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Autore: _ayachan_    23/02/2010    15 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 35 08/09/2016
Capitolo trentacinquesimo

I sospetti di Sakura




«Non sono sicuro che tutta questa immobilità faccia davvero bene.»
«Io invece sono sicura che seguire gli ordini dei medici sarà l'unica cosa che ti permetterò di fare.»
Kotaro, coricato sotto un mucchio di lenzuola spiegazzate, si rigirò nervosamente, dando le spalle a sua madre. Tenten era seduta su una sedia con le gambe accavallate e lucidava un kunai dalla lama già scintillante.
Il povero Kotaro era stato ricoverato non appena lui, Chiharu e Baka erano tornati da Suna. I medici gli avevano imposto di chiudere tutte le porte del chakra e lasciare che il corpo recuperasse naturalmente le proprie energie, ma questo sarebbe successo in non meno di venti giorni. Il che, per lui, era assolutamente intollerabile.
Purtroppo o per fortuna Tenten aveva deciso di interrompere la scia degli insegnamenti disastrosi del marito e si era sostituita a lui nell'educazione del suo primogenito, almeno temporaneamente: per essere sicura che Kotaro seguisse alla lettera le prescrizioni mediche si era installata nella sua camera d'ospedale e non aveva più levato le tende. Era umiliante, ma accompagnava Kotaro persino in bagno – per essere sicura che non tenti la fuga dalla finestra, diceva.
«Ormai sono inchiodato qui da giorni!» tentò ancora Kotaro, muovendo i piedi sotto le lenzuola come un bambino. «Mi fa male la schiena.»
«Quella ti fa male perché ti sei rotto due costole» replicò Tenten.
L'unica pausa dal tormento materno erano le visite: fino a quel momento erano venuti a trovarlo il maestro Gai, Naruto e i parenti. Solo in quel momento Kotaro si era accorto di non avere tanti amici... Gli unici che chiamava tali erano, a quanto gli era stato riferito, entrambi ricoverati. E nessuno poteva andare a trovare gli altri.
Almeno Baka poteva portarmi due arance e un manga... Maledetto spocchioso arrogante.
Kotaro stava quasi pensando di convincere sua madre a metterlo su una carrozzina, quando Mei comparve sulla porta, carica di abiti di ricambio per Tenten e un cestino di frutta fresca.
«Ciao mamma, ciao fratello scemo.»
«Sei venuta a liberarmi?» chiese Kotaro, cercando di tirarsi a sedere. Tenten lo bloccò puntandogli contro il kunai lucidato.
«Magari» sospirò Mei, depositando i vestiti e portando la frutta fino al letto. «La casa è un disastro e io sono completamente incapace di cucinare. Mamma, ti prego, ritorna!»
«Tornerò quando potrò» rispose Tenten, afferrando una mela senza abbassare il kunai. «Come vedi, tuo fratello non è molto bravo a seguire le terapie.»
Mei sbuffò, scoccando un'occhiataccia a Kotaro.
«Non guardarmi così: io sto bene! Se non mi puntasse un kunai contro sarei già in piedi.»
«Per correre da Chiharu?»
Tenten reagì prima che Kotaro, rosso e indignato, scattasse in risposta: «Mei, non rendere il mio lavoro più difficile. Torna a casa, sono sicura che ci siano un milione di lavori che puoi fare.»
«Tutti quelli che di solito fai tu...» borbottò lei, che dopotutto aveva solo quattordici anni.
Tenten fece un respiro profondo e abbassò il kunai puntato contro Kotaro. «Allora fai qualcosa di utile: prima che tuo fratello esploda dalla curiosità, fai un giro a raccogliere notizie dei suoi compagni di squadra. Magari se si calma un po' riesco a tornare.


Chiharu non sapeva quanti giorni fossero passati dal loro rientro a Konoha, ma da allora non era più riuscita a dormire bene.
Non aveva idea di quante notti in bianco avesse fatto, né di quanti giorni sonnolenti le avessero seguite. L'unica cosa di cui era certa era che per tutto il tempo Shikaku era sempre stato nella sua camera: i medici non gli avevano detto niente, per fortuna, ma a causa di questo era rimasto nervoso e taciturno.
Chiharu capiva che non sarebbe durata in eterno: prima o poi il nonno avrebbe preteso di sapere cosa stava succedendo, e se per disgrazia non fosse riuscito a scoprirlo avrebbe richiamato Temari e Shikamaru, per non parlare di Yoshino, che l'avrebbero costretta a vuotare il sacco. Ma fintanto che sonnecchiava, Shikaku non insisteva. E a lei non costava proprio niente, anzi le veniva naturale.
Mentre stava sospesa a metà tra il sonno e la veglia il nonno le aveva raccontato che anche Kotaro e Hitoshi erano ricoverati. Hitoshi, a quanto si diceva, era rimasto ferito nella missione in cui avevano catturato Iida; Kotaro era stato costretto a letto dai medici.
Ma a Chiharu non interessava, non in quel momento. In quel momento l'unica cosa che occupava spazio nella sua mente erano le parole del dottore che l'aveva vista: se vuoi arrivare ai vent'anni, devi lasciare il mestiere di ninja.
Era venuto altre volte dopo la prima: avvolto nel suo camice bianco, impettito e distante, le aveva annunciato l'esito di alcuni esami, le aveva portato i fogli sulla riservatezza, l'aveva visitata. Ma se ne era sempre andato scuotendo la testa pelata, e lei aveva sentito l'umore scendere più giù di volta in volta.
Devi lasciare il mestiere di ninja.
Cosa avrebbe potuto fare, a parte quello? Se si soffermava a pensarci troppo le veniva da piangere, e dato che non voleva scatenare le domande di Shikaku si costringeva a ricacciare giù le lacrime, posticipando sempre lo sfogo. Aveva passato la vita intera a studiare per essere ninja. Negli ultimi cinque anni tutti i suoi sforzi erano stati tesi a migliorare, ad essere all'altezza delle aspettative di Naruto, a oltrepassare i limiti imposti dal suo cuore. Aveva fatto tutto quello che poteva per restare in corsa, ma il risultato era che aveva fallito comunque. Che senso aveva avuto il suo impegno?
Era contenta che nessuno fosse venuto a trovarla: non sarebbe stata felice di mostrarsi in quelle condizioni a qualcuno che non fosse un parente stretto. E, in effetti, nessuno che non fosse un parente stretto si era presentato. Nemmeno Baka o Yoshi. Ci aveva pensato, tra un incubo e l'altro, ma era stata troppo presa dai suoi problemi e aveva perso subito interesse.
Concentrata sulla sua tragedia personale aveva smarrito anche la nozione delle ore che passavano. Non sapeva se fosse mattina o pomeriggio quando bussarono alla porta della sua stanza, ma Shikaku si alzò subito in piedi, segno che doveva essere importante. Chiharu tese l'orecchio, continuando a dare le spalle al nuovo arrivato.
«Ci sono notizie?» chiese Shikaku.
«Devo parlare con Chiharu. Da solo.»
Allora lei si voltò, riconoscendo la voce di Naruto. Il maestro era in piedi sull'ingresso, scuro in volto. Chiharu si mise sulla difensiva.
Shikaku li lasciò soli dopo essersi concesso una brevissima esitazione, e a quel punto, una volta chiusa la porta che dava sul corridoio, maestro e allieva si trovarono faccia a faccia, come cinque anni prima.
Naruto si passò una mano sul viso, con una smorfia di insofferenza. Detestava dover essere lì, detestava non poter più posticipare l'incontro, detestava Jiraya che gli aveva ricordato le sue responsabilità. Detestava anche la faccia bellicosa di Chiharu, perché già sapeva che sarebbero finiti a litigare.
«Sai perché ti devo parlare?» le chiese.
«Forse» rispose lei cautamente. «Ha a che fare con la mia ultima evocazione?»
«E con cos'altro potrebbe aver a che fare?»
Chiharu serrò le labbra. Naruto era anche più permaloso del solito, il che significava che stava per dirle qualcosa che non gli piaceva. Probabilmente aveva parlato con il medico che le aveva proibito di continuare ad essere ninja e adesso le avrebbe fatto una sfuriata.
«Siamo stati insieme per cinque anni, Chiharu» riprese Naruto, iniziando a camminare avanti e indietro in fondo al letto. «So che tu e i tuoi compagni siete degli schifosi individualisti, ma pensavo di avervi insegnato almeno una cosa, in tutto questo tempo; una!» Chiharu aggrottò la fronte, francamente perplessa. Naruto si riferiva alla prudenza? E quando mai aveva insegnato a qualcuno la prudenza, o anche il buonsenso, se per questo? «Invece, dopo cinque anni,» continuò lui, sempre più nervoso, «scopro che per te essere ninja significa soltanto completare le missioni e portare a casa la pelle, e chi se ne frega se per farlo hai sacrificato uno dei tuoi! Ancora, come se non fosse cambiato niente dal primo giorno.»
«Io ti ho salvato!» sbottò lei indignata. «Stavi per essere ammazzato! Scusa se non mi sono preoccupata di stare attenta a non far male a nessuno mentre cercavo di tenerti in vita...»
Naruto smise di camminare e fece un gesto per zittirla. «Lo vedi? Non capisci neanche di cosa parlo!»
Il gesto funzionò, perché Chiharu effettivamente tacque, con la rabbia che pulsava sotto pelle.
«L'evocazione, Haru» sibilò allora Naruto. «Tu sai cosa succede a un'evocazione se ti riprendi il chakra che hai usato per richiamarla?»
Solo allora lei capì.
Naruto non era arrabbiato perché aveva messo in pericolo se stessa: era arrabbiato perché per non lasciarci le penne aveva rispedito nella sua dimensione un'evocazione di chakra, e quando questo accadeva le evocazioni morivano.
«Le evocazioni sono compagni come Hitoshi e Kotaro» esclamò lui. «Non puoi pensare di evocarli quando ne hai bisogno e liberartene se diventano d'intralcio. Un buon ninja è colui che si preoccupa sempre dei suoi compagni e di chi deve proteggere. Se lasci che uno dei tuoi muoia per salvare te stessa, allora sei feccia.»
«Stai dicendo che sarei dovuta morire?» lo interruppe Chiharu.
«No, certo che no!» Naruto si scompigliò i capelli. «Sto dicendo che se fai cazzate troppo grosse non puoi pararti il culo sulla pelle degli altri! Non dovresti fare cazzate troppo grosse, prima di tutto... Ma se succede, non puoi farlo pagare ai tuoi compagni. Mai. Pensavo che almeno questo ti fosse arrivato, dopo tutte le missioni che abbiamo fatto insieme.»
«Quindi sarei dovuta morire» ripeté lei. Questa volta non era una domanda.
«Non stravolgere quello che dico» lui le puntò un dito contro. «Sono contento che tu sia viva, certo che sono contento! Ma come faccio a portarti in campo se una parte di me pensa che in caso di pericolo ammazzeresti il tuo vicino per salvarti la vita? Come faccio a portarti in missione se non sei affidabile?»
«Ma io ti ho salvato!» ringhiò Chiharu, stringendo le lenzuola con rabbia. «Cosa c'è di più affidabile di una che rischia la sua vita per salvarti? Dovresti essermi grato, non farmi la predica!»
«Tu hai sacrificato la tua evocazione quando hai avuto paura. Hai salvato me e sacrificato lei. Io non valgo più di un altro, nessuno vale più di un altro; non tra gli shinobi di Konoha.»
«Bene!» Chiharu emise una risata secca. «Me ne ricorderò, la prossima volta che rischi di morire.»
«Non ci sarà una prossima volta, Chiharu.»
«Ah, ma certo. Tu non sbagli mai, non due volte, almeno.»
«No. Per te non ci sarà una prossima volta: non voglio shinobi di cui non mi posso fidare.»
Chiharu accusò il colpo per un secondo, poi allargò le braccia. «Non è la prima volta che te lo sento dire. Ma stai tranquillo: prima delle tue sparate un dottore mi ha già detto che se voglio arrivare ai vent'anni devo mollare la carriera, e questa notizia ha fatto un po' più male. Per salvarti ho dato il colpo di grazia al mio cuore, sembra. E mi sto pure prendendo un congedo con disonore.»
Naruto si bloccò. «Cosa? Quale medico? Quando?»
«Non te l'hanno detto? Questa volta non c'è niente da fare: o smetto, o muoio. Così ti tolgo un bel problema, vero?» sbottò lei, sapendo di essere ridicola, sapendo di essere inutilmente crudele, ma incapace di fermarsi.
«Smettila di fare la cretina. Chi è venuto a parlarti? Come si chiama?»
«Sei l'Hokage... Saprai bene chi si occupa dei tuoi allievi, anche se sono soltanto ex» Chiharu incrociò le braccia e si infossò nei cuscini, puntando lo sguardo oltre la finestra.
Naruto emise un verso di esasperazione. «Sei sospesa da tutte le attività fino a nuovo ordine» decretò. «Prima di prendere una decisione devo capire con chi diavolo hai parlato.»
E perché non mi è stato riferito niente.
«Bene» deglutì Chiharu.
Naruto, senza salutare, uscì nel corridoio.
«Arrivederci» mormorò lei al vuoto.
Allora, inaspettatamente, le tornò alla memoria un ricordo. Risaliva ad alcuni anni prima, dopo gli eventi della nascita di Minato, ed era un ricordo a cui ripensava di tanto in tanto.
Un giorno, raccogliendo il coraggio e la faccia tosta, aveva chiesto a Naruto di Kyuubi; gli aveva detto che aveva fatto delle ricerche e che sapeva del demone. Lui, ben poco stupito, aveva risposto a tutte le sue domande: da quanto tempo era un Jinchuuriki, perché proprio lui, come funzionava... Le aveva parlato di Minato Namikaze e Kushina Uzumaki, le aveva raccontato la sua storia. Avevano passato insieme una serata intera, poi Naruto l'aveva accompagnata a casa perché Temari non le facesse una sfuriata.
Erano stati così vicini, quel giorno. Lui l'aveva ascoltata senza criticare le sue domande, come un'adulta.
Oggi, invece, non l'aveva nemmeno guardata. Era venuto, aveva fatto il suo discorso ed era sparito senza ascoltare. Non le aveva lasciato il tempo di spiegare che i chakravakam non muoiono quando vengono privati del chakra, perché non sono un'evocazione come le altre...
Anche se, a dire il vero, Chiharu non aveva voglia di spiegargli più nulla.
Ammirava Naruto, lo ammirava sconfinatamente: lui aveva la forza e l'energia di perseguire i suoi obiettivi, cosa che a lei mancava; ma se lui la rifiutava, se lui smetteva di incoraggiarla, allora la sua immagine sbiadiva come inchiostro al sole, lasciando solo indifferenza.
E ora?, si chiese.
Sapeva cosa si provava a rassegnare le dimissioni, ma non sapeva come comportarsi quando la medicina e l'autorità la rifiutavano esplicitamente.
Una parte di lei sarebbe voluta scoppiare a piangere, però era una parte piccola e lontana; qualcosa, un gran peso in mezzo al petto, come una pietra, le impediva di lasciar spazio a quello che provava.
Bussarono alla porta, e riconobbe la mano di Shikaku.
«Haru? Hai, visite, te la senti di riceverle?» chiese aprendo di una spanna.
«No.»
«Va bene. Vuoi che me ne vada anche io?»
«No.»
«Arrivo subito.»
Shikaku scomparve dalla fessura.
Chiharu sistemò una ciocca di capelli che ricadeva davanti agli occhi, tornando a dare le spalle alla porta.
Coricata su un fianco, fissava il muro senza sbattere le palpebre.
La piccola parte di lei che voleva piangere premeva contro la pietra al centro del petto; ma non c'era niente da fare, quella pietra non si muoveva.


Mei impiegò un bel po' per trovare la stanza di Chiharu.
Stranamente le avevano assegnato una singola, anche se non era una di quelle lussuose, e per individuarla la ragazzina perse quasi un'ora. Era in un reparto strano, mezzo deserto, in un'ala lontana da tutto.
Chi me l'ha fatto fare?, si chiese stizzita, consultando la cartina che le aveva fatto un'impiegata dell'accettazione.
In pieno borbottio di protesta emerse lungo un corridoio spettrale. Un uomo era seduto da solo su una sedia, con una lattina di caffè e un giornale in mano. All'altro capo della stanza un altro uomo guardava fuori dalla finestra.
Per un secondo Mei fu certa che entrambi la squadrassero.
Con cautela arrivò in fondo al corridoio, fingendo di non sentirsi osservata. La stanza di Chiharu doveva essere lì; fuori da una delle tre porte sul lato sinistro vide un uomo anziano con un improbabile codino, e riconobbe subito il clan Nara.
«Chiedo scusa, è questa la stanza di Chiharu Nara?» chiese nervosamente.
«Sta ricevendo una visita importante in questo momento, ma l'hai trovata» rispose l'uomo. «Sei la figlia di Rock Lee, vero?»
«Sì. Mio fratello è ricoverato in un altro reparto e non può muoversi... Mi ha chiesto di fare un giro dell'ospedale per sapere come stanno i suoi compagni.»
«Anche a me piacerebbe sapere come stanno» borbottò Shikaku tra sé. «Se hai tempo possiamo aspettare insieme.»
Mei guardò nervosamente la porta: non aveva intenzione di perdere più di dieci minuti dietro a Chiharu Nara, ma il vecchio era cortese e non voleva offenderlo. Accettò l'offerta, sedendosi accanto a lui. Dalla porta chiusa provenivano voci smorzate.
«Questo che reparto è?» chiese Mei guardandosi intorno.
«La vecchia ala delle sale parto» rispose Shikaku. «Pensavo che ormai fosse caduta in disuso, invece funziona ancora» gettò un'occhiata di sottecchi alla fine del corridoio. «Anche se non ho visto altri pazienti... solo un paio di visitatori costanti.»
«In che senso?»
«Mi piacerebbe saperlo, credimi. Ci capisco sempre meno.»
Mei pensò che il signore cortese forse aveva qualche rotella fuori posto, ma non lo disse.
In quel momento le voci nella stanza di Chiharu si alzarono di volume, poi si riabbassarono, e infine la porta si aprì senza preavviso, lasciando uscire un Naruto dall'aria corrucciata.
«Shikaku, come si chiama il medico che è venuto a visitarla?» chiese subito, senza salutare né dare segno di essersi accorto di Mei.
«Senju, mi pare. Perché? Che sta succedendo? Nessuno mi dice niente...»
Naruto ebbe un'illuminazione. «Il pelato! Ah... Scusa, Shikaku, non posso dirti nien...» Naruto alzò lo sguardo e incrociò quello dell'uomo che guardava fuori dalla finestra, il quale si affrettò subito a spostarlo. L'altro, quello che leggeva il giornale, aveva cambiato sedia, e adesso era proprio di fronte a lui. «Li hai visti altre volte?» sussurrò Naruto, abbassando repentinamente la voce.
«Tutti i giorni. Ogni tanto cambia coppia, ma sono sempre in due. Non vengono a trovare nessuno.»
Naruto studiò il volto dell'uomo che cercava di nascondersi dietro al giornale. «Devo trovare Sakura...» mormorò dopo un istante. «Ci vediamo.»
Fece un cenno sbrigativo e si allontanò a passi lunghi, lasciando Mei e Shikaku.
«Vuoi provare a entrare?» chiese lui. Sospirò, perché ancora una volta non era riuscito a scoprire niente della salute di Chiharu.
«Non ne sono sicura...» disse Mei, facendo una smorfia. «Quante probabilità ci sono che Chiharu sia dell'umore giusto?»
«Quasi nessuna.»
«Ok, allora le chieda se posso entrare: dirà di no, ma Kotaro non potrà lamentarsi.»
E Chiharu disse di no, senza nemmeno un'esitazione. Mei ringraziò Shikaku, lo salutò e prese la strada del ritorno, tutto sommato sollevata: non aveva mai avuto confidenza con i compagni di squadra di Kotaro, perfettini e spocchiosi come erano, e soprattutto con la femmina del gruppo, che così poco aveva a che fare con lei; l'ultima volta che aveva parlato con Chiharu era stato alla sua festa di compleanno, e solo per dirle che se ne andava.
Attraversò di nuovo tutto l'ospedale, ritornando all'ingresso per imboccare le scale dirette all'ala vip. Lungo la strada riconobbe Jin, il figlio dell'Hokage, che prendeva uno snack a una macchinetta, il che le fece capire che quello sarebbe stato proprio il giorno degli snob; avendoci parlato al massimo un paio di volte non lo salutò nemmeno.
Salì altre due rampe, girò almeno tre angoli, e infine raggiunse quella che in teoria era la stanza di Hitoshi Uchiha.
Se lo sapessero le mie amiche, altro che invidia!, pensò, ferma davanti alla porta.
Fece un respiro profondo. Doveva solo entrare, chiedergli se stava bene e uscire. A Kotaro sarebbe dovuto bastare.
Alzò il braccio e bussò.


Questo manuale è rivolto agli eredi dell'eremita delle Sei Vie,
nella speranza che sia fonte di ispirazione per percorrere il retto cammino.
«Figli miei, non temete il futuro:
esso è già scritto nei vostri occhi, se saprete vedere.»
Queste sono le parole dell'eremita.
Fatene tesoro, eredi del rin'negan, e agite consapevolmente.

Non c'era firma.
La prima pagina del manuale segreto dello sharingan conteneva quelle poche righe ambigue, senza nessuna rivendicazione.
Ma anche senza nomi, Hitoshi, leggendole e rileggendole fino a conoscerle a memoria, sapeva che erano rivolte a lui.
Sfiorò con le dita la carta ingiallita e l'inchiostro riemerso dalla polvere. Sasuke aveva detto che quella pagina era sempre stata sbiadita e illeggibile, finché lui non aveva sviluppato il rin'negan. Non appena si era accorto della comparsa della dedica, Sasuke aveva capito che il figlio aveva bisogno del manuale, così era tornato in ospedale per portarglielo.
Hitoshi non avrebbe mai pensato di vedere quello sguardo sul viso di suo padre... Mai, almeno rivolto a lui: riconoscimento, orgoglio. Ammirazione.
Qualcun altro si sarebbe offeso perché venivano solo dopo il rin'negan, ma non un Uchiha. Per un Uchiha quello era il più alto dei riconoscimenti.
Hitoshi aveva sfogliato il manuale in lungo e in largo, cercando altre frasi misteriose, ma non aveva trovato niente.
Forse dipendeva dal fatto che era troppo confuso da ciò che aveva accompagnato la consegna: chissà cosa era passato per la testa di Sasuke in quei momenti, chissà cosa era scattato... Qualcosa di imponderabile, senza dubbio, forse la conseguenza dei pensieri che gli frullavano per il capo da quando qualcuno aveva detto che negli occhi di Hitoshi c'era qualcosa...

Dopo avergli dato il manuale, Sasuke era rimasto fermo accanto al letto, fissando Hitoshi. Per la prima volta, dopo il più grande, più stupido e più imperdonabile dei ritardi, si rese conto che lui e suo figlio erano uguali. Davvero uguali, al di là della somiglianza fisica, dell’atteggiamento, del cognome: nelle frustrazioni, nelle aspirazioni, solo ora Sasuke si riconosceva in Hitoshi con disarmante chiarezza.
In un certo senso ne fu confortato, quasi illuminato: tutte le volte che aveva avuto la tentazione di confessarsi, tutte le volte che aveva provato l'impulso di farlo, si riunivano in quel minuscolo momento imprevedibile.
Allora prese un respiro profondo.
Inspirò, abbassò lo sguardo su un punto neutro del pavimento, e senza volerlo si irrigidì. Era come liberarsi di nuovo del sigillo di Orochimaru... ugualmente faticoso e doloroso. Ma necessario. Con una mano andò a sfiorare il collo.
«Hitoshi...»
Il ragazzo smise di sfogliare il manuale; l’aria era cambiata.
«Ci sono alcune cose... molte cose che devo raccontarti. E devo farlo adesso. Vuoi ascoltarle?»

Era stato un racconto lungo e complesso.
Alcuni avvenimenti Hitoshi li conosceva già, perché erano scritti su tutti i libri di storia contemporanea; altri, invece, non glieli aveva detti nessuno.
Dalle labbra di Sasuke aveva appreso la sua versione degli ultimi trentacinque anni di Konoha: il tradimento di Itachi, lo sterminio degli Uchiha, l'inseguimento e il tradimento di Sasuke. Aveva conosciuto dettagli che erano rimasti nascosti per volere di Tsunade - o, più probabilmente, per mediazione di Naruto – aveva saputo cosa aveva fatto Sasuke mentre era insieme a Orochimaru e al gruppo del Falco, aveva saputo di Akatsuki e di Madara.
Poi, soprattutto, aveva saputo cosa era successo al suo rientro. Aveva saputo di Sakura e Naruto.
Quella era stata la parte che più lo aveva disarmato, anche perché in diciotto anni di vita non gli era arrivato mai neanche un accenno. Era la parte che davvero non riusciva a spiegarsi.
Come poteva Naruto essere ancora amico di Sasuke e Sakura? Come poteva aver accettato lui come allievo, sapendo che il figlio di Sakura, secondo i piani, sarebbe dovuto essere anche suo? Come diavolo riusciva a guardare in faccia Sasuke e non provare ogni volta il desiderio di farlo a pezzi?
Se una cosa del genere fosse successa a Hitoshi, non ci sarebbe stato nessun perdono. Mai. Pensò fugacemente a Chiharu, ma poi si ritrovò a ripensare ai suoi genitori e a Naruto, senza capacitarsene.
Alla fine del suo discorso Sasuke non aveva chiesto cosa ne pensasse. Lo aveva lasciato riflettere da solo, rigirandosi per le mani il manuale segreto sullo sharingan, e Hitoshi nemmeno sapeva più da quanto andasse avanti.
Almeno finché Sakura non era entrata di colpo, senza bussare.
Hitoshi trasalì, lasciando scivolare il libretto per terra. Gli sguardi di madre e figlio si incrociarono senza volerlo, e in un attimo fu chiaro che entrambi sapevano del discorso di Sasuke.
Calò il gelo.
«Sono... Sono venuta a vedere come stai» iniziò Sakura, richiudendo la porta lentamente.
«Bene.»
Silenzio.
«Posso visitarti?»
Hitoshi annuì. Non sapeva cosa dire. Non si era ancora fatto un'idea, era troppo fresco... Perché non gli aveva lasciato più tempo?
Sentì le mani di Sakura che tremavano mentre gli sollevava le palpebre per illuminare la pupilla. Quasi poteva sentire il battito del suo cuore, l'odore della paura. Poteva immaginare piuttosto bene Sasuke che la incontrava e le diceva di avergli parlato. Conoscendola, forse pensava persino che fosse rimasto sconvolto da quello che aveva sentito di loro.
Cosa che, si accorse all'improvviso, non era vera.
Non era il tradimento di Sakura e Sasuke ad averlo turbato... Era la reazione di Naruto.
Sua madre e suo padre erano... sua madre e suo padre. Non sarebbe potuta andare diversamente, perché altrimenti lui non sarebbe esistito, e la cosa era al di fuori della sua capacità di comprensione. Ciò che lo lasciava sbalordito era che Naruto li chiamasse ancora amici, che combattesse al loro fianco, che istruisse i loro figli... Ma loro due, loro erano inevitabili.
Sakura abbassò le mani alla fine della breve visita, senza fingere di avere qualcosa da dire al riguardo.
«Tu e tuo padre avete parlato...?» domandò esitante, seduta sul letto accanto a lui.
«Sì» rispose Hitoshi dopo un attimo di silenzio.
«Ti ha... raccontato tutto?»
«Sì.»
Altro silenzio.
Lei non aveva il coraggio di chiedere, lui forse non sapeva ancora cosa dire.
«Be-bene...» balbettò Sakura, torcendosi le mani.
«Mamma» chiamò Hitoshi, facendola quasi sussultare. Tentennò per un lungo secondo, ma poi continuò, con voce bassa e sicura: «Io resto della mia idea. Sono orgoglioso di ciò che sono e del cognome che porto.»

Perdono, perdono... Finalmente il perdono.

Sakura sorrise lentamente; le sue labbra si distesero come un nodo che si scioglie dopo tanto tempo, facendo un po’ di pieghe, un po’ in tensione, infine respirando libere. Sentì gli occhi pizzicare, come tante volte davanti agli Uchiha, ma con un respiro profondo trattenne le lacrime.
Sbatté le palpebre, tirò su con il naso, si ricompose. Tese le braccia e strinse Hitoshi come quando era piccolo, come non accadeva da tempo. Lui fu certo di averla sentita soffocare un singhiozzo.
Poi si staccò, asciugandosi velocemente gli occhi.
«I tuoi esami sono buoni, e ci sono un po' di persone che stanno smaniando dalla voglia di vedere cosa riesce a fare il rin'negan» disse. «Penso che potremo dimetterti tra domani e dopo, giusto il tempo di aspettare gli ultimi risultati.»
«Davvero?» esultò Hitoshi. «Jiraya deve saperlo... Ha promesso di farmi leggere gli appunti che ha sul rin'negan.»
Sakura fece una smorfia al pensiero di Orochimaru che scriveva cose oscure su pergamene misteriose, ma non glielo proibì. Si limitò a prendergli una mano, smettendo di sorridere.
«Fai attenzione. Non credere a tutto quello che ci sarà scritto, fidati sempre del giudizio di Jiraya.»
Hitoshi fece per rispondere da vero gradasso Uchiha, ma fu interrotto da un bussare quasi impercettibile.
«Chi è?» chiese Sakura, voltandosi di scatto.
La porta si aprì appena appena, lasciando emergere una testa di capelli neri a un'altezza ben più bassa delle aspettative.
«Ehm... Mei Lee» borbottò una vocina.
«Cercavi me?» Sakura si alzò in piedi, andando ad aprire la porta. «E' per Kotaro?»
«No no, io veramente...» Mei si schiarì la voce, che era risalita in maniera imbarazzante. «Quel cretino di mio fratello sta facendo impazzire mia madre perché non vuole stare in ospedale. Allora mi ha mandato in giro a vedere come stanno i suoi compagni. Così la smette di rompere. Forse.»
«Sono tornati?» sbottò Hitoshi. «Mamma, i ragazzi sono tornati e non me l'hai detto?»
«Non me l'hai mai chiesto» svicolò Sakura. «Avevi altro a cui pensare...»
«Kotaro è ricoverato? Anche Chiharu?»
Sakura si schiarì la voce rumorosamente, impedendo a Mei di rispondere.
«Chiharu aveva solo ferite superficiali, è tornata a casa. Tu e Kotaro, invece, è meglio se vi muovete il meno possibile finché non daremo il via libera. Non farmi cambiare idea sulle tue dimissioni.»
Mei fissò Sakura senza sapere cosa pensare. L'enormità della bugia della signora Uchiha la metteva in imbarazzo, anche perché sapeva di aver usato il plurale quando aveva detto che Kotaro l'aveva mandata a cercare i suoi compagni. Se Hitoshi l'avesse messa alle strette come si sarebbe dovuta comportare?
«Se sta per essere dimesso posso dire a Kotaro che sta bene?» tentò di troncare.
«Mamma, sai che sto bene. Posso andare a trovare almeno Kotaro? Saranno due piani di scale. Con l'ascensore» la ignorò Hitoshi. Aveva avvertito una piccola fitta di risentimento all'idea che Chiharu fosse a casa da un po' e non lo avesse cercato.
«E' meglio di no, Kotaro ha bisogno di molto riposo. Ossa rotte. Tante. Vero Mei?»
Mei cercò di rendersi invisibile, sprofondando nell'imbarazzo. Perché l'avevano messa in mezzo?
«Sakura!»
Tutti sobbalzarono per la sorpresa. Sulla porta rimasta aperta, ma evidentemente mai vuota quel giorno, era comparso all'improvviso Naruto, e a giudicare dalla ruga tra le sue sopracciglia non era lì per una visita di cortesia.
«Sakura, devo parlarti subito. Vieni con me» disse.
«Solo un momento, devo...» esitò lei, fissando Mei con apprensione.
«No. Subito.»
Sakura spostò lo sguardo su Naruto. Poi, istintivamente, su Hitoshi. Si sentì a disagio, ora che il figlio sapeva tutta la storia, e dovette schiarirsi la voce.
«Spero che sia davvero importante...» mormorò tra i denti. «Mei, torna da Kotaro. Hitoshi, se scopro che sei uscito dal letto ti dimetto tra un anno!»
Naruto la lasciò passare e richiuse la porta.
Mei si schiarì la voce, ritrovandosi a pensare ancora una volta all'invidia delle sue amiche se avessero saputo che era sola con Hitoshi Uchiha.
«Allora io vado» disse in fretta, sgusciando verso l'uscita.
«Mei.»
Si fermò.
Hitoshi la fissò, lei fissò lui. Se l'Uchiha fosse stato tipo da sorridere falsamente lo avrebbe fatto; invece rimase serio, ma le indicò la sedia accanto al letto.
«Resta ancora un po'. Raccontami come stanno Kotaro e Chiharu... Come hai appena visto, io sono obbligato a stare qui.»
«Dovrei tornare da mio fratello...»
«Dai, cinque minuti.»
Mei deglutì.
Oh, maledizione alle amiche che le avevano riempito la testa su quanto fosse figo il rampollo Uchiha!


Naruto camminava come se avesse sotto i piedi un esercito di scarafaggi da schiacciare.
Senza fornire una parola di spiegazione portò Sakura fino all'ultimo piano per raggiungere la terrazza dell'ospedale.
A quel punto, finalmente, si girò a guardarla.
«Che stai combinando con Chiharu?»
Sakura si irrigidì visibilmente.
«In che senso?» tergiversò.
«Perché è in quella stanza lontano da tutto? Perché gli Anbu la sorvegliano? Perché un medico le ha detto che non può più essere ninja e io non ne sapevo niente?»
Sakura si costrinse a fare un respiro profondo, rilassando le spalle.
«Perché, Naruto, se te lo avessi detto avresti fatto casino.»
«Cosa? Di che cazzo stai parlando? Metti sotto sorveglianza uno dei miei ragazzi senza dirmelo, e il casino lo farei io?» sbottò Naruto.
«Come hai sempre fatto!» replicò Sakura, alzando la voce. «A partire da Sasuke.»
«Ma che c'entra Sasuke adesso?»
«E' proprio perché c'entra, se non ti ho detto niente!» sbottò lei. «Vuoi sapere perché ho messo Chiharu sotto sorveglianza? Perché è da sorvegliare, e da interrogare, e forse dovrà anche essere trattenuta, se non peggio. Tu ricordi con chi andava in giro prima di andare in missione a Suna, vero? Era anche al suo compleanno... Era ovunque insieme a lei.»
Naruto spalancò la bocca. «Tu pensi che Chiharu lavorasse con Yoshi
«Non ho detto questo. Non ancora» Sakura si passò una mano sul viso. «Ma non può non sapere qualcosa, è impossibile che non si sia mai accorta di niente...»
«Chiharu? Non ha senso. E' la figlia di Shikamaru. E' cresciuta con noi!»
«Anche Sasuke era cresciuto con noi.»
Naruto fece un gesto di esasperazione. «No. Non è possibile. E' arrogante, individualista e cretina, ma non è una traditrice. Me ne sarei accorto, Sakura! E' la mia allieva.»
«Nemmeno Kakashi si era accorto...»
«Sì invece, e lo sai. Sperava che Sasuke non scegliesse Orochimaru, ma aveva sempre temuto che potesse succedere. Chiharu non è così, andiamo! Lei non ha alle spalle la storia di Sasuke, non ha ragioni per odiarci.»
Sakura scosse la testa. «Sei proprio sicuro? Quella ragazza è sempre stata per i fatti suoi... Davvero sai cosa le passa per la mente?» Naruto serrò le labbra, ripensando all'evocazione rimandata indietro, ma Sakura continuò, senza lasciargli il tempo di ribattere. «Da quando Chiharu ha indossato quel coprifronte ci ha causato più guai che altro. Non ascolta nessuno, mai. Per causa sua Hinata è quasi morta, cinque anni fa!»
«Sakura, piantala. Aveva tredici anni, non sapeva quel che faceva...»
«Non lo sa neanche adesso, è proprio questo il problema!» Sakura sbuffò. «Ho chiesto a uno dei miei migliori medici di occuparsi di lei... Non hai idea di come si è conciata; le sue analisi fanno venire i brividi. Chiharu non ha rispetto nemmeno per il suo corpo, perché dovrebbe averlo per Konoha? L'unica cosa che le interessa è essere la prima, la più forte. E questo è pericoloso.»
Naruto scosse la testa, ma intimamente vacillò. Era vero che Chiharu era ossessionata dall'idea di essere forte, ma fino a che punto lo era? Avrebbe accettato le promesse di uno come Orochimaru, se gliele avessero fatte? Avrebbe accettato l'aiuto di uno come Yoshi...
«No. Non è vero che le interessa soltanto essere la più forte» insisté. «Lei è già convinta di esserlo, come tuo figlio e Kotaro. Non si sarebbe messa dalla parte di Yoshi sperando in qualche stupida tecnica segreta...»
Sakura lo interruppe subito. «Tutte supposizioni, Naruto. Tu hai un debole per i ragazzi della tua squadra, non sei oggettivo quando ne parli. Non lo eri nemmeno con Sasuke, non lo ero io né lo era Kakashi. Per questo me ne sono occupata da sola, senza coinvolgerti: dobbiamo capire come si comporta Chiharu adesso che è tornata. Voglio vedere se cercherà di contattare Yoshi, come reagirà sapendo della sua cattura... Sospetto che c'entri qualcosa, ma non so cosa, e voglio scoprirlo.»
Naruto rimase in silenzio. Avrebbe tanto voluto parlare con Kakashi per fare un po' di chiarezza tra i suoi pensieri, ma il maestro era ancora in rianimazione. Forse poteva parlarne con Sasuke? Ma come affrontare il discorso dei suoi anni da traditore?
«Dobbiamo richiamare Shikamaru» disse torvo.
«No.»
«E' sua figlia!»
«Lei ha chiesto espressamente che non sapesse niente delle sue condizioni» sospirò Sakura. «Lo vedi che agisce senza pensare? Comunque preferisco che sia sola, se posso scegliere. Ho bisogno di vedere cosa fa senza che la gente cerchi di coprirla» scoccò un'occhiataccia a Naruto. «Ho bisogno che tu non ti intrometta. Ho bisogno che ti fidi di me.»
Lui rimase immobile, la testa piena di idee confuse. L'ipotesi che uno dei suoi ragazzi potesse averli traditi lo faceva sentire come se anche lui avesse contribuito.
«Non toglierò la sorveglianza a Chiharu» riprese Sakura, vedendo che non obiettava.
«Shikaku se ne è accorto.»
«Gli dirò che la stiamo proteggendo nel caso in cui qualche fuggitivo della nuova Radice cercasse vendetta. E gli dirò anche di non avvisare Shikamaru, per volontà di Chiharu. Se vuole potrà occuparsi di lei in persona, per quanto glielo permetterà.»
«Sakura... Lo stai facendo davvero?»
«Lo stiamo facendo, Naruto. E' il nostro dovere come Hokage. Kakashi si sarebbe comportato nello stesso modo.»
Calò il silenzio.
Naruto non si sentiva così lontano da Sakura almeno da diciotto anni. Forse gli faceva più male l'idea che lei sospettasse di Chiharu, che l'idea che Chiharu fosse una traditrice.
«E a proposito di dovere...» Sakura si schiarì la voce, incrociando le braccia sul petto. «Dobbiamo decidere cosa fare di Akeru Baka.»
«Perché?»
«Perché ha disonorato l'intera squadra medica firmando quel contratto di custodia. Non aveva neanche letto la cartella clinica di Chiharu... Come membro del consiglio disciplinare non posso permettere che un tale cretino sia tra le fila delle mie squadre.»
«Non è un problema di voi medici?»
«Per togliergli la carica ho bisogno del tuo sigillo.»
«Vuoi davvero degradarlo a shinobi semplice?»
«Nella migliore delle ipotesi è talmente innamorato di Chiharu che le avrebbe firmato qualunque cosa; nella peggiore è anche lui complice di Yoshi...»
Naruto fece una smorfia. «Non credo proprio: tutti i maschi intorno a Chiharu hanno sempre detestato Yoshi... Smettila di vedere complotti ovunque.»
«E va bene, diciamo che non c'entra con Yoshi; resta il fatto che non voglio tra i miei un medico che si fa manipolare dalle pazienti che gli fanno vedere mezza coscia.»
Naruto dovette ricordare a sé stesso che aveva promesso di aiutare Baka, perché il primo impulso fu di lasciarsi andare a un commento da camerata maschile, e sarebbe stato controproducente. «Io penso che lo avrebbe fatto solo con Chiharu» disse. «Invece di rovinargli la vita, puniscilo clamorosamente e tienilo sospeso due mesi... O lascia decidere a Gaara. Dopotutto quel contratto è una cosa della Sabbia.»
«Ma così dovrei fargli sapere che Chiharu è ricoverata, e se lo faccio violo l'accordo di riservatezza che ha firmato. E comunque ho in mente un altro lavoro per Akeru, dove potrà fare molti meno guai: pensavo di mandarlo da Morino. Ricordi? Abbiamo bisogno di gente che faccia gli interrogatori.»
«Seriamente? Ne sarà in grado?»
«Te l'ho detto, nei test è stato tra i migliori.»
«E se provassi a parlarci io?»
«Smettila di difendere tutti gli allievi, Naruto!» esclamò Sakura esasperata.
La porta della terrazza si spalancò di colpo, facendo trasalire entrambi.
«Trovati!» esclamò Konohamaru, ansante. «E' successo!»
«Cosa?»
«Hitoshi?» trasalì Sakura.
«No... La Roccia. Abbiamo appena ricevuto la loro dichiarazione di guerra.»




In conseguenza dell'atroce massacro della Fortezza di Anka,
durante il quale una squadra di shinobi della Foglia,
in piena violazione degli accordi,
ha sgozzato e pugnalato la famiglia del dignitario locale,
Noi Paese della Roccia
prendiamo il titolo di parte lesa
e dichiariamo ufficialmente guerra al Paese del Fuoco.








* * *


Cari lettori e lettrici,
perdonate la mia lunga assenza da queste pagine.
Come anticipato nell'ultimo aggiornamento
avevo trovato un lavoro troppo impegnativo,
al punto che non sono più riuscita a scrivere né a pubblicare qualcosa.
Per fortuna adesso mi sono liberata di quel lavoro,
tornando ai ritmi che mi sono più consoni,
e sono di nuovo qui per raccontarvi di Naruto e dei mocciosi.

Presentandomi con una bella bomba.

Sì, mi ero interrotta in un punto piuttosto critico.

Ancora una volta vi ringrazio per la pazienza e la dedizione
che dimostrate a questa storia.
Siete voi il vero carburante che la porta avanti.
Scusate se sono così inadeguata come avantreno.


Susanna


  
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