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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    10/02/2010    9 recensioni
«Edward?», sussurra, tremando e stringendo le dita sulla stoffa della camicia.
«Hm?», rispondo semplicemente, senza staccare le labbra dai suoi capelli. Sotto il leggero odore d’alcol c’è il suo profumo di sempre, che solo una volta ho avuto l’occasione di aspirare come ora. È dolce, sa di fragola, di shampoo, di pulito. Sa di Bella.
Sento il suo corpo tremare per un istante. «Non mi lasciare sola».
Il suo è solo un sussurro spezzato, una preghiera detta a bassa voce, ma dentro di me risuona con la stessa potenza di un’eco incessante, e si incide a fuoco nella mia mente, nella mia memoria e nel mio cuore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun libro/film
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Don’t Leave Me Alone

 

Capitolo 1__Fuggire

Venerdì 25 Settembre

Bella - Io amo e vivo in silenzio, ma dietro ogni sorriso nascondo una lacrima di dolore. (Jim Morrison)

Il brusio generale mi infastidisce, ma al contempo mi riempie di sollievo: finalmente sono lontana dall’orribile luogo fatto di silenzio da cui provengo.

L’aeroporto di Jacksonville è molto più piccolo di quello di Seattle, ma perlomeno mi permette di non perdermi nella confusione generale. Non sono molto brava ad orientarmi, e ancora non so come farò in questa città.

Forks non vanta di certo un’area geografica così ampia, tanto meno così tanti abitanti!

Spingo il mio trolley in mezzo alla folla, issando per bene sulla spalla lo zaino che dovrebbe contenere il mio ‘gioiellino’.

Quando varco la porta dell’atrio degli arrivi rimango abbagliata dal sole autunnale. Mi porto una mano al viso, coprendo gli occhi.

Da quanto non vedo un raggio di sole simile? Da almeno un anno, questo è certo. L’ultima volta che sono venuta a trovare mia madre è stato due estati fa, se non sbaglio.

«Bella?» una voce cerca di sovrastare il brusio generale.

Abbasso il braccio, e socchiudo gli occhi, scrutando i visi delle persone che mi circondano.

«Bella!» mi volto giusto in tempo per scorgere una macchia castana, dopodiché affondo in essa. Due braccia sottili mi cingono le spalle, stringendomi a un corpo femminile.

«Mamma!» esclamo, imbarazzata e al contempo sorpresa. «Attenta!» rido, riferendomi allo zaino che per poco non mi scivola dalla spalla.

«Oh, tesoro, finalmente sei arrivata!» mi stritola fra le sue braccia, iniziando uno dei suoi lunghi sproloqui. «Sapevo che prima o poi ti saresti stancata di quella città! L’ho sempre detto che è troppo soffocante e depr-».

«Mamma?» la interrompo, prima che possa iniziare a parlarmi della sua vita prima e dopo la mia nascita. E poi non mi ha ancora lasciata andare! «Possiamo parlarne dopo?».

Mi divincolo dalla sua stretta, mentre lei annuisce entusiasta come sempre. Alla sue spalle noto Phil, suo marito, che una specie di ‘mentore’ per me. «Ciao Phil!» sorrido, contenta di rivederlo.

«Ehi Bella!» mi viene vicino, sorridente. Lancia uno sguardo allo zaino che porto in spalla, «Sempre insieme, vedo» ammicca.

Arrossisco, abbassando lo sguardo. «Certamente…» sussurro.

Accidenti. Avrei dovuto immaginare che Phil avrebbe accompagnato mamma a prendermi.

«Più tardi che ne dici di…» sgrano gli occhi, ma mia madre Renèe corre in mio aiuto.

«Phil, caro, credo che Bella sia stanca. Rimandiamo tutti i progetti a domani, va bene?» chiede melliflua, prendendo a braccetto il marito.

Chi li vedrebbe non direbbe assolutamente che si tratta di marito e moglie: mia madre, Renèe, ha 37 anni, e il suo viso mostra già i segni dell’età, mentre quello di Phil, che ha solo 29 anni, è simile a quello di un ventenne. Ancora mi chiedo come abbiano fatto a innamorarsi: ma si dice che l’amore non ha età. Però sono contenta per mia madre: finalmente sembra aver trovato qualcuno capace di starle accanto e di amarla.

«Certo, tesoro» acconsente Phil, perplesso. Tende la mano, e prende il manico del trolley. «Vuoi che ti porto lo zaino?» mi chiede, gentilmente.

«No!» esclamo, con troppa enfasi. Le sue sopracciglia scure si congiungono per un istante. «Cioè…» mi schiarisco la voce, a disagio, «Preferisco portarla io…».

Phil mi sorride, comprensivo. «Capisco».

Non appena si volta, facendoci strada verso l’uscita dall’aeroporto, mia madre si volta, rivolgendomi un’occhiata preoccupata. Rispondo con una semplice scrollata di spalle, e inizio a seguirli, diretta verso Jacksonville.

 

«Eccoci arrivati» sorride mia madre, aprendo la portiera e scendendo dall’auto. Io indugio ancora alcuni secondi sul cellulare spento, ripromettendomi che presto lo accenderò, e poi scendo dalla macchina, ritrovandomi in un piccolo cortile, dove l’aria soffia calda. Prima ancora di fermarmi ad osservare la casa mi assicuro che il mio zaino sia fra le mie mani.

Davanti a me si trova una piccola casetta, molto graziosa, a due piani. Un piccolo sentiero conduce ai pochi gradini che portano alla veranda, dove si trova la porta d’ingresso.

Phil estrae il mio trolley - molto leggero - dal baule, e lo adagia sul pavimento, mentre io e mamma rimaniamo ferme davanti la villetta.

«Ti piace?» mi chiede Renèe, sfiorandomi un braccio.

«Sì» rispondo, con un sorriso.

Mi aveva raccontato di essersi trasferita con Phil in una nuova casa, e devo ammettere che questa è decisamente migliore di quella che avevano in precedenza. Penso sia anche molto più vicina alla spiaggia.

In parte è costruita con mattoni, mentre il retro è in legno. Dietro c’è anche un garage per l’auto.

Carina.

Seguo mia madre e suo marito verso l’ingresso, e quando entro mi ritrovo in un ambiente confortevole, dove si respira un’atmosfera di pace e serenità.

Il soggiorno - che funge anche da ingresso - è molto soleggiato, grazie alle due grandi finestre, ed è molto semplice: un divano beige, un tavolino in legno e un televisore a cristalli liquidi.

Una scala bianca conduce al piano superiore, mentre una porta a destra dell’ingresso conduce alla cucina.

Come sistemazione è molto simile alla casa di Charlie, a Forks. Al pensiero ho uno strano senso di vertigini. Non ci devo pensare.

Phil appoggia le chiavi su un comodino vicino la porta, e si dirige con la mia valigia al piano superiore.

«Vieni, Bella!» mi incita, raggiungendo il pianerottolo.

Lo seguo subito, e mi ritrovo in un piccolo corridoio con quattro porte. Vedo Phil affacciarsi da quella subito a sinistra.

Lo raggiungo, ed entro in una piccola stanza con le pareti bianche e una finestra abbastanza ampia. Un piccolo letto si trova vicino ad essa, mentre a sinistra è posizionata una scrivania con alcune mensole completamente vuote.

«Puoi stare qui, per adesso» mormora Phil, dirigendosi verso la porta.

«Per adesso?» chiedo, confusa.

Non capisco. Non è questa la mia stanza?

Phil sorride, agitato. «Tranquilla, sta pensando a tutto tua madre» dice, e poi sparisce lungo il corridoio.

Certo che quell’uomo si comporta in maniera davvero strana a volte…

Mi siedo sul letto, sbadigliando.

Una piccola sveglia sulla scrivania segna quasi le sette di sera.

Tra qui e Forks ci sono tre ore di differenza, quindi là dovrebbero essere ancora le quattro del pomeriggio…

Forse… dovrei chiamare papà… dirgli che sono arrivata…

Scuoto il capo. No. Ho deciso: basta interferire nella vita di mio padre.

Se vorrà sarà lui a chiamarmi.

Sfilo il cellulare dalla tasca dei jeans e lo abbandono sulla scrivania, dopodiché mi inginocchio davanti alla valigia, aprendola.

Prendo degli abiti puliti che ho messo da parte - tutte le mie cose dovrebbero arrivare tra qualche giorno da Forks, compresi i miei vestiti - e inizio la ricerca del bagno lungo il corridoio, pronta ad una rilassante doccia.

 

«Bella?» sollevo lo sguardo dal piatto di lasagne preconfezionate, incuriosita dal tono grave che ha assunto improvvisamente la voce di Renèe.

«Ascolta, domani mattina ho un incontro con una mia amica, e vorrei che venissi con me.»

La osservo senza capire. «Perché?».

Mamma si scambia un’occhiata indecisa con Phil.

Suo marito si schiarisce la voce, prima di parlare: «Bella, te ne sei andata da Forks perché avevi bisogno di cambiare vita, giusto?».

Annuisco, perplessa.

«Ecco. Noi pensavamo che forse la cosa migliore per farlo è…».

«Ricominciare tutto da capo» conclude al suo posto mia madre, scrutandomi.

Rimango in silenzio alcuni secondi, prima di capire ciò che possono voler dire quelle parole.

«Quindi… non mi volete qui?» mormoro, sentendomi improvvisamente come un ospite sgradito. Abbasso lo sguardo, preoccupata.

«No! No, tesoro, non devi pensare a questo!» esclama mia madre, allungando le mani sul tavolo per prendere le mie. «Noi stiamo solo pensando al tuo futuro».

«È così, Bella» interviene Phil, alzandosi da tavola e venendomi vicino. «So che vuoi proseguire gli studi all’università di Belle Arti e cercare un posto nel mondo dello spettacolo. L’università di Jacksonville non offre un corso di questo genere, e di certo gli sbocchi nel mondo del lavoro non sono molti…».

Sollevo lo sguardo. «Quindi dove vorreste mandarmi?» chiedo, con una nota di risentimento nella voce.

Mia madre sorride, titubante. «Te lo dirò domani. Vorrei che prendessi davvero in considerazione la possibilità di studiare lontano dalla famiglia, soprattutto se ciò comportasse una maggiore possibilità di lavoro in futuro».

Annuisco debolmente, scossa.

«Vedrai che poi non sarà cos-».

«Scusate, sono molto stanca, vi dispiace se vado subito a letto?» interrompo Phil, che sta per iniziare uno dei suoi discorsi di incoraggiamento, e senza aspettare una risposta mi alzo, scostando la mano del mio patrigno. Sulle labbra un sorriso.

Lascio la cucina, che piomba nel silenzio.

 

Quando finalmente sono chiusa nella camera che mi ospita, il sorriso che fino a un attimo fa avevo dipinto sul viso scompare. Le labbra tremano, e i suoi angoli cedono, dipingendo una smorfia. Mi accascio a terra, lasciando scivolare la schiena contro il legno della porta. Stringo le gambe al petto.

Alcuni singhiozzi mi scuotono il petto, e affondo la testa fra le braccia.

Mi sento sola. Tremendamente sola.

Perché ovunque io vada nessuno mi vuole?

Perché nessuno vuole stare con me?

Cos’ho di sbagliato? Per quale motivo non riesco ad essere una buona compagnia? Una brava figlia? Una buona… amica?

Soffoco un singhiozzo più forte degli altri, e il respiro mi manca per alcuni secondi.

Sotto il letto scorgo il mio zaino, la mia custodia dei sogni. Dei miei sogni infranti.

Mi avvicino a carponi, estraendola da quel luogo buio.

L’unica luce nella stanza è data dall’abat-jour sul comodino, che avevo lasciato accesa fin da prima di andare a cena.

Tiro la lunga cerniera della custodia, seguendone il profilo bombato.

Prima di sollevare la stoffa nera prendo un profondo respiro, mentre le lacrime scorrono più veloci.

Sposto il tessuto, e rivelo il mio tesoro. O perlomeno quel che resta di lui.

Tendo le mani per prendere delicatamente il manico. La paletta ondeggia, tenuta collegata solo da due fili di metallo.

La mia chitarra.

Singhiozzo più forte quando tento inutilmente di avvicinare la paletta al manico, come per volerli riattaccare. Ma è tutto inutile.

Sono già due giorni che non suono. Di solito quando sono così triste suono sempre, per dimenticare almeno per un momento i miei problemi.

E adesso ne avrei davvero bisogno.

Scuoto il capo. Sono adulta, ho ventiquattro anni, devo essere forte, non posso piangere per ogni minima cosa. È stata Leah a distruggermela.

Leah. Al solo pensiero mi va il sangue al cervello.

Come ha osato?! Come?!

Per una cosa che non ho nemmeno commesso!

Al diavolo!

Ributto la chitarra distrutta dentro la custodia, senza nemmeno chiuderla, e la spingo con forza di nuovo sotto il letto.

Mi accoccolo contro il muro, in lacrime.

Perché la mia vita deve fare così schifo?!

Perché non sono ancora riuscita a trovare il mio posto nel mondo?!

Sento gli occhi chiudersi per la stanchezza, e dopo essermi cambiata mi ritiro sotto le coperte.

Ho sonno. Spero solo che almeno i miei sogni siano migliori della realtà che mi circonda.

 

«Per favore Bella, cerca di ascoltarla, va bene?».

Annuisco per l’ennesima volta.

Renèe apre finalmente la porta di una sala da tè, e l’aroma dolciastro delle tisane ci colpisce in pieno.

Mi guardo intorno, cercando di capire chi potrebbe essere la fatidica amica del college di mamma.

I miei occhi incontrano quelli verde chiaro di una donna dall’aspetto giovane e fine. Ci sta osservando sorridente.

Subito mia madre corre incontro alla donna che ho adocchiato, che nel frattempo si è alzata in piedi.

«Esme!» strilla Renèe, energica come suo solito. Si scambiano un abbraccio carico d’affetto, e la voce dolce dell’amica di mia madre mi colpisce subito.

«Renèe! Sono contenta di rivederti!».

Io mi avvicino lentamente, restando a pochi passi da loro, in silenzio.

Non appena si separano, mia madre si sposta, per permettere all’amica la mia visuale.

«Lei è Bella» sorride, fiera.

La donna mi sorride dolcemente, tendendomi la mano chiara. «Piacere Bella. Io sono Esme».

La stringo titubante, abbassando lo sguardo, in imbarazzo. «Piacere…».

Quando Esme ci invita ad accomodarci al tavolino, noto nel suo modo di fare una raffinatezza mai vista prima. Tutti i suoi gesti sembrano carichi di una grazia naturale, persino quando parla.

Passo la maggior parte del tempo ad ascoltare i loro discorsi, imperniati sugli anni dopo il college. Da quanto ho capito sono alcuni anni che non si vedono.

Al pensiero mi sento in imbarazzo. Mia madre ha forse ripreso i rapporti con questa donna solo per aiutarmi?

Scuoto il capo. No, si vede che c’è vero piacere dietro gli sguardi di mia madre.

«Allora Bella», Esme mi riporta alla realtà, sorridendomi gentile, «Renèe mi ha detto che sei scappata da Forks».

Non esibisce un sorriso tirato, o un ghigno, o una smorfia, come mi aspetto da chiunque venga a sapere che ho lasciato Forks e la mia famiglia. Il suo è un sorriso e uno sguardo gentile, comprensivo.

«Ehm… Sì…» borbotto, imbarazzata.

«Posso capirti. Non deve essere facile vivere in un posto simile. Mi ricordi troppo tua madre, sei uno spirito libero». Mia madre ridacchia, mentre io abbasso lo sguardo. Non mi piace essere vista come una copia di mia mamma. Le voglio bene, ma certi suoi comportamenti mi danno i nervi.

«Ti piacerebbe vivere a New York?».

Sollevo lo sguardo, colpita. «Cosa?!».

Esme mi sorride. «Ho saputo che frequenti l’università di Belle Arti, e che ti piacerebbe un lavoro nel mondo dello spettacolo». Apre la borsetta, estraendo un depliant, e lo osserva. «A New York c’è un’università che ti offre questa possibilità, ed io sarei felice di aiutarti».

Mi tende il foglietto, che riporta un nome: New York University.

Lo sfoglio, curiosa. Ci sono vari indirizzi, e uno di questi è proprio quello delle Belle Arti.

«Lei è molto gentile…» mi interrompe, chiedendomi di darle del tu, «Ma… in qualunque caso non saprei dove andare a vivere… la scuola si trova a Manhattan e gli appartamenti lì sono molto cari…».

«Non è un problema quello» mi sorride sempre, Esme.

Mia madre interviene, entusiasta. «Esme ti offre l’opportunità di vivere con sua figlia, che ha la tua età, ed abita in centro. Così non dovrai fare altro che prendere la metropolitana o il taxi per andare a scuola».

Rimango sconvolta da tutte queste informazioni.

«I-Io… non vorrei disturbare… Non vorrei essere di troppo per tua figlia…» mormoro, avvampando al pensiero di vivere in compagnia di qualcun altro che è per me uno sconosciuto.

«Oh, Alice sarebbe entusiasta! È una ragazza molto estroversa, e passa la maggior parte del suo tempo a lavoro». Beve una sorsata di tisana. «E poi, questa sarebbe solo una sistemazione temporanea. L’appartamento di fianco a quello di Alice è in restaurazione, e non appena sarà pronto potrai trasferirti lì. È della mia famiglia, quindi non dovrai pagare niente».

«Sei davvero gentile, ma… io non vorrei approfittare della tua gentilezza…».

«Bella» Esme appoggia la sua tazza di tè, e mi prende le mani. «Io e tua madre abbiamo affrontato una situazione simile alla tua. Credimi, non è stato facile arrivare dove siamo ora, e se posso risparmiare tutta questa fatica alla figlia della mia migliore amica allora sono ben disposta a farlo».

Sorrido, imbarazzata. «G-Grazie».

«Facciamo così: ti lascio il mio numero, e quando avrai preso una decisione chiamami. Sarei voluta restare per non farti fare il viaggio da sola, nel caso accettassi, ma domani dovrò tornare a casa». Esme tira fuori dal portafoglio un biglietto da visita, e una manciata di banconote.

«Vai già via, Esme?» chiede mia madre, triste.

«Purtroppo sì. Il mio cliente mi aspetta per concludere l’affare».

Ci alziamo tutte in piedi, mentre Esme placa l’insistenza di mia madre per offrire lei da bere.

«Allora, Bella, ci sentiamo presto» mi saluta, abbracciandomi teneramente.

«Va bene…».

Io e mia madre la seguiamo fino al parcheggio, dove sale a bordo di un’auto a noleggio.

Dopo gli ultimi saluti la osserviamo mentre si allontana. Cosa devo fare?

 

«Pronto?».

«Papà…».

«Bella! Sei tu? Come stai? Come è andato il viaggio? Tornerai presto? Io…».

«Papà, calmati. Sto bene… Io… ho bisogno di chiederti un parere…».

Charlie resta alcuni secondi in silenzio. È teso, lo sento.

«Sto pensando di trasferirmi a New York…» mormoro, osservando il depliant che mi ha dato questa mattina Esme. Sono già le nove di sera, e fino ad ora non avevo avuto il coraggio di accendere il cellulare. Fifona.

«A New York?». La voce mi appare spaventata.

«Sì… c’è un’ottima scuola di Belle Arti, e un’amica della mamma mi ha offerto di andare a vivere con sua figlia…».

«Bella, ma sei proprio sicura? Non vuoi più tornare qui a Forks? E la scuola di Seattle? Se ho fatto qualc-».

«Papà, tu non c’entri niente in questa mia decisione…» mormoro, nervosa. «Ho bisogno di cambiare vita. Non riesco più a restare sotto la pioggia… E poi ho scoperto che la ragazza con cui abiterò ama cantare, così non avrò più problemi». Accenno una risata. Così non darò più fastidio a Sue. «Davvero papà, credo che sia meglio… che io non torni a Forks… Almeno per il momento. L’importante è che tu sia felice… con Sue».

«Bella, se è per Sue che te ne sei andata…».

«No, no! Papà, non è così, davvero!». Bugiarda. «Ti prego, non pensare che sia per quello».

Charlie resta in silenzio per alcuni secondi. «Quindi andrai a New York?».

«Sì».

«Va bene…». Lo sento sospirare. «Devo… inviarti qualcosa? Non so… vestiti… oggetti?».

«Ehm… magari qualcosa… ti dirò poi più avanti, okay? Ho già avvisato la compagnia di spedizioni di annullare l’ordine per Jacksonville».

«Va bene….».

«Buona notte, papà».

«Buona notte, Bells. Fai attenzione…».

Chiudo la telefonata.

Prendo alcuni profondi respiri, prima di lanciare un’occhiata all’orologio.

Le nove e pochi minuti. Sarà ancora sveglia?

Compongo velocemente il numero, con il cuore che batte all’impazzata.

«Pronto?» chiede una voce, dall’altra parte della linea.

Coraggio, Bella.

«Esme… Sono Bella… Accetto».

 

Sabato 26 Settembre

Edward

«Signor Cullen…».

La voce del maggiordomo di villa Cullen mi ridesta dalla contemplazione dei tasti d’avorio. Alzo lo sguardo, incontrando il volto maturo di Aro.

«È arrivata una lettera dalla scuola…».

Aro mi tende una busta, dove è stampato lo stemma della scuola in cui sono stato circa un mese fa. La prendo con mani tremanti.

«Grazie, Aro».

Aspetto che esca dalla grande sala, dopodiché prendo un profondo respiro, prima di iniziare a scartare la lettera.

Do’ una breve lettura al contenuto, ma mi basta leggere le prime due righe.

Con forza straccio via il foglio, lanciandolo a terra.

Mi passo una mano fra i capelli ribelli, frustato.

Cosa faccio adesso?

Con irruenza mi alzo dallo sgabello, lasciando la casa.

‘Gentile Signor Cullen, siamo spiacenti di informarla che la sua domanda di iscrizione alla Juilliard School è stata rifiutata.’

 

 

___________________________

 

SET DI BELLA


QUESTO CAPITOLO SERVE PRINCIPALMENTE A INQUADRARE LA SITUAZIONE PRIMA DI ENTRARE NELLA STORIA :) GRAZIE INFINITE AI 6 ANGELI CHE HANNO COMMENTATO LA PREFAZIONE E A QUELLI CHE HANNO AGGIUNTO LA STORIA FRA LE PREFERITE E LE SEGUITE :D :D TRA UNO O DUE GIORNI POSTO IL SECONDO CAPITOLO SE VI PIACE :D BYE BYE ^^

   
 
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