Introduzione
La storia è nata per il concorso Dont’open this cookie!, indetto da Kukiness, in cui si è classificata al primo posto; si svolge al sesto anno ed è un prequel a Succo di zucca ed al suo seguito, il Canto di Natale di Draco Malfoy; pertanto non tiene conto dei fatti avvenuti dopo Harry Potter e l’Ordine della Fenice, anche se in questa narrazione non avrebbero comunque rilevanza.
NON TI ALZARE
Perché si trovasse lì, in quel corridoio deserto, a quell’ora
tarda, Ginny proprio non lo sapeva, ma riteneva che la scelta del luogo non
avesse poi tutta questa rilevanza. Quando non ti senti a tuo agio nei tuoi
stessi panni, nel tuo stesso corpo, nella tua stessa mente, ogni posto diventa
ugualmente inospitale. Il fatto era che non riusciva a dormire, la notte, e
allora si aggirava inquieta tra i muri della scuola, scappando dalle compagne
di camera, dagli amici di Casa, da Gazza, da se stessa. Ma ancora non l’aveva
trovato, un nascondiglio in cui almeno l’ultima di queste persone indesiderate
non riuscisse a scovarla.
Ed ora era seduta in terra, con le ginocchia piegate contro
al mento, a fumare e a cercare di capire com’era successo, che lei stessa era
divenuta il suo peggior nemico. Forse era per come era stata posseduta da Voldemort, in luogo del benvenuto durante il suo primo anno
di studi; forse era per come oscillava sempre tra due mondi, quello dei suoi
coetanei in cui non riusciva del tutto ad integrarsi e quello dell’allegra triade
formata da Ron, Hermione ed Harry. Forse
era per Harry. In fin dei conti, tutto
era sempre per Harry. Essere preda di una cotta adolescenziale per il migliore
amico di suo fratello era già sufficientemente penoso, ma il fatto che quella
cotta perdurasse nel suo animo come un sigillo indelebile, a cui lei rispondeva
con più prontezza e deferenza di un Mangiamorte al Marchio Nero, la rendeva a
dir poco miserevole. Che poi il fanciullo in questione fosse anche destinato a
salvare il mondo magico, o a morire nel tentativo, era un fattore aggiunto da
non sottovalutare.
Ci aveva provato, a seguire i consigli di Hermione, cercando
di interessarsi ad altri ragazzi, sia per destare l’interesse dell’unico che la
emozionasse davvero, sia per dare un’opportunità a qualcun altro di prendere
quel posto nel suo cuore. Ma avrebbe dovuto saperlo, che non era saggio
affidarsi ai sotterfugi sentimentali di una che pareva cotta marcia di suo
fratello minore, l’unico maschio a cui non si poteva nemmeno dire che avesse
delle grosse fette di prosciutto davanti agli occhi, solo perché in quel caso
avrebbe cercato di mangiarsele. Fino a quel momento, Ginny aveva collezionato
alcune storie di poco conto e qualche delusione a discapito di quelli a cui
aveva dato adito di avvicinarla; per lei, però, non era cambiato nulla. Certo,
ora ci parlava, con Harry, ora avevano un rapporto. Ma riuscire ad intrattenere
con la persona che ami una relazione strettamente bonaria e assolutamente casta,
era quasi peggio di non averci nulla a che fare. Almeno, prima, poteva
fantasticare sul fatto che un giorno quegli occhi verdi l’avrebbero scorta come
se non l’avessero mai vista prima, e si sarebbero posati infuocati e cupidi su
di lei. Invece, adesso, sapeva che lui l’aveva guardata molte volte, ogni
giorno, in ogni luogo e in ogni versione, trapassandola sempre con lo stesso
sguardo amichevole e fraterno.
E anche quella notte aveva fumato troppo, anche quella notte
aveva vagabondato abbastanza, anche quella notte si era commiserata a
sufficienza. Era ora di andarsene da lì e di raggiungere il suo freddo letto e
i suoi freddi sogni. Era ora di alzarsi.
- Non ti alzare.
La voce flebile della Cooman la
sorprese nell’oscurità. Solo una piccola torcia illuminava il passaggio, e la
giovane Grifondoro non aveva minimamente sentito sopraggiungere l’insegnante,
forse perché era immersa nelle sue elucubrazioni, o forse perché l’altra
calzava orrende pantofole di pelo color fucsia che attutivano ogni suono. La
docente aveva il volto emaciato e provato e, nella migliore tradizione delle
matrone Weasley, Ginny provò l’impulso di spingerla a mangiare qualcosa e di
offrirle i biscotti che teneva di scorta nella borsa al suo fianco, pronti a
mitigare gli accessi famelici di Ron. Stava per trarre fuori il pacchetto dei
dolci, quando si avvide che la professoressa non stava fissando lei, ma il muro
alle sue spalle, persa nelle sue vaghezze.
- Non ti alzare – ripeté la donna, quasi in stato di trance.
A Ginny venne quasi da ridere, al pensiero che la Cooman stesse cercando di impressionarla con una delle sue
finte catalessi da cui usciva con una predizione di morte incombente che di
solito riguardava Harry, preannunciare la cui morte era un gioco sin troppo
facile. Sospirò per quella riflessione ad occhi chiusi, e quando li riaprì per
sputare una delle rispostacce per cui era famosa la docente era sparita, con
quelle sue silenti babbucce lanose.
La ragazza decise che quello strano contrattempo meritava
almeno un’ultima sigaretta, e se la gustò ancora ad occhi chiusi, con quel
piacere moltiplicato con cui si gustano sempre, le ultime sigarette,
soprattutto quando ci si ripromette di smettere poi di fumare, o quando si lega
quell’ultima sigaretta ad una data, ad un evento, ad una parola particolari,
che paiono rendere il tabacco particolarmente saporito. Tuttavia, era da un po’
che Ginny non godeva appieno nemmeno le ultime sigarette; per la precisione,
era da quando aveva dovuto amaramente accettare che, nonostante tutti i suoi
tentativi di deviarli, avrebbe sempre avuto mente e cuore focalizzati su una scura
chioma spettinata e su una mano goffa che ci passava attraverso. E su quello
sguardo maledettamente amichevole e fraterno
che la uccideva ogni volta. Era davvero ora di alzarsi.
- Non ti alzare.
Un accento diverso, basso ed inquietante, la fece nuovamente
sobbalzare. Soprattutto perché, alzando gli occhi, non vide un altro paio di
scarpe, ma quattro massicce zampe equine che sorreggevano il busto dell’altro
insegnante di Divinazione, che scrutava rapito la parete dietro di lei. E
questo come aveva fatto, a non sentirlo arrivare? Se lo immaginò trottare
silenzioso con quattro buffe ciabatte pelose agli zoccoli, per avvicinarla di
soppiatto, per chissà quale recondito motivo, e poi togliersele appena giunto
lì. Scosse il capo, divertita da se stessa: in quei momenti di palese stupidità
si ricordava suo malgrado di essere sorella anche del portiere della sua Casa,
e non solo degli altri e decisamente più svegli Weasley. Anche Fiorenzo aveva
il viso un po’ scavato, e Ginny si domandò come avrebbe dovuto o potuto
dimostrarsi ospitale con lui. Forse poteva offrirgli un po’ di biada? Un vero
peccato, che non si fosse portata dietro la sua scorta da viaggio d’avena.
D’altronde, se le sue riserve di cibo servivano a sfamare Ron, forse anche un
po’ di foraggio equino avrebbe raggiunto lo scopo.
- Non ti alzare… - ripeté lui pensieroso, come quando
guardava le stelle.
Questa volta l’incredulità di Ginny fu messa a dura prova. La
cenere della sigaretta che ancora stringeva tra le dita arrivò a
bruciacchiarla, e la giovane si lasciò sfuggire un gemito, scuotendo la mano
per buttare via tutto. Quando rialzò le iridi, anche il centauro era sparito.
Il cinico e sano realismo, che l’aveva sempre egregiamente tenuta
a galla fino ad allora – e che, tuttavia, aveva giocato un ruolo di non poco
conto nell’inguaiarla al primo anno, ripetendole che c’era senz’altro una
spiegazione logica se si svegliava coperta di piume e sangue di gallo -, fu
improvvisamente sottoposto ad un duro scossone. Ben due insegnanti di Divinazione
avevano proferito la stessa frase, davanti a lei, in due momenti così
ravvicinati, entrambi con lo sguardo fisso al muro oltre la ragazza, entrambi
come in contemplazione estatica. Se nella Cooman non
riponeva alcuna fiducia, l’arte divinatoria dei centauri sapeva invece di
arcano e di sacro, e riusciva ad impressionare anche una persona
tendenzialmente pragmatica come lei. Certo, la lettura dei movimenti
astronomici del popolo di Fiorenzo si centrava su grandi eventi, mutamenti
cosmici, e si era sempre detta inadatta a piccole previsioni a breve termine.
Eppure lui era stato lì, ritto innanzi a lei, profondamente concentrato, a pronunciare
la stessa identica battuta che era appena uscita dalla bocca della Cooman, che dal canto suo non poteva averla copiata,
proprio perché l’aveva detta per prima. Un gorgoglio stupito e inorridito le
risalì la strozza trasformandosi in una sequela di imprecazioni tali da
scandalizzare persino Pix, quando la verità le saltò
agli occhi, più limpida del suo impellente bisogno di accendersi un’altra
ultima sigaretta. Perché se c’era una cosa che una ragazza innamorata di Harry
Potter sapeva con certezza, era che le profezie portano sfiga.
E lei aveva appena ascoltato una profezia.
**********
- Non ti alzare… - disse, bloccandola
tra il suo corpo e le lenzuola.
- Harry, devo… - ma lui le chiuse la
bocca con un bacio.
- Resta a letto con me, Ginny –
mormorò scendendo con le labbra sul suo collo - Non ti alzare… Non ti alzare…
- Non ti alzare… Ginny, non ti alzare!
- Ma cosa… ahi! – urlò, tirandosi a sedere sul letto e rimbalzando
contro ad una… palla?
Si guardò intorno, sbattendo più volte le palpebre, mentre una
testa bionda raccoglieva la sfera gommosa e colorata.
- Luna, cosa stai facendo in camera mia a quest’ora del
mattino? – chiese ancora mezzo assonnata e persa nei suoi sogni d’amore.
- Attiro allo scoperto i Ghiribizzi Patatosi.
Sono inspiegabilmente attratti dalle palle, in effetti, così le faccio levitare
in giro per disinfestare i dormitori di tutti – rispose con aria indaffarata.
Ginny non si chiese come avesse fatto l’amica di Corvonero ad
entrare nell’ala di Grifondoro, né come mai lei fosse rimasta sola nella
stanza, dato che tutte le sue compagne sembravano essersi defilate. Certe
domande erano assolutamente fuori luogo, con la ragazza trasognante davanti a
lei. Qualsiasi domanda, per la verità, risultava fuori luogo, con Luna, ma la
piccola Weasley non poté esimersi dal farne almeno una.
- E giusto per curiosità, cosa sarebbero i Ghiribizzi Patatosi?
L’interpellata la guardò con quell’aria paziente e materna
che faceva sembrare assurdo e banale qualunque quesito le venisse posto, e che
induceva tutti a non porlergliene mai:
- Sono spiriti dei sogni, che si accoccolano su di te mentre
dormi e si cibano delle tue immagini oniriche, facendoti scorrere di continuo
nella mente le stesse scene.
Non ti alzare… Resta a letto con me,
Ginny… Non ti alzare…
Un colpo di bacchetta e il pallone fu fatto evanescere. Luna la guardò perplessa, alzando un pallido sopracciglio,
e Ginny strinse le spalle in risposta.
- Un po’ più di tolleranza, Luna. Che male possono farci,
questi poverini?
- Ginny – la redarguì con calma la compagna -, sono colpita
dalla tua nobiltà d'animo, ma non bisogna sottovalutarli; anche se in effetti
dicono siano molti carini – cosa difficile da dimostrare, dal momento che sono
invisibili -, praticamente ti privano del sonno e a lungo andare ti succhiano ogni
energia. Però, se sei così sensibile alla loro sorte, mi limiterò a portarli in
un luogo poco frequentato della scuola, dove non possano fare grossi danni.
La ragazza appena risvegliata rimase un attimo a massaggiarsi
le tempie, rendendosi conto di stare discutendo con una bionda svampita della
necessità di preservare la sopravvivenza di una specie assolutamente
inesistente. Forse stava diventando più simile a Ron di quanto avrebbe mai paventato.
La verità è che aveva trascorso metà notte in bianco a ripensare a quella predizione,
riflettendo sui mille modi in cui avrebbe potuto adattarsi ad Harry e ai mille
significati perniciosi che avrebbe potuto avere per lui, e l’altra metà a
sognare l’unico modo piacevole in cui quella frase avrebbe potuto essere
pronunciata dalle labbra stesse del Ragazzo Sopravvissuto. Poi si era destata
al suono delle stesse parole, gridate da un’allarmata amica con orecchini a
forma di fiori di zucca, ed ora iniziava a pensare che tutta questa storia
della profezia iniziasse a cadere nel ridicolo.
– È che ho dormito poco e male – disse più a se stessa che
all’altra.
- Brutti sogni?
La rossa si morse un labbro, decidendo infine che tanto
valeva essere sincera, dal momento che quell’improbabile confidente avrebbe
dimenticato la sua confessione appena avesse incontrato un’altra creatura
immaginaria.
- Ho sognato Harry.
- Oh, capisco – annuì comprensiva – Anche io lo sogno spesso.
- Davvero? – strinse gli occhi, cercando di decidere se
essere gelosa di Luna fosse discretamente prudente o totalmente grottesco – E
cosa fa nei tuoi sogni?
- Muore, generalmente…
Totalmente grottesco.
- …ma in modi sempre diversi - aggiunse subito, come a
confortarla - A volte con una Maledizione Senza Perdono, a volte a causa delle
torture, a volte trionfando contro i Mangiamorte. Una volta invece è scivolato
su una Gelatina Tuttigusti +1 e si è spaccato la
testa sbattendola contro ad un grosso fagiano imbalsamato.
Era troppo presto, per fumare la sua
prima ultima sigaretta della giornata?
- Porta via questi Ghiriqualcosa,
falli sparire, fa’ pure come vuoi, Luna – disse con tono un po’ secco, per
liberarsi della compagna.
Questa la guardò interrogativamente di sottecchi, poi se ne
uscì con un tono condiscendente:
- Sei un po’ strana di prima mattina, lo sai?
Ecco, il fatto che Lunatica Lovegood
la trovasse strana, le dava un’esatta percezione di quanto la sua salute
mentale fosse a repentaglio. Non c’era riuscito Voldemort,
a farla ammattire del tutto, e ora ce la facevano tre vocaboli idioti di una
sentenza ancora più idiota. Aveva proprio bisogno di farsi una sigaretta.
Magari di farsene due.
O magari aveva bisogno di farsi Harry.
- Non hai una bella cera, stamani – osservò la Corvonero
prima di uscire - Forse non ti dovresti alzare.
Non ti alzare.
Maledetta quella profezia.
**********
- Non ti alzare?
- Questo hanno detto – rispose ansiosa.
- Ginny – l’inflessione di Hermione ricordava in maniera
inquietante quella della McGranitt -, lo sai cosa ne penso io di Divinazione…
Gli altri avevano già lasciato la Sala Grande dopo la
colazione, ma lei aveva chiesto all’amica di fermarsi un attimo, per riferirle
quello che le stava capitando.
- Sì, e normalmente sarei d’accordo con te. Ma stavolta ci si
è messo anche Fiorenzo. E non dimenticare che la profezia che ha rovinato per
sempre la vita di Harry è stata pronunciata proprio dalla Cooman…
- E tu come lo sai? – chiese stupita la riccia.
- Orecchie Oblunghe – rispose laconica lei, sviando
velocemente il discorso - Senti, lo so anch’io che è assurdo, ma allora com’è
che da stamattina mi sono già sentita ripetere due volte quella frase con poche
variazioni?
Tre, se contava il sogno.
Hermione si strinse nelle spalle.
- Magari semplicemente perché è una frase d’uso comune. Vedi,
gli antichi Romani interrogavano oracoli che avevano fama di azzeccarci sempre,
con le previsioni, e sai come facevano? Ideavano sentenze così ambigue che
avrebbero potuto avere mille significati, così uno di quelli finiva per forza
per risultare vero. Una profezia come ‘non
ti alzare’ mi sembra rientrare proprio in questa categoria.
- Stai dicendo che si tratta di una casualità, se continuo a
sentirmela ripetere?
- Sto dicendo che forse questa casualità ti appare
amplificata dal fatto che te l’aspetti, che tu già ci credi, in quella
profezia, e perciò la ritrovi ovunque.
- E se invece riguardasse davvero Harry? Se fosse un
avvertimento per lui? Magari un giorno si troverà di fronte Voldemort
e alzandosi andrà incontro alla rovina.
L’altra rise, sinceramente divertita.
- Ginny, devi smetterla di ricondurre tutto ad Harry. Cosa
c’entra lui in questa storia?
- Stanotte l’ho sognato, e anche lui ribadiva quelle parole…
- Non è così strano, talvolta anch’io sogno Harry che dice le
cose più assurde…
C’era da dire che di Hermione era sempre stata un po’ gelosa,
per la complicità che quest’ultima aveva diviso con il Ragazzo Sopravvissuto
fin dal primo anno, ma c’era anche da dire che la piccola Weasley aveva sempre
ben saputo che tale gelosia era assolutamente immotivata, visto il carattere
prettamente cameratesco del rapporto tra quei due, e vista l’inspiegabile infatuazione
della sua brillante amica per il suo fratello più tonto.
- Fidati – affermò convinta -, i tuoi sogni non possono
essere come i miei.
- Perché, cosa… oh – comprese quella arrossendo – Beh, direi
che anche questo è normale… Comunque, non tutte le cose che accadono riguardano
Harry, lo capisci?
- Ma sembra che lo riguardino tutte le cose che accadono a me
– rispose amara la rossa.
L’interlocutrice era un’alunna dalla mente svelta e acuta e
sapeva di sicuro a cosa lei si riferisse: al fatto che la sua vita, nel bene e
nel male, avesse sempre gravitato intorno a quella di Harry; da quando l’aveva
visto la prima volta, e aveva iniziato a svegliarsi la mattina e vestirsi e
pettinarsi solo per lui, a quando al primo anno Voldemort
aveva tentato di usarla per arrivare a lui e lui l’aveva salvata, a quando era
entrata nella squadra di Quidditch per stargli più vicina e condividere una sua
passione, a quando infine si era avvicinata ad altri ragazzi nei tentativi,
entrambi vani, di ingelosirlo o dimenticarlo.
- Se la metti così – rispose infine con un sospiro Hermione –,
allora quella profezia riguarda senz’altro Harry, quando ti consiglia di non
alzarti. Perché ogni volta che ti alzi, dal letto o da una sedia o da qualunque
luogo, tu ti alzi per lui.
- Patetico, vero? – guaì Ginny, sentendo una voglia
irrefrenabile di accendersi una sigaretta.
- Direi piuttosto romantico.
Lei la guardò in tralice.
- Merlino, se una che sbava dietro a quel buzzurro di mio
fratello lo trova romantico, allora è ancora più patetico di quanto credessi!
- Ginny! – la rimbrottò offesa l’altra.
- Dico solo la verità, tesoro. Rispondimi sinceramente: tu
sogni Ron come io sogno Harry?
L’interrogata spalancò gli occhi con un misto di imbarazzo e
perplessità.
- A dire il vero no…
- E questo cosa ti dice?
- Che io ho il sonno più pesante.
Ginny alzò gli occhi al cielo.
- Hermione, lo sai che voglio bene a Ron, ma ancora non mi
capacito di come possa essere mio fratello: se non fosse per i capelli giurerei
che lo hanno scambiato nella culla con uno strano esemplare di scimmia.
Insomma, è il ragazzo meno adatto a te a cui possa pensare. Meno adatto persino
di quanto possa esserlo… che so… Malfoy!
La riccia sputò di colpo il succo di zucca che stava bevendo,
e il liquido andò ad imbrattare un mantello che non avevano percepito appressarsi.
-Vi stavo giusto venendo a chiedere cosa vi facesse pensare
di poter tardare alle lezioni – sibilò il professor Piton, fissando la macchia
di sputo e succo sulle sue vesti –, ma ora sono molto più interessato a sapere
se preferite che tolga cinquanta punti a Grifondoro prima o dopo la punizione
che dovrete scontare questa sera.
Solo la mano dell’altra posata sul suo braccio impedì a Ginny
di ribattere e far perdere altri punti alla sua Casa. La rossa si morse la
lingua, per ingoiare la rispostaccia che aveva immediatamente formulato e che
illustrava chiaramente in quali anfratti corporei e con quali modalità il docente
potesse infilare i suoi punti e la sua punizione.
- Visto quanto poco servano comunque le lezioni a voi due –
concluse l’untuosa testa dell’insegnante, prima di sparire oltre la porta - , a
questo punto potete anche restare qui ed evitare di alzarvi.
Non ti alzare.
Maledetta quella profezia.
**********
- Non ti alzare – le sussurrò Calì all’orecchio, durante la
colazione – E non alzare gli occhi.
Ma dal momento che la natura umana porta istintivamente a non
seguire consigli del genere, che paiono venire pronunciati proprio per sortire
l’effetto contrario, Ginny rialzò la testa dal piatto giusto in tempo per
scorgere Harry entrare nella Sala Grande a fianco di Cho
Chang. Strinse le labbra, irritata. A quanto ne
sapeva, quei due non stavano più insieme, sempre che lo fossero mai stati, ma
vederli così affiancati metteva in dubbio le ultime dicerie su di loro e le
faceva attorcigliare stomachevolmente le viscere. D’altronde non serviva
malignarsi il fegato sulla Cercatrice Corvonero, quando la piccola Weasley sapeva
benissimo che dietro al Ragazzo Sopravvissuto sospirava uno stuolo di fanciulle
attratte non solo dal suo corpo in fase di sviluppo, ma anche e soprattutto
dalla sua fama eroica e dall’alone di mistero che gli gravitava intorno. Ginny
avrebbe voluto salire in piedi sul tavolo ed urlare al mondo che lei, di Harry,
si era innamorata quando lui era ancora un cosino impacciato e striminzito, e
che tutto quel fascino che emanava la sua nomea sarebbe svanito appena
l’avessero visto mezzo assonnato e totalmente rincoglionito quando si risvegliava
alla Tana, gli occhiali storti sul naso, i capelli arruffati, la maglietta sporca,
i pantaloni sbrindellati, come l’aveva visto lei. Lei, che l’aveva amato anche allora. Che non voleva il Ragazzo
Sopravvissuto, il Prescelto, l’Eletto, ma solo Harry.
- Ti avevo detto di non alzare gli occhi! - la sgridò
falsamente contrita Calì - Vedessi che faccia hai
adesso…
Come se la meno intelligente delle
due Patil e la Brown non
godessero a sguazzare nei pettegolezzi come due girini in uno stagno.
- Non è per quello – mentì Ginny -, è solo che ho dormito
male.
- Hai sognato Harry, eh? – ridacchiò maliziosa Lavanda.
O forse come due maiali nel fango.
– A dire il vero, anche noi – aggiunse scambiandosi
un’occhiata complice con l’amica.
Decisamente come due mosche nella
merda.
La rossa aggrottò le sopracciglia: avrebbe forse dovuto
essere gelosa di quelle due improbabile sintesi bestiali, considerando che la
prima era stata invitata da Harry al Ballo del Ceppo e poi negligentemente parcheggiata,
e la seconda era evidentemente – ed inspiegabilmente – in lizza con Hermione
per spostare l’interesse di Ron dalle Cioccorane a se
stessa? Beh, magari poteva ingelosirsi giusto un po’, per precauzione. In fin
dei conti, la storia recava purtroppo tristi esempi di inenarrabili perversioni
zoologiche da parte di molti uomini. Non aveva forse ceduto persino Voldemort alle conturbanti spire di un grosso serpente?
- E cosa accadeva nei vostri sogni? – si informò quindi, con
ostentata noncuranza.
- A me pestava i piedi, come al solito – si lamentò Calì – Dal Ballo del Ceppo è il mio incubo ricorrente!
- Nel mio sogno sgridava ingiustamente Ron, che non era
riuscito in una parata praticamente impossibile, ma per fortuna lo confortavo
io…
Ginny comprese immediatamente che non era di quelle fantasie
notturne, che doveva preoccuparsi, ma del piglio corrucciato e prossimo
all’esplosione di Hermione, che fissava Lavanda come se fosse la peggiore delle
zecche, portando istintivamente la mano a quell’insetticida tascabile sotto
forma di bacchetta che aveva nella tasca del mantello. Per fortuna, colui che
in futuro avrebbe dovuto salvare tutto il mondo magico salvò intanto almeno
quello strano serraglio vasto un metro quadro nel tavolo di Grifondoro,
giungendovi trafelato.
- Salve a tutti – salutò allegro Harry, sedendosi e
portandosi un panino alla bocca.
Aveva preso posto accanto a lei, spontaneamente, rivolgendole
quello sguardo amichevole e fraterno
che la piccola Weasley aveva imparato ad odiare, e le aveva sorriso
innocentemente, con la bocca sporca di briciole e un’espressione serena che lei
odiava dover attribuire al suo recente ingresso con Cho
Chang.
Lui si piegò verso le sue orecchie, senza malizia come
sempre, senza nemmeno capacitarsi dell’effetto che le suscitava con la sua
vicinanza, e le parlò con la bocca piena, goffo e sputacchiante.
- Cho mi ha appena chiesto se
stasera possiamo fare un allenamento insieme, che ne dici? Sarebbe una buona
occasione per testare la squadra e studiare un po’ le mosse dei Corvonero.
E magari a lui interessava anche
studiare le mosse di una Corvonero in particolare.
- Come mai quest’idea?
- Dice che stanotte mi ha sognato mentre li battevo e vuole
premunirsi – ridacchiò lui.
La giovane iniziava a pensare che le comparsate di Harry nei
sogni delle studentesse fossero decisamente troppo frequenti e che sarebbe
stata una buona idea rinchiuderlo in uno stanzino – magari con lei - e buttare
via la chiave, per impedirgli di gironzolare ancora nei sonni altrui, ma di
fronte a quegli occhi verdi e speranzosi non poté fare a meno di abbozzare un
sorriso di conferma.
- Se ti sembra utile…
- Ginny – la interruppe Hermione –, stasera abbiamo la
punizione con Piton…
- Oh – borbottò deluso Harry – Vuoi che rimandiamo?
Certo che voleva che rimandassero,
magari a mai più o perlomeno all’anno successivo, quando Cho
Chang fosse stata definitivamente fuori dalla scuola
e dai…
- Ma no – si sentì dire, invece -, fa lo stesso, potete fare
anche senza di me. Vuoi che vada a dare la conferma a Cho?
- No, no, non ti preoccupare – le rispose lui, con gli occhi
che già gli brillavano d’eccitazione, muovendosi per guizzare verso il tavolo
di Corvonero come se non attendesse altro – Ci penso io, non voglio che tu ti
debba alzare.
Non ti alzare.
Maledetta quella profezia.
**********
- Non ti alzare… - le
mormorò Hermione, mentre faceva levitare l’ultimo tavolo sopra la sua testa.
- Ti ci metti anche tu? - Ginny la guardò stralunata.
- Oh, scusa, non ci ho fatto caso – mormorò mortificata –
Però vedi che ho ragione io? Sono termini di uso comune, è naturale ripeterli
nel corso di una giornata.
- Allora sono felice che questa giornata di ripetizioni stia
volgendo al termine – borbottò la rossa.
Avevano trascorso due ore in quella punizione a sistemare una
vecchia aula in disuso in cui nessuno avrebbe probabilmente mai più messo piede,
e solo dopo la prima ora, in cui le aveva costrette a fare tutto il lavoro a
mano, Piton si era finalmente deciso a lasciarle sole; da allora Hermione aveva
fatto largo uso di tutta la sua abilità magica per risparmiare buona parte della
fatica ad una grata Ginny, che, stanca e demoralizzata, si era infine messa a
sedere, sentendo le gambe che le cedevano, forse perché esauste dal dover
portare in giro quotidianamente un cuore così pesante.
- Fatto! – concluse l’amica – Vieni a letto?
- Vai pure avanti tu, faccio due passi – rispose la piccola
Weasley, tirandosi faticosamente in piedi.
Nonostante la
spossatezza, aveva bisogno di girovagare ancora un po’ per la scuola, prima di
tornare al dormitorio, e tra una sigaretta e l’altra si ritrovò in quello
stesso corridoio in cui aveva ascoltato quell’odiosa predizione. Era trascorso
solo un giorno all’insegna di quella profezia, e già non ne poteva più. Poteva
solo sperare che tutto si concludesse in quelle ventiquattro ore, come gli
oroscopi giornalieri Babbani di cui le aveva una volta parlato Hermione, così
almeno avrebbe accantonato quella faccenda e quella frase con qualche pessimo
ricordo e un po’ di sfortuna.
Come se quell’azione fosse uno scongiuro per chiudere il
cerchio, si sedette nello stesso punto della sera prima, nella stessa
posizione, e si accese un’ultima sigaretta. Allungò le gambe per
stiracchiarsele e toccò qualcosa col piede; spinse avanti la mano solo per
afferrare una palla molto simile a quella che aveva visto volare quella stessa
mattina in camera sua. Però, se sei così
sensibile alla loro sorte, mi
limiterò a portarli in un luogo poco frequentato della scuola, dove non possano
fare grossi danni… Ecco dove Luna aveva attirati quei fantomatici spiriti
dei sogni. Ginny rise tra sé e sé, al pensiero di come la credulità potesse
influenzare la vita delle persone. Aveva ragione Hermione, e stava anche lei
dando tanta importanza a quelle maledette parole solo perché aveva deciso di prestarvi
fede?
Poco importava. La giornata era stata uno schifo completo,
come tutte le giornate, oramai. Forse il senso ultimo di quella profezia era
che non si sarebbe mai più dovuta alzare dal letto, se avesse voluto smettere
di sentirsi così disadattata, e rifiutata, e vista con uno sguardo amichevole e fraterno. Chissà com’era
andato, l’allenamento che aveva saltato? Chissà se Harry e Cho
avevano proseguito ad allenarsi tra le lenzuola? Appoggiò la nuca al muro, e
sentendo il mal di testa che le risaliva le tempie agitò la bacchetta per
spegnere anche la luce della torcia sopra di lei. Un attimo dopo udì dei passi
avvicinarsi, poi il rumore gommoso di qualcuno che aveva evidentemente urtato
il pallone di Luna, e prima che potesse fare o dire qualcosa quel qualcuno inciampò
contro i suoi piedi stesi e rovinò a terra, sopra di lei.
Riconobbe subito il suo odore sudato, dopo il Quidditch.
- Harry?
- Ginny? – rispose con una strana voce.
Oh, perfetto. Ecco, questo era sicuramente l’unico
modo in cui avrebbe potuto averlo sdraiato su di sé.
- Harry – mormorò cercando di tirarsi su –, dovresti…
- Non ti alzare… –
bisbigliò concitato il ragazzo.
Anche lui? Ma era una persecuzione!
Ginny stava proprio per rispondergli che non ne poteva più,
di sentirsi reiterare quelle parole, e che comunque non avrebbe proprio potuto
alzarsi se lui si fosse ostinato a restare lì su di lei, duro come uno
stoccafisso, quando si rese conto che il ragazzo continuava a sussurrare quella
richiesta in un unico fiato, senza rivolgersi a lei.
- Non ti alzare non ti
alzare non ti alzare…
E d’improvviso Ginny si rese conto che c’era qualcosa di duro
in più in quel corpo premuto contro
al suo, qualcosa che poteva forse ricordare un pesce, in effetti, magari
proprio uno stoccafisso. Qualcosa che si
era alzato. E tutto assunse un altro significato.
- Lumos
– proferì a mezza voce, accendendo appena la punta della bacchetta per
guardarlo.
Ed Harry era lì, steso immobile su di lei, ad occhi chiusi,
che seguitava a ripetere quella frase come una supplica alla sacra trimurti
delle erezioni maschili, il viso contratto in una smorfia quasi di sofferenza,
le guance rosse di vergogna, le membra tese all’inverosimile.
Tutte le membra tese all’inverosimile.
- Harry… – lo chiamò dolcemente – Va tutto bene, Harry.
Allora lui aprì trepidamente gli occhi.
E lei lo vide.
Quello sguardo che le aveva sempre rivolto e che lei aveva
imparato a detestare, leggendolo come la riprova del fatto che non l’avesse mai
vista e non l’avrebbe vista mai come una ragazza. Quello sguardo che, ora
finalmente lo capiva, non era affatto amichevole
e fraterno e non lo era forse stato mai, ma era solamente e semplicemente
lo sguardo di Harry: dolcissimo, affettuoso, impacciato e timido, ma di sicuro
non casto, a giudicare da ciò che le premeva contro una coscia. Non era mai
stato uno sguardo amichevole e fraterno.
Se non l’aveva capito, in passato, era solo perché non aveva capito che gli
occhi di Harry sapevano guardare soltanto così.
Con uno sguardo buono.
Anche quando in lui non c’era nulla
di innocente, e tutto di eccitato.
Il giovane incontrò timorosamente i suoi occhi alla luce
della bacchetta e saltò su come pungolato o come conscio di averla appena
pungolata lui, con quel suo stoccafisso, balbettò delle scuse imbarazzate e
caotiche e corse via come un fulmine.
Ginny rimase lì, stesa per terra, a guardare il soffitto, e
lì per terra si accese supina una sigaretta e se la portò lentamente alla
bocca, percependo per la prima volta di nuovo quel sapore coinvolgente ed assoluto
dell’ultima sigaretta, con un retrogusto inatteso, inusitato, buono. Il gusto di Harry. Un gusto che da allora in poi avrebbe sempre
associato alle parole più romantiche che avesse mai sentito uscire dalla bocca
del ragazzo che amava.
Non ti alzare.
Benedetta quella profezia.
**********
Farabutti infidi e pericolosi, i maghetti di quella scuola, che l’avevano subdolamente
attirato in quel corridoio vuoto con un inganno malefico. Era forse colpa sua,
se trovava così irresistibili la visione ed il suono di una palla che
rimbalzava? Non era forse una passione in cui chiunque avrebbe potuto indulgere?
Si era ormai rassegnato a trascorrere un’altra notte a digiuno, nascosto in
quel luogo, quando vide fortunatamente sbucare da dietro un angolo lo strambo
custode della scuola, con il suo altrettanto strambo animale da compagnia; si rintanò
in un cantuccio appartato, e lo ascoltò biasimare duramente con la gatta il
cattivo comportamento degli studenti indisciplinati, che si divertivano a compiere
atti di vandalismo sulle pareti della scuola.
- Vandalismo, poi. Che razza di
vandali si mette ad incantare un muro per far comparire la scritta luminosa ‘Non ti alzare’ solo agli occhi degli insegnanti? Che significa, poi? Che scherzo del
cavolo é? Se vogliono che i docenti restino a letto e non facciano lezione, se
lo possono scordare, assolutamente!
Osservò con un certo appetito l’uomo inginocchiarsi,
posando a terra con gesti secchi e scocciati il secchio e la spugna che si era
portati dietro.
- E meno male che alla fine il
centauro si è deciso a parlarne col Preside, perché la professoressa Cooman andava avanti da giorni, a passare e ripassare di
qui e a ripetere che lei ce l’ha davvero, il dono, perché vede ciò che gli
altri non vedono.
Si appropinquò ancora, pronto a fare
la sua mossa, spiandolo mentre intingeva la spugna nel secchio e la strizzava
più volte.
- E cosa ha fatto lui? Ha incantato
il secchio! ‘Per una
vernice magica, ci vuole un detergente magico’. E a chi tocca ripulire? Ma a Gazza, ovviamente! E io nemmeno la vedo,
questa dannata scritta, dove dovrei passare la spugna? Non va bene, non va
bene. Ci vuole disciplina, rigore, severità. Ah, la professoressa Umbridge… Lei sì che ci piaceva, vero, Mrs. Purr?
La micia si strofinò contro la gamba del
padrone, e quando Gazza fece per alzarsi, lui decise che era ora di intervenire
e lo indusse a posare lo sguardo sulla scritta sulla parete, rendendogliela
improvvisamente visibile ed illuminandola quasi a giorno.
Non ti alzare.
- Però, Mrs. Purr,
hai visto che roba?- mormorò intimorito il custode, indietreggiando e lasciando
cadere la spugna, così impressionato da non accorgersi nemmeno della pozza
d’acqua che in tal modo si allargava per terra.
Con un altro piccolo sfoggio del suo
potere persuasivo, riuscì a farlo fissare su quelle parole a lungo e con
deferenza, finché l’uomo si strinse nelle spalle, borbottò qualcosa sul lavoro
eccessivo a cui lo sottoponevano e su quanto poco valesse la pena di alzarsi
ogni mattina, prese un lungo respiro, turbato e stanco, e si sedette infine con
le spalle al muro, mentre l’animale si appallottolava sulle sue gambe; a quel
punto, fu con enorme facilità che portò entrambi a chiudere gli occhi e a
cadere lesti in un sonno profondo e magico. Quatto quatto,
si avvicinò per ascoltarne le fantasie: Gazza stava già volteggiando a
mezz’aria, compiendo magie mai viste e infliggendo punizioni corporali che
avrebbero inorridito Tu-Sai-Chi in qualità di nuovo
preside di Hogwarts, mentre Mrs. Purr inseguiva lieta
e serena un topo gigantesco.
Praticamente un buffet.
Tirando un sospiro di sollievo, il
Ghiribizzo Patatoso si accoccolò comodamente tra le
zampe della gatta. Quella notte lo aspettava una bella scorpacciata di immagini
oniriche, e un sorriso deliziato si dipinse sul suo volto invisibile agli
esseri umani, mentre succhiava quelle succulente e grasse fantasticherie dal
sapore una buona volta nuovo.
Finalmente qualcuno che non sognava Harry Potter.
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Di carne e di carta è stata revisionata e pubblicata. La
trovate su Amazon qui e su Goodreads qui.
Ad esso va ad
aggiungersi il mio nuovo libro, totalmente inedito, Trentatré. Lo trovate su Amazon qui
e su Goodreads qui.
Grazie,
A mio marito, che vedo spesso mezzo assonnato e totalmente rincoglionito,
con i capelli arruffati, la maglietta sporca, i pantaloni sbrindellati, e che
amo anche allora
A Kukiness, che ha avuto la splendida idea di
questo concorso e che mi ha ispirato questa storia
A tutti quelli che hanno chiesto altri racconti della serie di Succo di zucca e che spero abbiano gradito questa piccola parentesi
A colui che mi priva del sonno e mi succhia ogni energia, che mi ha fatto
trascorrere notti intere a rivivere le immagini di questa storiella e che ha
una passione smodata per le palle colorate, l’unico ed inimitabile
Citazioni: La profezia ‘Non ti alzare’ era una di quelle proposte dal concorso; l’idea dell’ode all’ultima sigaretta viene da La coscienza di Zeno di Svevo; il fagiano imbalsamato citato da Luna esiste, ed era stato posto nella mia cameretta quando ero bambina: inutile dire che ha popolato i miei incubi di allora.