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Autore: Primb    12/04/2010    6 recensioni
"Correvo. Semplicemente, correvo, il bianco vestito da sposa pieno di macchie e strappi, lo strascico ormai ridotto a brandelli. I rami e gli arbusti della macchia mediterranea mi graffiavano il viso e le porzioni di pelle lasciate scoperte dalla veste nuziale. Mentre inciampavo nell'ennesima radice, sentii uno schiocco e un improvviso bruciore alla guancia. Me la sfiorai con le dita ricoperte dai guanti candidi e questi si tinsero di rosso. Sangue."
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Chiedo scusa.

Sono in ritardo. Atrocemente, pazzescamente, tremendamente in ritardo, e non ho scuse. Spero solo che il capitolo vi piaccia.

Dato che sono passati mesi e mesi dall’ultima pubblicazione, ecco qua un breve riassunto per ricordare come sono andate le cose.

Riassunto:

Quando Lily arriva al Santuario, è vestita da sposa, e fugge da tutti i suoi aguzzini. Per puro caso, va a sbattere proprio contro il Santo di Scorpio, che decide di aiutarla. Inizia così la convivenza di Lily von i vari Saints, che non tardano a scoprire, dopo il primo, violento incontro con Athena, che la ragazza ha un piccolissimo Cosmo di origine divina. Così tra alti e bassi cominciano gli allenamenti, e, proprio mentre cercava di evitare uno di questi, Lily ritrova Albert, suo fratello maggiore; il ragazzo però è strano, diverso da come lo ricordava sua sorella. A sorpresa, infatti, Albert stordisce Milo con una sostanza di sua invenzione, scaraventa Lily in macchina e dà inizio ad una folle fuga sotto la pioggia.  

 

‡ Beautiful novel ‡

 

L’evoluzione.

 

 

 

 

Doveva essere un lavoro semplice, e guarda questa svampita cosa mi combina. Qua va a finire che se non intervengo ci lascia la pelle, e io con lei.

 

 

Mentre sentivo queste parole invadermi la mente, cariche di un disprezzo puro e disarmante, una fitta coltre di nebbia invase il mio campo visivo, perciò non riuscii a vedere la smorfia di terrore di Albert, né il guardrail che cedeva sotto la spinta dell’auto e nemmeno il mare scuro che si faceva sempre più vicino.

Però sentii.

Sentii mio fratello gridare disperato, sentii il balzo anomalo dell’auto, sentii l’asma insistermi sui polmoni fino quasi a soffocarmi.

Sentii la vampata di calore che oggi mi è familiare salire dalla punta dei piedi e invadermi tutto il corpo.

Non avevo mai percepito nulla del genere, nemmeno durante gli allenamenti con Shaka, e questo mi spaventò da morire. Strinsi la mano di Albert, pregando per un miracolo nella speranza che il mare non ci inghiottisse.

 

Hey Pecora, svegliati una santa volta! Impegnati, fammi vedere chi sei.

Ardi.

 

Ancora la voce di prima, e ancora quel calore. Stavo impazzendo?

La cosa più incredibile è che tutti quegli eventi si svolsero nell’arco di una manciata di secondi, giusto il tempo di precipitare in una scarpata, eppure ricordo ancora ogni minimo dettaglio con estrema chiarezza.

La mia stretta sulla mano di Albert aumentò, l’avevo sentito rilassarsi, forse era svenuto.

All’improvviso fui abbagliata da un lampo di luce ramata, l’asma finì e sentii la pioggia lambirmi il viso e scivolarmi addosso con un tintinnio metallico che subito non riuscii a spiegarmi.

Trovai il coraggio di aprire gli occhi, e mi resi conto di non avere più la vista appannata.

Vidi l’automobile scomparire inghiottita dai flutti neri, tra gorghi e bollicine, e solo allora mi resi conto di essere sospesa nel vuoto, con mio fratello, incosciente, che ciondolava appeso alla mia mano.

Non ero aggrappata a niente, nessuno mi reggeva in alcun modo.

E allora perché restavamo sospesi?

Mi accorsi che era merito mio solo quando, scuotendo la testa, notai un cimiero lungo e rosso che mi penzolava sulla spalla.

Dunque, indossavo un elmo? Pareva di sì, e anche un’armatura completa, con tanto di calzari alati, tutta color rame. Era un’attrezzatura di prim’ordine, robusta e resistente, che però non pesava per niente.

Preoccupandomi di non allentare la presa sul mio inerme fratello e di non farlo cadere in mare, provai a sgambettare nel vuoto, e, galleggiando nell’aria in modo piuttosto ridicolo, riuscii a raggiungere la banchina.

Adagiai Albert sull’asfalto, tanto la strada era deserta, mi sfilai il magnifico elmo che indossavo e appoggiai l’orecchio sul suo petto cercando di captarne i battiti.

Erano debolissimi, perché?

Sentii nel cuore uno schianto all’idea di poter perdere mio fratello. L’avevo appena ritrovato.

Questo pensiero aprì con forza la strada ad altri, che, come un doloroso rosario, mi sfociarono nell’anima frantumando il mio autocontrollo.

Scoppiai a piangere.

Una lacrima per il pericolo scampato, una per la mia infanzia. Una lacrima per quell’aguzzino di Brain, una per il terrore del matrimonio con lui. Una per Milo, una per il Santuario e i suoi Cavalieri, un’altra per la bambina dai capelli viola.

Piansi per Andrea e Jude, i fratelli di cui avevo perso le tracce. Piansi per Albert, che avevo appena ritrovato e già rischiavo di perdere. Piansi per Mur, perché aveva fatto tanta fatica per portarmi un’acqua miracolosa che non sarebbe servita a niente, perché tanto sarei morta lì, sul ciglio di quella strada, di dolore, di stanchezza e d’ignoranza.

Piansi per Shaka e Dhoko, perché anche loro avevano sprecato fiato e tempo ad insegnarmi a manipolare quell’ombra strana che loro chiamavano Cosmo, e, quando avevo avuto bisogno di un’armatura, quella si era materializzata da sola, senza bisogno di tanti sforzi.

Piansi per Milo, perché mi aveva sempre tenuto compagnia, mi aveva regalato sorrisi senza risparmiarsi, ed io da quando ero lì non avevo fatto altro che frignare, e non gli avevo ancora detto quanto già gli volevo bene, nonostante ci conoscessimo da poco.

Piansi per Camus, Aldebaran, Dite e tutti gli altri, perfino per DeathMask, perché tanto avevo ancora un sacco di lacrime da spendere.

E mentre piangevo, l’armatura che indossavo non faceva altro che sfavillare, come se il mio dolore la rinvigorisse.

La odiai da subito, la odiai talmente tanto che cominciò a sanguinarmi un orecchio. Non è una stupidaggine, tutto quell’odio doveva pur trovare una via di fuga.

E, tanto per fare capire a quella corazza quanto profondo fosse il mio odio, piansi anche per lei, su di lei.

E poi il rame è un colore veramente orribile.

Eppure, nonostante quella situazione drammatica e incomprensibile, mi sfiorò un pensiero atroce ed incoerente: con tutta quella pioggia, la mia meravigliosa armatura si sarebbe certamente arrugginita.

Ma quella riflessione non era da me, no davvero. I conti non tornavano per niente. Il cinismo e la freddezza erano sempre rimasti estranei alla mia anima. Fino a quel momento.

Guardai Albert inerme sotto la pioggia, i capelli bagnati e il volto teso, e mi sembrò quasi uno sconosciuto, un semplice campione di umanità che non mi interessava per nulla.

Ecco, l’avevo fatto di nuovo. Ma da quando nei miei pensieri trionfava la crudeltà?

Nonostante tutto, non ebbi reazioni, nemmeno l’asma, se non quella di continuare a piangere.

Nel mio cuore già vorticavano paura, speranza, disperazione, odio e confusione; qualsiasi altra emozione l’avrebbe fatto esplodere, ne sono certa. Già con l’odio avevo avuto degli inconvenienti non da poco.

Sentivo, però, qualcosa che cercava di annullare la mia volontà, voleva violentarmi dall’interno, e le vampate di calore che avevo sentito prima c’entravano certamente qualcosa.

 

 

Che lagna! Stai sempre a piangere, pecora!

 

Rieccola, quella voce. Ancora sprezzante, ancora odiosa.

Chi sei? Domandai, in silenzio.

 

Chi vuole saperlo? Rispose quella, col tono annoiato del sovrano che si rivolge al servo.

Prima che potessi replicare, una voce nasale interruppe il silenzioso dialogo tra me e la creatura che mi abitava.

- Guarda un po’ chi abbiamo qui. Bentornata, mia piccola Sponsa.

Sgranai gli occhi, e un respiro mi rimase tronco.

Non poteva essere vero.

Mi girai, lenta e tremante, e incrociai i miei occhi in quelli porcini di Brain. Mi venne un rigurgito: sempre il solito cranio calvo, il solito muso suino, il solito aspetto da larva gigante.

Alzai un sopracciglio quando vidi i due gorilla alle sue spalle: mai che si sbrigasse le sue questioni da solo, quell’ uomo.

- Sempre a circondarti di leccaculo, Brain.- allusi, indicando gli omoni alle sue spalle – allora è vero che il marcio attira altro marcio.-

- Io non farei tanto la spiritosa se fossi in te, Sponsa. Comunque, vedo che sei finalmente riuscita a tirare fuori la divinità. Bene, bene.-

Divinità? Parlava forse dell’armatura?

Cercai di dissimulare la sorpresa, solamente per non fargli piacere.

- Va bene. Allora, prima di tutto liberiamoci delle zavorre.-

Ad uno schiocco di dita di quel verme, i bodyguard fecero qualche lento passo avanti, quel tanto che bastava per mettersi tra me e il lurido.

Anche loro, come me, ostentavano un’armatura. Solo che le loro erano veramente tremende: erano di un colore insensato, tra il prugna e il marrone direi, prive del più banale richiamo al classicismo o di un qualsivoglia gusto artistico; inoltre avevano applicata, al centro del petto, una sfera trasparente al cui interno comparivano, di tanto in tanto, dei lampi bluastri.

Praticamente, una sfera natalizia con dentro un parafulmini.

E poi dicono che i cattivi hanno più stile. Mah.

Ero pronta a deriderli per quelle corazze ridicole, davvero; d’altronde, ne avevo ben ragione: la mia era bellissima, anche se la odiavo dovevo ammetterlo, era riccamente decorata e perfetta in ogni dettaglio.

Purtroppo, però, non appena quei due ceffi si mossero verso di me, alla mia perfetta armatura venne la grande idea di sparire. Svampò così, in un attimo, senza avvisi, sublimando in una nube ramata che mi si infilò negli occhi, nel naso, nella bocca, ed io la respirai tutta quanta.

A quel punto, se non mi avessero fatto fuori Brain e compagnia bella, sarei comunque morta di avvelenamento per tutto il rame che avevo inalato.

Non appena l’armatura scomparve, mi sentii nuda: come ho già detto non aveva alcun peso, e la percepivo come una seconda pelle. Averla addosso mi era sembrato…naturale. Il problema veniva adesso, che mi sembrava una forzatura non averla.

Insieme a lei svanì ogni cosa: la sensazione di calore, la sicurezza, l’arroganza, tutto, e rimasi la solita ragazza di sempre, quel pallido fantasmino con il cuore di coniglio.

Con la coda dell’occhio vidi che Albert non si era ancora ripreso, e mi ritrovai a promettere a me stessa che sarei morta, prima che Brain riuscisse a fargli del male.

Intanto i due gorilla si erano girati verso quella larva umana con aria interrogativa. Lui, per tutta risposta, aveva cominciato a sbuffare come una teiera, mentre il suo volto si tingeva di un colorito purpureo che non aveva niente di sano.

- Minne ! Bupalo! –

A quel grido, i due ceffi con l’armatura si misero sull’attenti. Quindi si chiamavano così. Proprio aggraziati anche nei nomi, pensai.

- Non so come sia riuscita a far scomparire la Sacra Armatura, ma ce ne impossesseremo comunque! Prendetela! – gridò ancora Brain, schiumante di rabbia.

Minne e Bupalo mi furono addosso ad una velocità di cui credevo capaci solo i Cavalieri di Athena, e uno di loro mi bloccò i polsi, premendomeli contro la schiena.

Ero nei guai, e soprattutto rischiavo la vita di Albert.

Perché non si svegliava? Aveva certamente bisogno di cure, il battito del suo cuore era così debole… Senza contare che eravamo inzuppati d’acqua da un bel po’, questo non poteva di certo fargli bene…

Niente da fare, questa volta Brain non l’avrebbe avuta vinta.

Mi misi a scalciare come un cavallo, urlando, mordendo e graffiando tutto ciò che toccavo, impazzita. Diedi una capocciata contro qualcosa di duro, ma non mi fermai neanche quando sentii il sangue colarmi giù, dalle tempie fino al collo. Mi ruppi anche diverse unghie, ma in qualche modo riuscii ad arrivare a mio fratello e a buttarmici sopra a peso morto, in un maldestro tentativo di fargli da scudo.

Udii Brain ridere.

- Quindi è il fratellino il problema, Sponsa? - domandò, cantilenando.

- Cane. - sibilai io, furibonda.

- Non preoccuparti, ce ne liberiamo subito. Ormai non ci serve più. Bupalo, procedi. –

Uno dei due ceffi mi scostò con uno strattone violento e mi tenne ferma per le spalle, mentre io continuavo a ringhiare.

L’altro, Bupalo presumo, alzò il braccio e lo puntò verso mio fratello con il palmo rivolto in avanti. Ci fu un lampo di luce bianca e Albert…scomparve.

- Cos…? –

La risata sguaiata di Brain mi interruppe, allarmandomi da morire.

- Dov’è andato Albert? Cosa gli avete fatto? Dov’è mio fratello? –

Lo scimmione che mi teneva stretta mi lasciò andare, ed io potei vedere che gli sanguinava un occhio. Forse ero stata io, nell’impeto di poco fa. Amaramente, sorrisi.

- Posso, signor Brain? –

- Basta che non la uccidi. –

Pam.

Uno schiaffo mi colpì in pieno viso.

Caddi per terra sputando sangue, e sentii il labbro inferiore gonfiarsi quasi subito. Mentre ero a terra ansimante, quell’individuo, ben protetto dall’armatura, continuava a darmi calci e pugni, senza nemmeno lasciarmi lo spazio di un respiro. Mi ricordava ciò che era successo la prima volta che avevo incontrato Athena.

Minne continuò a malmenarmi per un po’, finché un ceffone più forte degli altri mi fece perdere conoscenza.

 

 

Benvenuta nel limbo dell’incoscienza, Pecora.

Chi sei?

Ancora con questa sciocca domanda? Se mi prometti che poi farai quello che ti dico, te lo rivelerò. D’accordo?

Ebbene?

Sì.

Sono colui che è rapido e malizioso, protettore dei ladri, guida dei morti, apportatore di sogni, creatore di prodigi e di illusioni, eterno vagabondo tra cielo, terra ed inferno. La mia intelligenza è lucida, il mio occhio vede chiaro, eppure appartengo alla Notte.

… Sei un dio?

Sì.

Oh.

Già. E noi, Pecora, siamo nei guai.

Perché continui a chiamarmi Pecora?

Come perché? Perché sei una Pecora.

No, non lo sono, dammi retta. Io mi chiamo Lily.

Non mi importa di come ti chiami, per me sei sempre una Pecora.

Allora, dicevo: siamo nei guai. Quei patetici umani hanno inventato una diavoleria che cattura i Cosmi, poco fa ne ho percepito il malefico influsso nella corazza di quella feccia. Non posso materializzarmi.

Non mi sarai d’aiuto?

Fisicamente no.

Ma tu sei l’armatura?

Sei stupida? Ti ho detto che sono un dio!

Ah, già…

Oh, Padre Zeus… comunque non devi preoccuparti, io me la cavo sempre.

Anch’io.

Beh?

…S-Sì. Ad ogni modo, ho mandato una richiesta d’aiuto ad Athena, tra fratelli ci si intende. Manderà qui alcuni dei suoi dorati protettori, anche il tuo amichetto, si è ripreso e sta arrivando.

E mio fratello?

Dimenticalo, è per sempre perduto.

Vuoi dire che è morto?

Sì.

…Non sento dolore…

È la mia anima che allontana il dolore dalla tua.

Oh. Allora smettila, per piacere.

Non se ne parla, non mi piace per niente quando soffri e ti viene l’asma.

Già, non piace nemmeno a me.

Congelerò il dolore per la morte di tuo fratello, e lo libererò solo quando la tua psiche sarà abbastanza solida da non rimanerne danneggiata. Ora sei troppo fragile per subire altri colpi.

Così mi condanni ad un futuro di dolore. Lo sai, vero?

Tu pensa al presente, godine il fiore. Il frutto del domani, se qualcosa va storto, non potrai coglierlo.

Ma perch…?

Taci, ti stai svegliando. Combatti per la dignità, Pecora, resisti fino all’arrivo di Athena. E ricorda: non sei sola.

 

 

 

 

Un ringraziamento particolare a ribrib20. Questo capitolo è tutto tuo.

Grazie anche a chi non ha smesso di seguirmi.

 

*Beso*

stan

 

 

 

 

 

 

  
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