Holmes
sbatté violentemente la porta dei suoi appartamenti dietro
di sé con un verso
di rabbia e frustrazione, gettando a terra il bastone da passeggio e la
sciarpa
attorno al collo. Dio quanto avevano litigato! Sentiva ancora la sua
voce nelle
orecchie, il suo sguardo carico d’ira e allo stesso tempo la
paura che aveva
provato nel notare quanto fosse stata grande la sua convinzione.
Non
riusciva a crederci, dannazione, non poteva essere vero! Non riusciva
nemmeno a
stare fermo, sentiva l’impulso di rompere qualcosa, di far
saltare tutto, di
distruggere ogni singolo oggetto ci fosse in quella stanza…e
ne avrebbe avuto
di che stancarsi visto che ormai non sapeva più cosa avesse
accumulato in
quegli anni.
Allo
stesso tempo, si sentiva a pezzi, abbattuto, vuoto, come se gli
avessero tolto
le energie e gli scopi sufficienti per vivere per andare avanti, per
farsi
strada in quelle miriadi di cloache nascoste e pullulate da persone di
ogni
tipo, della Londra malsana, corrotta e in decadenza.
Gli
venne un verso di scherno, se quel dannato dottore pensava che sarebbe
riuscito
a toglierselo dai piedi così, solo presentandogli una
donnetta qualunque che,
nonostante i bei vestiti e la famiglia d’alta classe, poteva
benissimo
trattarsi di un’altra puttana attaccata solo ai soldi, si
sbagliava di grosso.
Non
aveva ancora imparato a conoscerlo fino in fondo, vero? Beh gli avrebbe
fatto
cambiare idea, gli avrebbe fatto vedere cosa voleva dire stargli
lontano…anzi
no, sarebbe stato molto più semplice. Ben presto il caro
Watson si sarebbe reso
conto che non poteva stare senza di lui, perché
era ovvio, palese, al più scontato e Holmes sapeva bene che
per quanto il suo
collega tentasse di affermare il contrario, non ci sarebbe stato nulla
che
avrebbe tenuto, o giustificazioni sufficienti per affermare il
contrario.
Era
indissolubilmente legato a lui, senza alcun dubbio, presto si sarebbe
reso
conto che quella, come diavolo si chiamava, non era la giusta per lui,
come
nessun altra lo sarebbe stata d’altronde, e senza remore o
indugio sarebbe
tornato da lui come sempre….come sempre…
Sì?
Vero?
Forse…
Accidenti…le
due settimane successive perso nella più totale apatia e
rinchiuso dentro a
quelle quattro mura però avevano cominciato a fargli
cambiare idea, piano piano,
facendolo sprofondare sempre di più, rendere vulnerabile,
insicuro, e anche a
chiedersi se avesse fatto bene a comportarsi così a quella
cena che alla fine
per Watson era importante.
Insomma
l’aveva invitato perché, oltre che colleghi, erano
anche amici in un certo qual
modo, quindi aveva cercato di fargli capire che gli avrebbe fatto
piacere poter
avere il suo parere sulla donna che avrebbe dovuto sposare.
Mentre
lui, come al solito, aveva dato sfoggio del suo meglio, o peggio a
seconda dei
punti di vista, non solo rimanendo completamente nella parte
dell’insopportabile, viscido e anche inopportuno, forse
segnando
definitivamente il loro rapporto.
No,
diamine, non poteva essere così! C’era ancora
quella lieve speranza in lui che
quella porta si sarebbe aperta e non avrebbe visto la classica ombra di
Mrs
Hudson, che tutti i giorni tentava di entrare per pulire, oppure per
fargli
mangiare qualcosa di decente, ma quella alta e piazzata del suo
collega, il suo
dottore…il suo amico.
Invece
la polvere continuava ad accumularsi ovunque, sugli scaffali, sugli
armadi, sui
mobili, sul pavimento, ricoprendo di grigio ogni angolo visibile,
rendendo
l’ambiente praticamente irrespirabile e umido, ammuffito
anche dalla scarsa
luce e aria che non entrava mai dalle uniche due finestrine presenti,
inevitabilmente chiuse.
Una
mattina uggiosa e cosparsa di nuvole che annunciavano solo pioggia, si
sentii
il cigolare della maniglia e la voce nasale della cameriera
nonché proprietaria
entrò con un vassoio pieno di caffè,
thè, qualche pastiglia per mal di testa o
dolori ossei, uova e bacon e toast appena sfornati.
“Signor
Holmes? Buongiorno!” disse allegra come cercava sempre di
essere anche se ogni
giorno di più tendeva a perdere la pazienza con tempi sempre
più brevi e non
riuscii nemmeno ad arrivare alla poltrona dove
l’investigatore vi era
sprofondato perché lanciò un urlo nel vedere quel
povero cane, nemmeno suo ma
di Watson, steso a terra con mezza lingua fuori.
“Oh
santo cielo! Ma questo cane è morto! Holmes, non poteva
dirmelo prima che me ne
sarei liberata? Porta malattie e fa anche una discreta puzza!”
Holmes
si rigirò nella poltrona scocciato, odiando ormai
profondamente quella donna,
la sua civetteria e la voce che gli trapanava i timpani, e tutte le sue
prediche
sul fatto che non mangiava, che non si cambiava, non usciva, non la
lasciava
pulire e nemmeno toccare un singolo oggetto nella stanza e tutto il
resto.
“Si
calmi signora! Il cane non è morto! E’ solo
sedato..sa esperimenti del mestiere
e se non le dispiace vorrei tornare a dormire!” rispose con
astio udibile
guardando la donna nello stesso modo.
Lei
si fermò dopo aver appoggiato il vassoio con un
po’ di fatica sul tavolo di
mogano, ricolmo anch’esso di ogni cianfrusaglia e gli
restituì lo sguardo con
le mani sui fianchi.
“Beh
sa che le dico invece? Se lei adesso non si da una pulita, non esce, e
non mi
lascia fare il mio lavoro io la faccio uscire di qui a forza e con
ciò intendo
dire che dovrà cercarsi un altro appartamento, mi ha
sentito? Soprattutto la
smetta di suonare quel dannato violino alle tre di notte, il resto dei
coinquilini si è già lamentato anche troppo, e
non faccia più prove di spari
qua dentro! L’altra mattina ho perso due famiglie per le sue
trovate, perché si
erano spaventate dopo aver sentito odore di polvere da sparo e qualcosa
di
acido…e sempre per causa sua i clienti sotto di lei anno le
crepe nel soffitto
perché dicono che scende roba liquida da sopra che rompe
tutto quanto, le
sembra normale?”
“Mhh
ma no la smette mai di parlare lei?” la interruppe un istante
coprendosi
entrambe le orecchie con i cuscini e gli occhi con un braccio.
“Sono
stufa di tutto questo, non mi sono mai dovuta preoccupare per la retta
perché
ha sempre pagato, anche se non capisco dove trovi i soldi per farlo, ma
devo
tenere conto anche della buona convivenza con gli altri clienti e
famiglie e mi
dispiace doverlo dire ma lei qui non può starci se non si da
una regolata una volta
per tutte!” sbottò ancora, con lo stesso cipiglio
iniziale e le mani ancora sui
fianchi.
Holmes
sbuffò, odiava anche il modo in cui parlava, poi non si
fermava mai, in un
certo senso era persino peggio di lui con le parole, ma non gliene
fregava
niente. Avrebbe anche potuto buttarlo fuori che non sarebbe cambiato
nulla,
quello era solo uno dei tanti posti in cui avrebbe potuto essere in
quel
momento.
Quello,
quest’altro, un pub, una locanda…erano tutti
uguali, non avevano importanza.
“Mrs
Hudson ci penso io…grazie per la sua pazienza”
disse improvvisamente una voce
che lo fece ritornare in sé, tolse il braccio dal volto e
allungò solo un po’
il collo per controllare che non fosse la sua immaginazione a giocargli
brutti
scherzi.
“Oh
fortuna che è arrivato lei dottore! Lo faccia ragionare o
entro sera lo butto
fuori, parola mia!”
“Sì
certo…vada ora…grazie ancora”
Era
lui! Ahah, era tornato! Lo sapeva, l’aveva sempre saputo,
anche se un
po’ in ritardo rispetto al previsto.
Era
vestito con il suo classico completo grigio, elegante, la bombetta in
mano
appena tolta, il bastone sotto l’ascella che aveva appoggiato
sull’entrata e
l’espressione contrariata, scettica e quasi arrabbiata allo
stesso tempo di
quando parlava con lui o lo guardava. Sì era decisamente il
solito.
Holmes
fece finta di niente, evitando di guardarlo direttamente, tanto sapeva
che gli
avrebbe detto che gli dispiaceva, che non avrebbe voluto comportarsi
così, che
era stato insensibile e poco educato far quella cena e dirgli che si
sarebbe
sposato perché sapeva che invece non l’avrebbe mai
fatto……
“Si
può sapere cosa sta facendo?” cominciò
distruggendogli le aspettative.
“Si
guardi è….è un disastro! Che diavolo
è successo qui dentro? E….ehh cosa ha
fatto ancora la mio cane? Dio Holmes non può comportarsi
come tutte le persone
normali per una volta? Andiamo si alzi, si vesta, la porto al circolo,
almeno
vedrà un po’ di gente e poi…diamine,
apra la finestra non si respira qui
dentro!”
No
forse non era proprio quello che si era aspettato ma almeno era
lì, gli stava
parlando, sgridando a voler essere precisi, e questo gli piaceva.
“Non
è con la sua donna dottore? Perché preoccuparsi
di me?” rispose con palese
vittimismo, evitando il discorso del collega.
Watson
alzò gli occhi al cielo, roteandoli, mentre aprì
le tende facendo entrare
quella poca luce che proveniva dall’esterno, così
come le ante delle finestre
in modo che un pò d’aria fredda rigenerasse
l’interno e lo rendesse più
vivibile.
Sapeva
perfettamente perché Holmes si stava comportando
così anche se, forse, nessuno
dei due l’avrebbe mai ammesso verbalmente, ma era talmente
ovvio, dai gesti,
dagli atteggiamenti e dagli sguardi che tutti e due non erano altro che
stupidi
che continuavano a girare intorno a un qualcosa che prima o poi
avrebbero
dovuto affrontare.
Watson
era consapevole che tutta quella scena proveniva ancora da quella
fatidica cena
che, si era reso conto, non avrebbe mia dovuto organizzare. Holmes era
geloso,
voleva che lui non fosse di nessun altro e quella notizia del
matrimonio doveva
averlo sconvolto per bene.
Ma
un motivo c’era, o almeno il dottore, aveva cercato di
utilizzarla come scusa
per convincere se stesso ma anche per avere un contatto con la
normalità, visto
che a stare praticamente sempre con lui c’era da impazzirne
sul serio.
Se
avesse sposato Mary almeno si sarebbe fatto un nome, preso un posto
nella
società “normale”, il suo lavoro
già gli fruttava parecchio rispetto e denaro e
costruirsi una famiglia con una figlia ricca e di alta classe non era
di certo un’opportunità
che un qualsiasi uomo per bene avrebbe disdegnato.
Ma
già dal primo momento in cui si erano seduti a tavola aveva
capito che sarebbe
finita male, che non sarebbe più riuscito a liberarsi di
quella tortura, di
quel “legame”, che non avrebbe potuto farne a meno
e, per quanto avesse tentato
di stargli lontano per due settimane, anche se una parte ce
l’aveva messa la
rabbia provata dopo quell’incontro, non ce l’aveva
fatta e il problema era che
era disposto a perdonarlo, come sempre.
“Senta veda di finirla con questa
storia! Se ne
faccia una ragione. Mary diventerà mia moglie e lei la
smetta di comportarsi
come un bambino capriccioso! Si sta mettendo in ridicolo e
lì fuori ci sono un
sacco di casi che farebbero al caso suo”
“Nostro!”
“Suo!”
“Nostro..”
Watson
sbuffò guardandolo scettico “ Mi sto trasferendo,
non potrò più aiutarla nel
suo lavoro”
“Ahh
questa è bella, certo me la racconti un’altra
volta!” ribatté alzandosi,
barcollando leggermente per poi arrivare al vassoio e versarsi una
tazza di
caffè.
“Non
sto scherzando”
“Mh..”
tolse la tazza dalle labbra “..no nemmeno io!”
asserì con il suo solito sguardo
sornione, ironico e beffardo allo stesso tempo e Watson si
ritrovò a sospirare,
sia perché stava perdendo la pazienza ma perché
si rese conto che gli stava
succedendo di nuovo.
Tutte
le volte era sempre la stessa storia. Holmes gli faceva capire di aver
bisogno
di lui, e così era: lui c’era, battibeccavano quel
po’, ma poi il dottore
capitolava non riuscendo a fare altro che assecondarlo.
Era
più forte di lui e, allo stesso tempo, aveva già
capito da troppo tempo di
essere in totale balia di quell’uomo, che mai nella sua vita
sarebbe più
riuscito a toglierselo dalla testa, che non gli avrebbe mai detto di no
e che
quando avrebbe avuto bisogno ci sarebbe sempre stato.
Come
ora, che cercava in tutti i modi di apparire indifferente, senza
necessità di
aiuto, il solito investigatore sbruffone dalle menate facili, i
ragionamenti
sempre lucidi e perfetti, l’intuito impeccabile.
Invece
sotto ci vedeva perfettamente quella parte fragile che solo quando
erano
insieme si colmava, come la mancanza reciproca che dopo solo poche ore
diventava quasi insopportabile.
“Non
mi mandi la partecipazione, mi raccomando!”
Non
aveva nessuna intenzione di andarci e comunque non ci sarebbe stato
nessun
matrimonio, Watson doveva essere solo suo, erano una cosa sola,
indistruttibili, una vera forza e non l’avrebbe lasciato a
nessuna sciacquetta
borghese.
“Holmes
ne abbiamo già parlato! E’ inutile che continui a
usare la scusa del
matrimonio! Starà benissimo anche senza di me!”
gli costarono oro quelle parole
ma era l’unico modo che aveva per riuscire a convincersi che
stava facendo la
cosa giusta e che per vivere nella normalità doveva
assolutamente allontanarsi
da lui.
I
loro sguardi s’incrociarono un istante, in silenzio,
affrontandosi. Gli unici
che potevano esprimere la verità. Per uno erano
completamente false quelle
parole, per l’altro era palese che fosse così
perché bastava guardare come si
era ridotto lui stesso e quel posto dopo solo dei giorni di non averlo
avuto la
suo fianco, con il terrore poi di perderlo davvero se quella proposta
fosse
andata in porto.
Watson
lasciò cadere le braccia lungo i fianchi con un gesto
stanco, anche perché
quello sguardo lo lasciava sempre a pezzi, incapace di fare o dire
altro e
senza remore ci ricadeva per la gioia dell’altro che otteneva
quello che voleva
e la vittoria, ma anche per se stesso perché, alla fine, era
quello che anche
lui voleva.
“Mi
dica cosa fare allora! Non è lei il dottore? Magari sono
malato, ho preso una
brutta malattia e non posso più uscire da qui!”
ribatté mentre il collega
cominciò a scuotere la testa con un mezzo sorriso
avvicinandosi a lui e
togliendogli la tazza di mano per appoggiarla di nuovo sul vassoio.
“La
pianti! Lei sta terribilmente bene, non ha niente che non va”
In
un attimo si ritrovarono sulle labbra dell’altro, con un
sollievo crescente nel
petto, la sensazione di oppressione provata da entrambi nei giorni
precedenti
cominciò a scemare lentamente e appena si resero conto che
stava accadendo di
nuovo si afferrarono per le spalle e la schiena, approfondendo il
contatto
mentre Holmes lo spinse fino al letto, inutilizzato da giorni, su cui
caddero
continuando a rimanere assiduamente attaccati.
Era
così che doveva essere. Nessuna Mary, Sarah, Julia,
Stephanie o qualsiasi altra
sarebbe mai stata nella vita del suo dottore. Quel corpo era suo, come
quegli
occhi, quelle labbra, quella voce e gliel’avrebbe fatto
capire in un modo o
nell’altro.
Continuarono
a rigirarsi portandosi dietro l’uno o l’altro in
moto vorticoso mentre le
lingue esploravano le reciproche bocche, la foga del bacio aumentava e
diminuiva quando dovevano riprendere fiato, mentre
all’interno dei pantaloni
qualcosa già non andava e Holmes si fermò
improvvisamente lasciandolo sotto di
sé e bloccandogli i polsi con le mani.
“Lo
sa che dovrebbe smetterla di trattarmi male?” disse con
ironia e senso ambiguo.
Watson
alzò un sopracciglio, il respiro accelerato e
l’unico desiderio che andasse
avanti “Lei invece dovrebbe smetterla di essere
così prevedibile!”
ribatté.
L’altro
si mise a ridere per poi annuire “Giusta osservazione
Watson!”
Cercò
di riportarselo contro per riavere le sue labbra, ma la posizione
imprigionata
in cui lo teneva non glielo permise.
“Non
parli diamine, faccia quello che deve!”
Per
Holmes non fu che un semplice invito perché aveva
già tutta l’intenzione di
renderlo completamente sottomesso e sotto al suo controllo, infatti non
ci
volle niente per entrambi cominciare ad ansimare, poi gemere
profondamente
quando la presenza dell’investigatore si fece sentire
all’interno del collega,
spingendo a fondo e sfregando piano il membro turgido
dell’altro con una mano
che sentiva il bisogno di venire in essa, di sentirsi parte di lui.
Quei
fugaci incontri erano l’unica cosa che li rendeva
completamente estranei a
tutto il resto, che facevano capire a Watson che fino in fondo non
avrebbe mai
potuto amare realmente una donna anche se l’avesse spostata
perché l’unico che
voleva era solo quel pazzo, fuori di testa che però lo
rendeva terribilmente
lucido, e ad Holmes che nessuno sarebbe mai stato così
importante nella vita
del suo dottore come lui.
Non
dissero altro per il resto dell’amplesso, troppo impegnati a
tentare di
continuare a respirare, il fiato quasi ridotto a zero, gli ansiti
sempre più
frequenti e un po’ troppo rumorosi…se fosse
entrata la cameriera sarebbe stata
la ciliegina sulla torta, ma i due corpi non riuscivano a fermarsi, per
sentirsi, per essere l’uno parte dell’altro.
Stretti
convulsamente e in modo particolare quando l’orgasmo
sopraggiunse
contemporaneamente e Watson strinse le spalle del compagno che si era
fermato
con un gemito dentro di lui liberandosi e aiutandolo a fare lo stesso
con una
mano.
Si
lasciò andare sul suo corpo, appagato, finalmente in
sé, consapevole che era
ciò che voleva più di ogni altra cosa e che la
presenza di quell’uomo nella sua
vita era fondamentale, così come nel suo lavoro. Non poteva
stare senza di lui,
era troppo importante.
Ripresero
a respirare piano ancora a fatica, le braccia del dottore ancora
circondate
attorno alla schiena dell’altro, entrambi a occhi chiusi, con
solo la
sensazione di liberazione, pace, e gioia.
“Questo
come lo spiegherà a Mrs Hudson?” fece il dottore
con divertimento.
Holmes
fece una mezza risata “Che stavo facendo esperimenti su di
lei!”
Watson
lo guardò incredulo, ma avrebbe dovuto aspettarselo e
sorrise con espressione
ovvia ricambiato. Lo prese per una guancia tirandoselo contro in un
bacio molto
più tranquillo di quelli precedenti ma al termine Holmes si
alzò legandosi in
vita il lenzuolo per recuperare i vestiti.
“Su
si vesta, abbiamo del lavoro da fare!” asserì con
tono allegro, con la sua
solita carica di quanto aveva il dottore intorno.
Watson
si voltò, guardandolo scettico e ironico allo stesso tempo,
sollevandosi seduto
sul letto e appoggiando la schiena al muro dietro di sé.
“Holmes
gliel’ho già detto, non lavoro più con
lei!”
“Sìsìsì
come vuole…per prima cosa dobbiamo fare un salto dal caro
vecchio tenente
Lestrand, poi un giro nella città bassa non farà
male…qualcosa salterà fuori”
rispose di nuovo ignorandolo.
Il
dottore fece una mezza risata ironica tra sé e
sé, spostando lo sguardo avanti,
poi sospirò rendendosi conto che dopotutto non poteva
mentire a se stesso, non
sarebbe stato giusto, e comunque qualche soldo in più non
faceva mai male….se
erano le giustificazioni che sapeva darsi.
“Chiamo
una carrozza” propose.
“Oh
non ce ne sarà bisogno! Le va una passeggiata?”
******
Altra piccola shot su questo fantastico film e la coppia di cui mi sono perdutamente innamorata XD
Non si ricollega a nessuna parte partclare del film, se non la cena con la "futura" signora Watson da cui partono le imprecazioni mentali di Holmes, il resto è naturalmente preso spunto da altre scene del film, poi riarrangiate da me.
A proposito, per chi non fosse afferrato con l'inglese e non abbia voglia di cercare sul dizionario, "Dejected" significa "dimesso", nel senso di incasinato. xD
Grazie a EugyChan, Birbabirba, sS_FrA_Ss, HelenaAvenged, Only_a_Illusion, Atharaxis, harderbetterfasterstronger che hanno commentato "Only a Chamber" , di cui ogni recensione mi ha fatto un piacere immenso e spero che apprezziate anche questa e
grazie a
bibilala
Birbabirba
DarciaSama
EugyChan
HelenaAvenged
keiko_chan86
maRgariNa
VallyHeartOfWater
che hanno aggiunto la storia tra i preferiti.
E naturalmente grazie a tutti i lettori.
Ancora una volta potete rimanere sintonizzati perchè non sarà l'ultima, mi piace troppo scrivere di questa coppia e sono altamente slashiosi come piacciono a me, e c'è anche un progetto che vaga nella mia testa sui veri "personaggi", ossia Rob e Jude, che ben presto finiranno sotto le mie grinfie ihihihihihihihi
Quindi alla prossima e grazie a chiunque leggerà, recensirà o aggiungerà tra i preferiti!
Baci
Leia