Note
dell’autrice: eccomi, sono tornata or ora da Monaco (stanca morta,
febbricitante, ma viva). Sembrava impossibile, ma ce l’ho fatta. Allora, prima
di tutto volevo dirvi una cosa: in questo capitolo ci sarà una scena nella quale
vi verrà richiesto un certo sforzo mentale, ve la dovrete immaginare. Per
aiutarvi in questo, a parte l’utilizzo di descrizioni il più dettagliate
possibile, ho pensato di utilizzare un brano tratto dalla colonna sonora del
trailer di “La bussola d’oro”, eccolo qui:
http://www.youtube.com/watch?v=hSSnHCD6y4I
Si
intitola “To the rescue” e il compositore è James Newton
Howard.
Per
ora non vi dico nulla di più: conoscendomi, potrei rovinare la
sorpresa.
ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
BELLIS:
innanzitutto volevo chiederti, se le 11.52 sono primo mattino per te, le 8 cosa
sono? Dai, a parte gli scherzi, grazie della recensione. Ti confesserò che
Cornelia era nata come mia emulazione, ma alla fine è cresciuta ed è diventata
un personaggio a sé (sigh, come passa il tempo), in poche parole è diventata
diversa da me. Per quanto riguarda il passato di Basil, ne verrai a sapere di
più con il seguito della storia. Anche per questo ho dovuto cambiare un po’ la
datazione. Eh sì, l’informatore è una fanciulla, chi sarà? Basil lo sa
benissimo, tranquilla. Grazie per le consuete annotazioni, mi fanno un gran
piacere.
MIRISTAR:
Sono contenta che la questione delle date non crei problemi, t’immagini
riscrivere tutto da capo? Già, di una donna. Chi sarà?
Grazie
per il commento.
GIUSTY54;
grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti
piaccia.
Basil
è un po’ il personaggio che mi ha avviata proprio a Sherlock
Holmes.
Bene,
ora direi che possiamo anche cominciare.
Capitolo
18
Topson
camminava rapidamente al fianco di Cornelia e, come lei, non perdeva d’occhio il
detective, che procedeva frettolosamente per le strade di Londra, pochi metri
davanti a loro. Sembrava che non si fosse accorto di essere seguito, perché
continuava ad avanzare a passo spedito senza guardarsi intorno. Improvvisamente
svoltò un angolo, scomparendo alla vista. Il dottore e l’attrice attesero
qualche istante prima di compiere la medesima azione ma, quando si decisero
finalmente ad avanzare, videro che, nella strada che il detective aveva
imboccato pochi attimi prima, non c’era traccia di lui.
Costernati,
si fermarono di botto, senza avere la più pallida idea di cosa fare. Si
guardarono intorno freneticamente, nella speranza di intravederlo da qualche
parte ma nulla: Basil sembrava essersi volatilizzato.
“Accidenti”
mormorò Cornelia tra i denti con rabbia.
“L’abbiamo
perso.” Disse Topson, prendendosi la testa tra le mani .
“Deve
essersi accorto che lo seguivamo ed ha fatto di tutto per
seminarci.”
Fece
lei.
“Ma
come diamine ha fatto a sparire così? Non ci abbiamo messo poi tanto a seguirlo
e lui non può essere così veloce.” Si chiese il dottore.
“Forse
non sarò così veloce, ma l’astuzia di certo non mi manca, caro
Topson.”
All’udire
quella voce alle loro spalle, i due sobbalzarono e, voltandosi, videro Basil
uscire dall’ombra di un vicoletto, con un ghigno divertito stampato sul
volto.
“Ah,
vecchio mio, non finirai mai di stupirci.” Esclamò Topson, affrettandosi a
stringergli la mano.
Cornelia,
invece, rimase al suo posto, chiaramente indecisa. Era felice che Basil non
avesse deciso di seminarli (cosa che sarebbe stato benissimo in grado di fare),
però era ancora irrequieta per quella lettera trovata sul
tavolo.
Sapeva
che dubitare di lui, essere gelosa, era un comportamento stupido, eppure non
riusciva a fare a meno di provare quelle sensazioni.
Mille
domande continuavano a frullarle nella testa: chi era quella donna? In quali
rapporti era con il detective? Perché lui gliene aveva mai parlato? Più ci
pensava, più sentiva il suo cervello andare in fumo.
“Stavo
aspettando il momento giusto e, involontariamente, l’ ho
trovato.”
Basil
aveva capito al volo i suoi pensieri, le aveva risposto e le si era
avvicinato.
Lei
abbassò lo sguardo imbarazzata e mormorando:
“Ti
odio quando mi leggi nel pensiero.”
Lui
ridacchiò e, rivolgendosi anche a Topson, disse:
“Ebbene
sì, alla fine mi vedo costretto a confessare e…” si interruppe per guardarsi
velocemente attorno, poi riprese:
“Forse
è meglio non parlarne qui in strada, non si sa mai chi potrebbe essere in
ascolto. Seguitemi e, strada facendo, vi anticiperò
qualcosa.”
Detto
ciò, prese a braccetto Cornelia e si avviò lungo la strada, con Topson al suo
fianco.
“Conosco
la signorina B.B da… beh, direi da una vita e non è solo un modo di dire. La
nostra collaborazione è cominciata all’incirca 8 anni fa, quando tu, Cornelia,
eri già in Europa e tu, Topson, non avevi ancora bussato alla mia porta con la
signorina…. Ehm… Flourisher?”
“Flaversham”
lo corresse il dottore, scotendo la testa: avrebbe mai
imparato?
“Sì,
come vuoi. ”replicò seccamente il detective.
“Quando
intendi collaborazione, vuoi dire…” cominciò Cornelia, incuriosita da quella
conversazione.
“Per
ora nulla, mia cara. Siamo troppo allo scoperto. Ve ne parlerò a breve, ormai
siamo quasi arrivati.” Poi, guardandola negli occhi, aggiunse: “Nulla per cui tu
debba riversarmi addosso le tue ire.”
Infatti,
dopo neanche un paio di minuti, svoltato un altro angolo, il detective condusse
i due di fronte ad un teatro tanto immenso per la loro statura, quanto minuscolo
per quella umana: all’esterno aveva una larga scalinata, con ai lati due colonne
in stile corinzio. La porta, altissima, era completamente di massiccio legno di
quercia, con borchie, battenti e cerniere di piombo. Era inoltre decorata da
intarsi raffiguranti le Muse ed alcuni personaggi delle antiche opere teatrali.
“Il Mousedom Theatre.” Disse
Cornelia, che ne aveva sentito parlare durante i suoi viaggi. Era infatti un
luogo di spettacolo molto famoso e rinomato per le novità che offriva
continuamente al pubblico, anche se lei non aveva mai avuto il piacere di
assistere ad una rappresentazione, in quanto la data di fondazione del teatro
risaliva a circa 7 anni prima.
“Come
mai ci hai portato qui?” chiese poi al detective.
“Mi
sembra abbastanza ovvio no? Dobbiamo entrarci.”
“Beh,
grazie per la poca stima delle mie facoltà mentali, ma non hai visto che c’è un
cartello con su scritto “CHIUSO PER PROVE” proprio lì davanti al tuo
naso?”
“Certo
che l’ ho visto, carissima, ma chi ti ha mai detto che saremmo entrati dalla
porta principale?” rispose lui. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li
stesse osservando, poi disse:
“Ora
seguitemi, veloci.” Con ciò, si avviò a passo spedito verso una viuzza poco
distante, con Topson e Cornelia alle calcagna.
Una
volta giunti lì, si ritrovarono davanti ad una porticina di legno
verde.
Su
una targhetta dorata al centro di essa, c’era scritto “INGRESSO
ARTISTI”.
Basil
bussò e, dopo pochi istanti, una voce dall’altra parte della barriera lignea
chiese, piuttosto bruscamente:
“Parola
d’ordine.”
“Il
tabacco migliore è quello indiano.” Rispose prontamente il
detective.
La
voce senza volto ridacchiò:
“Mi
dispiace signore. Quella era valida fino al mese scorso.”
Basil
sgranò gli occhi allibito. Il volto di Cornelia assunse un ghigno
divertito:
“Cos’è
che avevi detto? Che saremmo riusciti a non entrare dalla porta
principale.”
“Per
una volta, Cornelia, fammi il valore di stare in silenzio. Oh, se riesco ad
entrare mi sente, quella. Accidenti, non me la ricordo.”
La
sua frustrazione fu sostituita in pochi attimi da una nuova ondata d
sbigottimento: la porta, infatti, si era aperta.
“Ma
come… cosa..?” si ritrovò a balbettare il detective.
“Avete
appena detto la parola d’ordine, signore: non me la ricordo.” Gli rispose il
possessore della voce, un topo piuttosto alto e robusto, ridacchiando ancora più
forte.
“Prego,
entrate, ma fate piano, stanno ancora provando.”
Detto
ciò si fece da parte, lasciando passare il trio che, per la sorpresa, sembrava
aver perso il dono della parola.
Fu
ovviamente Cornelia a ritrovarlo per prima:
“In
che razza di covo di matti ci hai portato?” chiese al detective, mentre
camminavano lungo un corridoio tappezzato di velluto rosso ed illuminato dalla
luce di alcun lampade a gas.
“Me
lo stavo chiedendo anch’io. La signorina deve conoscerti molto bene Basil.”disse
Topson.
“In
che senso, caro amico?” chiese il detective, senza comunque fermarsi.
“Senza
offesa, ma hai l’orribile tendenza di scordarti cose che ti sembrano poco
importanti.”
“Non
è vero.” Replicò Basil, indispettito, ma continuando a
camminare.
“Qual
è la data del mio compleanno?” chiese Cornelia, introducendosi nella
conversazione.
“Ehm,
il 4 novembre?” rispose lui esitante.
“Sbagliato,
il 26 di quel mese. Spiacente di dovertelo dire, ma Topson e questa signorina
hanno proprio ragione. Ciò mi fa sorgere il dubbio su quanto profondamente vi
conosciate voi due.” Disse l’attrice con una punta di
amarezza.
“Non
c’è alcuna ragione di fare la gelosa, né ce n’è bisogno.”
“Da
che pulpito viene la predica.”
“Per
piacere, ora non mi sembra il caso di litigare, tanto più che ci è stato chiesto
di fare silenzio. Basil, fai strada, Cornelia, ogni cosa a suo tempo.” Disse
Topson, riuscendo a placare le acque.
I tre
percorsero in silenzio il resto del tragitto. Dopo alcuni minuti di brusche e
numerose svolte (“Siamo finiti in un labirinto, oltre che in un covo di matti?
E’ il Paese delle Meraviglie?” aveva commentato Cornelia), giunsero ad una
doppia porta in legno marrone. Basil la spinse, fece entrare i suoi due
compagni, poi la richiuse alle loro spalle.
Si
ritrovarono nel buio più totale, senza alcuna possibilità di discernere qualcosa
della stanza in cui si trovavano, tranne forse il fatto che era un luogo
enorme.
Avanzando
a tentoni, il detective riuscì a trovare una serie di poltroncine ed aiutò
Topson e Cornelia a sedersi. Per un po’ non accadde nulla, la sala era immersa
nel silenzio più totale. Improvvisamente, poi, sentirono un rumore che
assomigliava ad un sibilo e, alla debole luce che proveniva dalle fessure della
porta da cui erano entrati, videro che il luogo cominciava a riempirsi di
fumo.
Cornelia
e Topson cominciarono a sentirsi un po’ a disagio ma, prima che potessero fare
qualsiasi cosa, si sentirono quattro colpi ritmici. Dal fondo della sala
comparve un alone dorato che, in quell’atmosfera fumosa, dava l’idea di essere
finiti in un mondo sovrannaturale, quasi paradisiaco, ancorché
inquietante.
Udirono
una nota prolungata ed in crescendo giungere da dove era spuntata la luce.
Guardando meglio, riuscirono a scorgere un’orchestra, posizionata sotto un
palco. Strumenti e suonatori erano completamente bianchi.
La
musica esplose di colpo, intonando una melodia frenetica e
travolgente.
Dopo
i primi secondi, eseguiti alla perfezione dall’orchestra, cinque musicisti, tre
donne e due uomini, comparvero sopra il palco ed attaccarono un assolo ancora
più frenetico con i loro violini. Anch’essi erano vestiti di bianco, con abiti
di seta che ricordavano molto quelli che Topson aveva avuto modo di vedere in
India come modello, ossia quelli delle odalische, ma molto meno succinti, dato
che non lasciavano nulla di scoperto. Lo spettacolo era di per sé normale, se si
escludeva quell’ atmosfera surreale da Regno dei Cieli.
Il
dottore stava già cominciando a chiudere gli occhi per godersi la musica in
silenzio quando, improvvisamente, i cinque violinisti i misero a correre, sempre
suonando, verso il bordo del palco. Per un attimo, Topson temette che sarebbero
caduti giù ma, prima ancora che potesse gridare loro di fare attenzione, questi
spiccarono letteralmente il volo. Nulla sembrava trattenerli in aria e la cosa
era resa ancora più suggestiva dalle paia di ali comparse dietro le schiene dei
cinque suonatori. Mentre l’intera ensemble ripeteva il motivo ascoltato solo
pochi secondi prima, i violinisti compivano bellissimi e precisissimi movimenti
in aria, dapprima in totale sincronia, poi cominciando ad incrociarsi tra di
loro, in una danza mozzafiato. Ciò che stupiva di più il dottore, era il fatto
che fossero in grado di continuare a suonare i loro strumenti. Evoluzioni su
evoluzioni (una delle quali, consistente in un pericoloso avvicinamento tra il
piede di uno degli uomini e la testa di una delle ragazze) si susseguirono per
qualche secondo, dando l’idea a Topson che l’intera armata dei cieli si fosse
radunata in quel piccolo teatro per dare sfoggio del suo splendore
divino.
Dopo
pochi istanti, però, l’orchestra ripeté una nota lunga e crescente ed i cinque
violinisti atterrarono, staccando gli archetti dai violini e posando i piedi per
terra, proprio mentre l’orchestra terminava la sua melodia.
Nel
teatro cadde il silenzio. Nessuno fiatava, né i musicisti, né i tre spettatori
in fondo alla sala. Poi, la ragazza al centro, quella che si era quasi presa un
pedata in testa, abbassò le braccia, che aveva tenuto sollevate per dare
l’effetto finale, e disse:
“Bravi,
complimenti davvero. Come esecuzione era quasi perfetta.” Tutti i musicisti
lasciarono andare un sospiro di sollievo.
Evidentemente,
pensò Topson, la ragazza doveva essere un tipo piuttosto esigente in fatto di
spettacoli.
“Solo
una cosa.” Riprese lei “Percy, andresti a chiamarmi Andrew? Vorrei scambiare due
paroline con lui.”
Uno
dei violinisti sul palco annuì e si allontanò, ritornando pochi istanti dopo,
accompagnato da un topo dall’aria mortificata.
“Signorina,
non so davvero come sia potuto succedere. Tutte le corde erano al loro posto e
le ho manovrate esattamente come mi aveva detto lei.” Disse con voce
supplichevole.
“Certo
Andrew, certo. Dunque hai certamente abbassato la fune cinque mentre alzavi di
tre quarti la quattro, vero?” gli chiese con aria sarcastica la
ragazza.
“Io…
io… no.” Esalò lui, in preda al panico.
“Sapevi
che, a quella velocità, se Phil mi avesse colpito sul serio, ora la mia testa
sarebbe stata strappata dal collo, avrebbe colpito la colonna, sarebbe
rimbalzata sul palco e, infine, sarebbe finita nella buca dell’orchestra, dritta
nella canna del trombone?” Gli chiese lei, sottolineando volutamente ogni
macabro particolare di ciò che sarebbe potuto accadere con l’esattezza di un
discepolo di Pitagora.
Il
poveretto non riuscì a proferire verbo, limitandosi a tenere gli occhi
bassi.
Lei
lo guardò con tanto gelo da poter creare un secondo strato di ghiaccio
sull’intera Artide, poi, con una voce altrettanto gelida, gli
disse:
“Per
stavolta sei perdonato, anche perché, se ti concentri, sei un ottimo tecnico, ma
che non si ripeta mai più, va bene?”
Lui
annuì con forza, felicissimo.
“Bene,
allora direi che per oggi possiamo chiudere. Ci rivediamo domattina alla solita
ora, complimenti a tutti.” Disse e fece un applauso rivolto alla troupe che
ricambiò felice e cominciò a ritirarsi dietro le quinte. La ragazza,
evidentemente la regista e l’artefice del magnifico spettacolo a cui avevano
appena assistito, attese che tutti se ne fossero andati, poi, lanciando
un’occhiata verso il fondo della sala, più precisamente verso il trio, sospirò e
scese dal palco, dirigendosi verso di loro.
A
questo punto, sarebbe opportuno dare una descrizione della misteriosa giovane,
perciò, dato che non sarei capace di caratterizzarla al meglio, lascerò che sia
il dottor Topson ad illuminarvi: ecco qui un estratto del suo diario di
appunti.
“Nel vederla
scendere dal palco con un balzo, non potei fare a meno di pensare al cosiddetto
folletto dei boschi, per via della grazia e dell’agilità con cui aveva compiuto
l’azione. Eppure, mentre ci si avvicinava, notai che di quella creaturina aveva
ben poco. Il passo energico, reso elegante probabilmente dall’educazione
ricevuta sia nell’ambito domestico che in quello artistico, non poté non farmi
tornare alla mente la forza con cui si era librata nell’aria pochi attimi prima.
Quando si fermò
davanti a noi, fui in grado di dare un giudizio più accurato alla sua
persona:
era di una bellezza
tutta sua, ben diversa dai normali canoni che si utilizzano per valutare
l’aspetto di una signorina. Si sarebbe potuta definire un incrocio tra varie
culture: la composizione del volto faceva pensare all’ebrea Rebecca del romanzo
Ivanhoe, la fierezza dei modi
veniva dagli antichi Celti, e così il nome, come avrei scoperto in seguito. Gli
occhi azzurri con striature ambrate la facevano sembrare una italo - tedesca,
mentre i lunghi ricci di un castano tendente al ramato, resi crespi da Madre
Natura ed ancor più dalle acrobazie a cui avevamo assistito fino a pochi minuti
prima, erano quelli di un’amazzone tornata da una battaglia tra i selvaggi
arbusti delle sue terre. Era magra, ma non eccessivamente: del resto, vista la
particolare disciplina che si trovava a praticare, non avrebbe certo potuto
avere il fisico di una ballerina comune.
Questo
pensava Topson, mentre la ragazza si avvicinava a loro. Riusciva a scorgere
qualcosa di familiare nel volto terribilmente serio ed inquisitore di lei, ma
mai si sarebbe aspettato una simile rivelazione dal suo amico.
“Amici
miei, lasciate che vi presenti mia sorella maggiore: Brynna Anne – Marie
Basil.”
Il
dottore sbarrò gli occhi e così fece Cornelia, anche se per motivi
differenti:
Topson
non aveva mai pensato al fatto che Basil potesse avere una famiglia, eppure ora
notava i tratti in comune tra i due fratelli e, sotto quel paio di occhi freddi,
provava la stessa sensazione di lieve disagio che aveva sperimentato pochi anni
prima quando aveva conosciuto il suo collega.
Cornelia,
invece, era stupita di sé stessa per non essere riuscita a riconoscerla al primo
colpo. Avevano trascorso tanti anni insieme a scuola e a casa di Basil.
Sinceramente, non la sopportava molto. Brynna era sempre stata molto
particolare, chiusa in sé stessa e nel suo mondo, ben attenta a non lasciare
intravedere la sua vera personalità agli altri. Era fredda ed insensibile, per
quanto ne sapeva lei. Ne fu ancora più certa quando la giovane donna raggiunse
il terzetto e disse in tono secco al fratello, senza degnare di uno sguardo gli
altri due:
“Non
mi pare di averti permesso di portare degli amici, l’ hai forse
dimenticato?”
FINE
DEL CAPITOLO
Wow,
che tipetto curioso eh? Non sembra avere modi molto cordiali. Quale ruolo avrà
nell’intera vicenda? Leggere per scoprire.
Spero
che abbiate gradito
Bebbe5