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Autore: wari    16/03/2010    5 recensioni
Doveva essere stato più o meno lo stesso pensiero di Orochimaru che, molto preso dal suo naso gocciolante, non aveva alcuna voglia di essere costantemente tallonato da un adolescente avido di tecniche ninja.
E così erano partiti, lui e Kabuto, per un'inutile gita – Sasuke non aveva trovato altro modo per definirla – che consisteva semplicemente nell' andare per foreste in cerca di funghi interessanti.
[Niente da fare, per ora questa roba è tragicamente incompiuta: chiedo sinceramente scusa a tutti coloro che la seguivano. Spero prima o poi di riprenderla in mano, ma per ora non se ne fa niente]
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Kabuto Yakushi, Kisame Hoshigaki, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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quantoèpiccolo5

Eheh. Eccomi qui. Ho incontrato una comitiva di anziani e li ho aiutati a traslocare da un ospizio all’altro. E poi mi è anche entrato qualcosa nell’occhio… xD


Indubbiamente, preferiva la caccia notturna.
I suoi occhi potevano individuare una preda anche nel buio più fitto ed il suo olfatto avvertiva la presenza di cibo a metri e metri di distanza. Ma era comunque anziano e, di tanto in tanto, gli capitava di appisolarsi proprio nel bel mezzo di una battuta di caccia.
In ogni caso, lui se lo poteva permettere.
Lui era grosso.
Lui era feroce.
Di gran lunga il più pericoloso tra le creature della foresta.  Era il signore di quei luoghi e viveva nella certezza assoluta che mai a nessuno in nessun caso, sarebbe venuto in mente di avvicinarlo, figuriamoci sfidarlo.
Per questo, quando, proprio nel bel mezzo del suo pisolino, Manda era stato svegliato da una bottarella sullo stomaco si era irritato,  prendendola come una mancanza di rispetto.
Sbadigliando, aveva però pazientemente atteso che l’incauto, chiunque fosse, realizzasse l’errore e fuggisse a gambe levate, come si conveniva. Il tutto più per godersi la scena della fuga che per reale indulgenza. Ma ad un secondo colpetto, stavolta cauto, di esplorazione, la sua irritazione si era tramutata in collera. E non fu sorpreso quando, con una contorsione del lungo corpo sinuoso, vide distintamente la sagoma di un uomo che gli tastava le squame sulla pancia, come a pungolarlo, trattandolo alla stregua di un ostacolo inanimato da scavalcare.
Esseri umani. Non aveva mai conosciuto creature più stolte ed impudenti.
Non si faceva mettere i piedi in testa da Orochimaru – d’accordo qualche volta si era fatto, per così dire, cavalcare… Ma era tutta un’altra faccenda - , figurarsi se avrebbe permesso ad un omuncolo qualsiasi di venire a disturbarlo nel bel mezzo della notte e per di più nel suo territorio.
Lo aggirò con calma, mentre l’uomo si guardava attorno con espressione vagamente perplessa, forse per via del trambusto che il suo corpo provocava strisciando tra gli alberi, simile ad un terremoto in piena regola.
Manda dimenò un poco la coda, abbattendo con noncuranza un paio di tronchi e digrignò le zanne, posizionando la testa giusto sopra la sagoma dell’uomo che, però, non sembrò affatto turbato dalla cosa. E infatti, mentre Manda, ormai stufo anche di pavoneggiarsi della sua evidente superiorità, stava per risolversi ad ingoiare in un solo boccone l’umano menefreghista – perché doveva essere perlomeno cieco, per non essersi ancora accorto di lui – quello, noncurante, si mise a posizionare rapidamente le mani per dei sigilli.
Manda in verità non ne capiva un granché.
Trovava che le tecniche e le arti magiche che tanto piacevano a quel fissato di Orochimaru, altro non fossero che patetici surrogati cui i piccoli, deboli esseri umani dovevano necessariamente ricorrere per sopperire alle loro gravi mancanze di forza fisica ed istinto.
Così non se ne preoccupò molto, limitandosi a preparare l’attacco, facendo saettare la lingua tra le zanne.
In seguito, per la prima volta nella sua esistenza di fiero signore dei rettili, Manda si ripromise di non commettere mai più l’errore di sottovalutare una preda.

 

Sembrava un incendio, in effetti.
Era stata questione di pochi secondi, ma una fiammata aveva illuminato chiaramente parte della foresta, alle loro spalle, spegnendosi poco dopo.
« E’ il sole che sorge in tutta la sua esplosiva bellezza. » ripeté Deidara, testardo.
Kisame lo ignorò. Era già abbastanza imbarazzante esserselo dovuto caricare in spalla come un infante. Mettersi anche a dargli retta esulava di gran lunga dalle sue competenze; anche perché ci stava già pensando Kabuto, a ribattere a tono.
« Il sole sorge ad est. E quello, per la dodicesima volta, è l’ovest. »ansimò, cercando di tenere il passo. Kisame, data la costituzione mingherlina del ragazzo, in un inusuale impeto di bontà – o forse aveva solo molta fretta di tornarsene al covo – si era offerto lui stesso di caricarsi in spalla anche Sasuke che anzi, essendo svenuto, poteva essere un peso molto più piacevole di Deidara, da trasportare; ma il medico non aveva voluto sentire ragioni, restando ancorato al suo protetto con l’indomabile tenacia di una leonessa mestruata, risoluto anche a perire sotto il peso dell’Uchiha, piuttosto che cedere il fardello ad altri.
Proprio mentre Kisame iniziava a pensare che si fosse finalmente zittito, Deidara prese nuovamente ad agitarsi, irrequieto; fin troppo per qualcuno che, neanche dieci minuti prima, aveva sostenuto di vedere la Luce alla fine di un tunnel oscuro.
« Vi dico che era il sole! »
« Era un incendio. »
« Piantatela! »
I due ammutolirono di colpo. Kisame si schiarì la voce, quasi sorpreso che il suo intervento avesse sortito un effetto così immediato.
« Non ci importa nulla di cos’era. Non ci riguarda. » concluse, brutale.
Udì Deidara mugugnare qualcosa, contrariato, ma per una volta l’artista ebbe il buon gusto di tenere la sua opinione per sé e, anche se forse lo fece solo per via di un’altra fitta allo stomaco, a Kisame piacque pensare di aver acquisito autorevolezza.
« Propongo di andare ognuno per la sua strada, moccioso. » disse a Kabuto.
Lui annuì, affaticato.
« Concordo. Abbiamo già fatto troppi danni. » aggiunse, sistemandosi meglio Sasuke in spalla. Poi si voltò e proseguì dritto, eclissandosi nella vegetazione, senza minimamente prestare orecchio al saluto di Deidara.
Anche Kisame si prese un paio di minuti per accomodare meglio Pelle di Squalo e Deidara sulla sua schiena – non senza che quest’ultimo protestasse, sospettando, dalla differente cura con cui aveva trattato entrambi, che lui tenesse più alla spada – e poi si incamminò tra gli alberi, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dal punto in cui era comparso quel bagliore rossastro. Prima quella specie di terremoto, che Kabuto aveva catalogato sotto la definizione di “manda” - senza neanche avere la decenza di spendere tre sillabe per spiegargli di che accidenti stesse parlando, se fosse un’imprecazione nel suo dialetto o una sottomisura della scala Richter – ed ora quello. Una fiammata. Anzi, una palla di fuoco.
« Oh, cavolo. » esclamò, frenando bruscamente. La testa di Deidara andò a cozzare dolorosamente contro l’impugnatura della spada, ma prima che lui avesse il tempo di fare qualcosa , fosse insultare Kisame o semplicemente imprecare, la sua portantina aveva già effettuato una brusca deviazione e stava correndo a perdifiato proprio lì dove era comparso il fuoco.
« Kisame… Kisame! Dove stai andando?! » gli gridò, sputacchiando quando i capelli gli si andarono ad infilare in bocca per via dello spostamento d’aria. « Non dovevamo cercare Itachi?! »
« Infatti l’abbiamo appena trovato. » ringhiò Kisame, di rimando. « Se quello non era il Katon io mi mangio la divisa. » e aumentò il passo, rapido.

 

Non era un muro.
I muri non parlano. E neanche si lamentano di dolore quando vengono colpiti in pieno da un Katon.
« Muori, dannato insulso essere umano! »
Itachi schivò le zanne, spostandosi di lato e andando a dare una testata contro un ramo.
Non era fatalista, ma certe volte gli veniva proprio da pensare di essere nato sotto una cattiva stella. Insomma: guerra, tragedie familiari, compagni stupidi – Deidara, tanto per dire. Kisame, per dire ancor di più – una tonaca con le nuvolette e, come se tutto questo non fosse sufficiente, la cecità. Qualcuno doveva volergli male, lassù. O forse Sasuke si era specializzato in macumbe.
In effetti, sapeva che se ne era andato da Orochimaru. Un serpente pareva una calamità davvero appropriata.
Nel tentativo di schivare le zanne del bestione, diede una testata ad un altro ramo. L’ultima cosa che vide, appena prima di svenire come un idiota, fu lo sguardo – perplesso? -  del serpente.
Sì, doveva essere ridicola una preda che, cercando di contrattaccare, va a sbattere contro i tronchi.
Se Sasuke aveva davvero imparato a scagliare maledizioni, gliel’avrebbe fatta pagare.

 

Si era appena svegliato e già rompeva le scatole.
« Devo andare a cercare Itachi! »
Kabuto mugolò di nuovo, frustrato.
Visto che ormai il danno era fatto, tanto valeva dargliela, un’altra botta in testa all’odioso contenitore.
Sasuke gli rivolse uno sguardo tanto minaccioso che Kabuto si vide seriamente costretto a fare almeno un passo indietro.
« E tu non me lo impedirai. » scandì, sepolcrale.
Kabuto deglutì.
« Non penso sia una buona idea, Sasuke kun. » spiegò, paziente. « Sarebbe un autentico suicidio. Che senso avrebbe andare ora? »
« Ha senso perché lui è qui ora. » ribatté l’altro, testardo.
Kabuto si morse la lingua, trattenendosi a stento dall’insultare lui e tutti i suoi defunti, supponendo che questo non avrebbe fatto altro che gettare benzina sul fuoco.
« Non dovevi prima diventare più forte…? » lui se le ricordava le pontificazioni su “voglio il potere”, “sbrigati a farmi diventare più forte” e consimilia con cui ogni giorno Sasuke si curava di rintronare sia lui che il maestro Orochimaru.
Davanti all’espressione furibonda che ricevette in risposta, Kabuto si fece più propenso all’idea di stenderlo con un diretto e trascinarselo dietro ma si vide costretto a scartare l’allettante opzione. Non che non si ritenesse più che in grado di contrastare Sasuke – era solo un moccioso presuntuoso, accidenti – ma, a differenza dell’Uchiha, che non si sarebbe fatto alcuno scrupolo nel buttarlo all’aria nel modo più brutale possibile, lui avrebbe invece dovuto controllarsi per evitare di procurargli danni troppo evidenti, cosa che avrebbe reso lo scontro un po’ impari.
Stette lì per un paio di secondi a ponderare quale fosse l’alternativa più conveniente – picchiare Sasuke, lasciare che Sasuke fosse picchiato da Itachi o picchiare Sasuke, procurarsi qualche ferita e strisciare dolorante da Orochiamaru raccontando di essere eroicamente scampato ad un attacco a sorpresa da parte di settecentotredici shinobi di Kiri armati di esplosivo ad alto potenziale – quando la terra prese di nuovo a tremare.
« Mpf. Che diavolo è? » sbuffò Sasuke, in tono disinteressato. Evidentemente, davanti alla sua preziosa, prioritaria vendetta, solo un sisma di magnitudo superiore al dodicesimo grado della scala Richter avrebbe forse potuto meritare parte della sua considerazione.
Prima che Kabuto, se ne avesse avuto voglia, trovasse il tempo rispondere, alcuni alberi iniziarono a collassate in sequenza, a neanche una trentina di metri da loro.
« Quella non è una delle bisce di Orochimaru? »
Per un riflesso quasi condizionato, Kabuto aprì la bocca, pronto a redarguire Sasuke per il poco rispetto che continuava ad esibire nei confronti del maestro Orochimaru e quella sua sgradevole abitudine di omettere un dovuto suffisso onorifico dopo il nome del sennin.
Invece il suo sguardo fu pilotato oltre la spalla di Sasuke, verso l’alto.
Dietro l’Uchiha, che si era voltato a guardare senza troppo interesse, tra gli alberi svettava l’immensa testa squamosa di Manda.

 

Era tutto buio. Di nuovo.
Non aveva capito come fosse potuto accadere: un secondo prima ci vedeva quasi meglio, complice l’alba, e cercava di contrastare un serpente gigante spuntato furoi da non si sa dove e l‘attimo seguente non ci vedeva più. Buio totale.

E puzzava, anche.
Itachi si alzò in piedi, solo per scivolare subito dopo.
Qualunque cosa fosse successa, non era più nella foresta.
Sotto di lui, qualcosa di molle e viscido faceva la parte del pavimento e, tastando la parete con cautela, le mani gli rimasero umide, intrappolate in una sostanza vischiosa e maleodorante. Un altro movimento, come un’onda, lo fece capitombolare di nuovo a terra. L’impatto restò muto, forse per via del pavimento morbido ma in compenso, subito dopo, un suono roco e raschiante lo rintronò, mentre un soffio d’aria calda e schizzi della stessa sostanza calda e viscida delle pareti lo spinsero indietro.
Si rialzò, deciso.
Itachi era sempre stato diligente.
Anche attualmente, da criminale traditore, conservava quello spirito del lavoro che, oltre all’innata genialità, gli aveva conferito l’approvazione dei superiori e l’ammirazione dei compagni di Konoha.
Restare lì – ovunque fosse -  era fuori discussione. Aveva ancora delle questioni d sbrigare, lui.
Sollevò la testa, raddrizzando il busto.
Era ora di finirla.

 

Ancora esseri umani.
Cosa c’era, un raduno?
Un raduno non autorizzato nel suo territorio?
« Togliti di mezzo, stupida biscia gigante. »
Se avesse avuto il sangue caldo, Manda avrebbe certamente accusato bollori ed una sensazione di ira bruciante dalle parti dello stomaco.
Invece si limitò a provare un acuto fastidio e a far saettare la lingua a due millimetri dal naso di quel piccolo umano sciroccato che, balzato fuori dal nulla, si permetteva di rivolgersi a lui da pari  a pari. Anzi, come se si potesse persino sentire superiore. Inconcepibile.
Era evidentemente un pazzo autolesionista.
Tutti a lui capitavano.
Un’anaconda di cento metri non può permettersi una dignitosa, placida vita di pensionato nella sua foresta. Un giorno stare appreso a quegli umani dissennati l’avrebbe portato alla morte, se non teneva gli occhi bene aperti.
« Sasuke kun… andiamo via… »
Ecco, l’uomo più grande sembrava aver conservato un po’ di sano spirito di sopravvivenza.
« Tu… sei quel viscido lecchino che si accompagna ad Orochimaru… » lo riconobbe Manda, poco dopo, stupendosi sinceramente di come avesse fatto il suo cervello – impegnato in attività ben più importanti, come dormire, mangiare e cacciare – a registrare un particolare tanto irrilevante. «Bakuto. » sentenziò, dopo un nuovo sforzo mnemonico.
Quello strabuzzò gli occhi.
« Veramente sarebbe Kabuto… ma non ha importanza… »
L’altro umano, l’indisponente ragazzino dai capelli scuri, emise uno sbuffo divertito.
« Bakuto…? Questa bestiaccia mi è quasi simpatica. » soffiò.
Bakuto, Kabuto, o come accidenti si chiamava, lo ignorò concedendogli solo un’occhiataccia che però sottintendeva palesemente l’augurio della morte più dolorosa possibile.
« Manda sama… » iniziò, sistemandosi gli occhiali sul naso. L’aggiunta di ciò che nel tempo Manda aveva imparato ad identificare come una formula di rispetto che gli umani erano soliti aggiungere ai nomi dei loro simili più importanti, servì a rabbonirlo un poco. Molto poco, però.
Kabuto si schiarì la voce.
« Il maestro Orochimaru ti manda i suoi saluti e… »
Sì, come no. Orochimaru si ricordava di lui solo quando gli serviva una cavalcatura coreografica per assaltare villaggi ninja o scontrarsi con quei debosciati degli amici suoi, altri megalomani a cavallo di lumache e rospi. Probabilmente ora era rintanato sotto terra a fare dubbi esperimenti per diventare sempre più simile ad una serpe. E dire che Manda lo reputava già viscido quanto e più di se stesso.
Il suo leccapiedi stava solo imbastendo leziosità di circostanza per coprire la lampante realtà della sua indebita violazione territoriale.
« Taci, patetico umano. Non me ne frega niente di cosa stia architettando quello psicopatico di Orochimaru. » lo interruppe, sdegnato. « A me basta che tu ed il tuo cucciolo di uomo scompariate dalla mia vista. E in fretta, prima che cambi ide… » un gorgoglio dalle parti dello stomaco lo costrinse a fermarsi per tossire in modo molto poco degno. Gran parte della sua bava andò a spiaccicarsi dritta in faccia allo zerbino di Orochimaru. Il ragazzino, invece, schivò il primo schizzo e poi si piazzò dietro il compare, usandolo come scudo umano senza troppi complimenti.
« Dannati umani… » rantolò Manda, quando riuscì a riprendere fiato. « Siete anche indigesti… »
Bakuto – o era Kabuto? – lo guardò con l’espressione di un pesce tramortito, grondando saliva dai capelli.
« Che c’è? Vuoi che mangi anche te? » gli sibilò contro.
« A… assolutamente no. Io… »
« Bene, perché quello che ho mangiato prima pere essermi rimasto sullo stomaco e quindi invece di ingoiarti, ti masticherei per poi sputare la tua carcassa in pasto ai corvi. »
Mentre Bakato – Bakuto? Tabuko?  -  ebbe almeno il buon gusto di deglutire ed assumere un colorito più pallido, il moccioso dai capelli scuri lo fissò per un attimo, curioso e per nulla intimorito, prima di rivolgersi a lui in modo tanto schietto da rasentare la brutalità.
« Hai mangiato un umano? » domandò, come colto da un dubbio.
Manda brontolò qualche maledizione sui perditempo, prima di soffermarsi a guardare il ragazzino con più attenzione. Avvicinò l’occhio sinistro alla sua faccia, esaminandola da vicino.
« Proprio così, moccioso indisponente… » disse, sibilando. « E ti somigliava un sacco, sai? »

*angolo delle risposte*
Come sempre, grazie a tutti coloro che leggono *wari fa inchino*

Elos: è appropriato? Meno male... non ricordo neanche come mi è venuto in mente^^" Sono estremamente lusingata dai complimenti *arrossice* anche se rileggendo l'ultimo capitolo mi sono accorta di un mucchio di ripetizioni O.o spero di aver fatto meglio, questa volta. 
Quistis18: i nani mi hanno rilasciata. Ma di motivi per far tardi, se ne trovano sempre u__u. Kisame è davvero una personicina paziente xD sto imparando ad amarlo, io che l'avevo sempre considerato il più inutile dall'Akatsuki. E' un uomo dall'alto potenziale comico. O forse dovrei dire pesce xD 
Sunako e Sehara: accidenti! Desolata! ma qui c'è un conflitto di interessi... ragni e scorpioni fanno schifo a me xD La prossima volta ce li metto, così siamo pari, ragazze u__u.

  
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