E
finalmente mi decido a postare il secondo ed ultimo capitolo (
più epilogo ) di questa particolare FanFiction.
Ringrazio coloro che l'hanno letta, messa fra le preferite ( e seguite
) e commentata, ci tengo moltissimo a questa storia e mi fa piacere
sapere che l'avete apprezzata.
Attendo pareri su questa conclusione. ^_^
Capitolo II – Un occhio per una fragola
Deidara
aveva già imparato a
conoscere perfettamente il rumore che la grande porta faceva quando
si apriva. Anche se, in quel momento, avrebbe preferito non
ricordarlo.
“
E'
finita. Ti avevo avvertito ” disse atono l'artista dai
capelli
rossi, volgendogli uno sguardo che il biondo non comprese appieno.
Sembrava triste, ma al contempo vittorioso. Possibile che fosse
felice del fatto che di lì a poco lo avrebbero scoperto e
con tutta
probabilità fatto fuori? No, non poteva essere
così, si rifiutava
di accettarlo. Certo, si conoscevano – beh, non proprio,
visto che
non sapeva neppure il suo nome – da appena un giorno e mezzo
eppure, dentro di sé, sentiva che non poteva finire
così. Che non
sarebbe finita così, sebbene le facce scure dei due
personaggi che
gli si stavano avvicinando con fare minaccioso promettessero
tutt'altro.
Hidan e Kakuzu stavano camminando
verso di loro, disarmati sì, ma le loro espressioni truci
non
facevano sperare in nulla di buono.
“
Bene,
bene... pare che ci siano ospiti ” ghignò Hidan,
passandosi la
lingua sulle labbra, “ Vi stavate divertendo? Sei contento,
Dei-chan, d'aver rubato
la mia chiave? ”
L'Iwa odiava quando qualcuno lo
chiamava con quel vezzeggiativo. Tuttavia non riuscì a dire
nulla,
si limitò a ricambiare lo sguardo di sfida, senza
però sortire un
grande effetto.
“
Dimmi,
Akasuna ” disse poi Kakuzu, rivolgendosi all'altro giovane,
“ Vi
conoscete? ”
“
E'
capitato qui per caso ” rispose lui, “ Io non lo
conosco ”
L'altro lo guardò spaesato;
perché si stava comportando in quel modo? Allora di lui non
gliene
importava proprio nulla... non che pretendesse poi molto, certo, ma
almeno una minima considerazione...
“
E
tu cos'hai da dire, biondino? ” domandò il capo,
scambiandosi
un'occhiata complice con la ragazza che aveva a fianco.
“
Io...
uhn... davvero, ho trovato quella chiave ma pensavo di restituirla il
prima possibile... per curiosità l'ho provata sulla porta
del
terrazzo ed ha funzionato, ma non ho intenzioni strane. E' successo
tutto per puro caso, proprio come ha detto lui ” si difese,
domandandosi poi che cosa ci facessero quei quattro a scuola di
pomeriggio. Beh, probabilmente avevano intuito qualcosa e si erano
nascosti da qualche parte per sfuggire al custode, per poi andare a
controllare la situazione.
“
Sei
bravo a raccontare le bugie... ” commentò Hidan,
“ Dì un po',
come pensi di cavartela? Hai scoperto cose di cui chi non appartiene
all'organizzazione dovrebbe rimanere all'oscuro, ed ora tu sai...
”
“
Non
ho mentito! ” sbraitò il biondo, scagliandosi
contro l'albino in
uno scatto rabbioso; fu prontamente bloccato da Kakuzu, che lo
strattonò per la maglia per poi intrappolarlo in una stretta
che lo
lasciò quasi senza fiato.
E il suo nemico rise, di gusto,
nel vederlo sottomesso a quel modo. Sì, sapeva benissimo
come fargli
scontare la sua pena.
“
Ho
in mente qualcosa per te. Dovrai fare tutto quello che ti
dirò, se
vorrai sopravvivere ”
Strabuzzò gli occhi. Aveva già
capito, grossomodo, che cosa egli desiderava. E la cosa non lo
allettava affatto.
“
E
che cosa dovrei fare, quindi? ”
Rise ancora, lo stronzo. Lo fece
carezzandogli il volto, ma non fu un gesto di pietà,
ovviamente.
Piuttosto, di scherno.
“
Lasciarti
scopare ” sentenziò, “ Dal sottoscritto.
Ogni volta che ne avrò
voglia ”
“ L'essere umano è la creatura più crudele che esiste al mondo ”
Aveva voglia di piangere, ma non
poteva permettersi di vacillare. Ma non poteva neppure rifiutarsi, un
no gli sarebbe costato la vita. E lui era ancora troppo giovane per
andarsene da quel mondo che odiava, non poteva abbandonarlo senza
aver mostrato a tutti quanto splendida fosse l'arte che gli donava la
forza di andare avanti.
L'altro non fiatò, dal momento
che sapeva bene che sia che rifiutasse o che accettasse quelle
assurde convinzioni, alla fine Hidan lo avrebbe ucciso per il proprio
personale piacere, indi i loro superiori non si sarebbero posti alcun
problema.
Il rosso osservò la scena inerme,
senza proferire parola. Sapeva di essere già a rischio, e
non poteva
permettersi di sgarrare.
“
Tu
continua a lavorare ” gli ordinarono, voltandosi e
allontanandosi.
L'albino fece cenno a Kakuzu di
lasciare il ragazzo, e così fu. Riprese fiato, avvicinandosi
all'altro artista.
“
Non
hai nulla da dire? ” gli chiese, gli occhi colmi di rabbia.
“
Io
ti avevo avvisato, ti avevo detto che stare qui era pericoloso
”
disse, freddo, “ Non è affar mio quel che ti
accadrà d'ora in poi
”
Fottuto bastardo. Lo strattonò di
nuovo, ma stavolta non si fermò; ci mise tutta la forza che
aveva, e
inorridito lo guardò cadere a terra inerme, senza un lamento.
“
Che
diavolo... ”
Hidan sorrise ancora una volta,
mentre Kakuzu lo aiutava – se così si
può dire – a rialzarsi
senza delicatezza alcuna. Che stava succedendo? Non ci capiva
più
nulla. Perché non aveva opposto resistenza? Possibile che...
“
Dovresti
dirmi cos'hai deciso, non ho molta pazienza, e lo sai... ” si
sentì
intimare poi, ed avvertì un brivido gelido lungo la schiena.
Non
poteva far altro. Non v'era altro modo.
“
Sì
” disse, “ Farò quello che vuoi
”
Si
era cacciato in un grosso
guaio, e ne era perfettamente consapevole. Aveva addirittura
accettato di diventare lo schiavetto personale dell'essere umano che
più odiava, pur di sopravvivere. Però aveva in
mente qualcosa, ma
doveva necessariamente rifletterci a mente fredda; sicuramente non
gliela avrebbe data vinta così facilmente, lui avrebbe
dovuto
combattere per avere la supremazia sul suo corpo.
Pensava a questo seduto sul
proprio letto, osservando la chiave che stranamente non gli era stata
confiscata; possibile che se ne fossero dimenticati?
E poi rimuginava sulla reazione
del tipo che aveva scoperto chiamarsi Akasuna di cognome; aveva un
sospetto, ma non era sicuro di nulla. Doveva andare fino in fondo, e
scoprire tutta la verità su di lui e sulle
attività di quella
“organizzazione”.
Mentre se ne stava assorto
rigirandosi l'oggetto fra le dita, il suo cellulare squillò.
Guardò
il display: chiamata anonima. Aveva una mezza idea di chi potesse
essere, infatti per qualche secondo si sentì dubbioso.
Rispondere
oppure no?
Alla fine optò per la prima
opzione, sentendo la voce di Hidan dall'altra parte.
“
Vieni
a casa mia, subito ” gli ordinò, la voce ferma e
decisa.
Cazzo. Non si aspettava una cosa
così immediata. Dunque doveva rassegnarsi e cedere? No. Per
nulla al
mondo lo avrebbe fatto. Si congedò con un semplice ok,
chiudendo
velocemente la telefonata. Non aveva molto tempo, doveva organizzarsi
in pochi minuti se voleva evitare il peggio.
“
Allora...
un pentolino, una fonte di calore, dello zucchero e del salnitro*...
salnitro... che cosa sarà mai? ”
Su internet si può trovare
veramente di tutto, lo aveva scoperto col sorriso sulle labbra. Tutto
ciò gli sarebbe sicuramente servito.
“
Oh,
ecco che cos'è. Dunque è semplicissimo!
”
Grazie ad una elementare
formula, Deidara aveva costruito la sua prima bomba artigianale, per
la precisione un piccolo fumogeno.
Gli era bastato mettere in
pentola dello zucchero e del salnitro facilmente reperito, aspettare
che raggiungesse la giusta consistenza e, dopo averlo lasciato
asciugare, innescarlo con un accendino. Chiaramente, lo aveva fatto
quand'era da solo in casa. L'effetto era stato interessante, per un
po' il fumo aveva annebbiato l'intera cucina, per poi fuggire dalla
finestra leggermente socchiusa.
E il giovane aveva esultato,
euforico, osservando la sua prima, vera opera d'arte.
Oramai
per lui era diventata una
routine costruire quei piccoli ordigni, quindi non gli ci volle
molto. Poi si mise i primi vestiti che trovò aprendo
l'armadio ed
uscì di corsa, pedalando fino a casa del proprio compagno di
classe.
Si sentì un po' teso, ma quel che teneva nella tasca interna
della
giacca a vento lo tranquillizzava. Al momento opportuno lo avrebbe
usato, non avrebbe mai permesso all'albino di mettergli le mani
addosso; non così facilmente.
“
Finalmente
sei arrivato, mi stavo annoiando ” gli disse per salutarlo,
spingendolo ad entrare.
Non era cambiato nulla,
all'interno di quell'abitazione: il corridoio luminoso, le porte
chiuse che mettevano curiosità, la sua stanza caratterizzata
da luce
soffusa e una miriade di poster dalle tinte dark attaccati
all'anonimo muro completamente bianco. I suoi genitori non c'erano
praticamente mai causa lavoro, indi Hidan aveva quasi sempre casa
libera. Il sogno di ogni adolescente, insomma.
Lo trascinò in camera sua,
invitandolo a sedersi sul letto.
“
Che
cosa vuoi fare? ” tagliò corto l'ospite, senza
aspettare che
l'altro parlasse. La sua irruenza mista a sfacciataggine lo fece
sorridere, e lo portò a sedersi accanto a lui, poggiandogli
una mano
audace sulla gamba sinistra.
“
Tu
che ne pensi? ”
Deidara si accorse che con l'altra
mano si stava frugando in tasca, e s'insospettì. Che cosa
stava
cercando? Istintivamente si allontanò un poco, e l'altro
ghignò.
“
Non
avere paura. Sono sicuro che ti piacerà ”
Estrasse un coltello e serramanico
dai pantaloni, e si scagliò contro il ragazzo che
reagì,
spostandosi e tirando fuori il fumogeno che aveva preparato, assieme
ad un accendino. Lo innescò, ma Hidan fece comunque in tempo
a
raggiungerlo, agitando l'arma senza vedere nulla, a causa della
nebbia che in un attimo invase la stanza. Tossirono entrambi, il
biondo cercando la porta e l'altro tentando disperatamente di
colpirlo, ricordandosi di non aver chiuso a chiave.
Poi si scontrarono, e il folle
colpì alla cieca, raggiungendo il giovane all'occhio
sinistro.
“ Darei volentieri anche un occhio, per la mia arte; ma solo uno, perché dovrò essere comunque in grado di vedere ciò che creerò ”
“
Fottuto
stronzo! Cazzo! ” imprecò, il sangue che scorreva
sul suo volto di
porcellana, che macchiava i vestiti e il pavimento. Il dolore che
avvertì in quel momento fu indescrivibile. Malgrado
ciò, però,
riuscì ad aprire la porta e a scappare, mentre il suo
aguzzino
combatteva contro il fumo che gli annebbiava la vista.
Ma non sarebbe andato molto
lontano, già lo sapeva. Una volta uscito in strada chiese
aiuto, e
per sua fortuna dei passanti chiamarono velocemente un'ambulanza.
Dopodiché, perse conoscenza.
Furono le urla isteriche di sua
madre a svegliarlo, quando l'effetto degli antidolorifici e dei
tranquillanti si affievolì. Si ritrovò su di un
letto d'ospedale,
una benda sull'occhio sinistro, la donna che lo guardava con le
guance rigate di lacrime.
“
Chi
è stato a farti questo? In che guai ti sei cacciato,
Deidara? ”
In che guai ti sei cacciato...
pareva possedere veramente un sesto senso! Sì, si trovava in
un bel
guaio, anche perché non poteva accusare colui che
effettivamente era
colpevole delle sue ingiurie. Se lo avesse fatto, allora sì
che
sarebbe finito male. Si domandò se Hidan avesse intenzione
di farlo
fuori con quel coltello, o se magari voleva solamente usarlo per
qualche gioco perverso; conoscendolo, anche la seconda ipotesi non
era poi così improbabile.
“
Non
lo so. Qualcuno mi ha tirato un fumogeno, o qualcosa del genere, poi
mi ha attaccato alle spalle... sono scappato, ho chiesto aiuto, ma
non ho idea di chi sia stato ” mentì, ma la bugia
era veritiera.
In fondo, in giro i delinquenti non mancavano di certo. E c'era anche
chi faceva del male agli altri senza un valido motivo, magari solo
per scacciare la noia.
Poi si mise a pensare, e decise
che forse era vero che tutto il male non veniva per nuocere; da un
lato non sapeva ancora quale fosse il destino del suo occhio, ma
dall'altro avrebbe potuto sfruttare il periodo di convalescenza
preparando la sua vendetta. Doveva fargliela pagare, e allo stesso
tempo dimostrare al suo “rivale” quanto fosse
azzeccata la sua
idea d'arte. Avrebbe preso due piccioni con una fava, e finalmente si
sarebbe sentito realmente fiero di sé.
Passò ore e ore a fissare le
pareti bianche dell'ospedale – anonime come quelle della
stanza ove
il suo sangue era stato versato – e a rimuginare su quel che
aveva
in mente, ridendo ogni tanto senza un'apparente motivazione. Il
dolore ricominciò a farsi sentire dopo un bel po',
lancinante, tanto
che fu costretto a chiamare un'infermiera; gli antidolorifici
funzionavano, lo aiutavano a rilassarsi, ma dentro di sé
conosceva
già il verdetto. Una ferita di quel genere non si sarebbe
mai
rimarginata senza provocare alcun danno, non era possibile.
Ciò
nonostante non riusciva ad esser negativo, e forse questa era la sua
migliore qualità; in qualsiasi situazione riusciva a vedere
una via
d'uscita alla fine del tunnel, la salvezza, la splendida luce di un
colorato fuoco d'artificio.
“
Signora,
ci dispiace infinitamente. Non abbiamo potuto salvare l'occhio di suo
figlio ”
Deidara sospirò, mentre sua madre
continuava ad urlare. La odiava quando faceva così e la
odiava
quando si preoccupava troppo per lui e lo intimava di smetterla con
le sue assurde fantasticherie. Non la sopportava perché lei
non
capiva, e non avrebbe mai compreso ciò che lo aiutava a
perseverare,
a credere in un futuro diverso in cui sarebbe stato ammirato dagli
altri, ad essere forte in ogni periodo della propria vita, bello o
brutto esso fosse.
“
Possibile
che tu non soffra per questo? Possibile che non ti tocchi minimamente
il fatto di essere diventato orbo? ” gli disse mentre lo
riaccompagnava a casa, stringendo convulsamente il volante della
monovolume che guidava. E lui fece spallucce senza risponderle,
facendola infuriare ancora di più, ma non gli importava. Ora
aveva
ben altro a cui pensare. Guardò fuori dal finestrino,
scorgendo la
villetta ove Hidan abitava un poco nascosta dietro le verdi siepi del
giardino ben curato; lanciò una silenziosa maledizione,
sperando che
dovunque egli fosse avvertisse un brivido percorrergli la schiena,
una sorta d'avvertimento, un oscuro presagio.
“ Preparati, fottuto bastardo. La mia arte illuminerà il mondo ed abbaglierà il tuo Dio, che sarà costretto ad ammettere la sua bellezza, prima di scomparire assieme ad essa ”
In
casa aveva già tutto l'occorrente; teneva le sue cose in un
cassetto
chiuso a chiave, custodite gelosamente. Si era procurato quella roba
con fatica, scegliendola accuratamente, e comprandola sotto falso
nome. Era un ragazzo astuto ed abile perfino nell'arte del
travestimento, avrebbe fatto di tutto per la sua ragione di vita,
anche diventare un'altra persona nel momento del bisogno.
Così era
riuscito ad accumulare un pericoloso quantitativo di polvere pirica*,
di micce detonanti*, e tubi di plastica*. Aveva anche lasciato
perdere gli involucri di carta, propendendo per quelli in pvc, ancor
più illegali degli altri*. Chiunque avesse scoperto il suo
segreto
lo avrebbe dato per matto e probabilmente rinchiuso in un ospedale
psichiatrico. Deidara sapeva bene di essere folle, ma non voleva
essere paragonato a qualcuno affetto da comuni disturbi psichici. La
sua vocazione era tutto per lui, per quanto assurda e pericolosa essa
potesse essere. E se seguire la propria fede
senza mai guardare indietro significava essere etichettato come
pazzo, beh... allora era fiero di esserlo.
Doveva fare in fretta e preparare
tutto al meglio per il suo spettacolo. Aveva una settimana di tempo,
ossia quello che da solo si era concesso prima di tornare a scuola.
Ovviamente sua madre non era d'accordo, a parer suo si trattava di un
periodo troppo breve, ma lui non poteva attendere oltre.
Si chiuse in camera per giorni,
mangiando sporadicamente, senza dormire mai. Alla fine ne aveva
preparate sei, ed era decisamente soddisfatto del proprio lavoro.
Erano piccole, ma gli assicuravano comunque un buon risultato.
L'ultimo giorno decise di prendersi un po' di riposo, dormendo
qualche ora; doveva essere fresco, non poteva assolutamente
permettersi di sbagliare. Anche il minimo errore, e tutto sarebbe
andato perduto.
Si
era informato sulle loro
abitazioni, e fortunatamente esse si trovavano tutte vicine alla
scuola. Sì, la vista da lassù
sarebbe stata superlativa.
“
Mamma,
io esco! ” le disse il lunedì mattina, uscendo con
lo zaino in
spalla.
“
Deidara!
Si può sapere dove vai? Davvero torni già a
scuola? ”
“
Uhn...
no, per oggi no. Vado a recuperare i compiti da un amico, anche lui
è
a casa ammalato ” mentì spudoratamente,
allontanandosi
velocemente, salutando la donna con un cenno della mano.
“ Grazie per avermi dato alla luce, mamma; adesso la mia luce ti permetterà di strappare le radici che ti ancorano a questo mondo, e potrai gioire per la mia gloria da dovunque ti troverai ”
Era
il momento giusto.
Fu un lavoro duro, curato nei
minimi particolari, mentre i diretti interessati non si trovavano in
casa. Aveva calcolato tutto: i ragazzi erano a scuola, e i genitori
al lavoro, ignari del proprio destino. Senza farsi vedere,
indifferente, passò per le stradine secondarie, quelle poco
trafficate. Infine strinse fra le mani il suo detonatore e si nascose
nel retro dell'edificio scolastico, sgattaiolando all'interno grazie
alla finestra della palestra in quel momento deserta, che era stata
lasciata aperta. Stette per un po' dentro l'enorme stanza,
riprendendo fiato, seduto sul freddo pavimento. Doveva pensare.
Tramortire il custode poteva essere un'idea, ma doveva trovare
qualcosa per metterla in pratica; frugò nei vari armadietti,
trovando una mazza da baseball. Perfetto. Sorrise, pregustando il
momento fatidico.
L'occhio inutilizzabile fasciato
dalla benda bianca non faceva quasi più male.
“ Si può morire, per l'arte. Oppure si può stare al sicuro in un angolo ad osservarla, mentre corrode il male che affligge il mondo ”
Silenziosamente, quando la campanella suonò e il custode andò ad assicurarsi che in palestra fosse tutto in ordine, gli apparì alle spalle colpendolo violentemente con la mazza che aveva trovato. Forse era stato perfino troppo cattivo, con lui. Però, se per vincere era necessario mettere a repentaglio la vita di persone innocenti, lo avrebbe fatto senza nessun rimpianto; o forse ogni tanto il suo pensiero sarebbe volato verso di loro, ma ciò non lo avrebbe fermato. Un artista deve imparare a sublimare la sofferenza, convertendola in bellezza da condividere con gli altri.
“
Che
diavolo ci fai ancora qui? Pensavo ti avessero fatto fuori ”
Quando lo rivide, Deidara capì
che se era ancora vivo non era solo per la sua arte. La visione delle
labbra vermiglie strette sulla cannuccia lo travolse come una
tempesta. Aveva barattato un occhio con una succosa fragola; uno
scambio niente male.
“
Ci
vuole ben altro per farmi fuori. E ciò che non mi uccide, mi
rende
più forte ” rispose lui, avvicinandoglisi.
“
Che
ti è successo all'occhio? ”
“
Oh,
un piccolo incidente. Posso farti qualche domanda adesso? ”
“
...
e va bene ” si rassegnò. Lo fece perché
sapeva benissimo che se
non avesse annuito, quel rompiscatole avrebbe comunque continuato il
suo fastidioso interrogatorio.
Il ragazzo dai capelli rossi si
chiamava Sasori, ed era poco più grande di lui*, anche se
non lo
dimostrava. Viveva – se così si poteva dire
– nel terrazzo
proibito da due anni, costretto dai membri dell'organizzazione. Non
poteva camminare, perché a causa delle loro violente
percosse, si
era ritrovato semi-paralizzato per problemi alla spina dorsale.
“
E
perché ti tengono rinchiuso qui? ”
“
Non
è difficile da capire, idiota. Comunque, sai che non posso
parlarne
”
L'altro sorrise. Una chiamata
anonima ai genitori era sicuramente stata di grande aiuto, per farli
andare a casa di corsa senza fermarsi a fare altre cose. Almeno ci
sperò, visto che era l'unica incognita che il suo piano
presentava;
ma oramai il più era fatto e, come si suol dire, o la va o
la
spacca. Adesso era più forte e, qualsiasi cosa sarebbe
successa,
avrebbe vinto. E avrebbe portato Sasori con sé.
“
Adesso
non hai più niente da temere ”
Gli si affiancò, abbassando la
zip della felpa verde che indossava, per stare più comodo.
Poi portò
alla bocca un panino, mentre il rosso continuava a sorbire il
contenuto del piccolo cartone bianco e rosa.
“
Ti
va di baciarci, danna? ” chiese poi, a bruciapelo.
L'altro quasi si soffocò col
dolce liquido, tossendo più volte. Che razza di domanda era,
quella?
Si voltò verso di lui, e il
giovane non gli lasciò dire nulla, avventandosi sulle sue
labbra.
Quelle che voleva, quelle che in silenzio aveva bramato, senza
accorgersene.
Fu un bacio lungo e umido, alla
fine Sasori si lasciò andare, nonostante inizialmente fosse
titubante; non aveva mai provato niente di simile. Deidara
mugolò
nell'atto, deliziandosi di quell'inebriante sapore di fragola. Lo
strinse a sé carezzandogli i capelli arruffati, mentre con
l'altra
mano gettava il panino a terra e frugava nello zaino alla ricerca del
detonatore. Lo attivò, gettandolo poi il più
possibile lontano da
loro. Il suo amante non si rese conto di cose stesse facendo,
tant'era preso da quel sublime momento; solo quando avvertì
un boato
fin troppo vicino si staccò dalla sua bocca avida. Il
terrazzo aveva
preso fuoco, ma l'esplosione era stata minima. Guardò fuori
dalla
vetrata: una nube di fumo si era levata in cielo, fiera, e proveniva
dal parco vicino alla scuola – quello in cui aveva passato
alcuni
pomeriggi assieme ad Hidan -. Poi un'altra esplosione invase la casa
che scoprì essere di Pein, poi quella di Konan, e
conseguentemente
andarono a scoppiare altri tre ordigni. Nell'abitazione di Kakuzu, in
quella di Hidan, e in quella... di Deidara.
“
Ma
come... ”
“
Un
filo invisibile. Non lo avevi notato, eh? Tipo quelli che si usano
per le marionette, solo un po' più spesso ”
L'Akasuna lo apostrofò con un
“pazzo” appena sussurrato, prima di posare
nuovamente lo sguardo
sulla piccola apocalisse che si stava consumando di fronte a loro.
“
Guarda
che spettacolo ”
“ L'Arte è esplosione! ”
“
Perché
lo hai fatto? Ti sei messo nei casini, spero tu ne sia consapevole
”
lo avvertì Sasori, severo.
“
Volevo
dimostrarti quanto vera fosse la mia arte. E' o non è
più
affascinante delle tue statiche creazioni? ”
Lo guardò torvo, rispondendo con
un secco “no”. Però continuò
ad osservare il fumo invadere la
città, e istintivamente si avvicinò di
più a quel pazzo che aveva
accanto. Nonostante tutto, la sua presenza non gli dispiaceva.
Da quando lo avevano rinchiuso in
quel luogo per sfruttare la sua bravura per lucrosi scopi, non aveva
mai avuto contatti con nessuno. Deidara era probabilmente l'ultima
persona che avrebbe voluto incontrare, ma anche l'unica.
“
Baciami
ancora, danna ”
“ Sperando che non sia l'ultima volta ”
Aveva
distrutto anche la propria
casa, e soffocato là dentro la donna che lo aveva messo alla
luce;
le era grato per questo, ma voleva strappare le catene che lo
legavano a quel mondo che tanto odiava, e il cambiamento doveva
essere radicale. E così fu.
Non sapeva dove sarebbero andati,
né come sarebbero sopravvissuti, comunque si era portato
dietro
tutti i soldi che nel corso degli anni aveva messo da parte. Poi si
sarebbe trovato un lavoretto, anche part time, e avrebbe cercato un
posto dove stare; magari un semplice monolocale, o uno scantinato.
Andava bene tutto, l'importante era fuggire lontano da quella
città
e stare con lui. Non aveva bisogno di nient'altro.
Prese il ragazzo in braccio,
meravigliandosi della sua leggerezza; quegli stronzi lo facevano
anche mangiare poco, evidentemente. Ora, però, erano stati
adeguatamente ripagati per le sofferenze inflitte alla creatura che
non meritava un simile trattamento, ma solo sguardi complici e baci
profondi. O almeno così sperava; comunque si sentiva
particolarmente
ottimista. Forse aveva un sesto senso che gli permetteva di vedere al
di là del denso fumo che pareva voler mangiare l'intera
metropoli, o
forse era la sola e semplice presenza dell'altro che lo faceva star
bene. Corse evitando le fiamme che si stavano propagando, e con
fatica lo portò giù per le scale, giungendo di
fronte all'uscita.
Ovviamente era chiusa, indi decise di rompere una finestra,
tagliandosi alle mani con i frammenti di vetro che si sparsero qua e
là a causa dell'urto; ma non ci fece neanche caso, tant'era
la
voglia di scappare e di perdersi nel suo profumo, nel rosso dei suoi
capelli e delle sue labbra, nei suoi baci al sapore di fragola.
Non fu facile portare Sasori fuori
di lì, contando che l'artista pianse più volte le
proprie opere
rimaste sul terrazzo, ma Deidara gli promise che avrebbe potuto
continuare a coltivare la sua passione, nonostante egli non
l'approvasse. In fondo, per lui aveva fatto tutta quella confusione.
Non voleva ammetterlo neppure a se stesso, ma il rosso era il suo
punto di riferimento, l'unica persona con la quale desiderava
trascorrere il resto della sua vita, sebbene alla fin fine non lo
conoscesse affatto. Che il tempo rimasto fosse tanto o poco non
importava, gli bastava poterlo stringere e litigare circa quale fosse
la vera arte fra le due che sostenevano.
Aveva comprato due biglietti di
sola andata per la città più lontana che il treno
poteva
raggiungere da lì, e fortunatamente arrivarono alla stazione
puntuali. Una volta sul treno si sedettero ascoltando il notiziario,
grazie alla radio in filodiffusione presente sul convoglio. Si
parlava insistentemente delle esplosioni che avevano devastato un
quartiere della città, di chi aveva perso la vita
– fra cui
quattro giovani studenti di liceo e una donna sui quarantacinque anni
–, delle conseguenze del gesto di un folle che aveva
distrutto
l'armonia di quel luogo.
“
Certo,
come se quel cazzo di posto fosse stato tranquillo, prima d'oggi
”
commentò il biondo, guardando il paesaggio fuori dal
finestrino,
dicendo silenziosamente addio alla cittadina in cui era nato e
cresciuto. Poi il suo sguardo verté verso il suo
accompagnatore,
silenzioso spettatore della sua tanto agognata vittoria.
“
Che
cosa faremo adesso? ” gli domandò, con poco
– o per meglio dire
nullo – entusiasmo, come al solito.
“
Per
il momento ho pensato di starcene per un pochino in un motel o
qualcosa di simile, poi troveremo un posto dove stare, tranquillo
”
“
Come
fai ad essere così calmo? Non pensi che qualcuno potrebbe
sospettare
di te, non trovandoti più? ”
Lecita domanda.
Il ragazzo parve pensarci su, e
poco dopo schioccò le dita, sorridendo: “ Ho detto
a mia madre che
andavo a studiare da un amico; non le ho detto da chi, ma lei non
potrà parlare, dal momento che... beh, sai bene
com'è andata. A
scuola il custode non ha fatto in tempo a vedermi, perché
l'ho
aggredito alle spalle. Inoltre, non avevo mai fatto parola con nessuno
circa la mia passione, tranne che al mio professore; ma
sinceramente non penso che ciò possa creare problemi
”
“
Mh
” borbottò Sasori, per nulla convinto.
“
Potresti
almeno fare una faccia un po' più decente, uhn! Ho fatto
tutto
questo per te, e mi ripaghi così? ”
“
Non
lo hai fatto per me, Deidara. L'hai fatto per te ”
Quelle
parole furono come una doccia gelida per il giovane; la
consapevolezza d'essere un perfetto egoista lo assalì e lo
scosse
come un uragano, eppure non riuscì a sentirsi in colpa. E'
vero, lo
aveva fatto per sé, per dimostrare d'aver ragione, per non
essere
più maledettamente solo.
Ma non era nella sua natura ammettere le proprie
responsabilità,
indi fece finta di non aver compreso ciò che gli aveva detto.
Per tutto il viaggio non aprirono
più bocca, forse perché alla fine non v'era nulla
da dire. Ed era
vero che rischiavano grosso, che Deidara poteva benissimo essere
sospettato, che non sapevano se sarebbero realmente sopravvissuti in
quella realtà cruda, resa finta e vivibile dalla
televisione, ma in
verità tutt'altra cosa.
Due giovani da soli contro il
mondo e la società moderna, spinti dall'amore per la propria
arte e
da quello che provavano l'uno per l'altro, seppur senza dirselo.
“
Non
parlare, non guardarmi così; resta in silenzio e voltati per
non
vedermi bruciare
Lascia che giochi col tuo corpo
e permettimi di lacerarmi grazie ad esso.
Tu non devi fare nulla, solo
immaginare il mio viso in preda all'estasi più sublime;
ma non mi guardare, mai, perché
altrimenti sarà troppo dura dirti addio ”
Aroma
di fragola, perseverava. Era
come se ce lo avesse sempre e costantemente addosso, ed era
così
dannatamente piacevole...
E Sasori era suo, suo e soltanto
suo. Per sempre e per un istante. Tutto combaciava perfettamente.
~ ~ ~
*1
Salnitro:
nitrato
di potassio. Solido cristallino incolore, dal sapore leggermente
amarognolo, solubile in acqua. Se puro, non è infiammabile.
Può essere utilizzato per
costruire fumogeni artigianali o fuochi d'artificio, dal momento che
a contatto con elementi combustibili come carbone e saccarosio (
zucchero ) innesca fiamme.
Mi sono informata per quanto
possibile per non scrivere assurdità nella fanfiction,
secondo la
spiegazione che ho trovato sul web il salnitro è facilmente
reperibile dal macellaio ( questo perché si tratta di un
additivo
alimentare usato nella conservazione di salumi e carni salate ),
oppure in natura in ambienti umidi quali cantine, grotte e/o stalle.
*2
Polvere
pirica:
polvere nera o polvere da sparo.
*3
Micce
detonanti:
le micce si possono distinguere in due tipi. Quelle a lenta
combustione e quelle detonanti. Queste ultime sono corde riempite
quasi sempre di pentrite ( Tetranitrato di pentaeritrite ), uno degli
esplosivi più potenti in circolazione. Le altre invece sono
generalmente di cotone, rivestite con sostanze che le rendono
impermeabili e presentano una sottile anima di polvere pirica. Il
biondo usa il primo tipo di micce perché, come si legge nel
momento
in cui innesca le sue bombe, desidera un effetto a catena provocato
dal detonatore .
*4
Tubi
di plastica:
metodo generalmente utilizzato nelle tecniche di brillamento.
Attraverso il tubo di un diametro esterno di circa 3 mm ( con
superficie interna ricoperta di un sottile strato di esplosivo ) si
trasmette l'onda d'urto.
*5
Involucri
in carta o in pvc:
in altre parole, Deidara costruisce delle bombe carta. Ma non del
tipo classico, perché decide di variare il loro involucro,
come
viene – purtroppo – spesso fatto nella
realtà per poter
provocare più danni a persone e/o cose. Grazie ad un
involucro in
pvc, infatti, viene sfruttato il picco massimo della polvere
contenuta all'interno dell'ordigno, sprigionando così un
enorme
quantitativo di energia.
*6
L'età
dei protagonisti:
come in molte mie fanfictions, ho “ringiovanito”
Sasori. Come
sappiamo, nella storia originale Deidara ha 19 anni mentre Sasori 35,
ma in questo caso mi serviva una differenza d'età meno
consistente.
Epilogo
~
Nei
momenti in cui si beava della
visione del suo corpo privo degli abiti e dei suoi ansiti mal
trattenuti gli veniva sempre da pensare al giorno, neanche troppo
lontano, in cui avrebbe mostrato a tutti la sua ultima, splendida
opera d'arte. Probabilmente il suo amante lo avrebbe offeso, forse
addirittura odiato, ma quello era l'epilogo che aveva scelto per il
loro rapporto e per la propria vita, perché non poteva
permettersi
di essere scoperto.
Che
egoista, era.
Eppure amava, di quell'amore che
fa quasi male e che ti logora l'anima, anche se ammetterlo sarebbe
stato troppo deprimente per un artista che non credeva minimamente in
qualcosa d'eterno. Nonostante questo, però, desiderava
restare per
sempre al suo fianco, prima e dopo la morte.
Che
personaggio assurdo, era.
“
Dolce
come le fragole che prima d'ora non mi erano mai piaciute, danna.
Rosso di passione come la luna
stemma di quella scuola maledetta.
Bello e conturbante come
un'opera d'arte proibita, come una rosa destinata a sfiorire perfino
troppo presto.
Credo d'aver capito perché ti
tenevano rinchiuso lì.
Ma ora sei mio, mio e di nessun
altro. Ho vinto. Ora sorridi ”
Fine ~
“
Quanto
ti ho sentita mia, dentro quel vagone mentre il treno che fischiava
ci portava via.
Tu sei mia, quando vuoi, ma
sei mia. Quanto, tu non lo sai ”
Gatto Pancieri - “ Mia ”
~
~ ~
Note
finali:
vorrei
chiarire alcune cose a proposito della caratterizzazione di Deidara.
Io lo vedo così, personalmente: è un folle, e
questo lo si sa.
Farebbe di tutto per mostrare agli altri la bellezza della sua arte,
e anche questa è cosa nota. Però a parer mio si
tratta anche d'un
personaggio molto egoista, e lo dimostra il fatto che durante tutta
la storia non pensa ad altri che a se stesso, nonostante comunque
provi dei sentimenti per Sasori. Inoltre,
per
quanto io lo ami – in fondo, utilizzo quasi sempre lui quando
si
tratta di scrivere qualcosa su Naruto –, lo considero
fondamentalmente un perdente, ed ho cercato di far trasparire
attraverso queste righe questa sua caratteristica; è
determinato,
coraggioso, rischia la vita e si sacrifica pure per i suoi ideali
–
e ciò sarebbe degno di lode –, ma non comprende i
pensieri di chi
gli sta vicino e di chi crede in qualcosa di diverso. Per questo
arriva ad uccidere se stesso e chi ama, prima con le parole e poi con
i fatti. Perché, alla fine, non ha altro modo per dimostrare
di
esistere.
Il
suo egoismo, in questo caso specifico, è mostrato
soprattutto alla
fine quando dice: “ Ho vinto. Ora sorridi ”
In
altre parole, considera Sasori una sua proprietà, ma in
verità non
trova un vero e proprio modo per tenerlo sempre con sé,
probabilmente perché non ne è capace.
So
che è una visione alquanto severa per una che dice d'amare
un
personaggio, ma è così che lo vedo, e proprio per
questo motivo
trovo che scrivere di lui sia particolarmente stimolante,
perché il
suo è un carattere dalle mille sfaccettature. Una psicologia
interessante, insomma; e così lo è anche quella
di Sasori.
Questo
per dire che non credo di essere andata OOC, ma questo ovviamente
dovete deciderlo voi. ^.^
Riguardo
la strofa che ho inserito a fine fiction, è tratta da una
canzone a
me molto cara ed ho pensato si addicesse alla storia; ovviamente, il
“mia” in questo caso viene trasformato in
“mio”. XD Non l'ho
modificato per rimanere fedele al testo originale.
(
tutte le informazioni sono state reperite su Wikipedia, e sono a
titolo puramente informativo, più che altro volevo essere
sicura di
non inserire qualche stupidaggine all'interno della storia, indi ho
preferito informarmi il più possibile prima di scrivere
qualsiasi
cosa. Quindi, ovviamente, don't
try this at home,
ma non penso ci sia bisogno di dirlo XD )