Questione
di punti di vista
“Ovvero
quando sei uno spiantato studente universitario, e l’erba del vicino è sempre
più fottutamente verde della tua”
Note : I personaggi di Inuyasha non sono di mia
proprietà, ma sono copyright di Rumiko
Takahashi e delle istituzioni che pubblicano il manga e l’anime; questa
storia non è scritta a scopo lucrativo ma per puro divertimento e piacere
personale.
Capitolo
secondo
Niente
parcheggio. Abbasso lentamente le
palpebre, respirando profondamente in una sorta di pratica zen che lo psicologo mi ha suggerito dopo venti sedute, nelle quali
mi ha spillato non so quanti quattrini, per frenare i miei collassi nervosi
giornalieri. Stringo la mano destra sul volante, osservando dallo specchietto
retrovisore il condensarsi della caligine esterna sui vetri appannati
dell’auto. Ora, qualcuno mi spiega dove - porcaccia
di quella miseriaccia, prendesse un colpo a te, tuo fratello, cognato, zia,
nonna, figli e chi dannazione fa parte della tua famiglia – dovrei di
grazia, parcheggiare il mio veicolo?
Zona
Aoyama, situata nella parte nord-occidentale di uno dei ventidue quartieri
speciali di Tokyo. Notte. Rientro serale con tanto di graffio sulla fiancata
destra dell’auto nuova che mi sono comprato spiccando salti mortali tra lavoro
ed università, il parcheggio che solitamente occupo è stato trafugato
impunemente da un ignoto figuro che presto troverà tutte e quattro le ruote
della macchina sgonfie e senza paraurti, perché mi degnerò di portarlo in casa
come trofeo di caccia. Nessuno, e ripeto, nessuno può salvarsi dopo aver
varcato pericolosamente il mio territorio. Piego l’avambraccio dietro lo
schienale, facendo retromarcia per piazzare la macchina proprio dietro quella
del malcapitato, orizzontalmente, in modo che domattina imprechi almeno quanto
ho fatto io per uscire da quel maledettissimo posto.
Incurvo
le labbra in un sorrisetto, illuminato dal maniacale desiderio di distruggere
quella dannata Suzuki. Poco male, ne
pagherà le conseguenze quando vedrà cosa gli combino ora. Apro lo sportello
elegantemente, scivolando via dalla vettura, richiudendone successivamente
la portiera col telecomando. Muovo uno, due, tre passi verso l’altra macchina,
sorridendole omicida come solo il più efferato degli assassini potrebbe fare. Con
un movimento fluido premo il bottone che con uno scatto estrae la parte
metallica della chiave, poggiandola su quella bella verniciatura cremisi. “Ops,
che sbadato” cammino parallelo alla fiancata destra della macchina, lasciandovi
impresso sopra un bel solco profondo, tanto per chiarificare di chi sia il
suolo su cui poggiano le ruote galeotte dell’altra macchina. Mi piego,
flettendo il collo per cercare i regolatori d’aria degli pneumatici,
strappandoli uno per uno come tanti petali di margherita, mentre le ruote
sbuffano aria da tutte le parti. “Oh mio dio, giuro che non l’ho fatto mica
apposta!” e mentre le quattro basi dove poggia la Suzuki si sgonfiano
penosamente, il mio sorriso, trionfante, si allarga ulteriormente. Ora posso
perdonare colui che ha osato rubarmi il posto.
Alzo
le spalle, abbandonando la mia vettura dov’era parcheggiata poc’anzi, per
chiamare l’ascensore : direzione, casa. Lungo il corridoio il silenzio tetro,
che si fenderebbe come burro da quant’è palpabile, viene bruscamente interrotto
da una musichetta da anime shojo, che,
con mia somma preoccupazione, proviene proprio dal mio appartamento. Cosa
diamine sta succedendo in quella casa? E’ stato forse indetto un cosplay del
quale sono totalmente ignorante? Sgrano gli occhi procedendo a passo spedito
verso la porta, sudando, e pregando che sia solamente il background di un
qualche strambo programma serale alla televisione.
Inserisco
la chiave nella toppa, spingendo con tutta la forza che ho in corpo la porta
verso l’interno, sbattendola nel vero senso del termine. In una fuga
improvvisata attraverso mezzo androne in meno di dieci secondi, sbucando
trafelato nel salotto per scoprire con mia ampia costernazione che…
“Paripampum,
paripampum!” immaginate la mia faccia che si scioglie come cera. Anzi, sarò
ancora più preciso : avete presente l’urlo di Munch? Quel quadro che raffigura
un uomo contorto tra spasimi ed urla agghiaccianti? Ecco, immagino d’avere la
stessa, identica espressione in questo momento. Miroku, il coinquilino col
quale condivido casa mia, se ne sta piazzato dinanzi al televisore, sopra un
tappetino da yoga a disegnare circonferenze in aria col braccio e pose
inimmaginabili, che fanno tanto praticante di ginnastica ritmica ad un
allenamento.
“Cos…cos…”
non riesco nemmeno a parlare, tanto è lo shock che mi ha completamente rubato
la facoltà di pensare, decidere, e di compiere qualsiasi altro movimento
umanamente possibile. E’ una scena a moviola, nella quale il mio co-affittuario
si volge verso di me spaesato e terrorizzato, mentre io rimango esattamente
nella posa precedente, con le braccia leggermente allargate sui fianchi e le
gambe divaricate.
“Non…non…”
parliamo a scatti, l’uno dinanzi all’altro, mentre Miroku si spiccia a spegnere
il televisore e nascondere tutti gli strani oggetti che lo circondano come se
mi stesse nascondendo qualcosa. Cosa che
sta effettivamente facendo!
“Che
caz…” le mie pupille s’allargano sempre di più, tanto da volermi uscire dalle
orbite. Ora, cosa potrebbe immaginare una persona sana di mente che rientra a
casa dopo una lezione stancante, dopo aver perso la cena in uno scontro idiota
al supermercato, e che non ha nemmeno trovato parcheggio per la macchina? Prima
ipotesi : Miroku si è drogato e sta
tentando di somigliare ad una di quelle eroine shojo con lo scettro in mano,
o roba simile. Seconda supposizione: il mio migliore amico è in realtà un trans
e sta facendo pratiche sadomaso
davanti ad un film porno, in ecchi-cosplay.
Entrambe le opzioni sono raggelanti.
“N…n…n…”
ok, come potremo mai comprenderci così ridotti? Io sono turbato, e se mi
caricassero in ambulanza per portarmi all’ospedale nemmeno me ne accorgerei;
lui è in stato ancora più confusionale. Pietrificati e costernati l’uno dinanzi
all’altro, è come se avessi beccato mia moglie a letto con l’idraulico! Non che
mi verrebbe mai in mente di considerare un uomo la mia metà, ma è come se io e
Miroku fossimo sposati in un certo senso. Metaforicamente,
non letteralmente!
“Spiegami,
perché sto immaginando cose che la tua mente non può nemmeno immaginare”
comincio un discorso decente, nel mentre l’altro comincia a scuotere le mani
davanti al viso come se volesse cancellare ciò al quale i miei poveri occhi
hanno tristemente assistito.
“Non
è come sembra! Frena pensieri macabri dove io sono il protagonista gay che frusta
un altro uomo vestito da fata turchina!” mi ha letto nel pensiero! Talvolta
rimango perplesso dal fatto che Miroku sappia prevedere ogni mia mossa. Le cose
sono due, o sono un uomo scontato, o qualche nostra sinapsi è connessa
esternamente in qualche fantasioso ed inconcepibile modo.
“Veramente
ti ho immaginato con tutt’altro abbigliamento, ma lasciamo cadere il discorso
prima che divenga equivoco, e prima che mi vengano incubi che potrebbero
ledermi il cervello in modo irreparabile. Cosa stavi facendo davanti al
televisore, mentre cantavi quell’assurda canzoncina e per di più, cosa cazzo
stavi mimando? Miroku…” mi avvicino, posando entrambi i palmi sulle sue spalle,
per chinare in seguito il capo tristemente “Se hai bisogno di soldi, la
prostituzione non è la scelta migliore …” quando risollevo lo sguardo, mi
immergo nel suo totalmente sgomento.
“PROSTITUIRSI?
Di cosa diavolo stai parlando?” mi guarda omicida, strappandosi le “ali” da
dietro la schiena, per cadere in ginocchio sul pavimento, in una scena
decisamente troppo drammatica e retrò per i miei gusti. “Sono stato costretto …”
“E’
stata la yakuza?”
“No…”
“Uno
strozzino al quale devi soldi?”
“No…”
“E
allora chi?”
“…ngo…”
“Eh?”
“S…go…”
sussurra, in un filo di voce impercettibile, che colgo solamente grazie al
fatto che il mio udito sia allenato nel dover raccogliere questo genere di
informazioni. Allibito. Scioccato. Quale insulsa tortura alla quale sottoporre
un uomo? Deve aver fatto sicuramente qualcosa di orribile per meritarsi una
punizione così atroce e sadica. “Miroku, cos’hai fatto? Sei andato a letto con
un’altra donna?” Alzo una mano di fronte alla bocca, indietreggiando di qualche
passo mentre un’ombra scura cala all’interno della stanza. Una donna può
davvero costringere un uomo a tanto, per vendetta?
“Non
esattamente …” formula, mentre i suoi occhi vuoti si immobilizzano sul
pavimento. Peggio di questo? Cosa può aver irritato così tanto la donna del mio
coinquilino, per arrivare a fargli questo? “Orsù, dovrai pur aver combinato
qualcosa di grave!” lo incito, fermando i miei passi per inarcare livido le
sopracciglia, ora se non la smette con tutta questa drammatica messa in scena
lo costringo io a vestirsi da ballerina in mezzo ad una strada, vediamo poi
come reagisce.
Si
alza, raggiungendomi di nuovo per portare entrambe le mani accanto al mio
orecchio, e sussurrarmi il tutto all’interno di questo, come se ci potesse
sentire qualcun altro.
La
reazione che segue passa dallo shock, poi ad un espressione del tutto
indecifrabile, ed infine ad una sonora, quanto sbellicante risata che mi piega
in due sul pavimento. “Oh mio dio, oddio, oddio, oddio ahahahahahah, non ci
credo! Non è possibile! Ahahahah, ti sei lasciato infinocchiare come un’idiota
per soddisfare una fantasia sessuale della tua donna ahahahah, tanto da
vestirti in un modo così redicolo e improvvisare un karaoke in casa mia e far
passare questo locale per una sottospecie di host club per gay ahahahaha…” la
mia espressione cambia in un nano secondo, divenendo scura come la pece “Fuori
da questa casa…” principio, con evidente impazienza sul volto. Le mie labbra si
contraggono pericolosamente, mostrando i canini puntuti ai bordi di queste, in
un macabro quanto inquietante sorriso.
“Inuyasha,
calmati e ragiona, dove dovrei andare?” ribatte, indietreggiando di un passo.
“Non
mi interessa… rinchiuditi in una casa di cura, vai sotto un ponte, suicidati,
fa quello che ti pare. Ma non osare mostrare quella tua faccia davanti a me per
almeno tre giorni. Sono stato chiaro?” espongo inoppugnabile, puntando il dito
con una calma glaciale verso la porta.
“Vestito
così?”
“Con
le tue idee maniacali stai rischiando di mandare a puttane la mia reputazione e
ti preoccupi di come uscire vestito? Se non sposti le tue chiappe fuori da
questo appartamento entro dieci secondi, giuro che ti prendo a calci sino all’uscita e ti mando in
giro NUDO COME UN VERME”
Nemmeno
flash avrebbe afferrato il mio comando con tanta obbedienza. Fugge,
smaterializzandosi dalla sua posizione in pochi istanti per raggiungere
l’entrata e scomparirvi dietro.
La
tranquillità torna ad imporsi nella stanza seduta stante. Voglio concedermi
qualche secondo per rimettere in ordine le idee e porre un freno al nervosismo
evidente che si è impossessato come un demonio del mio corpo, facendolo fremere
come una maracas.
“Mi
chiedo cos’ho fatto di male per meritarmi tutto questo, che qualcuno me lo
spieghi!” percorro l’ampio soggiorno, gettandomi a peso morto sul divano, per
tornare a fantasticare sul motivo effettivo della mia scelta. Tra tanti amici
che potevo selezionare, proprio lui dovevo prediligere come coinquilino?
Massaggio
le tempie coi polpastrelli, chiudendo gli occhi per spegnere il cervello e non
pensare più a nulla. In tutto questo io devo ancora cenare, studiare per il
prossimo esame ed uscire per il solito ritrovo del venerdì sera. Tiro un ampio
sospiro, ascoltando il rintoccare dell’orologio che scandisce il mio tempo
troppo lentamente per non irritarmi, il rumore del gocciolare di quel dannato
rubinetto in bagno è molesto, il ronzio di una mosca che è riuscita a penetrare
quella vecchia finestra del soggiorno un movimento infernale per il mio udito,
ed i vicini che suonano chiassosi, e la televisione del condominio di fianco,
per non aggiungere le grida della coppia di sessantenni che abita sul nostro
stesso pianerottolo. Sto per impazzire! “SILENZIO” grido, sollevandomi a sedere
sul sofà ed incrociare successivamente le gambe l’una con l’altra. Tutto questo
è un supplizio.
Come
faccio a cogliere ogni singolo rumore che mi circonda? Semplice, non sono un
essere umano. No, non sono né alieno, né tanto meno una creatura delle fiabe (o
quasi), sono l’esperimento genetico di una persona che non ha tutte le rotelle
a posto. Prima ero un ragazzo normalissimo, con i miei alti e bassi, e con una
media sufficiente a scuola, una famiglia a-normale, ed una casa altrettanto
stramba. Eravamo tutti perfettamente nella norma, a parte la leggera follia che
albergava nei miei genitori, sino al giorno del mio dodicesimo compleanno nel
quale, vuoi per caso o per qualsiasi altro dannato scherzo del destino, sarei
dovuto morire in un incidente stradale. Oh sì, a ripensarci avrei preferito
esser morto.
Mi
distendo nuovamente, ispirando. Debole, probabilmente ero troppo debole per
poter sopravvivere dopo uno schianto simile, e sarei andato sicuramente
all’altro mondo per i medici. Se non fosse intervenuta una persona che tutt’ora
mi esimio dal voler nominare, solo per il ribrezzo che provo nel ricordare il
suo nome. Esperimento genetico, clonazione, fusione di dna; non so nemmeno io
come chiamare la mia rinascita nel mondo dei vivi. Sarei dovuto tornare
esattamente come prima, se non fosse per un piccolo errore di calcolo, nel
quale la composizione chimica dei miei geni, fu, ma guarda un po’, rimescolata
come un cocktail a quella di uno shiba. Sì, proprio un cane! Quindi ora godo di
alcuni dei tratti somatici della simpatica bestiola, come le orecchie, gli
artigli, ed i sensi più sviluppati di un comune essere umano : olfatto, vista,
udito, destrezza, velocità. Dovrebbe essere un bene, potrei considerarmi un
essere speciale in fondo. Inizialmente avevo preso questo cambiamento come
qualcosa di assolutamente fantastico, ero forte, inattaccabile, avrei potuto
usare tutto questo contro chi non mi andava a genio.
Peccato
che tutta questa superbia mi diede alla testa, scambiando il dono della vita
per un’arma di difesa contro gli altri. Ferivo e attaccavo senza remore, come
un cane, proprio come un animale. Più usavo le mie abilità speciali, più la mia
rabbia cresceva e diveniva difficile controllarla. Sedato. Venni addormentato
come una belva, per poi cominciare le numerose sedute psicologiche che durano
oramai da anni. Ecco cosa mi ha portato ad odiare la mia attuale situazione.
Non sono più come gli altri, e per quanto per qualcun altro possa essere
invidiabile il mio mondo, per me non rimarrà altro che una seccatura dalla
quale non potrò mai scappare.
Devo controllare la rabbia per non fare del
male, sono prigioniero nel mio stesso corpo. Non credo più di essere speciale,
so solo di essere pericoloso.
Non
posso comunque permettermi tutta questa indolenza, se sono ancora vivo, devo
sfruttare questa seconda opportunità sino all’ultimo, vivendo ogni istante di
quest’esistenza attimo per attimo. Lo faccio per me stesso e per nessun altro,
perché voglio riuscire a chiamare esistenza,
qualcosa di artificiale che mi permette ancora di respirare.
Un
rapido colpo di reni, e mi sollevo nuovamente, circondato dai frammenti di
quello che ora è il mio mondo. Una casa, con un coinquilino sottomesso e
sfruttato dalla ragazza. Il mio corso di economia e commercio del quale capisco
si e no un bilancio su dieci, con lo studio matto e disperatissimo di dieci
minuti al giorno, che mi consente di mantenere una media altalenante
impronunciabile, ma che comunque mi permette di proseguire gli studi nell’agio
sfrenato della nullafacenza. Si fa per dire. L’ultimo rientro a casa non è
stato dei migliori ad esempio, tralasciando che una parete di camera mia è
stata completamente abbattuta per allargare quella adiacente di mio fratello,
dico, nemmeno fossi morto davvero. Dicevo, torno a casa un weekend su mille, e
vengo accolto da mia madre che mi sbraita di dover trovare un lavoro perché per
mantenere me tra poco dovrà donarsi alla prostituzione (che esagerazione!), mio
padre che se ne frega totalmente, annuendo di tanto in tanto solamente per dar
ragione a quella squilibrata della mia genitrice, pronunciando sempre e
puntualmente le stesse parole “Da retta a tua madre” seh, se avessi ascoltato
tutto ciò che secondo lei avrei dovuto fare, a quest’ora sarei sicuramente a
lavorare in un circo come ritrovamento antropomorfo del secolo.
Mio
fratello, oh, lui è l’ultimo dei miei pensieri. Secondo me non sa nemmeno di
avere un fratello. La scena più bella è stata quando ho inavvertitamente
domandato che fine avesse fatto camera mia.
Il teatrino di Inuyasha
Inuyasha
entra saltellando in casa, tutto contento, sperando di ritrovare la sua bella
cameretta come l’aveva lasciata. Il fastidioso rumore di un martello pneumatico
però, gli lascia intendere che c’è qualcosa di strano, quindi, zampettando
allegramente raggiunge l’ adorabile fratello, buttandogli giù letteralmente la
porta della stanza con l’angelica e beata espressione di Satana mentre pungola
le anime dannate dell’inferno :
“Sesshomaru!”
domanda dolcemente, gridandogli nei timpani nemmeno avesse ingoiato un
megafono.
“Fottiti”
risponde l’altro, con l’algida delicatezza di un iceberg.
“Cosa
cazzo hai fatto alla mia stanza?” ribatte ancora il fratello minore, con garbo,
sbattendo un pugno contro il muro per creparlo in mille frammenti.
“Fottiti”
asserisce con gradevolezza l’altro, puntandogli addosso uno sguardo talmente
eloquente che potrebbe frantumargli le ossa solamente con quello.
“Dovrei
dormire in una cuccia?” erompe sarcastico, l’adorabile fratellino, mentre
lingue di fuoco invisibili cominciano a saettare all’interno del locale che
pare improvvisamente la sala delle caldaie del Titanic prima dell’affondo.
“Fottiti”
rincara la dose Sesshomaru, con l’intento di portare avanti la sua tesi
inattaccabile sino all’ultimo, che uomo tenace, dovrebbe dichiararsi dittatore!
“Ripeti
perché non ho capito l’ultima parola…”
“Fottiti”
“Ah,
ora è tutto chiaro, scusa il disturbo. Vaffanculo!” Così termina il colloquio
tra due consanguinei che si rispettano e si ammirano a vicenda, col conseguente
sbattere della porta da parte di Inuyasha, e dell’ignorare completamente la
situazione da parte dell’inaffondabile Sesshomaru.
Il teatrino di Inuyasha,
end.
Questa
è la storia della fine della mia camera da letto e dell’inizio dell’impero di
mio fratello maggiore su casa Taisho. Ordunque,
appellandomi a tutta la pazienza disponibile ed ancora usufruibile in corpo, ho
abbandonato l’idea di rimettere piede in quella dimora, auto esiliandomi da
essa per il resto dei miei giorni. Diverrò indipendente, e da domani, penserò a
cercarmi un lavoro che possa placare l’ira di mia madre, che non dovrà divenire
una puttana a causa mia, e per godere di quest’esistenza corrotta che mi grava
sulle spalle.
Mi
alzo, stiracchiandomi, cogliendo l’insolito aroma di una pietanza che mi manda
in visibilio. R-a-m-e-n. Se c’è qualcosa al quale non posso resistere, nemmeno
se mi legassero mani e piedi ad un blocco di cemento, è proprio quel piatto.
Toglietemi tutto, ma non il mio ramen istantaneo.
Ora
che ci penso…
“Ladra”
sbuffo in un cipiglio contratto, incrociando le braccia al petto mentre lo
stomaco gorgoglia. Possibile che ogni volta che decido di andare al
supermercato, puntualmente debba incontrare quella megera che tenta di
soffiarmi la cena? Non solo, ha anche cercato di attentare alla mia vita con
una testata alla schiena, peccato per lei che io sia un mezzo cane e possa
spostarmi molto più velocemente di una stupida umana qualsiasi. Inoltre,
giocare sporco e far finta di piangere per impietosirmi, ma dico, ho scritto
idiota in faccia? Pessima recitazione, davvero pessima, avrei sicuramente fatto
di meglio io stesso.
Resta
il fatto che io ho sempre fame, e che il frigorifero, se ci si affida alle
esperte mani di Miroku, diverrà prima una comoda dimora per i ragni che un
contenitore per il cibo. Inarco le sopracciglia abbattuto, non posso studiare a
stomaco vuoto, morirò prima (scena drammatica con tanto di palmo sollevato
presso la fronte). Annuso l’aria circostante, ritrovando l’odore di poc’anzi
che mi solletica le narici invitante. No, non posso. Purtroppo il corpo si
muove da solo, e per quanto io non voglia alzare il deretano dalla sua posizione,
le gambe hanno preso vita propria per spostarsi sul pianerottolo e raggiungere
l’entrata dell’appartamento al piano inferiore (ammazza che olfatto!).
Sospingo
leggermente la porta, che a quanto pare è aperta. Ramen …
Lo
stomaco protesta, ed io mi ribello a lui per impedirgli di condurmi in casa di
estranei. Una persona normale chiederebbe permesso, ma io, non sono né una
persona, né tanto meno normale. In questi casi divengo un povero randagio
affamato che scodinzola allegramente dopo aver sentito un odore piacevole (solo
in questi casi divengo un vero animale).
Non
ci metto molto a scovare la cucina, dove ribollente e fumante, scorgo il ben di
dio che pare invitarmi a divorarlo in un sol boccone. “Ciao tesoro mio”
asserisco, in direzione del ramen, se potessi lo abbraccerei, ma eviterò una
scena tanto patetica dettata dai morsi della fame.
Squadro
l’abitazione, dove non pare arrivino uomini con fucili né donne armate di
scopa. Bene!
Non
credo sia giusto far fuori la cena di qualcun altro in questo modo, ma a
pensarci bene anche io sono stato privato della mia, quindi, il ragionamento
fila.
Sposto
la mano verso il contenitore dei miei sogni, quando vengo interrotto da una
sensazione abbastanza sgradevole, che sale sulla spina dorsale, diramandosi in
tutto il corpo.
“…Un
ladro!”
“Ahhhh!”
alzo le mani sopra il capo “Dove?” rispondo di rimando, sì, a volte sono
proprio idiota; e mi rendo conto solamente dopo che la parola ‘ladro’ era
associata a me.
“Ahhhh!”
grida, mi volgo per tappare la bocca della donnina, quando rimango ancora più
costernato di scoprire che quella davanti a me è…
“AHHHH!”
“AHHHH!”
gridiamo all’unisono, puntando l’indice l’uno contro l’altra.
“La
maniaca di ramen del supermercato!”
“Lo
stronzo delle lattine di birra!” ah, e allora ho doppiamente motivo per rubarle
la cena dannazione, si da il caso che quel rame mi appartenga di diritto! Mi
sposto indietro, abbassandomi sulla confezione per afferrarla.
“Brutto
disgraziato! Ora anche a casa vieni a perseguirtarmi? Per colpa tua ho perso
metà del mio stipendio, brutto idiota! Lascia subito quel ramen o ti uccido!”
sì,sì,sì chiacchiera quanto vuoi eh.
Nel
frattempo, rovescio il contenuto del barattolo direttamente in bocca,
pappandomi ciò che c’era al suo interno in un lampo.
Lei
rimane di sasso, per poi cominciare a colorarsi di un vivo rosso scarlatto
pronta ad uccidermi, probabilmente.
“Ho
fatto ciò che era giusto” socchiudo le palpebre, compiaciuto d’aver fatto
giustizia!
“Ora
te lo do io qualcosa di giusto, brutto stronzo idiota, deficiente, depravato,
maniaco!” uh-oh, la via migliore da intraprendere è quella della fuga, non
vorrei ricevere un commiato a suon di padellate in testa.
“Ah,
mi dispiace, ma non sei il mio tipo. Il ramen era squisito, grazie per la cena
nana” sorrido sornione prima di scappare a gambe levate verso la porta, mentre
vengo inseguito da utensili di ogni forma e colore, che mi accompagnano
gentilmente all’uscita.
“IDIOTA!
IDIOTA! IDIOTA!” credo si sia di nuovo arrabbiata, mamma mia le donne non sanno
stare agli scherzi, le ho fatto un piacere in fondo, le ho assicurato un chilo
in meno sulla bilancia, dovrebbe ringraziarmi.
Defilatomi,
sento la porta sbattersi sonoramente alle mie spalle, mentre col fiatone
m’appoggio al muro della tromba delle scale che conduce al piano superiore. Che
furia omicida, se mi avesse preso con una di quelle pentole, sarei morto sul
colpo. Assassina, è già la seconda volta che attenta alla mia vita oggi! Bene,
il problema della cena è risolto, ora posso dedicarmi ai miei dodici minuti di
studio per poi uscire a far baldoria. Grazie nanetta del discount, per una
volta, dopo anni di battaglia, hai saputo perdere con onore!
Sollevo
la mano al petto, in segno d’eterna gratitudine, per poi risalire i gradini e
tornarmene verso il mio appartamento.
Due
a zero, non male come punteggio. Questa è la riconferma che il cane non è
sempre il migliore amico dell’uomo.
“Keh!”.