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Autore: Silice    06/04/2010    1 recensioni
Una gita, una missione. I loro destini si incrociano. Un’avventura per entrambi, lei trascinata in un mondo misterioso e sconosciuto, lui nell’universo degli adolescenti. Riusciranno a uscire indenni da questa avventura? Ma soprattutto, i loro destini rimarranno legati? La guardò negli occhi. “Ti odierò per sempre” Silenzio. “Anch’io"
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hello!!! Dunque dunque… che dire? È arrivata la parte più difficile per me, ovvero il lento abituarsi dei ragazzi alla loro nuova dimora, e agli inquietanti abitanti che essa ospita. In questo capitolo, ahimè, c’è poco poco spazio per Artemis, che però tornerà presto…

Buona lettura!!

 

REALITY SHOW

 

Non era stata una grande idea, dopotutto. Insomma, poteva aspettarselo. Non era Tom Cruise, né una seducente e combattiva Angelina Jolie, quindi la sua missione era destinata al fallimento ancora prima che iniziasse.

“Cavolo” pensò Elinor, e fu l’unica riflessione che potè fare prima che un paio di braccia femminili la gettassero a terra, premendole il viso sul pavimento. La ragazza che l’aveva atterrata aveva due trecce bionde fluenti, e una presa da fare invidia al migliore dei lottatori di Wrestling.

“Dove pensavi di andare, eh?” ringhiò. “Artemis, Leale!”

Con la coda dell’occhio Elinor vide l’uomo pelato sbucare dal soggiorno e rimanere lì, fermo a fissare le due ragazze. Fu subito seguito dal ragazzino pallido, che le osservò con aria sorpresa.

“Leale, mi sembra proprio che tu te ne sia fatta sfuggire una.” Osservò con un ghigno. Elinor credette di averlo visto sorridere. “E’ la prima volta che capita.” Il ragazzo si spostò dalla visuale di Lily per dare una pacca sulla spalla dell’omone. “Stai perdendo qualche colpo, vecchio mio. Farti scappare una ragazzina…” e rimase lì a sghignazzare divertito.

L’omone, pensò Elinor, non era affatto contento. La guardava con aria omicida, e fino a quel momento non aveva detto una parola.

“Juliet, lasciala andare. Non è pericolosa.” La sua voce, benché cercasse di mantenere un tono calmo, lasciava trapelare una certa rabbia.

La ragazza si sollevò dalla sua posizione, lasciando Elinor libera di respirare e di alzarsi. Lily si guardò sopresa attorno, stupita del fatto che l’avessero lasciata andare senza neanche farle del male. Fissò i suoi carcerieri con un’aria di sommo disgusto, lisciandosi la vestaglia che ancora indossava e tentando di mantenere una certa dignità nonostante il suo abbigliamento e il fatto che era stata scoperta e atterrata con facilità da una ragazza che non doveva avere più di un paio d’anni più di lei.

Strinse i pugni e alzò lo sguardo, augurandosi di sembrare coraggiosa e spavalda.

“Chi siete? E dove siamo?” chiese con voce ferma. “Dovete liberarci immediatamente. Sicuramente in questo momento ci saranno migliaia di agenti della polizia in nostra ricerca, e si sarà già diffuso l’allarme. Quando vi prenderanno…”

Tutt’un tratto ammutolì. Perché nessuno stava gridando contro di lei? Perché nessuno la stava trascinando nella sua “cella” con la forza? Ma che razza di rapimento era quello?

Le tre figure davanti a lei la fissavano immobili. La ragazza la guardava con curiosità e diffidenza, come se non capisse bene di cosa stava parlando, e ogni tanto lanciava uno sguardo ai suoi due compari; l’uomo la guardava contrariato, e ogni tanto gettava un’occhiata al ragazzo; l’oggetto di tutta quell’attenzione, dal canto suo, fissava Elinor con un’espressione indecifrabile sul volto, dimostrando ben poco interesse per le sue parole, e aspettava pazientemente che finisse il suo minaccioso discorso.

A Elinor morirono le parole in bocca.

“Dunque?? Ci lasciate andare o no??” chiese furiosa. La mancanza di reazione da una qualsiasi delle persone alle quali si stava rivolgendo la rendeva sempre più in collera.

Stettero tutti e quattro in silenzio per qualche istante.

“Perfetto. Leale, fai scendere i ragazzi e falli accomodare in soggiorno. Non c’è bisogno che rimangano nelle loro camere.”

Elinor guardò l’omone, Leale, rivolgere uno sguardo estremamente sorpreso al ragazzo, che, come dedusse la ragazza, doveva essere per forza il suo padrone o datore di lavoro. Tuttavia egli non disse nulla, e silenziosamente si avviò verso le scale.

Lily continuò a studiare attentamente i due ragazzi di fronte a lei, sperando che il suo sguardo esprimesse il più grande disprezzo possibile. Lo sguardo inquisitore della ragazza bionda su di sé la infastidì leggermente, ma mai quanto quello del ragazzo, che la guardava come se fosse completamente indifferente alla situazione, anzi come se ne fosse divertito. Elinor non riusciva a capire: prima lo aiutava, poi lui rapiva lei e i suoi amici senza fornire uno straccio di spiegazione e poi sogghignava divertito alla vista della sua mal riuscita fuga? Ciò non rientrava in alcuno schema razionale. Inoltre, chi era? Eric, Artemis, russo, inglese, insomma che cosa diamine era? Come si chiamava? E come poteva essere il capo di quell’omone grande e grosso, quando dimostrava a malapena la sua stessa età?

Un improvviso rumore di passi risuonò da sopra le scale, e Lily si girò. Fu in qualche modo sollevata dal vedere la chioma rossa di Sissi, il passo morbido e aggraziato di Arianna, il pigiama viola di Milla apparire in cima ai gradini, ma soltanto quando fu stretta dalle braccia di Giova, il suo migliore amico, si sentì decisamente meglio.

“Elinor! Che ti è successo?” Luca arrivò trafelato e la guardò con preoccupazione.

Elinor, dopo aver abbracciato le altre, si voltò verso il suo amico: “Te lo racconto dopo. Non mi hanno fatto niente, comunque.”
“Ragazzi cosa sta succedendo? Dove siamo?” la voce di Lorenzo riportò tutti al precedente stato di angoscia. “Che cosa volete da noi?” ringhiò poi alla volta del ragazzo pallido e della ragazza bionda di fronte a loro. Elinor percepì la tensione salire, mentre Giova e Luca si univano a Lorenzo nella loro muta battaglia di espressioni rabbiose nei confronti degli sconosciuti. Arianna si affiancò ancora di più a Lily, e le strinse la mano, alla ricerca di conforto. Tutta quella tensione, tutta quella paura indefinita la facevano soffrire e patire ancora più degli altri.

“Ragazzi, calmiamoci adesso” la voce calma di Lily spezzò quell’incredibile tensione che si era creata. “Ascoltiamo cosa vogliono da noi.” Si voltò poi verso Giova, sussurrando appena. “Non possiamo fare nulla in questo momento.”

“La vostra compagna ha ragione.” Più di una dozzina di occhi si posarono sul ragazzo pallido, che osservava la scena tranquillo, senza battere ciglio. “Seguitemi. Vi spiegheremo la situazione.”

E, tranquillamente, si diresse verso il soggiorno.

 

Artemis era sorpreso. Per la prima volta, una persona – una ragazzina – era riuscita a eludere la sorveglianza di Leale. Come, non sapeva dirlo. Sicuramente però avevano sottovalutato le capacità di un’adolescente disperata.

La osservò attentamente, dopo aver chiesto a Leale di andare a prendere gli altri ragazzi. Era la stessa che gli aveva offerto la camera, e che si era “buttata” giù dal balcone con lui. Non era nulla di notevole: non era particolarmente carina, normale, e probabilmente non era neanche così sveglia, come la stupida offerta di aiuto a uno sconosciuto sottolineava. Cercava inutilmente di esprimere odio attraverso lo sguardo, ma lui riusciva senza sforzo a scorgervi la paura, e la confusione che regnava nella sua testa. In fondo, pensò Artemis, non poteva biasimarla: non tutti erano come lui. Anzi, nessuno era come lui.

Si ritrovò a pensare a quella ragazza con un misto di antipatia e pena. “Un attimo” pensò. Lui non doveva pensare a quella ragazza in alcun modo, non doveva interessargli minimamente. L’unica cosa che gli premeva in quel momento era di sbarazzarsi del fastidioso inconveniente della presenza dei ragazzi italiani in casa. Il problema era che, in quel momento, non c’era alcuna soluzione.

 

Il soggiorno era enorme. Non era affatto spoglio come le camere, ma arredato con gusto e, nonostante lo stile fosse piuttosto sobrio e elegante, si capiva che il padrone di casa doveva essere particolarmente ricco.

Elinor si sedette con Arianna e Milla su un divano color panna, mentre i suoi amici si disponevano sulle poltrone lì attorno. La ragazza non li seguì, mentre Leale e il ragazzo si piazzarono davanti a loro, come per iniziare un’importante discorso.

“La vostra presenza qui” iniziò il ragazzo “è stata un errore. Voi non dovreste essere qui, ma ci siete, e non potete fare nulla per cambiare le cose.”

Leale lo interruppe con decisione, mostrando una padronanza dell’italiano molto più stentata. “Ciò vuol dire che la fuga non è contemplata. Non arrivereste vivi fino al giardino.” Fissò Elinor, che rabbrividì. “Siete avvertiti.”

Il ragazzo, dopo aver annuito in assenso, continuò. “La situazione è questa: voi qui siete al sicuro. Il vostro rapimento non era uno dei nostri obbiettivi. Dunque non preoccupatevi: la buona notizia è che cercheremo in tutti i modi di farvi tornare a casa presto. La cattiva notizia sarà che dovrete perdere la memoria, ma non credo che sarà un grande problema per voi, né vi dispiacerete tanto, anche perché non ve ne ricorderete. Questo è quanto.”

Si incamminò verso la porta, ma si fermò a metà strada.

“Ah, quasi dimenticavo.” Si voltò con un ghigno stampato sul volto, e Elinor ebbe come la sensazione che non se ne fosse affatto dimenticato. “Non chiedete chi siamo, né dove siamo, sarebbe fatica sprecata. Potete chiamare Leale con questo nome se volete, e se avete domande rivolgetevi a lui. In quanto a me, sarebbe meglio che non mi chiamaste affatto.”

E se ne andò.

I ragazzi rimasero basiti a fissare l’apertura vuota in perfetto silenzio. Poi un brusio si diffuse con gradualità, e Sissi fu la prima a esprimere la sua opinione in merito:

“Lurido bastardo.” Sentenziò. Si concentrò poi su Leale, che era rimasto nella stanza.

“Tu, Leale giusto?” chiese la rossa con forza. “Dicci subito dove siamo. Voglio saperlo. E non voglio assolutamente che qualcuno tocchi la mia preziosa mente. Ma che diamine è sta cosa della memoria?”

E, tanto per dare risalto alle sue parole, si alzò in piedi e mise le mani sui fianchi, pronta al combattimento.

Elinor avrebbe giurato di aver visto Leale celare uno sguardo divertito. “Non possiamo dirvi dove siamo. In quanto alla memoria, non dovete preoccuparvi, vi sarà spiegato tutto a tempo debito, tanto non ve ne ricorderete. Per ora, vi chiedo solo di mantenere la calma, e di pazientare. Ora sedetevi.” Ordinò, guardando Sissi. “Devo spiegarvi alcune regole.”

Guardò tutti negli occhi, cercando di incutere timore, e ci riuscì benissimo. Elinor rabbrividì.

“Regola numero uno: non potete uscire. Non chiedetemi cosa ne sarà di voi se vi azzardate a mettere un piede fuori.” Si prese una pausa, per sottolineare la sua ferrea decisione con lo sguardo.

“Regola numero due: potete circolare in casa, ma non potete avvicinarvi al terzo piano. Neanche lontanamente. Ogni sera, alle dieci, passerò io stesso a chiudere a chiave le vostre camere. Con voi dentro.”

“Regola numero tre: non potete disturbare. Non dovete azzardarvi a urlare, schiamazzare e dare feste o comunque fare tutte quelle cose che fanno gli adolescenti. Anzi, sarebbe meglio che vi comportaste esattamente come dei silenziosissimi prigionieri, il che vuol dire che dovrete ubbidire a ogni mio ordine, o a quelli di Artemis. All’istante.” Li fissò con aria omicida. “Sono stato abbastanza chiaro?”

Nessuno rispose, in un tacito e cupo assenso.

Artemis, si ritrovò a pensare Elinor. Così era questo il suo nome. Tanto, pensò, non se ne sarebbe ricordata, stando a ciò che avevano detto.

“Avremo bisogno di vestiti.” Disse Lorenzo, rompendo il silenzio. Leale sembrò accorgersi solo in quel momento che i ragazzi erano ancora tutti in pigiama. Poi il ragazzo si voltò verso gli amici: “Non so voi, ma io ho anche fame.”

“Inoltre, cosa ne è delle nostre famiglie? Sono a conoscenza della nostra situazione, che stiamo bene…?” la voce di Elinor era davvero preoccupata.

“Non preoccupatevi di questo. Ce ne occuperemo al più presto.” Disse Leale. “In quanto al resto…” Si voltò verso l’apertura: “Juliet!”

La ragazza bionda entrò nell’ingresso, e Elinor ebbe l’occasione di osservarla meglio: era abbastanza alta, magra, con un paio di jeans e una T-shirt. Il suo viso, che prima era contratto in un cipiglio aggressivo, sembrava più rilassato e concentrato.

“Juliet, avresti mica dei vestiti da dare alle ragazze?” Leale mostrò con la mano l’abbigliamento degli italiani.

Juliet le squadrò pensierosa. “Ma certo, per il momento posso prestare loro la mia roba. Per i ragazzi possiamo usare i vestiti che Artemis non mette mai, quelli su in soffitta.” Voltò la testa verso Leale. “Vado a prenderli.” E uscì scattante dal soggiorno.

“Ok, questa è sistemata. Ora seguitemi in cucina. Non toccate nulla.” Disse, anche se nessuno aveva pensato di trasgredire i suoi ordini. Lentamente, i ragazzi si alzarono e seguirono l’uomo fuori dal soggiorno, in una stanza dall’altra parte dell’ingresso. Era luminosa, con una porta finestra che occupava la maggior parte della parete e che dava su una veranda, da cui si poteva ammirare l’immenso giardino. Elinor si ritrovò a pensare alla casa con ammirazione.

Leale aprì una delle dispense, e tirò fuori alcuni pacchi di pane a cassetta. I ragazzi, in silenzio, aspettavano in piedi attorno a un tavolo piuttosto grande, in vetro, proprio davanti alle finestre.

Leale si interruppe un secondo e li fissò. “Sedetevi pure”, disse con un tono un po’ più addolcito. Si sedettero, sempre in silenzio. La situazione era talmente strana e al di fuori dal normale che non se ne capacitavano. Erano stati rapiti, ma da un ragazzino della loro età che possedeva una casa immensa, in cui venivano trattati più come ospiti che come prigionieri. Non avevano idea di cosa stava succedendo a casa, alle loro famiglie, e poi c’erano tutti quei vaghi riferimenti alla perdita della memoria… la confusione e una vaga inquietudine albergavano ancora nei loro animi, e nessuno riusciva a esprimere ciò che provava a parole.

Proprio lì, mentre aspettavano, Milla scoppiò a piangere, singhiozzando sommessamente. Elinor si alzò dal suo posto e andò ad abbracciarla, sussurrandole di stare tranquilla. Leale continuò imperterrito a fare panini all’altro capo della stanza.

In quel momento arrivò Juliet, tenendo in mano una quantità spropositata di vestiti femminili, tutti di tonalità rosa o rossa. “Ho trovato questi, spero che siano della vostra misura…” si zittì improvvisamente quando vide Milla piangere, circondata dai suoi amici, che attraverso i loro volti tirati e stanchi, esprimevano tutta la loro sofferenza e timore.

Lasciò cadere i vestiti, si diresse con decisione verso il gruppetto, e si accovacciò di fianco alla sedia di Milla.

“Non avere paura. Non vi faremo nulla qui. Finchè siete in questa casa, siete più al sicuro che fuori.” Disse, lasciando tutti a bocca aperta. Anche Leale si fermò, guardandola inibetito. La bionda abbozzò un mezzo sorriso: “Su forza, tu sceglierai per prima.” E posò sul tavolo la miriade di vestiti che aveva portato, raccogliendoli da terra.

Elinor contorse il viso in una smorfia, che sperava apparisse come un credibile sorriso. “Forza Milla, non ti preoccupare. Vedrai che andremo via presto da qui” le disse, sperando di risultare convincente. “E ora, scegliamo i vestiti.”

 

Quando si svegliò, Elinor ci mise qualche secondo a ricordare dove si trovava. Il gelo la colse, e per qualche attimo rimase lì, a fissare il buoi, le mani che stringevano il cuscino. Accese la lampada sul suo comodino e gettò un’occhiata all’orologio: le 8.30. Si mise a sedere, cercò con i piedi le pantofole e si alzò. Si tolse la camicia da notte e iniziò a infilarsi distrattamente i vestiti che Juliet le aveva dato il giorno prima e che ora erano appoggiati sulla sedia: i Jeans erano troppo lunghi e la T-shirt troppo larga, ma non ci fece caso. Ancora insonnolita si scagliò sulla porta, stupendosi di trovarla aperta,e lentamente, sbadigliando e passandosi la mani fra i capelli scarmigliati, scese giù per le scale, senza neanche curarsi di non fare rumore. Arrivata al fondo sentì alcuni rumori provenire dalla cucina e, senza stare tanto a pensarci, entrò.

Juliet, ancora in pigiama rosa acceso, stava maneggiando con disinvoltura pentole e padelle, in un caos che male si addiceva alla fredda perfezione del resto della casa.

“Buongiorno.” Disse la bionda con un sorriso.

Elinor si chiese se la stava prendendo in giro. Quella poteva essere di tutto, ma sicuramente non era una buona giornata, anche solo per il fatto di essersi svegliata lì invece che a casa sua.

“Sei la prima a esserti svegliata.” Continuò Juliet, senza neanche aspettare una risposta da Elinor, che la guardava costernata. “Toast?” chiese, porgendole un piatto con un sorriso invitante. Poi continuò: “Le uova non sono pronte, aspettavo che foste tutti svegli. Se ti va, puoi andare di là a guardare un po’ di TV, ma non c’è un granchè a quest’ora.” Alzò lo sguardo dai fornelli per posarlo su Elinor, che reggeva il piatto senza dire una parola.

“Ehi un momento. Tu sei quella che stava cercando di scappare ieri? Certo che hai avuto proprio un bel coraggio, a mio fratello è quasi venuto un colpo quando ha capito che gliel’avevi fatta sotto il naso… beh, i miei complimenti, non credevo che qualcuno ci sarebbe mai riuscito, ma ti avverto, non provarci mai più, non te la farà passare liscia la prossima volta…”

Vi prego, fermatela, pregò Liy nella sua testa. Intervenne, nella speranza che l’altra si zittisse.

“Non volevo scappare. Volevo trovare le chiavi delle camere.”

Juliet le sorrise, comprensiva. “Ma certo, non potevi lasciare i tuoi amici.” Posò la padella che aveva in mano e si voltò verso Elinor. “Lo so che è difficile per voi. Non ci starete capendo niente, e siete lontano da casa, in mano a degli sconosciuti. Mi dispiace di non potervi aiutare, ma voglio che sappiate che non abbiamo cattive intenzioni, e che finchè sarete qui verrete trattati con il massimo riguardo.” Le sorrise di nuovo, e questa volta sembrava estremamente sincera e cordiale. “In quanto a te, sono convinta che siamo partite con il piede sbagliato.” aggiunse divertita. “Come ti chiami?”

Elinor si trovò improvvisamente in difficoltà. Quella ragazza, che il giorno prima l’aveva atterrata sul pavimento, ora le parlava in modo inaspettatamente amichevole e cordiale. Cosa doveva fare? Rimanere distaccata e trattarla come una dei suoi rapitori, o cedere e accettare la sua offerta di amicizia?

Ci pensò un attimo: in fondo, cosa importava? Stando a ciò che aveva compreso e udito il giorno prima, avrebbe perso ogni ricordo del rapimento, e probabilmente anche Juliet lo sapeva bene.

“Elinor.”

“Piacere Elinor. Io sono Juliet, la sorella di Leale.” Sorridendo, la bionda le porse una mano, che Elinor strinse sorridendo a sua volta.

Soltanto più tardi Elinor avrebbe capito di non aver fatto la scelta migliore.

 

La giornata era passata in modo tranquillo. Dopo la colazione a base di uova e bacon preparata da Juliet, la ragazza mostrò loro alcune parti della casa, dove potevano tranquillamente recarsi: oltre al soggiorno e alla cucina, anche una saletta confortevole, che chiamava Sala da Tè, e un’altra stanza provvista di biliardo e caminetto. Sebbene si rivolgesse a tutti con tono amichevole, Juliet riuscì a eludere tutte le domande pertinenti al luogo in cui si trovavano o alla durata della loro permanenza lì; rispose e si interessò di tutti i problemi più pratici che affollavano la mente dei ragazzi, che, sebbene non avessero trovato risposta ai loro quesiti più importanti, si sentirono più sollevati e l’atmosfera si alleggerì un poco.

Non videro nessun altro a parte Juliet quel giorno. Elinor passò il pomeriggio a giocare a carte con gli altri, in soggiorno. Milla e Arianna guardavano la TV svogliate, facendo zapping tra un mucchio di canali Irlandesi. La nazione non stupì troppo Elinor, ma ciò aveva scarsa importanza, dal momento che non conoscevano l’esatta ubicazione della casa. Il pomeriggio passò tranquillo così com’era trascorsa la mattina, e Juliet stupì tutti dichiarando di voler sfidare Giova, Luca e Sissi in una partita di Poker, che vinse platealmente, strappando a tutti un sorriso. La cena, a base di tacchino e patate, era squisita, e i ragazzi andarono a dormire con la sensazione di aver partecipato a uno strano e inquietante reality irlandese.

Cosa che, però, fu subito smentita dal rumore delle serrature che si chiusero alle dieci di sera precise, lasciando ognuno dei ragazzi da solo nella propria stanza.

Elinor si accoccolò sul letto e strinse il cuscino, mentre una singola lacrima le solcava il viso.

 

 

 

Dunque, cosa ne pensate? Vedete che Artemis non nutre buonissime opinioni sulla protagonista per il momento, ma in fondo, come poteva essere altrimenti? Io ero molto indecisa sul personaggio di Juliet, che a mio parere è un po’ troppo OOC, ma era necessario… voglio chiedere un parere ai lettori, dunque, vi prego, siate clementi e datemi una mano: avevo iniziato la fanfiction con l’idea di riportare le vicende dal punto di vista di Artemis e di Elinor, ma adesso che sto scrivendo il nono capitolo mi rendo conto che è tremendamente difficile riportare le vicende degli altri personaggi… dunque, secondo voi, sarebbe un gran problema uscire ogni tanto dagli schemi e vedere cosa frulla nelle teste di Leale, Spinella, Juliet, Arianna, Giova…?

Fatemi sapere presto, mi raccomando.

Mi rivolgo umilmente a coloro che hanno inserito la storia fra le seguite e i preferiti, e vi ringrazio tanto tanto… dato che io SO che ci siete che ne direste di lasciarmi un commentino ogni tanto? Mi farebbe molto, molto piacere J

Many kisses to you all!

E ora, veniamo alle risposte:

 

chariss:  Heilà!!!! Grazie, ricevere recensioni come la tua mi riempie il cuore di giuoia… Graziegraziegrazie!!! Allora, cosa ne pensi di questo capitolo? A presto, J.

 

_FrancySoffi_: dal momento che ti ho pure lasciato una recensione non sprecherò tempo e spazio a dirti quanto la tua shot mi sia piaciuta… ascolta, se avessi per caso voglia di prendere queste mie poche idee e riscrivere tu la fanfiction cancello volentieri la mia, perché sicuramente la tua sarà molto ma molto meglio!!! J love uuuuuu <3

 

Juliet95:  Grazie, sono sinceramente commossa ^^ spero sarai felice di sapere che nel prossimo capitolo Spinella ci sarà sicuramente J sì, l’ho letto, ma in inglese… non dirmi che è uscito in Italia e non me ne sono accorta!!! Tu come l’hai trovato? Baci J.

 

giovy39: sono d’accordo, scrivere su Artemis e rimanere fedeli al libro è praticamente impossibile, ma dal momento che sono l’unica, mi pare, che continua a scrivere su di lui non mi arrendo!! È davvero triste che non ci siano nuovo fic su di lui, anche se io ogni volta vado a controllare… speriamo che prima o poi qualcuno scriva qualcosa di più decente di questa mia storiella!! ;) kisses J.

 

Grazie mille a chi mi ha seguito fin qui, e arrivederci a Martedì 13!!

 

J.

  
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