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+ 4 - 3 + 2 - 1 = 0
«Dove?» gracchiò.
«California Institute of Science» ripeté Merrick con impazienza; era ovviamente
snervato. «E adesso sbrigatevi ad andare, Eppes!» E senza dargli un altro
sguardo, sparì.
Gli sguardi di David e Colby si spostarono velocemente avanti ed indietro tra
Don e Megan in attesa di una reazione da parte di uno dei due. Colby notò che
la respirazione di Don si era accelerata. Poi, si accorse che anche lui e David
avevano assunto lo stesso comportamento. Guardò Megan: era bianca come un
lenzuolo e le sue mani tremavano.
«Cosa aspettiamo ancora?» urlò Don e la sua voce aspra si accavallò.
Si era alzato di scatto dalla
sedia e stava già correndo verso la porta dell’ascensore, David e Colby dietro
di lui; infine anche Megan si era liberata velocemente dalla rigidità che le
aveva avvolto il corpo e si affrettò a seguire i tre uomini.
«Don!» gridò al suo capo mentre anche David e Colby entravano nell’ascensore il
cui pannello di controllo stava subendo colpi poco aggraziati da parte di Don.
Ce la fece giusto in tempo ad entrare nella cabina prima che le porte si
chiudessero dietro di lei.
«Don!» ripeté con insistenza,
gli occhi sbarrati. «Non puoi avere seriamente intenzione di prendere il
commando di questo caso! Siamo troppo coinvolti, tutti noi!»
Don la fissò con uno sguardo pieno di incredulità.
«Pensi veramente che me ne
freghi? Se Charlie, Larry ed Amita stanno bene, allora non saremo più coinvolti
che negli altri casi seguiti fin’ora; se… se non stanno bene… non possiamo
piantarli in asso così!»
«Ma non possiamo concederci sbagli!»
«Lo so e certamente non è quello che ho in mente, Megan!»
«Ma conosciamo…»
«SAI CHE NON ME NE IMPORTA PROPRIO NULLA? Hai sentito Merrick, no?! Siamo la
sola squadra disponibile! E se nessuno se occupa, molto presto quel pazzo
perderà completamente la testa!»
Megan lo guardò per qualche istante con un’espressione impenetrabile. Poi,
annuì.
«Lasci
andare gli studenti».
Charlie fu un po’ sorpreso da se stesso. Anche Phelps sembrava esserlo perché
aveva alzato le sopracciglia ridendo brevemente.
«E perché dovrei farlo, Eppes?»
«Non le
hanno fatto niente! Lei
vuole solo me, lasci andare gli altri!».
Di nuovo un ghigno beffardo.
«Voglio solo te, Eppes? E come fai ad esserne tanto sicuro?»
Poi si voltò verso gli studenti, brandì l’arma e gridò come un pazzo.
«Come fate ad essere tanto sicuri che non vi farò del male, eh? Persone
come voi mi hanno umiliato! Vi ucciderò! Vi ucciderò tutti!»
Charlie concentrò il suo pensiero su Don e la sua cadenza divenne calma anche
se la sua voce tremava ancora un po’. «Non lo farà».
Phelps si voltò immediatamente, così come la sua mitragliatrice. «Ah sì? E cosa
te lo fa pensare?»
Charlie tentò di ignorare la bocca dell’arma e di guardare fermamente l’uomo
negli occhi.
«Non è
un assassino, Phelps. Avrebbe
potuto uccidermi da molto tempo, ma non l’ha ancora
fatto.»
«Pensi che io sia un vigliacco o cosa?!»
Caspita! Cosa stava dicendo? Ogni frase sembrava fare diventare quell’uomo
sempre di più aggressivo!
«No» rispose Charlie scegliendo ogni parola con attenzione «Ma penso che lei sia abbastanza
furbo da non uccidere nessuno. Fino ad ora non ha causato troppi danni. Se non farà nient’altro,
sono sicuro che se
la caverà con poco».
Charlie pensò che funzionasse parlare con quell’uomo. Phelps tacque e sembrò
veramente riflettere sulle parole del professore. Ma poi ritornò quel ghigno
beffardo ed esasperante.
«Datti pace, Eppes. Voi rimanete qui, tutti».
Il ghignò divenne diabolico e quasi pazzo.
«Altrimenti non avremmo più spettatori».
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«Al cellulare di Charlie non risponde nessuno» li informò qualche attimo dopo,
l’apparecchio ancora attaccato all’orecchio.
Don sentì il panico riempire la sua testa. Se potesse, Charlie risponderebbe
sicuramente al suo cellulare, no? Forse la follia omicida era già in pieno
svolgimento quando aveva richiamato Charlie dopo il loro litigio… E oltretutto lo stava richiamando
solo per poter continuare a litigare... per potergli continuare ad urlare
contro dopo il suo comportamento sgarbato... Ora tutto ciò che era successo
quella mattina lo riteneva una cosa talmente stupida!
«Cerca di
chiamare Larry» propose Colby dal sedile posteriore.
«Non ha un cellulare» rispose la donna brevemente.
«Amita?» tentò David.
«Non ho il suo numero».
«Vabbè…» David si schiarì la gola e
poi continuò un po’a disagio: «Saremo lì in
un attimo. E poi, potremo sicuramente chiedere com’è la
situazione direttamente
a loro».
La risposta di Megan fu appena percepibile «Speriamo di sì».
Dal momento in cui erano arrivati al campus, gli occhi di Megan avevano
scandagliato tutta la piazza, senza successo. Però, erano appena scesi dalla macchina
quando con un grido: «Là!» disse e accennò a due figure che faticosamente si
avvicinarono a loro.
Larry e Megan si abbracciarono, ma si separarono subito.
«Dov’è Charlie?» volle sapere la
donna, e il suo sguardo ondeggiò in fretta da Amita e Larry a Don che lo stava
ancora cercando tra la confusione del campus.
«Non lo sappiamo. Non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte». Amita
sembrava essere sul punto di perdere il controllo.
Per qualche attimo, ci fu un silenzio pieno di tensione.
«Adesso venite» disse ad un tratto una voce bassa ma determinata, che venne
della bocca di Don, ma che aveva un tono completamente differente dal solito.
Quella calma forzata, che poteva
anche semplicemente essere causata dallo shock, lo aveva lasciato
definitivamente.
«Non abbiamo un minuto da
perdere»
Don non aveva la minima idea di quanto avesse ragione.
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6 + 7 - 8 + 9 - 9 + 8 - 7 + 6 - 5 + 4 - 3 + 2 - 1 = 0