorte della regina Ginevra, in quanto Arthur Pendragon si era dimostrato fino ad allora un sovrano tanto saggio quanto inflessibile con i traditori. Sir Lionel era tra questi, e con un brivido Clarissant pensò che Cynon, in quanto suo scudiero, era senza dubbio con loro.
Intuendo che sarebbe stato difficile avere un colloquio con Gawain il giorno successivo, si chiese se l'avrebbe fatto adirare presentandosi a lui durante la notte, unendosi alla veglia per i cavalieri caduti nel loro stesso agguato.
Si alzò, si rivestì e mentre chiudeva la porta si trovò davanti Branwen, svegliata dai suoi pur lievi passi e decisa ad accompagnarla.
L'alba non era ancora spuntata quando, alzando gli occhi asciutti, Sir Gawain vide la sorella e la figlia entrare in quella camera di morte e avvicinarsi a lui.

- Una parola, fratello, se voi e Iddio me la concederete - sussurrò Clarissant.
- Non qui - rispose Gawain con voce roca. - Seguitemi.
Dall'ombra, un'altra figura si alzò e uscì con loro alla fioca luce delle torce nel corridoio. A differenza del fratello maggiore, Gareth aveva pianto. Combattuto tra la lealtà al suo re e al profondo affetto che lo legava a Sir Lancelot, l'uomo che gli aveva insegnato a combattere e che aveva creduto in lui sin dal suo arrivo a Camelot, sembrava prosciugato da ogni certezza.
Raggiunsero una sala, anch'essa debolmente rischiarata, e i tre adulti si sedettero; ma Branwen si inginocchiò ai piedi del padre e là rimase, mentre essi discutevano, attendendo invano una carezza.

- E dunque?

Non solo il Consiglio reale era diviso in modo irrimediabile, ma la loro stessa famiglia. In quella stanza semibuia erano in quattro, così diversi l'uno dall'altra eppure uniti nelle intenzioni: Gawain, Gareth, Clarissant e Branwen. Non venne Gaheris, a cui pure il re aveva perdonato il suo crimine e le sue menzogne, né Mordred, che con le sue parole flautate e subdole aveva condotto al massacro quattro cavalieri del suo sangue.

- La spada che Sir Lancelot ha usato per compiere la strage...
- Sorella, non avete colpe per le azioni di vostro marito. - sbottò Gawain. Per lui era naturale e necessario interromperla, non solo perché era una donna; era abituato a sentirsi piagnucolare addosso e respingeva in anticipo questo genere di seccature. Ma siccome Clarissant aveva al contrario bisogno di chiarire fatti importanti, riprese il discorso senza badare alla sua freddezza:
- Fu nostra cugina Morvydd ad incantarla. Sir Lancelot non poteva saperlo, ma è dotata di vita propria... non meno di quella del re.

Gli occhi di Gareth si accesero ed esclamò con foga: - Vedete! Io lo sapevo, ve lo dissi! Non voleva far del male ad anima viva, lui è innocente!

- Non ho mai detto di desiderare vendetta contro Sir Lancelot, Gareth. - fu la risposta. - So cos'è l'onore, e ahimé, i miei figli non ne hanno dimostrato. Cosa si aspettavano? Cosa credevano di essere? A chi dovevano obbedienza, a me o a quello stolto, stolto... oh, basta! Che fate, voi?
Aveva abbassato gli occhi, svanita la foga, per decifrare il balbettio della figlia che si aggrappava alle sue vesti, bagnandole di lacrime.
- Ho ten-tato... di dis-suadere Lovell... se l'aves-si fermato, f-f...

- È la verità - confermò Clarissant. - Abbiamo fatto appello alla prudenza e al rispetto verso di voi, ma credo fossero tutti davvero convinti di agire per il meglio.

- Agire per il meglio! Rendendo tutti quanti infelici! - Gareth aveva pronunciato quella parola come se avesse avuto un cattivo sapore. - Avrei parlato io stesso a Sir Lancelot! Tutto questo si sarebbe evitato...

Caro, ingenuo Gareth. Era l'unico a non essere mai stato sfiorato da invidie, gelosie, macchinazioni, segreti. Per quanto ammirasse Gawain, la sua forza e il suo valore, nel cuore di Clarissant non c'era affetto più grande di quello che provava per lui.
- Se il mondo vi somigliasse... - mormorò la donna. Gareth le sorrise, commosso.

Gawain tentò di alzarsi, ma Branwen sembrava non avere intenzione di muoversi dalle sue ginocchia. - Serbate le smancerie per tempi meno cupi. Chiederò al re di mostrare clemenza verso Sir Lancelot, e lo farò in nome dei suoi meriti - che non mi sono sconosciuti né sono svaniti dalla mia memoria. E siano maledetti gli incantesimi di Morvydd e di sua madre!

"Ma poiché lo conosco, e l'ho amato, so che renderà felice voi"

No, nemmeno Morvydd aveva colpa per ciò che era accaduto. Erano tutti manovrati da qualcosa di più grande e terribile, a cui non potevano sottrarsi.
C'era una ragione per tutto, ma non serviva a nulla cercarla, poiché non apparteneva a questo mondo.
E tuttavia c'era.


Branwen fu accolta dall'accecante sfarzo di Camelot e a sua volta l'accolse con timida curiosità. Mai si era trovata davanti a tanti sconosciuti; cavalieri, paggi e servitori, voci gravi e preoccupate, sguardi truci, ma soprattutto nessuno che si occupasse di lei. Clarissant era intenta, con Lady Lyonors, a consolare Gareth: l'ordine di assistere all'esecuzione della regina era per lui una follia disumana, ma avrebbe obbedito. Gawain sì, che aveva potuto rifiutarsi, ma era una cosa ovvia: il re lo teneva in così gran conto da accordargli ogni privilegio, e ancor di più adesso che Sir Lancelot era caduto in disgrazia!
Passeggiava, dunque, con ancora sul cuore il peso della perdita dei fratelli, ed esplorava corridoi e giardini come in sogno.
Non aveva più incontrato Sir Bedivere da quando avevano lasciato Carlisle, ma in un'occasione aveva udito la sua voce provenire da una porta aperta. Non poté proprio trattenersi dall'ascoltare: sin dalla prima frase, si sentì chiamata in causa.

- Chi ha mai messo in dubbio le sue virtù? Ma quando afferma di non avere più figli, vorrei ricordargli che non è del tutto vero; sembra indifferente al futuro di quella fanciulla che pure ha generato!
- Dite che non ha anima? Sbagliate, lo conosco bene anch'io, se permettete. - L'altro uomo aveva una voce stentorea e, anche se non riusciva a vederlo, immaginò un fisico esuberante e un animo di fanciullo. Quando ebbe occasione di conoscerlo, prima della guerra, non ebbe bisogno di ricredersi sul suo conto. - Egli piange, ma solo quando non ha nessuno attorno; sa provare pietà e rabbia, tenerezza e rimpianto, ma l'orgoglio gli impedisce di dimostrarlo. Io lo stimo, e lo ammiro...
- Fraintendete, come sempre! Chi non lo stima? Chi può muovergli un'accusa? Ma se ha sentimenti, perché non li rivela all'unico bene che gli è rimasto?
- La desiderate, fratello, ammettetelo. - La risata amara che seguì quelle parole le diede un brivido di dispetto. - Perché non la chiedete in sposa? Se, come credete, Gawain non si interessa di lei, non esiterà a concedervela.
- Lucan, non cambierete mai, svergognato! Dovrei pensare a prender moglie, quando la nostra regina sarà messa a morte? Se qualcuno vi sentisse...

Era successo tutto in un istante: Sir Bedivere si era voltato, i loro occhi si erano incrociati e lei era fuggita, le guance che scottavano, il cuore che batteva forte, e qualcos'altro che non sapeva spiegare le si agitava dentro...
Parlavano di lei, di lei!
Non credeva di essere già in età da marito, non si era mai chiesta come gli uomini guardassero a lei. Sapeva che un giorno, confusamente lontano, sarebbe diventata moglie di qualcuno oppure monaca in un convento, se suo padre avesse stabilito così, e non considerava uno di questi due destini migliore dell'altro.
Ma adesso...
Ricordò le ultime parole che Lovell le aveva rivolto: "Dunque voi conoscete la passione?"
E con una lacrima diede l'addio alla sua infanzia.


Avrebbe avuto tempo di riflettere su questo ed altri misteri durante la guerra, nel freddo, vuoto maniero dei suoi antenati. Dove ogni mattina i richiami degli uccelli marini sarebbero giunti puntuali a destarla da un sonno che avrebbe voluto durasse per sempre.
Quando non ci sarebbe stato ormai più nulla da attendere o sperare.



   
 
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