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Autore: Rorat    30/07/2005    3 recensioni
La donna guardò gli uomini armati, i cadaveri che ingombravano la sala, senza che una contrazione di terrore, di orrore o di oscurità, si disegnasse sul suo viso.
Ryo le si avvicinò e rimase come impietrito, turbato, incapace di scostare lo sguardo da quegli occhi, che adesso poteva vedere da vicino, per la prima volta da quando si erano incontrati.
Aveva imparato a leggere le parole senza voce, a guardare le persone dal di dentro, senza quell’ingannevole velo che le avvolge quando si nascondono dietro le apparenze, quando celano i loro sentimenti, le loro paure al mondo. Ma in quegli occhi di ghiaccio Ryo non vide nulla, non trasmettevano nessuna emozione. Compassione, dolore, tristezza, odio, felicità erano sentimenti che sembravano non fossero mai appartenuti a quella donna. Erano occhi senz’anima quelli che aveva di fronte, occhi senza voce, senza lacrime da versare.
Genere: Azione, Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Quando agli angeli spuntano le corna

 

“Cosa vuoi da me?” domandò Ryo guardandola duramente. Il viso di Haruko era sereno e rilassato come la prima volta che l’aveva vista, mentre i suoi occhi smeraldo adesso lo fissavano compiaciuti. La tranquillità di quella ragazza lo irritava.

“Ci sono persone che meriterebbero di morire, non ti pare?”

“Sono forse tra quelle?”

“Ne dubiti?”

“Tu non sei giapponese…”

“Che intuito!” rise la donna, come se Ryo se ne fosse uscito con una battuta spiritosa.

“Sei venuta per uccidermi?”

“Non lo so, dipende… City Hunter è un personaggio interessante, da che parte sta? Dalla parte del bene o del male?”

“Chi sei?”

“Potrei essere la Morte, non ti affascina l’idea della morte? Oppure hai paura di morire, Saeba?”

“Non ci vuole coraggio per morire, morire è così facile, piuttosto è per vivere che il coraggio diventa essenziale.”

“E tu, hai abbastanza coraggio per vivere?”

Ryo la fissò negli occhi, cercando di capire perché gli ponesse quegli strani quesiti.

“Se non avessi abbastanza coraggio per salvare la mia vita, non farei questo mestiere cercando di salvare quella degli altri, non credi?”

“Salvare la vita degli altri rischiando la propria… Perché? Per denaro, per amore della giustizia, per sfidare la sorte?”

“Esclusivamente per il mokkori!” rispose lui sorridendo a trentadue denti. Era stanco di sottostare a quell’interrogatorio. “Adesso, se non ti spiace, mia bella Morte ammanettata, le faccio io le domande: chi ti manda?”

La yakuza, un centinaio di killer, organizzazioni mafiose di quasi mezzo mondo, criminali di ogni sorta volevano la sua morte; non era certo la prima volta che qualcuno sfruttava il suo debole per le donne per fargli la pelle. Tuttavia la risposta di Haruko se non lo spiazzò, di certo lo stupì parecchio.

“La Central Intelligence Agency.”

“La CIA? Ma… Ma allora tu sei…”

“Esatto! Un’agente segreto, una spia, una 007… Il mio vero nome è Angel Rascal, piacere.”

“Piacere…” si ritrovò a ripetere come un ebete Ryo. Ma che diavolo stava succedendo?  Non era possibile, avrebbe dovuto saperlo, Mick avrebbe dovuto scoprirlo. La CIA, che diavolo poteva volere la CIA da uno come lui?  Poi, perché montare tutta quella messinscena: l’incarico, gli inseguimenti, i falsi attentati? Per non parlare della zia racchia e delle domande senza senso.

Di solito era lui quello che se ne usciva con le rivelazioni, perché adesso aveva la sensazione di cascare dalle nuvole?

Eppure lui lo aveva avuto il presentimento che quella Haruko non gliela raccontasse giusta, per questo aveva chiesto a Mick di raccogliere informazioni… Mick, era colpa sua…

Era proprio vero il detto: chi fa da sé fa per tre! Ma dove cavolo era finito quell’incompetente? Gli aveva chiesto di prendere una corda, non di andare sulla luna. Sentì ciabattare in corridoio. Eccolo, finalmente.

“Mick, maledetto idiota,” lo invocò spazientito, “ti avevo solo chiesto di portarmi…”

“Una corda?” chiese l’uomo appena entrato nel salone.

A bocca aperta e senza parole, così rimase lo sweeper, quando si voltò verso la porta. Perché se era vero che un uomo era entrato nella stanza, quell’uomo non era di certo Mick.

Al suo posto era apparso lo sconosciuto che li aveva pedinati tutto il pomeriggio, quel grandissimo fetente che aveva attentato al suo mokkori. E Mick allora dove era finito?

Il city hunter fece due più due. O lui e Mick, come due principianti, non si erano accorti della sua presenza o qualcuno giocava sporco. Si avvicinò al tizio, lo studiò per qualche istante da vicino e senza che quello reagisse in qualche maniera gli strappò via barba, parrucca e occhiali.

“Dovevo immaginarmelo che ci dovevi essere tu dietro tutto questo!”

“Caro Ryo,” ridacchiò Mick grattandosi la tempia, “non sei l’unico a saperti travestire!” Una volta, lo sweeper, mascherato da donna, quasi glielo aveva fatto diventare duro.

L’americano sentì gli occhi di Ryo perforargli la faccia, non sembrava averla presa tanto bene. E infatti:

“Brutto imbecille che non sei altro, razza di informatore da strapazzo, le hai retto il gioco… e io che mi fidavo di te! Come hai potuto tradirmi? Tu, stramaledetto, tu, sei stato tu a tentare di trucidare il mio mokkori! Me la pagherai!” sbraitò esasperato, afferrandolo per il collo e iniziando a scuoterlo con forza.

“Ryo…Ryo… non respiro…” gli fece notare Mick cianotico, senza fiato.

“Meriteresti di morire,” ringhiò lo sweeper, allentando la presa e cercando di calmarsi.

L’avrebbe ucciso, dopo però, prima, forse, era il caso di sapere qualcosa di più sulla situazione, pensò.

“Perché montare tutta questa pagliacciata?” domandò. Era fuori di sé.

“Ehi, non prendertela con me, io non c’entro!” tentò di discolparsi l’americano, sistemandosi il bavero della giacca. “E’ stata lei,” gracchiò, puntando un indice accusatore verso la prigioniera. “E poi mi conosci,” aggiunse, “lo sai meglio di me che non so rifiutare favori alle donne…”

“Favori?” sbottò Haruko scandalizzata, “io non ti devo alcun favore, semmai sei tu che sei in debito con me,” tenne a precisare la biondina, sistemandosi la lunga coda di cavallo servendosi di entrambe le mani. Approfittando del battibecco tra i due uomini difatti era riuscita indisturbata a forzare la serratura delle manette con una forcina.

“Ehm…” borbottò l’americano diventando rosso fino alla punta dei capelli.

“Bravo Mick, complimenti!” esclamò Ryo, assestandogli una fragorosa pacca sulle spalle, non esitando a mettere il dito nella piaga. “E dimmi, da quand’è che contrai debiti con le donne? Che genere di favore ti ha fatto? Niente di compromettente, spero. Sai, se Kazue lo scoprisse…” sogghignò malizioso.

“Brutto bastardo, che vai cianciando? Non sono un maniaco come te, non vado elemosinando mokkori alle clienti come fai tu!”

“Ora non vorrai dirmi che quando lavoravamo insieme, non tentavi di mettere le mani addosso alle clienti?”

“Io cercavo solo di proteggerle da te, brutto pervertito! Meglio con me che con te, tu le avresti fatte soffrire!”
“Io non ho mai fatto soffrire le donne, io, diversamente da te, so come dar loro piacere!”

“Ma che vai blaterando…”

“La verità, stupido!”

“Stupido a chi? Demente da strapazzo!”

“Insomma, volete tagliarla?” chiese Angel, ritrovatasi improvvisamente esclusa dalla conversazione.

Ma che, era come parlare al vento.

“Chissà che bello quando Kazue scoprirà che hai avuto rapporti con questa donna,” cantilenò Ryo.

“Brutto maiale, cosa hai intenzione di fare?” sbraitò l’americano, stringendo i pugni nervoso.

“Quando scoprirà la verità, la bella Kazue, sarà disperata… ma non preoccuparti, tra le mie braccia troverà consolazione!”

Stavolta fu Mick ad attaccarsi alla gola del city hunter.

“Sadico maniaco, sta lontano dalla mia donna.”

“Ghhh…” riuscì a rispondere un Ryo violaceo, tendente al bluastro.

Basta, era troppo!

“Sileeeeeenzio” urlò Angel spazientita, facendo quasi vacillare le fondamenta del palazzo, scoprendosi un soprano niente male.

Mick mollò la presa all’istante e il city hunter cadde a terra senza fiato.

Ci volle qualche minuto prima che la conversazione potesse ritornare su toni seri, se mai lo fosse stata.

“Allora, mi aiuterai?” chiese Angel.

“NO!” esclamò Ryo irremovibile, incrociando le braccia.

“Perché?”

Perché? C’era pure bisogno di chiederlo? Fino a qualche minuto fa era Haruko Kyota, un’indifesa e timida cliente e adesso Angel Rascal niente popò di meno che un agente della CIA, coalizzata addirittura con il suo ex collega di lavoro per far fuori le sue parti basse. E adesso gli veniva a chiedere aiuto, certo che ce ne voleva di coraggio… Come se non bastasse, si era messa a fare quelle, peraltro assurde, domande. Se prima la faccenda gli puzzava di bruciato adesso mandava un fetido puzzo di fogna.

Comunque rispose ugualmente alla domanda.

“Primo, non accetto incarichi senza sapere in che cosa consistano; secondo, vorrei sapere perché la necessità di creare tutta questa pagliacciata; terzo, nel remoto caso in cui accettassi l’incarico, ti costerà un bel mucchio di mokkori. Già, già…!” puntualizzò Ryo.

La bella 007 sembrò riflettere qualche istante.

Quell’uomo apparentemente insignificante, di cui non si conosceva né l’età, né la nazionalità, che viveva a Tokyo, la cui sorprendente abilità con la pistola era conosciuta in tutto il mondo, l’uomo dotato di uno straordinario intuito, che si vociferava aver sgominato per ben due volte l’organizzazione mafiosa Unione Teope, riuscendo ad eliminare persino chi ne stava a capo, lo aveva di fronte. Quello che aveva sentito dire su di lui doveva essere sicuramente vero, Mick glielo aveva confermato molte volte, Ryo Saeba era l’uomo che faceva al caso suo. Doveva fidarsi di lui, convincerlo ad accettare l’incarico.

Dopo un lungo silenzio, la voce cristallina di Angel diede le spiegazioni a lungo attese.

“Sono stata incaricata di svolgere delle indagini qui in Giappone. Pare che una organizzazione malavitosa, che ha il suo quartier generale nell’America latina, coinvolta nel traffico internazionale di droga e di armi, sia interessata a metter piede anche qui, nel Sol Levante. Ci è giunta notizia che abbia già preso accordi con vari clan della yakuza, ma, soprattutto, che stia cercando di introdurre nel mercato nipponico una nuova e potente droga, la Valchiria.”

“E quale sarebbe il nome di questa organizzazione mafiosa?”

“Mai sentito parlare dell’organizzazione Odino?”

“Non molto… Neanche tra la malavita si conosce il nome di chi ne regge le fila, alcuni sostengono addirittura che tale organizzazione non esista realmente.”

Angel allargò la bocca in un sorriso amaro.

“Invece esiste, ma ha saputo sottacersi per bene, in fondo anche il silenzio è una merce che si compra facilmente, basta corrompere la gente giusta… In quanto al capo dell’organizzazione è vero, non sappiamo chi sia. Su di lui girano parecchie voci. Si dice che sia un uomo sulla quarantina, sfregiato in volto. Ai suoi ordini ha un vero e proprio esercito di assassini a lui fedelissimi. Pare che nei suoi rifugi segreti siano esposti decine di cadaveri di nemici da lui assassinati. Chi lo tradisce o gli mette i bastoni tra le ruote viene torturato sino alla morte davanti ai suoi uomini, per scoraggiare possibili tradimenti…”

“Bene, e io che c’entro con tutta questa faccenda?”

“Presto ci sarà un incontro tra il clan Taira e l’organizzazione Odino per stringere un’alleanza, io sono stata incaricata di raccogliere quante più informazioni possibili per il mio Paese.”

“E vuoi che ti dia una mano? Per così poco?” Ryo parve dubbioso. Era davvero necessario il suo aiuto per raccogliere qualche informazione? La cosa continuava a puzzargli, tuttavia preferì sorvolare il discorso. “Piuttosto, dimmi, la pagliacciata come me la spieghi?”

Prese la parola Mick.

“Ho conosciuto Angel quando lavoravo in America come sweeper. Ho lavorato con lei qualche volta e, in queste occasioni, mi è capitato di parlarle di quello che era stato il mio compagno di lavoro per qualche anno. Arrivata qui in Giappone mi ha trovato con facilità e mi ha chiesto aiuto. Le ho risposto che non ero più uno sweeper, ma che avrebbe potuto rivolgersi a te…

Poiché non era sicura di affidare in buone mani la propria vita, le ho proposto di architettare la messinscena, a maggior ragione che la sua copertura qui in Giappone è quella di una giovane e ricca fanciulla.”

“Quindi avevo ragione! E’ stata un’idea tua, brutto farabutto!” vociò lo sweeper stizzito.

“Considerala come un’innocente prova…” gli suggerì Mick.

“Prova? Prova un corno? Le prove falle sul tuo mokkori la prossima volta!”

“D’accordo, d’accordo, calmati adesso…” cercò di rabbonirlo “piuttosto dovresti essermi grato, in fondo ti ho trovato qualcosa da fare; se adesso hai un lavoro è merito mio.”

Il city hunter lo guardò in cagnesco.

Forse era arrivata l’ora di chiudere la bocca, pensò Mick, prima di finire male.

“Per quanto riguarda il terzo punto: il pagamento…” disse Ryo voltandosi verso Angel.

“Pagamento?” chiese lei di rimando.

“Esatto! Il pagamento è un elemento fondamentale perché io accetti l’incarico,” confermò lo sweeper con occhi affamati. “So che hai offerto già un anticipo a Kaori, ma devi sapere che il denaro non è la ricompensa che preferisco… Io sono più propenso a ricevere pagamenti in natura,” precisò famelico.

“Mokkori?” domandò lei con un filo di voce, temendo di aver finalmente compreso il significato di quella parola.

“Già, mokkori!” disse Ryo avventandosi sulla bionda, con la stessa velocità di un proiettile.

Mick lo bloccò all’istante, assestandogli una gomitata al centro di zucca.

“Calmati, animale! Ti pare modo di comportarsi con una signora?” lo rimproverò afferrandolo e bloccandolo con una presa.

“Voglio il mio mokkori, altrimenti niente incarico,” frignò Ryo. Un bambino dalle voglie insoddisfatte.

Fu allora che accadde l’imprevedibile. Come una scena girata al rallentatore, nella stanza il tempo, a Ryo, parve scorrere a rilento, come ad offrirgli la possibilità di non perdere neanche un fotogramma di quanto stava avvenendo. Angel gli venne incontro, con passo felino e occhi ammalianti. Con un gesto leggero e sensuale sciolse i suoi lunghi fili d’oro. Con le dita sottili e affusolate ravviò la lunga chioma, che ricadde come una cascata sulle sue spalle perfette. I due uomini deglutirono nervosi, mentre lei, avanzando, si faceva più vicina, con le sua bocca rossa, gli occhi smeraldo, la pelle abbronzata che sapeva di pesca.

Nella stanza, Mick e Ryo cominciarono ad avvertire un sensibile aumento della temperatura.

Ed ecco che adesso era a tre passi da loro e, delicatamente, faceva scivolare il dorso della propria mano sulla guancia del city hunter, in una sinuosa carezza.

Lo sweeper era al limite, a stento riuscì a evitare che un fiotto di sangue gli schizzasse fuori dal naso. Non credeva ai propri occhi.

“Sei proprio sicuro che Kaori non ne avrà a male?” mormorò la biondina, ad un passo da un bacio.

Ryo si fulminò e il tempo tornò a scorrere normalmente.

Kaori, che stupido, non ci aveva pensato.

“A proposito di Kaori,” asserì di colpo, facendosi serio. “Non voglio sappia niente di quanto detto in questa stanza.”

“E perché mai?” domandò Angel stupita.

“Ryo!” esclamò Mick quasi commosso, allentando la presa, con occhi luccicanti. “Possibile che tu abbia finalmente capito…” E, pensando di interpretare le intenzioni dell’ex collega, continuò:

“Possibile che tu abbia finalmente realizzato di amare Kaori? La sua sorte ti sta così a cuore? Questa organizzazione non è sicuramente famosa per la pietà mostrata nei confronti di chi le rompe le uova nel paniere e desideri che lei resti fuori da tutta questa faccenda… Non ti facevo così altruista!” aggiunse asciugando quattro lacrimucce con il polsino della giacca.

Ryo lo guardò disgustato, ma che cavolo stava delirando quel pazzo?

“Veramente, mi premono di più i mokkori,” bofonchiò lo sweeper, “se Kaori scoprisse che Haruko è disposta a darmela… non credo che mi permetterebbe di essere ripagato in natura.”

Le fragili illusioni di Mick si frantumarono come uno specchio.

“Bene,” concluse dunque Ryo, rivolto ad Angel, “ora possiamo continuare, dove eravamo rimasti?”

“Non ci penso neanche,” rispose lei, riportando il suo sex appeal a livelli normali. “Pagherò ad operazione conclusa.”

“Tze! Tutte scuse, è tutta una mossa per evitare il pagamento,” protestò. 

“Tu dici? Invece, a me non pare il caso di farlo di fronte a Kaori.”

“Credi che caschi in questi trucchetti?” replicò Ryo catapultandosi verso di lei con le brache calate.

Sfortunatamente per il city hunter, Angel non stava mentendo. Kaori era veramente alle spalle dello sweeper, davanti la porta finestra da cui era entrata, calandosi dal tetto con una fune, giusto in tempo per frenare le sue indecenti voglie. Il city hunter non ebbe neanche il tempo di stupirsi, il massiccio martello della collega fu più veloce. Così, senza né ai né bai, venne frantumato a terra.

“Dunque eri qui, brutto porco.”

Ryo riconobbe la terribile voce della collega anche se seppellito nel pavimento.

“Haruko, appena in tempo, vieni, andiamo a casa, non è prudente rimanere ancora con questi due maniaci.”

Ryo non ebbe la forza di controbattere e Mick di difendersi, se c’era una cosa che aveva imparato a proposito di Kaori, era che in momenti come quelli non era salutare contraddirla.

L’indiavolata sweeper trascinò via la cliente sbattendo la porta alle sue spalle. Il palazzo tremò.

Era prevedibile finisse così, d’altra parte Kaori li cercava da quella mattina, ne aveva avuto di tempo per accumulare rabbia.

“Tutto a posto Ryo?” si informò preoccupato Mick.

Lo sweeper boccheggiò.

 

Qualche ora dopo, ripresosi dalla poderosa botta, Ryo si trovava affacciato al balcone, intento ad approfittare della leggera brezza che, dopo giorni e giorni di caldo soffocante, offriva finalmente un po’ di refrigerio.

Sollevò il capo verso le pallide stelle, la falce di luna faceva capolino dietro qualche nuvola opaca. Le luci del palazzo di fronte erano ancora accese. Kaori era ancora sveglia.

“E’ proprio una bella serata,” disse Mick spuntandogli alle spalle e porgendogli una birra.

“Credi che Kaori stia ancora cercando di sbollire la rabbia?” lo interrogò l’americano, indicando il salone illuminato nell’appartamento del city hunter.

Imbronciato, Ryo portò una mano al mento e poggiò i gomiti sulla ringhiera.

“Pensi che abbia trascorso tutto il pomeriggio a cercarvi?”

Lo sweeper sbuffò.

“Ehi, Ryo, parlo con te!” gli fece notare Mick.

Come se non lo sapesse. Come se non se lo immaginasse. Ormai conosceva Kaori. Ogni volta che lui scappava con una cliente, lei lo andava a cercare furente per tutti i love motel di Kabukicho. Poi, quando finalmente lo trovava, lo massacrava con uno dei suoi martelli, sotto gli occhi stupefatti dei passanti, facendogli promettere di non fare più una stupidaggine simile.

Ma quel pomeriggio, stranamente, non era stata capace di trovarlo. Un bene. Un male forse. Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Adesso si trovava impelagato in un incarico del tutto diverso dall’originario ed Haruko si era rivelata essere tutt’altro che un angelo indifeso.

Odino, il dio della guerra della tradizione scandinava… Il nome di quell’organizzazione mafiosa non prometteva nulla di buono e poi aveva la sensazione che Angel gli avesse raccontato solo una mezza verità, c’era qualche altra cosa sotto, chiedere l’aiuto di city hunter solo per raccogliere qualche informazione… Ci doveva essere dell’altro, quella era solo una scusa. E poi c’erano quegli occhi. Quando gli aveva parlato dell’organizzazione, negli occhi di quella ragazza per un attimo Ryo aveva letto qualcosa, una strana ombra di tristezza che gridava vendetta.

 “Quante volte hai lavorato per quella donna?” chiese Ryo, cercando di eludere così le domande dell’amico e sapere qualcosa di più su Angel.

“Negli Stati Uniti mi è capitato di lavorare con lei parecchie volte, non ricordo più nemmeno quante… ovviamente, sempre gratis.”

“Gratis?”

Mick annuì.

“Almeno, tu puoi ritenerti fortunato, hai avuto un anticipo in denaro. Se penso a tutte le volte che mi ha incastrato costringendomi a lavorare per lei, mi sale un nervoso…” disse cambiando colore. L’argomento lo pungeva ancora sul vivo.

“Riusciva a fregarmi ogni volta,” continuò l’americano. “Puntualmente mi dava appuntamento da qualche parte per chiedermi un favore e, puntualmente, mi trovavo in una situazione disperata, dove ero io a ritrovarmi ad accettare il suo aiuto.”

“Spiegati meglio,” lo esortò lo sweeper.

“Beh, per esempio, una volta, mi diede appuntamento in una palestra, in una sala di aerobica, lo ricordo come fosse ieri: disposto in ultima fila godevo dello sconvolgente spettacolo di voluttuose forme femminili che si muovevano a ritmo di musica, glutei perfetti, seni saltellanti, ma di Angel nessuna traccia. A malincuore abbandonai la sala e mi recai negli spogliatoi, forse si stava cambiando, pensai. Non era neanche lì. In compenso vi erano degli armadietti dalle serrature tentatrici, così scadenti che si aprirono con una facilità inaudita… Avevo già per le mani un lauto bottino di biancheria intima, quando una donna apparve alla porta e vedendomi tra reggiseni e mutandine, come puoi ben immaginare, si fece subito un’idea sbagliata di me… Cominciò a sbraitare come un’ossessa chiamando aiuto. Ero in trappola, presto sarebbero accorse in frotta. Non sapevo proprio cosa fare quando, dalla finestra, vidi spuntare Angel travestita da lavavetri. – Piss, – mi chiamò – ti serve una mano? – mi chiese.

– Sappi, però, che se ti aiuto, mi dovrai un favore! – ci tenne a precisare.

Che potevo fare? La scelta era tra il linciaggio o un incarico. Optai per il secondo.”

“In poche parole, mi stai dicendo che Angel è una sorta di Saeko all’americana?”

“Esattamente!”

“E’ terribile pensare che donne di questo genere esistano sparse per tutto il pianeta.”

“Puoi ben dirlo, mi viene quasi la pelle d’oca.”

Chi l’avrebbe mai immaginato che anche Mick avesse avuto a che fare con donne del genere. L’idea di non esserne l’unica vittima confortò lo sweeper.

“E dimmi,” fece Ryo curioso, dandogli delle leggere gomitate sul braccio destro, “che ha fatto stavolta per convincerti a collaborare?”

“Mi ha ricattato,” confessò l’amico, trattenendo a stento la rabbia.

“Quella dannata ha scoperto che mi sono fidanzato. Mi ha detto: – se non mi aiuti, la tua ragazza scoprirà un bel po’ di cose sulle tue malefatte statunitensi, sai, conservo ancora i numeri della rubrica che ti rubai… chissà se alla tua donna piacerebbe intrattenere una conversazione con Roxanne o con Cathryn o con Scarlet… – Che potevo fare?”
Ryo lo guardò pensoso per un attimo.

“Non mi pare così terribile,” si azzardò a dire.

“Ma sei impazzito?” gli sbraitò contro Mick, “eppure sai benissimo cosa è capace di fare una donna in preda alla gelosia! Sarebbe la morte.”

Ryo rifletté per qualche istante, forse Mick aveva ragione, Kazue non avrebbe di certo digerito tutte le sconcezze di cui si era macchiato l’americano.

Sospirò.

Aveva per le mani una bella gatta da pelare. Altro che angelo, aveva a che fare con il demonio in persona! Come se non gli bastassero le terribili sorelle Nogami. Perché il destino si accaniva contro di lui?

Erano questi gli sconfortanti pensieri di Ryo in quella serata di fine agosto.

Demoralizzato, ritornò a casa che erano le tre di notte, dopo aver tracannato, insieme all’amico, litri e litri di birra, per dimenticare la loro infelice situazione di uomini sottopagati e sfruttati da quello che, per lungo tempo, era passato alla storia come il sesso debole.

Kaori lo sentì cantare a squarciagola nelle scale, senza rispetto per il sonno altrui.

Abbandonò il divano prima che lui entrasse in casa e se ne andò nella propria camera.

Ryo spalancò baldanzoso l’uscio ed entrò. Il suo udito ben addestrato avvertì il suono lontano di una porta chiudersi. Il sorriso da ubriaco si chiuse in un’espressione seriosa e colpevole. E adesso come doveva comportarsi? Tenerla all’oscuro di tutto l’avrebbe protetta? Mentirle in fondo era come tradirla…

Attraversò il salone odiandosi.

Barcollando si gettò sul divano e prese a guardare il soffitto, rivolgendovi una profonda attenzione, come se lì potesse trovare scritte le risposte alle sue innumerevoli domande.

“A che pensi?”

Questa domanda lo colse all’improvviso.

Angel gli si era inginocchiata a lato e lui non se ne era neanche accorto.

Trattenne lo stupore, si voltò e annegò in quei profondi occhi verdi.

“Non rispondi?”

Ryo, intontito dalla bellezza della giovane, riprese l’uso della parola.

“Non penso a niente,” mormorò.

“Io invece credo che tu stia pensando alla donna che ami.”

A quelle parole lo sweeper assunse un’aria contrariata.

“Ma come può venirti in mente un’idea del genere?”

La ragazza rise divertita.

“Voi uomini, siete tutti uguali, non volete mai ammettere di essere innamorati.”

“Ma che dici? Io innamorato di Kaori? Ma sei matta? Lei è solo la mia collega, niente di più.”

“Io non ho detto che sei innamorato di Kaori.”

Fregato. Che idiota, doveva in qualche modo rifarsi della gaffe.

“Infatti, io sono innamorato di te,” disse avvicinandola a sé con veemenza, con occhi da cane in calore, bocca a cuore e mani da polipo.

La ragazza gridò spaventata.

“Zitta, zitta, per carità,” la supplicò Ryo portandole una mano alla bocca. “Sei pazza, se ti sente Kaori…”

“Se ti sente Kaori, cosa? Eh, Ryo? Cosa succede?” sbraitò minacciosa la sweeper spuntando di colpo nella stanza.

Ryo agghiacciò all’istante. Mollò l’ambita preda e alla velocità della luce si precipitò nella propria camera, davanti agli occhi meravigliati delle due donne.

Sparito dalla circolazione Ryo, Kaori con tono indagatore domandò ad Haruko cosa ci facesse in piedi a quell’ora. Se fosse rimasta nella sua stanza, in fin dei conti, Ryo non l’avrebbe  importunata.

“Avevo sete,” rispose innocente, prima di ritornare a letto sotto lo sguardo attento di Kaori, non certo privo di gelosia.

 

  
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