CAPITOLO TRENTESIMO: IL CERCHIO SI STRINGE.
Sirio aiutò Pegasus a stare in piedi, indebolito dal
lungo scontro sostenuto, con crepe sull’Armatura Divina, le ali in frantumi e
ferite sparse lungo il corpo. Non era un’immagine nuova quella che appariva
agli occhi di Dragone, abituato a vedere sui compagni i segni della guerra. Ma
era comunque qualcosa che lo faceva stare male.
“Appoggiati a me!” –Gli disse,
passando un braccio dell’amico sopra le sue spalle, mentre anche Cristal
si avvicinava loro.
“Pegasus…” –Commentò il
Cavaliere del Cigno. –“Grazie!”
I tre amici fecero per
incamminarsi verso le Dodici Case dello Zodiaco, quando la flebile voce di Orochi
attirò la loro attenzione.
“Cavaliere di Pegasus!” –Mormorò
il gigantesco guerriero, disteso a terra, con il corpo spezzato dai colpi
ricevuti.
“Orochi?!” –Balbettò Pegasus,
liberandosi dalla presa di Sirio e iniziando ad avanzare verso la carcassa del
suo avversario.
“Muoio contento, Cavaliere di
Pegasus! Contento e soddisfatto!” –Esclamò l’uomo. –“Poiché ho finalmente
ottenuto quel che volevo!”
“Il potere?!” –Esclamò Pegasus,
riferendosi alla Spada del Paradiso.
“No! Quello, in fondo, l’ho
avuto anni addietro, quando il Maestro di Ombre mi mise a capo dell’Esercito
che un giorno avrebbe marciato per oscurare la luce!” –Disse Orochi. –“Ho avuto
uno scontro con un vero guerriero! Uno scontro che mi ha dato soddisfazione sin
dal primo pugno che hai sferrato contro la mia barriera! Uno scontro in cui mi
sono confrontato con qualcuno che non soltanto era forte quanto me, ma aveva
anche la stessa risoluzione nel vincere che avevo io! Sei stato un avversario
alla mia altezza, Cavaliere di Pegasus, per questo avrai la mia benedizione! O
forse sono stato io ad esserlo per te!”
“Orochi… i nostri poteri non erano
poi così diversi! Ma diverso era il fine per cui lottavamo!” –Commentò Pegasus,
con una certa tristezza nella voce.
“Non credere però che la mia
sconfitta ti apra le porte della vittoria! Perché non è così!” –Tuonò infine
Orochi. –“Il potere di Flegias è troppo grande, è troppo oscuro, che non può
essere vinto, da nessuno di voi!”
“Ci proveremo comunque, Orochi!”
–Esclamò Pegasus, raggiunto in quel momento da Cristal e Sirio.
“Stolti!” –Sorrise infine
Orochi. –“Anche se vi riuscireste, perdereste comunque! Contro la grande ombra
non può esservi vittoria! Né per me… né per voi! Eh eh eh!”
Morì così, il più forte tra i
sette Capitani dell’Ombra, l’uomo scelto da Flegias anni addietro, e da lui
segretamente istruito, per divenire un guerriero abile e potente. Morì con il
sorriso sulle labbra per aver ottenuto il combattimento che aveva sempre
perseguito. Contro un avversario che, in fondo, aveva imparato ad ammirare.
Pegasus si rialzò,
abbandonandosi ad un sospiro, e si incamminò verso la Spada del Paradiso. La
estrasse dal terreno, scuotendo via la polvere e il terriccio, e ne ammirò le
rifiniture, sublime esempio di arte scintoista. Quindi ritornò dal cadavere di
Orochi, ricordando il mito del drago a otto teste e del Dio Susanoo.
“Credo che la lama fosse in
fondo l’ultima difesa del drago!” –Commentò. –“Fosse qualcosa che faceva
sentire Orochi sicuro, sempre e comunque, nonostante i nemici che gli si
paravano di fronte! Poiché sapeva che, per male che le cose potessero andare,
aveva sempre un approdo sicuro a cui fare riferimento! Potremmo usarla, in
battaglia, e per certo sarebbe arma utilissima! Ma la meritiamo davvero?
Meritiamo un’arma che non ci appartiene?!” –Sirio e Cristal non risposero,
abbassando lo sguardo con un sospiro, concordi con la riflessione del compagno.
E con la scelta migliore da fare.
Proprio in quel momento un
nugolo di ombre discese su di loro, probabilmente parte delle ondate che i
Cavalieri d’Oro non erano riusciti ad arginare. Ma, per quanto i tre amici
alzassero subito le difese, le ombre parvero ignorarli e dirigersi verso la
carcassa del loro Comandante. Gli entrarono dentro, cibandosi del suo sangue,
di quel che restava del suo cosmo, in un’avida danza che fece inorridire i
Cavalieri di Atena. E diede a Pegasus la spinta finale.
Stringendo la lama con entrambe
le mani, il ragazzo la sollevò al cielo, lasciando che il suo caldo cosmo vi
fluisse dentro, prima di piantarla nel cuore di Orochi, mentre le ombre ancora
vorticavano attorno al suo cadavere. Come se Kusanagi o Orochi stesso avessero
compreso, un arco di luce si aprì dalla lama stessa, spingendo Pegasus
indietro, prima di richiudersi sui resti del Comandante oscuro e sulle ombre,
inghiottendoli entrambi, e infine esplodere.
Quando Pegasus, Sirio e Cristal,
scaraventati indietro di qualche metro, aprirono di nuovo gli occhi, videro che
di Orochi e della Spada del Paradiso non era rimasto niente. Neppure le ceneri.
Pegasus sorrise, stringendo i pugni e augurandosi che il suo avversario avesse
davvero trovato la strada verso la pace interiore.
“Dobbiamo andare!” –Sirio mise
una mano sulla spalla del compagno, incitandolo a procedere oltre, e Pegasus
annuì, seguendo gli amici lungo la strada che un tempo correva a fianco delle
mura perimetrali del Grande Tempio. Adesso cumuli di rovine giacevano in mezzo
a fosse nel terreno e a cadaveri di soldati.
“I Cavalieri d’Oro staranno…”
–Esclamò Cristal, raggiunta la piazza antistante alla scalinata di marmo che
conduceva alla Casa di Ariete. Ma la sua frase venne interrotta da un attacco
improvviso di cumuli di ombre che, dall’alto del cielo nero, piombarono su di
loro. –“Maledette!!!” –Gridò il Cavaliere, ben sapendo che il suo gelo sarebbe
stato inutile contro di loro.
“Correte alla Prima Casa!
Cercherò di trattenerle!” –Affermò Sirio, espandendo il proprio cosmo, dal
lucente color verde acqua.
“Sirio, sei pazzo?! Ti
uccideranno!” –Gridò Pegasus, faticando a stare in piedi.
“Andate!” –Disse il ragazzo,
balzando in alto e dirigendo un deciso attacco di luce contro gli strati di
nere evanescenze. –“Colpo del Drago Volante!!!”
L’assalto disperse un mucchio di
ombre, impedendo loro di raggiungere la scalinata, dove Cristal stava incitando
Pegasus a seguirlo. Ma l’amico non aveva intenzione di abbandonare Dragone,
così caricò il cosmo nel pugno destro, lanciandosi avanti, ma le gambe gli
cedettero poco dopo e ruzzolò lungo i gradini del santuario.
“Sei un gran testone, eh!?”
–Ironizzò Sirio, atterrando a fianco dell’amico, mentre le ombre, nuovamente
radunatesi, piombavano su di loro, come fitta pioggia nera.
“Mi conosci, ormai!” –Sorrise
Pegasus, cercando di rialzarsi.
“Anelli di Ghiaccio!!!”
–Gridò Cristal, che si trovava una ventina di scalini sopra i due amici. E creò
cerchi concentrici di gelo attorno a Sirio e Pegasus, che roteando
continuamente impedirono alle ombre di raggiungerli. –“Non basteranno per
fermarle, ma quantomeno vi proteggeranno!”
“E adesso… spazziamole via!!!”
–Esclamò Sirio, generando un gorgo di energia acquatica, dallo scintillante
color verde acqua, che sollevò verso il cielo, travolgendo tutte le ombre
attorno. –“Acque della Cascata di Cina! Purificate quest’infangato santuario!”
–E mille dragoni illuminarono il piazzale, abbattendosi sulla marea oscura e
disintegrandone una parte.
Cristal fece loro cenno di
proseguire e Sirio e Pegasus seguirono l’amico fino alla Prima Casa di Ariete,
dove trovarono Andromeda disteso su un lettino, con indosso solo una maglietta
e un paio di pantaloni, guardato a vista da Kiki e da Fiore di Luna.
“Andromeda!!!” –Esclamarono i
tre compagni, avvicinandosi di corsa.
“Kiki! Cosa fai qua?” –Incalzò
Sirio. –“Non ti avevo detto di aspettare alla Tredicesima Casa con Fiore di
Luna?!”
“Ci stavo andando, Dragone, ma
…” –Balbettò il ragazzino, quando una voce lo interruppe.
“Gli ho chiesto io di tornare!”
–Esclamò Phoenix, entrando nella stanza. –“Perdonami Dragone! Non volevo
mettere a repentaglio la vita di Fiore di Luna, ma confidavo che Kiki sapesse
curare il male che infetta mio fratello! O potesse condurlo sull’Olimpo dal
Grande Mur!”
“Phoenix!” –Mormorò Sirio,
volgendo poi lo sguardo verso il volto di Andromeda. Pallido come non mai, con
rivoli di sudore che colavano senza dargli tregua e spasimi continui che
scuotevano il suo fragile corpo.
Non disse altro e si avvicinò a
Phoenix, tirandolo a sé e abbracciandolo. Fu un abbraccio strano, si disse il
Cavaliere del Dragone, e un po’ impacciato, a causa delle armature che
indossavano. Ma fu un abbraccio sincero.
“Cos’ha Andromeda, Kiki?!”
–Incalzò Pegasus, inginocchiatosi accanto al letto.
“Non lo so, Pegasus! Non
capisco! Sembra una febbre, ma di proporzioni mai viste!” –Esclamò il bambino.
–“Ho usato alcune medicine di Mur, le stesse con cui aveva cercato di frenare
la rabbia in Asher, ma sembra che non abbiano effetto! Qualunque cosa stia
accadendo dentro Andromeda è qualcosa su cui lui solo ha potere!”
Pegasus sospirò preoccupato,
sollevando lo sguardo prima verso Sirio e Cristal, poi verso Phoenix, e
ammettendo che raramente aveva visto il Cavaliere della Fenice così ansioso
come in quel momento. Ma la cosa è comunque più che comprensibile!
“Cos’è questo graffio?” –Domandò
infine Sirio, indicando uno squarcio sul collo.
“Temo sia ciò che lo fa soffrire
così tanto!” –Intervenne Phoenix. –“Per quanto Andromeda non mi abbia detto
niente, credo che quella ferita non sia stata causata dai Capitani dell’Ombra!
No… credo sia un residuo dello scontro con Biliku!”
A quelle parole Pegasus e gli
altri sussultarono spaventati, ricordando le descrizioni della Donna-Ragno, e
dei suoi poteri ancestrali, che Mur prima, e Kiki e Andromeda poi, avevano dato
loro. Kiki si gettò tra le braccia di Fiore di Luna, scoppiando in lacrime,
sentendosi in parte in colpa per non aver potuto aiutare l’amico, che invece
non aveva esitato a rischiare in prima persona per metterlo in salvo.
Era accaduto tutto così in
fretta che Andromeda non si era neppure accorto dell’arto che Biliku aveva
sollevato, forse per caso, e gli aveva piantato nel collo. Aveva riempito
l’ampolla con il sangue e stava per mettersi alla ricerca di Kiki, quando un
fuoco primordiale gli era entrato dentro. Per un momento si era sentito perso,
fuori dal mondo. La vista gli si era appannata, la gola sembrava prendergli
fuoco. Ed era crollato sulle ginocchia, incapace di sopportare il peso di ciò
che Biliku voleva trasmettergli. In quei pochi minuti, mentre Kiki veniva
sorpreso da Iaculo e Iemisch, Andromeda aveva viaggiato lontano, pur senza
spostarsi fisicamente dalla caverna sotterranea. Aveva viaggiato nel tempo, vedendo
il mondo attraverso gli occhi della Donna-Ragno.
Confuse immagini si
affastellavano nella sua mente, alcune che non era ancora riuscito a
comprendere, in un vortice continuo di ricordi, in uno scontro continuo tra
luce e ombra, che andava ormai avanti da millenni. D’un tratto ad Andromeda
sembrò di sentire su di sé il peso di un’epoca intera, condividendo i ricordi
della più antica forma di vita esistente sul pianeta. La vide ergersi nel sole
d’oriente, quando le sue forme erano più eleganti e ancora non era la sgraziata
bestia che aveva trascorso secoli divorando carogne nei sotterranei delle
Andamane. La vide deliziarsi con le offerte che gli abitanti del luogo,
adorandola come Madre Terra, come Entità Creatrice, le rivolgevano con affetto
prima, e poi con la paura di una sua rappresaglia.
La vide corrodersi dall’ombra
che aveva sempre dimorato nel suo cuore, incapace di estirparla poiché essa
faceva parte di sé. E infine la vide rinchiudersi nel santuario sotterraneo,
ove febbrilmente aveva scavato tunnel che portavano in ogni luogo, anche al di
là del mare, raggiungendo la penisola indocinese. Era stata proprio una di
quelle gallerie a metterla in contatto con un demonio, uno spirito senza corpo
che vagava per il mondo, strisciando silenzioso tra le tenebre. Uno spirito
che, seppur con forma diversa, non poteva che ricordargli il suo creatore. Il
creatore di tutte le cose.
“Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix,
vedendolo in preda a nuove convulsioni.
“Andromeda!!!” –Lo chiamarono
altre voci, disturbando le visioni che si alternavano confuse nell’animo del
Cavaliere, senza che egli avesse ancora capito come controllarle. Senza che
egli avesse ancora capito che non erano casuali.
No! Si disse una parte di sé, naufraga solitaria in
quell’oceano di ricordi. Biliku ha voluto dirmi qualcosa! Non c’è niente di
casuale in tutto questo! È come un filo, che si dipana dagli albori della
storia e adesso è giunto a noi! Biliku sapeva che stava morendo, che l’ombra
aveva corroso talmente il suo cuore che nient’altro poteva fare se non
liberarsi da ciò che desiderava non andasse perduto. Le sue memorie.
Un’onda si abbatté su un gruppo
di scogli, cambiando ancora la visione nella mente di Andromeda. Quindi
un’altra, e altre ancora, scrosciando tempestose sulla riva scoscesa di
un’isola deserta. Un’isola che ad Andromeda apparve familiare. Una donna, dal
volto livido di percosse e di dolore, singhiozzava incatenata a due enormi
rocce affioranti dal fondo marino.
“Nemes!!!” –Esclamò Andromeda,
alzandosi di scatto e stupendo tutti gli amici, soprattutto Pegasus, che, in
ginocchio vicino a lui, fece un balzo indietro per la paura. –“Nemes è in
pericolo!”
In quel momento le ombre
attaccarono in massa il Grande Tempio, chiudendosi come una cupola sull’intero
perimetro del santuario della Dea Guerriera, con l’intento di soffocare ogni
forma di luce. E divorare l’energia vitale degli ultimi difensori.
Sul fronte orientale, poco
distante dal cimitero, Virgo e Libra tentavano da ore di opporsi
a quella nera avanzata, ma ogni volta in cui lasciavano esplodere il loro cosmo
dorato, ogni volta in cui il sole sembrava tornare a splendere sul Grande
Tempio, non ottenevano che una vittoria momentanea. Effimera. Mai capaci di
arginare quella marea di tenebra che stava sommergendo la Grecia.
Anche Pavit, il Devoto,
l’ultimo discepolo di Virgo, era intervenuto in aiuto del maestro, stufo di
restare sdraiato nell’infermeria.
“Se proprio devo morire, voglio
farlo per qualcosa in cui credo!” –Aveva esordito il ragazzo, apparendo accanto
al Cavaliere di Virgo, avvolto in una cupola di energia dorata. –“Il credo di
Dhaval non deve andare perduto!”
“Non lo sarà!” –Aveva risposto
Virgo, accennando un sorriso al discepolo. E per un attimo, leggendogli nel
cuore, vi aveva trovato la stessa fede che aveva animato anche lui quando era
un bambino e trascorreva le giornate intento a conversare con il Buddha, alla
ricerca dell’illuminazione. Pavit forse nel Buddha non aveva troppa fede, ma il
credo che lo spingeva a non arrendersi non era certo troppo diverso dal suo.
Entrambi all’affannosa ricerca della verità.
In quella, una nuova avanzata
della marea oscura li obbligò a riportare l’attenzione sul cielo nero, dove i
cento luminosi dragoni di Cina aveva appena annientato un mucchio di ombre. E
stimolato le altre ad una nuova carica.
“Sono troppe! Non riusciremo mai
a fermarle!” –Commentò Libra, atterrando a fianco del Cavaliere di Virgo.
“Forse no!” –Aveva sorriso il
compagno. –“Ma di certo non ci arrenderemo! Come la rupe massiccia non si
scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi!”
“Siddharta Gautama!” –Commentò
Pavit, prima di bruciare il proprio cosmo. Virgo fece altrettanto e i due
crearono una cupola di energia, che circondò anche Libra, su cui si
schiantarono le ombre, vorticandovi intorno senza mai riuscire a penetrarla.
“Non possiamo restare sulla
difensiva!” –Esclamò Libra, osservando le ombre avvolgere il Kaan e
cibarsi della sua luminosità. –“Succhieranno la nostra energia!”
Virgo iniziò a concentrare il
proprio cosmo tra le braccia, sforzandosi di mantenere la calma, in quel
frangente così carico d’angoscia. Ma prima ancora che potesse rilasciare
l’energia accumulata, percepì una violenta corrente elettrica sfrigolare sul
terreno e lungo la sfera dorata del Kaan. Una corrente che esplose poco
dopo, sotto forma di incandescenti fulmini d’oro che dilaniarono le ombre,
liberando i tre compagni da quella morsa, anticipando una voce che Virgo ben
conosceva.
“Lightning Fang!”
–Esclamò Ioria del Leone, una decina di metri addietro, con il pugno
piantato nel terreno. Castalia era al suo fianco e reggeva il corpo
stanco di Siderius della Supernova Oscura, il Capitano dell’Ombra un
tempo allievo di Ioria.
“Anche noi vogliamo prestare
aiuto!” –Aggiunse Asher dell’Unicorno, spuntando dietro ai due,
affiancato da Tisifone del Serpentario.
“Anche voi volete morire, vorrai
dire!” –Ironizzò Libra, comunque felice di vederli.
“Unendo i nostri cosmi sarà
possibile contrastare l’avanzata di quest’oscura marea!” –Esclamò Tisifone, che
non vedeva l’ora di rendersi utile e tornare in azione, dopo i giorni trascorsi
in ospedale. Giorni che a lei erano parsi mesi di prigionia.
“Donna di grandi speranze sei,
Sacerdotessa del Serpentario, se ritieni possibile un simile miracolo!”
–Affermò Virgo, girando il volto verso di lei, pur senza aprire gli occhi.
–“Tuttavia anche San Tommaso dovette ricredersi riguardo alla resurrezione del
suo Signore Gesù Cristo! E sarò ben lieto di ricredermi anch’io qualora
riuscissimo a superare indenni questo momento di grave crisi!”
“Proprio per questo dobbiamo
restare uniti!” –Esclamò Ioria, incitando i compagni.
“E dare il massimo per salvare
Atena!” –Intervenne Asher, eccitato dalle parole di Ioria. –“E noi stessi!”
“E allora facciamolo!!! Sia quel
che sia!” –Gridò Ioria, espandendo il proprio cosmo.
Gli altri fecero altrettanto, e
ben presto i sette cosmi entrarono in sincronia tra loro, mescolandosi in un
arcobaleno di colori che rischiarò il cielo sopra il Grande Tempio. Pegasus e i
suoi compagni, Kiki e Fiore di Luna, assediati alla Prima Casa, i soldati
ancora vivi, i feriti, le apprendiste sacerdotesse e tutti i fedeli sparsi per
il santuario di Atena rimasero impressionati da tale fenomeno ottico, che rubò
loro un sospiro di sollievo. Durò un attimo, ma fu intenso.
“Corno d’Argento!!!”
–Gridò Asher, in prima fila, liberando una guizzante scarica elettrica, che
sfrecciò nel cielo, presto raggiunta e superata dai colpi dei compagni. –“Che
le zanne dei Cento Draghi di Cina disperdano l’oscurità!!!” –Lo seguì
Libra. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Tuonarono Virgo e Pavit. –“Artigli
del Leone, irradiate! Che lo spirito di Micene sia con voi!” –Gridò Ioria,
seguito infine da Castalia e Tisifone.
L’assalto dei sette compagni
parve davvero ottenere qualche successo, disintegrando una massa di ombre,
osservandole scomparire come polvere. Ma per quanta energia profondessero, per
quanto ardenti fossero i loro spiriti, la marea oscura pareva non trovare mai
fine. Nuove continue tetre evanescenze venivano generate e i Cavalieri di Atena
dovettero bruciare al massimo i loro cosmi per non essere sopraffatti.
“È… un nulla immenso…” –Commentò
infine Tisifone, barcollando. –“Io… non ce la faccio…”
“Resisti, Tisifone!!!” –La
incitò Castalia, vicino all’amica. –“Quanti motivi hai per andare avanti? Più
di quanti ne hai per cedere!”
“Castalia…” –Mormorò la
Sacerdotessa, cercando di resistere, di mantenersi in piedi, con le braccia
sollevate, intenta a dirigere il suo cosmo violetto verso il cielo.
Improvvisamente Ioria notò una
sagoma trascinarsi sul terreno, fino a portarsi di fronte ai sette compagni.
Per un momento credette si trattasse di un’ombra, ma quando a fatica si sollevò
Ioria riconobbe il suo vecchio allievo.
“Siderius…” –Esclamò il Leone,
osservandolo barcollare, pieno di ferite sul corpo e con grumi di sangue
rappreso sul capo. Quel che restava della sua armatura nera e viola pareva
confondersi con l’oscurità circostante, ma, per la prima volta, Ioria notò che
il ragazzo era avvolto in un cosmo che trasudava luce. Il cosmo che aveva
sentito in lui anni addietro, quando lo aveva portato via dalla vecchia casa in
Tessaglia.
“Maestro…” –Commentò Siderius,
espandendo quel che restava del suo cosmo e generando una violacea luminescenza
che immediatamente attirò strati di ombre, che piombarono su di lui, vorticando
attorno al suo corpo, prima di penetrarlo. Una dopo l’altra. Strappandogli ogni
volta un gemito di dolore.
“Siderius!!!” –Gridò Ioria,
muovendosi per correre da lui. Ma Virgo lo fermò, afferrandogli il braccio con
una mano e voltandosi verso di lui.
“Abbiamo bisogno di te!” –Disse,
con voce pacata, prima di dischiudere i suoi occhi.
Immediatamente un’onda di luce
si sollevò dal gruppo dei sette compagni, ridando nuova energia all’assalto
congiunto e spazzando via un mucchio di ombre, tra cui tutte quelle che avevano
assalito Siderius poco prima. Vista la gravità del momento, Virgo aveva deciso
di usare l’ultima riserva del suo cosmo. E forse anche per permettere a
Siderius di fare ciò che sentiva.
“Non era questo ciò che volevo…”
–Commentò Siderius, voltandosi un’ultima volta verso Ioria, con gli occhi
lucidi di lacrime, mentre le ombre nuovamente turbinavano minacciose attorno a
tutti loro. –“Non ho mai sposato gli obiettivi di Flegias, limitandomi ad
eseguire gli ordini, come mio padre riteneva che un soldato dovesse sempre
fare! Tutto ciò che desideravo, ciò che volevo realmente, l’ho avuto
quest’oggi! Che tu mi guardassi con occhi diversi! Che tu mi degnassi di uno
sguardo d’affetto! Non come l’allievo che non hai saputo addestrare, ma come il
fratello con cui hai condiviso una parte del cammino!”
Ioria rimase ad ascoltare la
confessione del ragazzo e avrebbe voluto davvero poter mandare indietro le
lancette del tempo. E cambiare qualcosa. Forse capirsi un po’ di più, quando
ancora c’era il tempo per farlo. Siderius, in quel momento, gli sorrise per la
prima volta, bruciando al massimo il proprio cosmo e voltandosi poi verso il
mare di tenebra che stava avanzando verso di loro.
“Per te, maestro mio! Per dimostrarti
che ho imparato la lezione! Almeno una!” –Esclamò Siderius, lanciandosi in
alto, con le ultime forze che ancora gli restavano. –“Essere Cavalieri non
significa avere una grande virtù d’attacco, ma saper bruciare il cosmo per
qualcosa in cui si crede! Saper usare il cosmo per difendere chi abbiamo caro!
Prendete ombre, questa è la rabbia di Siderius!!! La rabbia di cui mai mi sono
liberato!!! Esplosione della Supernova Oscura!!!” –Gridò il Capitano
dell’Ombra, piombando all’interno della marea nera e lasciandosi fagocitare da
essa, prima di liberare tutto il cosmo che aveva raccolto. Tutto quel che gli
restava. E spazzarla via.
“Siderius!!!” –Gridò Ioria,
mentre l’onda d’urto generata spezzò la sincronia cosmica tra i sette compagni,
sollevandoli da terra e scaraventandoli indietro, facendoli ruzzolare sul
terreno pietroso. Si rialzarono dopo poco, storditi dalla deflagrazione, e per
un attimo sembrò loro che il cielo fosse meno nero.
Ioria strinse i pugni, con gli
occhi lucidi di commozione. E di dolore. Ma non disse niente. Si mosse soltanto
per riprendere la sua posizione, a fianco di Virgo e di Libra.
“L’aura cosmica di Siderius è
rimasta a difesa del suo maestro!” –Commentò allora Castalia. –“Dell’amico che
tanto gli è mancato! Ancora balugina fioca in questa cappa di tenebra! Ancora
posso sentire la rabbia che non è mai riuscito a vincere, la rabbia che non ha
mai indirizzato verso qualcosa di costruttivo, verso un futuro per sé! È
ironico, e a tratti triste, pensare che amasse strappare il futuro ai nemici,
quando lui per primo non credeva affatto nel suo!”
“Credo che in fondo ci abbia
insegnato qualcosa!” –Intervenne Tisifone, che aveva compreso la riflessione
dell’amica. –“A tirare fuori i nostri sentimenti, di gioia o di rabbia che
siano, perché tenerli dentro, nasconderli a noi stessi e agli altri, può
soltanto farci del male!”
Ioria, Castalia e Asher si
scambiarono un’occhiata significativa, prima che la voce decisa di Libra
richiamasse tutti quanti, obbligandoli a unirsi di nuovo tra loro e a creare
una barriera con i cosmi, con cui contrastare l’avanzata delle ombre. L’ultima,
a giudicare dalla determinatezza con cui i neri spiriti avanzavano. Assetate
più che mai delle energie vitali dei Cavalieri di Atena, le ombre adesso non si
sarebbero più arrestate.
Vorticarono attorno ai sette
compagni, avvolti nelle loro auree lucenti, chiudendosi sempre più su di loro,
quasi a guscio, decise a ricoprire l’intero Grande Tempio con il loro manto di
tenebra. Nello stesso momento infatti la marea nera dilagò all’interno del
perimetro sacro, invadendo l’infermeria, le residenze dei soldati, perfino le
Dodici Case dello Zodiaco, senza che nessun potere riuscisse più a osteggiarla.
“È davvero questa la fine?”
–Mormorò la Sacerdotessa dell’Aquila, che stava ormai per crollare. –“Morirò
così… completa solo a metà?! Fratello… Phantom… Ioria…”
D’un tratto, mentre tutto
sembrava svanire, mentre i confini sembravano farsi indistinti, i suoni lontani
e il mondo pareva precipitare in una notte senza fine, Castalia udì una voce
che la chiamava. E anche Asher e Tisifone la udirono. E Ioria e Libra. E Virgo,
Pavit e tutti i presenti al Grande Tempio.
Le ombre parvero fermarsi,
vorticare stordite su loro stesse, incapaci di comprendere quella rapsodia
celestiale che aveva invaso l’intero santuario, mentre un raggio di sole, prima
timido poi sempre più consistente, sbucò nel cielo, perforando il soffitto di
tenebra tanto bramato da Flegias. Un raggio il cui baricentro era la
Tredicesima Casa dello Zodiaco, la residenza del Sacerdote, ove Atena aveva
lasciato il simbolo del suo potere, affinché fosse d’aiuto e conforto ai suoi
Cavalieri.
Lo scettro di Nike brillò nel
cielo sopra il Grande Tempio, risplendendo in un arcobaleno di colori che
profusero calore agli stanchi combattenti. Un immenso arco di luce si allargò
all’istante, invadendo ogni angolo del santuario e investendo in pieno la marea
di tenebra, sommandosi ai cosmi dei Cavalieri. Le ombre cercarono di sfuggire,
di nascondersi di fronte a quel sole improvviso. Ma fallirono e vennero
annientate. Tutte.
Quando la luce calò d’intensità,
e i Cavalieri poterono aprire di nuovo gli occhi, un bagliore amaranto
proveniente dal mare lontano li fece sorridere. E ricordò loro che il giorno
stava volgendo al tramonto. La marea d’ombra era stata provvisoriamente
sconfitta, pur se a prezzo di molti sacrifici e sangue.
“Amici!!!” –Esclamò Pegasus,
comparendo all’estremità occidentale del campo dove i Cavalieri d’Oro avevano
combattuto, seguito da Phoenix, Cristal e Dragone. –“Siamo rimasti bloccati
dalla marea nera alla Prima Casa, assediati dalle ombre che non riuscivamo ad
annientare!”
“Ma qualcuno ci è venuto in
aiuto!” –Commentò Cristal.
“Atena è sempre con noi! Con
tutti i suoi Cavalieri!” –Aggiunse Sirio. E anche gli altri annuirono,
chiedendosi come stesse Atena e cosa stesse accadendo sull’Olimpo.
“Questa vittoria non cambia
niente, in fondo!” –Incalzò allora Ioria. –“Flegias non modificherà i suoi
programmi per noi! Anzi, sapendo che siamo ancora vivi, invierà presto nuovi
Cavalieri neri e una seconda ondata di ombre per ucciderci e coprire il Grande
Tempio con il manto oscuro della notte!”
“Sono d’accordo con te, Ioria
del Leone!” –Esclamò Libra. –“Per questo credo che restare qua, a compiacersi
di quest’effimero successo, sia inutile e pretestuoso!”
“Cosa suggerisci di fare allora,
Dohko?!” –Chiese Sirio, sorridendo nel pronunciare il nome del Vecchio Maestro.
“Quello che abbiamo sempre
fatto! Contro Ade e contro Crono! Attaccarlo al cuore! Invadere l’Isola delle
Ombre e estirpare una volta per tutte questa minaccia!”
“Rischiosa impresa, Dohko di
Libra! Siderius mi ha informato degli esperimenti che il Maestro di Ombre ha
messo in atto!” –Affermò Ioria. –“Ma certo non meno rischiosa che rimanere
inermi ad affrontare un nemico che non sappiamo respingere!”
“Ma come andremo sull’Isola?
Secondo Ermes, la cappa di ombre rende difficoltoso il teletrasporto!” –Incalzò
Pegasus.
“Per questo, se volete, posso
darvi una mano io!” –Esclamò una voce cristallina, attirando l’attenzione dei
Cavalieri di Atena.
Un uomo alto e bello, con mossi
capelli argentati, discese dal cielo, ripiegando le colorate ali della sua
Veste Divina, e sorrise a Pegasus e ai suoi compagni, felice di vederli sani e
salvi.