Il fiato sospeso, l’adrenalina che pompava forte nel sangue, appannandomi la vista.
Mi trascinavo nel bosco buio con la gamba brutalmente mozzata, lasciando un’agghiacciante scia di sangue dietro di me. Da cosa scappavo? Una sagoma scura e malferma mi seguiva camminando lentamente. Mi raggiunse e mi uccise trafiggendomi la gola con un pugnale.
Nonostante lo avessi ucciso, il
ragazzo iniziò a ridere istericamente, impazzito. Sì voltò verso di me e mi
fissò, con sguardo psicopatico. Spaventato, continuai a pugnalarlo con forza
20, 30 volte o forse più, ma non servì a niente. Ero terrorizzato a quella
scena e girandomi rapidamente iniziai a correre via da quel posto maledetto.
Con la coda dell’occhio vidi solo
l’immagine del ragazzo che si alzava, completamente insanguinato, e i suoi
occhi nero carbone che mi fissavano.
Caddi a terra e mi trascinai, graffiando la terra sotto di me, incapace di camminare. La gamba mutilata perse abbondante sangue, che si appiccò sull’erba. L’uomo, prima indemoniato e ora terrorizzato, strappò un ramo da terra e lo dimenò sul mio viso e sul mio corpo, tenendosi alla massima distanza che gli era consentita. Riuscì a rompermi il collo. Era pieno di sangue, schizzato fuori dalla mia trachea.
Potevo vedere l’osso del collo.
Osservai, in piedi di fronte a lui, il sangue che sgorgava dalle ferite
provocate dal bastone. Ma osservando quella scena, invece di avere il
voltastomaco, avevo una sensazione strana nella pancia, come piacere. Sì, mi
piaceva vedere il ragazzo a terra, coperto del suo stesso sangue, e quando gli
sfiorai la ferita, con prepotenza misi due dita all’interno del collo. Potevo
sentire il suo battito. Mi accorsi che pure io ero ricoperto del suo sangue, ma
nonostante tutto, quel ragazzo era ancora vivo, sempre coi suoi occhi fissi sui
miei.
Non reagivo. Guardavo negli occhi il mio assassino, colui che mi aveva strappato alla vita. Ero condannato per l’eternità a vivere come zombie, e lui era il mio creatore e padrone. Sarei stato obbligato a farmi fare qualsiasi cosa da lui finché il mio corpo non avesse finito di marcire. Sentivo freddo, eppure la mia pelle bruciava come se fossi cremato vivo, lentamente. Come mi sarei salvato? Poi sentii fame, e un bisogno straziante di carne fresca, di sangue ancora caldo. Non volevo marcire! Non volevo morire…
Ero un non-morto e il mio destino oramai era stato reciso, insieme alla mia anima umana, per dar spazio solo ad istinto animale.
Vedevo che si agitava e contorceva
su se stesso. Gridava, supplicava, urlava. La sua pelle lentamente divenne
senza colore. I suoi occhi cambiarono, i capelli diventarono grigi e i suoi
denti giallastri.
Fece uno strano verso, e allora
compresi che non avevo mai vissuto la vera
paura. Lo vidi tirarsi a fatica verso di me e dalla sua bocca usciva sangue
secco. Si avvicinò sempre di più. Il cuore mi batteva così forte e veloce da
farmi male al petto. Ero così terrorizzato che ripresi in mano il bastone, con
tutta la forza che possedevo lo picchiai in testa per stordirlo e corsi via.
“Aiutami, mio padrone”, pensavo. Mi era impossibile parlare. Il mio corpo si muoveva solo guidato dall’istinto. Volevo stare accanto al mio unico riferimento, l’uomo che avevo davanti. Ma lui mi colpì sulla nuca facendomi perdere i sensi per un momento. Lo vidi a malapena sparire tra gli alberi.
Volevo aiutarlo, uccidendolo, ma
sapevo che se ci avessi provato, non ci sarei mai riuscito. Così scappai veloce
cercando da uscire dalla foresta. Tra i sentieri fangosi, inciampai più volte
su vecchi rami, procurandomi brutte ferite. Ero quasi al confine, quando mi
fermai.
E pensai. Pensavo al ragazzo, a me,
alla vita e a cosa volevo fare davvero. Dopo circa un’ora decisi e tornai sui
miei passi, con in mente una sola frase “il ragazzo deve morire”. Ma non feci
in tempo di fare due passi, che lui sbucò da dietro un arbusto. Gli andavi
vicino, pregando e sperando che le mie preghiere potessero salvarlo da questa
follia.
L’epinefrina eterna pulsava nel mio corpo putrido e la sola cosa che dovevo fare era cercare all’infinito carne umana. Ormai il mio unico padrone mi aveva abbandonato e ciò che avrei dovuto fare era limpido: nutrirmi e continuare a vivere.
Ecco, vidi in lontananza una sagoma umana avvolta nel buio della notte. Mi stavo trascinando verso di lui, quando mi accorsi che era immobile e mi dava le spalle. Mi nascosi dietro un albero, studiando qualche sua reazione. Appena si voltò dalla mia parte, un impeto scosse il mio corpo: lui era il mio padrone e uccisore. Era ciò di cui avevo bisogno. Ero perso e spaesato senza di lui. Mi scostai da dietro l’albero e lo fissai negli occhi, giusto il tempo di congiungere i nostri sguardi e quasi fossi spiritato, mi avventai su di lui per divorarlo.
Sentii i suoi denti sul collo,
sentivo la mia carne strapparsi e non riuscivo a reagire in alcun modo. Lo
guardai cibarsi di me. Lo toccai e disperatamente cercando di allontanarlo, ma
mi era impossibile. Era una sanguisuga, non si staccava, mi stava mangiando e
il dolore era troppo forte. In un attimo il dolore scomparve. Vidi il suo viso ricoperto anche del mio sangue.
La vista si annebbiò rapidamente, il corpo pareva si restringesse e le sue mani
mi tenevano fermo a terra come se fossi la sua preda, ma ero felice. Perché
almeno non scappavo, anche se la mia vita si rompeva.
Il mio padrone. Mi stavo nutrendo del corpo del mio signore. Era una cosa proibita, malsana, sbagliata. Lo sentivo, ma avevo l’esigenza di mangiare. La mia pelle riprendeva colore, i capelli si scurivano e la gamba mozzata si cicatrizzava sempre di più, ad ogni morso. Il mio aspetto era tornato completamente umano solo dopo una buona mezz’ora di gozzoviglia.
Ma non seppi dire lo stesso del mio assassino. Non era rimasto niente di umano, o almeno intero, di lui. Sembrava una massa di carne sbrindellata. Solo il viso era rimasto splendido e puro, risparmiato dalla mia furia animale. In compenso era ricoperto da evidenti macchie di sangue. Mi allontanai da quello scempio e ammirai il mio nuovo corpo. I miei vecchi capelli castani se n’erano andati per sempre. Ora i miei capelli rossi come il sangue brillavano come rubini alla luce della luna. Ero in forma. Non respiravo, il mio cuore non batteva, ma il demone della morte dentro di me mi permetteva di vivere, in cambio di carne umana viva.
All’improvviso un altro attacco di fame mi divorò lo stomaco morto.
Ero a terra, avevo un dolore
infernale in tutto il corpo ed ero a un passo dalla strada principale, ma ero
nascosto tra gli alberi. Guardai attorno a me se il ragazzo era nelle
vicinanze, e non c’era. Stavo per alzarmi quando compresi che non avevo alcuna
forza. Mi toccai la pancia, il collo e sentii che tutto ero stato squarciato e
portato via. Volevo vendicarmi del dolore subito. Iniziai a chiedere aiuto al
vento. Ero spaventato.
Dopo non so quanto tempo, udii una
persona camminare insicura verso di me. Vide i miei occhi terrorizzati che
chiedevano aiuto e si tenne la bocca chiusa con forza. Forse per non gettare,
forse per non urlare, forse…
Si accucciò accanto a quello che ne
era rimasto di me. Era una giovane ragazza e bella.
Piano mi posò sulle labbra un
fazzoletto zuppo di acqua.
Mi sentii pesante, non vedevo bene,
sapevo che di li a poco sarebbe successo qualcosa. Spaventato le presi i polsi
e le chiesi di aiutarmi con un fil di voce. Poi persi i sensi.
Sentivo i lamenti acuti della
ragazza e le sue lacrime ancora calde…
Mi svegliai aprendo gli occhi di
colpo, il mio corpo era perfettamente intatto. Guardai il cielo chiaro sopra di
me, l’alba era appena passata. Pensai di aver avuto un terribile incubo. Stavo
per alzarmi in piedi, quando appoggiai la mano su qualcosa di umido morbido e
freddo. Di scatto voltai il viso verso la mia mano e la vidi. La giovane
ragazza brutalmente uccisa e il suo sangue coprivano la mie mani e in bocca
sentii finalmente il gusto dolce e aspro del sangue. Mentre abbandonavo il
cadavere agli insetti e ai batteri, sentii il respiro caldo della morte
sfiorarmi il collo.
Uscii dal bosco dirigendomi sulla
strada principale per farmi una camminata rilassante. Ero nervoso, perennemente
nervoso. Era così che si sentiva il ragazzo che avevo ucciso? Chissà che fine
aveva fatto… chissà se si fosse sentito soddisfatto dopo avermi divorato le
interiora…
Immerso nei miei pensieri, non notai
subito una ragazza sulla ventina che mi fissava meravigliata.
«Ciao, ehm, scusa. Sai dove posso
trovare la tabaccheria qui in piazza?», cinguettò.
Cazzo ci stava provando? Non avevo
un aspetto mutilato? Coperto di sangue? Le chiesi uno specchio e lei frugò
veloce nella sua borsetta laccata di nero e mi passò uno specchietto rosa
shocking. Lo aprii e guardai il mio riflesso.
«Non c’è male», sussurrai,
estasiato. Ero un figo, non c’era dubbio. La mangiata aveva fatto un buon
effetto, risi. Ma il piacere se ne andò quando capii che anche il ragazzo che
avevo ucciso e trasformato sarebbe stato difficile da riconoscere sotto questo
aspetto.
Le posai lo specchietto tra le mani
e me ne andai senza spiegazione alcuna, ma ero felice che ora io e lui fossimo
stati uguali. Volevo rivederlo, volevo sapere se stava bene, volevo chiedergli
scusa per averlo ucciso per un motivo futile come la mafia e per averlo dannato
per l’eternità. Ero ancora nella piazza, ed essa pullulava di gente, profumava
di buono… di cibo invitante. La fame si fece sentire forte e più questa
aumentava più il mio corpo riprendeva la stessa forma prima della
trasformazione. Cominciava già a decomporsi. Dovevo trovare un posto isolato
per cibarmi senza dare nell’occhio. Arrivò la notte e io cercavo un umano da
divorare, con la bocca sporca del sangue scuro che mi usciva dalla gola.
E quando finalmente vidi una
persona, mi ci scaraventai, ma mi bloccai di colpo. Era un ragazzo bellissimo.
I capelli fluidi volavano trasportati dal vento e il colore invitante dei
ciuffi mi ammaliò: rosso sangue. Lentamente i suoi occhi dello stesso colore si
schiusero e mi fissarono a mo’ di venerazione. Era Lui. Era la mia preda, la mia creazione, la mia unica ossessione.
Mi corse incontro grazie ad una protesi che sostituiva la gamba che gli avevo
mozzato. Stavolta non per divorarmi il corpo,
ma il cuore. Con un bacio a fior di labbra, gusto sangue.
- Fine -
Titolo: Bloody Love – L’amore nero
Autrici: Elisa ft. Deysi
Genere: Horror, Romantico, Shonen-ai
Anno: 2010
Copyright: © Elisa Rubin
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