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Autore: Florence    28/04/2010    10 recensioni
"Io, Carlisle Cullen, non avevo mai capito cosa significasse davvero cogliere un frutto proibito. Non fino a quando l'avevo incontrata di nuovo, dieci anni dopo e la dolcezza di quella mela mi aveva rapito. Quello che mi accadrà, sarà solo colpa mia, colpa dell'uomo che è sopravvissuto dentro al vampiro e di lei che, inaspettatamente, ha scaldato il mio cuore spezzato. Edward... perdonami..." E se a Volterra i Volturi si fossero comportati diversamente? Cosa è accaduto in dieci anni a Isabella Swan? E quale ruolo ha Carlisle in tutto questo? (What if... che prende l'avvio dalla fine di "New Moon" di S. Meyer)
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Proibito' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Eccomi tornata: pensavate che non avrei più pubblicato, eh? Confessate!
E invece sono qua!

Bando alle ciance e arriviamo dritti alla cosa più importante: voglio dedicare un enorme
GRAZIE
a queste tre persone:

 Angie Cow
 KatyCullen
bells84

che, nonostante fosse una vita che non aggiornavo, si sono ricordate che nella mia ff ci sono tanti personaggi originali inventati da me che interagiscono con i protagonisti della storia e
 hanno votato Proibito al contest di EFP.


Grazie  da Bernard, da Marie, da Helejina, da Rufus e Layli, grazie da Oksana e da Erica e Silvia
e soprattutto,

grazie da me!



E quindi, come Cenerentola quasi allo scoccare della mezzanotte di fine mese, ecco finalmente sto nuovo capitolo!

L'ho dovuto riscrivere 4 volte e ho lavorato per 4 nell'ultimo mese. Non aggiungo altro e... beh, mi aspetto i vostri anatemi! :-P


Regalino: alla fine lo SPOILER del prossimo capitoloo!!!



PROIBITO


Ed ora... Buona Lettura! ^__^




118 - Bite - Bella & Esme

 

 

 

 

 

-Madame? … Lady? … Senora…?-

-…-

-… Madame…?-

-Parlez-vouz to moi?-

-Aehm… oui,  escuse-moi, Madame… on peut fermer la fenetre, s'il vous plait?-

-… Sorry, I no parle French…-

-Do you speak English?-

-Yes!-

-Oh, God! … Please… It’s possibile to close the window, ‘cause it’s cold…-

-Oh, sweety! Of course!-

 

 

E mentre il treno che mi avrebbe portato dritta tra le mani del mio nemico continuava la sua corsa, quella anziana donna ed io andammo avanti a parlare del più e del meno, del perché fossi in Italia e di cosa ci stessi facendo.

“Stia tranquilla, signora!”, mi disse quando il treno era a metà strada tra Milano e Torino, “Sembra quasi che stia andando al patibolo! Su! Forza, che la vita è bella!”: allora iniziai a parlare e parlare, raccontandole della mia vita, delle speranze e delle sofferenze, perché era vero che la vita era bella, ma era anche così tanto, tanto difficile…

Le dissi che l’uomo che amavo aveva bisogno di me e lei mi ascoltò curiosa, avvicinandosi, di tanto in tanto per prendere la mia mano nelle sue, piccole, ossute e fredde, per la giornata di gelo. Poi, dopo aver osservato a lungo la campagna sfrecciare oltre il vetro spesso della vettura, voltandosi a guardarmi con aria seria, mi domandò se sarei stata disposta a rischiare la mia vita per il mio amato, dal momento che si vedeva che ero davvero innamorata.

Non seppi perché me l’aveva domandato, ma quello che le risposi, senza pensarci neanche un istante, entrò nelle fibre più profonde della mia carne e in ogni alito della mia anima, perché era l’unica cosa di cui fossi davvero certa.

 

Morirei per lui. Morirei per avere una volta ancora i suoi baci, per stargli vicina, anche solo per guardare una sola volta i suoi occhi luminosi sorridere per me.

 

***

 

-La vita di Carlisle Cullen dipende da te: sei ancora pronta a sacrificarti per lui, Isabella?-

 

Sapevo che l’avrei fatto, l’avevo sempre saputo, ma quella domanda mi lasciò senza parole, perché in quel momento, per la prima volta, percepii un formicolio al ventre, come se il mio bambino si stesse facendo sentire per mettermi in guardia dai pericoli in cui avrei potuto trascinarlo, assieme alla follia causata da troppo amore che provavo per suo padre Carlisle Cullen, che per me era diventato Carl Maxwell.

 E quando il mio cuore andò in tilt di emozioni, quando le decisioni da prendere furono troppo più grandi dell’amore che ero disposta a donare incondizionatamente, in quel momento, lo provai sulla mia stessa pelle, fu il mio cervello a sbloccare la situazione.

Ero sempre stata convinta di possedere una furbizia nella media, nonostante la mia propensione ai guai: quella notte di febbraio, invece, dimostrai di essere più sveglia di quanto tutti, vampiri o umani che fossero, potessero mai pensare.

 

-Penso che si possa trovare un’alternativa al mio sacrificio: ho deciso che affronterò Aro e sfrutterò le sue debolezze per ottenere comunque lo scopo che dobbiamo raggiungere. In fondo Aro è un uomo e come tale penso che potrebbe dimenticare di avere un cervello, se lo stimolo che gli fornirò sarà sufficientemente interessante…-

Risposi alla vecchia sforzandomi di sorridere maliziosamente e sentendo la speranza e la forza, per la prima volta dopo giorni di incubo, rifiorire nel mio corpo.

Esme e Bernard si avvicinarono a me, mentre Helejina e i suoi protetti ascoltarono in silenzio il piano che avevo ideato, fino all’ultima parola, annuendo e dandomi consigli e suggerimenti. Non ero affatto certa che la mia idea potesse funzionare, ma dovevo almeno provarci.

 

O la va, o la spacca… pensai e abbracciai Esme per l’ultima volta, prima di dare l’avvio all’operazione ‘Cavallo di Troia…’

 

Una volta stabilito il piano, parlai ancora con voce stentorea alla mia piccola folla: -Qualcuno mi ferisca in modo che io sanguini. E dopo portatemi da Aro-, ordinai, strizzando gli occhi nell’attesa di ricevere il colpo.

Ma nessuno ebbe il coraggio di alzare le mani su di me: una donna incinta disponibile a giocarsi il tutto e per tutto in una folle gara contro la morte.

Come arrivai al punto di chiedere a quella sgangherata compagnia di condurmi tra le braccia del mio incubo più grande, incredibilmente, fu conseguenza della fuga che stavo tentando proprio per sottrarmi alle sue mani: a volte, si sa, la strada più veloce per arrivare al traguardo è quella di tornare sui propri passi e cercare una valida scorciatoia…

Ma la scorciatoia, purtroppo è sempre la via più irta di pericoli ed io non mi sottrassi a nessuno di esso, sbattendoci la testa, rischiando la vita e la mia dignità, pur di mettere in salvo la mia famiglia.

 

 

***

 

Tutto era iniziato solo poche ore prima, o forse erano stati minuti… non avrei saputo dirlo, né avrei mai pensato che in quel lasso di tempo le decisioni che avevo preso mutassero così repentinamente. Fortunatamente Esme non mi aveva abbandonata al mio destino ed era rimasta al mio fianco, nonostante fosse evidente il lei l’urgenza di correre a riabbracciare i suoi figli dispersi nella battaglia, seguendo Marcus.

Ma il Volturo ci aveva obbligate a scappare lontano, correndo via dal pericolo: aveva rivolto ad Esme un ultimo sguardo carico di significati a me oscuri ed era sparito nella direzione opposta alla nostra.

La nostra fuga, però, era durata poco, principalmente a causa della mia totale inettitudine alla corsa, ai movimenti affrettati, al gestire situazioni di pericolo come quella che stavamo vivendo. Esme aveva insistito per portarmi sulle sue spalle a corsa verso est, come le aveva detto Marcus, ma, dopo soli pochi minuti, avevo stretto la mano arpionata al suo petto, tirando convulsamente tra le dita la sua maglia di lana e l’avevo fatta fermare. Mi aveva fatta scendere dalle sue spalle con gentilezza ed ero schizzata via, sufficientemente lontana da lei, liberandomi ancora una volta del cibo che la piccola vampira isterica mi aveva portato. Avevo barcollato verso di lei e, guardandola mortificata, mi ero lasciata aiutare a sedermi un istante su un masso terroso e umido. Mi girava forte la testa, ero ad un passo dal cadere nell’oblio e abbandonarmi al destino.

Sotto la folta chioma dei pini che ornavano la notte, spettri nel chiarore della neve che cadeva silenziosa, avevo tratto un lungo respiro e, senza che me ne rendessi conto, avevo dato sfogo alle mie lacrime, versandole senza riuscire a trattenerle, mentre la mia schiena aveva sussultato, nonostante dalla mia bocca non uscisse alcun suono. Ero stanca, troppo stanca anche per lamentarmi, terrorizzata dalla situazione in cui ci trovavamo e ancor più preoccupata dal silenzio della vampira. Da quando eravamo uscite dalla cella infatti, dopo che Marcus era andato via, Esme mi era apparsa preoccupata e turbata. Si era presa cura di me in silenzio ed io non avevo osato disturbare i suoi pensieri, già così palesemente agitati.

Ero rosa da un tarlo che grattava senza sosta la mia anima, sfaldando quel poco di coraggio che mi era rimasto: sapevo che poteva esserci solo una cosa che avrebbe potuto turbare Esme a quel modo e temevo di sapere cosa potesse essere. Marcus doveva per forza averla messa a conoscenza di qualche brutta notizia che l’aveva scossa e che io non dovevo sapere… altrimenti perché si erano attardati così tanto, mentre io ero già praticamente fuori dalle segrete? Dentro di me non avevo ormai più dubbi: c’era una sola cosa che avrebbe potuto sconvolgermi se ne fossi venuta a conoscenza, ma avevo troppa paura anche solo per pronunciare la domanda che avrebbe confermato le mie teorie.

Ed ero così stanca…

 

Carl, dove sei?

 

-Bella, bambina… devi farti forza…devi combattere ancora: adesso, insieme a me-, mi aveva detto Esme, porgendomi la sua mano e guardandomi con i suoi occhi color del grano. Avevo ricambiato il suo sguardo, sforzandomi di sorriderle, ma producendo solo una misera smorfia. Se solo avessi parlato, lo sapevo, sarei giunta al punto di non ritorno e sarei crollata del tutto. Volevo solo andare via da lì, il più lontano possibile, tornare alla mia casetta a Parigi, rannicchiarmi sotto al piumone e lasciarmi abbracciare da Carl, mentre il fuoco scoppiettava nel camino e noi…

Avevo scosso la testa per scacciare quell’immagine inarrivabile, avevo tirato su col naso e mi ero convinta che ‘peggio di così non poteva andare’; avevo afferrato la mano che Esme mi porgeva e mi ero fatta aiutare ad tirarmi su. Un semplice sguardo aveva pattuito che non avremmo riprovato con la corsa forsennata dei vampiri: in piedi davanti a lei, avevo puntato nella direzione indicataci e mi ero messa in marcia, scivolando nel fango e nella neve, ferendomi i palmi e rialzandomi dopo le cadute, tutto per portare in salvo il mio miracolo.

Della mia vita, se davvero le brutte notizie avessero riguardato il mio Carl, non avrei più saputo che farmene.

Avevamo camminato a lungo, fino allo stremo delle mie forze: Esme mi aveva stretta a sé, sostenendo quasi interamente il mio peso, conducendomi nel buio, mentre i miei piedi rispondevano a malapena ai comandi del mio cervello annebbiato.

C’era solo una cosa che riuscivo a pensare e che riempiva totalmente la mia mente: restare in vita per rivedere almeno un’ultima volta l’uomo che amavamo entrambe e dirgli addio.

 

Carl, dove sei?

 

Era stato al bordo di una radura che la nostra fuga si era conclusa, laddove gli alberi si diradavano e la neve aveva imbiancato il suolo duro.

Un’altra caduta, ancora quella maledettissima caviglia che aveva ceduto, di nuovo un tonfo nella fanghiglia, battendo la spalla e la testa, senza che Esme potesse avere il tempo di aiutarmi: era stato allora che dalle mie labbra secche era uscito per la prima volta un lamento, lungo e straziante, simile al grido di un animale morente. Non era stato il dolore alla gamba, né alla spalla o alla testa, non era stato a causa della disperazione che mi accompagnava, né della paura che mi stava tagliando il respiro, ma perché ancora, come le altre volte, era giunta atroce e pungente la necessità fisica che avevo di lui. Lo volevo da impazzire, volevo sentire il contatto con la sua pelle fredda e dura, ma che tornava calda e liscia quando stavamo vicini; volevo affondare le mani nei suoi capelli biondi e lasciarmi stringere, cullandomi dolcemente, fino a non aver più bisogno di niente che non fosse riempito dalla sua vicinanza.

E mentre Esme, accorsa subitaneamente per sollevarmi dal mio letto di lacrime, mi aveva implorava di star zitta, di non urlare, di fare piano, ché avrebbero potuto sentirci e ghermirci, io non potevo che pensare a lui,  a quanto avevo bisogno delle sue mani grandi e del suo sorriso solare.

 

Carl, dove sei?

-Bella, ti prego… shhh…-, le mani fredde e gentili di Esme nulla avevano potuto contro il dolore, il suo petto dolce e accogliente non mi aveva confortata, l’abbraccio materno di chi aveva perso tutto a causa mia non era riuscito a calmarmi ed io non mi ero resa conto che stavo urlando a tutti la nostra posizione, in quel fazzoletto di notte silenziosa non ancora infranta dal clangore della battaglia.

Era stato a causa mia, dei miei lamenti inconsolabili e della mia stupidità disperata, che ci avevano trovate.

Esme mi aveva tappato la bocca, bloccandomi il respiro, e mi aveva trascinata insieme a lei in una cavità nel tronco di un grosso albero morto, ma l’odore del sangue che grondava dai miei palmi e il battito forsennato del mio cuore avevano tradito il nostro nascondiglio in pochi attimi.

Era stato un incubo: essere consapevole che i predatori sapevano esattamente dove eravamo nascoste, mentre non potevo impedire al cuore di battere impazzito, né al panico di avviluppare ogni mia fibra; sapere che non era solo la mia vita in pericolo, perché c’è qualcuno che contava su di me, mentre io lo stavo tradendo, vittima del terrore più puro, mentre attendevo pietrificata che la mannaia scendesse sul mio collo e tutto finisse.

Erano passati solo pochi attimi prima che loro si manifestassero, ma si erano dilatati in un tempo infinito. I battiti del mio cuore affannato mi erano apparsi distanziati tra loro di ore e i particolari più rapidi  erano giunti amplificati, come i piccoli gesti di Esme, che aveva stretto appena l’abbraccio nel quale mi teneva immobile, mormorando brevi e incomprensibili preghiere, finché non erano arrivati alle mie orecchie i rumori dall’esterno del buco: un ramo spezzato dai carnefici in avvicinamento, un’esplosione, molto lontana e le loro voci, che mi avevano scosso fino all’anima. Voci ringhiate, voci arrabbiate e minacciose, in una lingua sconosciuta e poi ancora il clangore di catene e passi pesanti, come se stessero trasportando un prigioniero.

E infine, raggelante, avevo chiaramente percepito l’attimo in cui avevano capito che c’era carne fresca nelle vicinanze e avevano taciuto, restando immobili come solo i vampiri sanno fare, come leoni che annusino l’aria in cerca dell’esatta posizione della preda. In quell’istante avrei voluto morire, pur di non dover assistere a quello che sarebbe venuto dopo, pur di non doverlo vivere sulla mia pelle.

E’ la fine… mi divoreranno come un pezzo di carne e mi lasceranno nel fango… Non rivedrò mai più il tuo sorriso, il tuo sguardo attento, le tue mani che scivolano tra i capelli, quando sei assorto nei tuoi pensieri. E tu non vedrai mai il nostro bambino, perché io non sono stata in grado di proteggerlo e ho lasciato che te lo portassero via…

 

Carl, dove sei?

 

E poi, mentre l’immagine del mio vampiro che teneva tra le braccia il nostro piccino sbiadiva nella mia mente come cancellata dalla pioggia torrenziale, senza un motivo valido, d’un tratto, erano tornate alla mia mente le parole che l’anziana signora conosciuta sul treno mentre arrivavo in Italia mi aveva detto: “Su! Forza, che la vita è bella!”.

“La vita è bella…”, avevo continuato a ripetere nella mia testa, illudendomi di riuscire in quel modo a fuggire alla realtà che di bello non aveva assolutamente nulla, “La vita è bella…”, mi dicevo, restando aggrappata ai miei sogni, a quanto di meraviglioso mi attendesse, una volta tornata a casa, come se stessi solo facendo un incubo, in attesa di svegliarmi.

“La vita è bella…”

Un rumore più forte aveva fratturato il silenzio di vetro che si era creato ed io avevo immaginato che si trattasse del nostro carnefice, in movimento verso di noi. La mia breve bolla di oblio era esplosa, lasciandomi nuda davanti alla cruda realtà e nuovamente suoni e colori erano tornati alla mia attenzione: la voce di quello che avevo intuito fosse il prigioniero, quasi un guaito in confronto alle altre che lo avevano schernito, aveva iniziato a farfugliare qualcosa, ma era subito stato zittito da un ringhio che era entrato nel mio petto e fatto a brandelli del poco coraggio che ormai non possedevo più.

-Chi va là?-, aveva inaspettatamente chiesto, nella mia lingua, una voce femminile, melodiosa come quella di tutti i vampiri, eppure più roca, che mi ricordava qualcosa di antico, che aveva già fatto parte di me. Esme mi aveva stretta a sé ed era rimasta in silenzio, inutilmente, perché dopo pochi istanti una enorme mano si era intrufola nel buco e ci aveva afferrate, trascinandoci fuori a forza.

La fine era giunta, non aveva più senso resisterle.

Tutto quello che era avvenuto dopo mi era apparso come frutto di un incubo ben orchestrato da un regista cinico e amante degli effetti speciali e dei colpi di scena, ma non lo avevo vissuto realmente, perché, nel momento in cui eravamo state stanate come topi, il mio cervello era andato in cortocircuito e mi ero lasciata andare all’unico sogno che avrebbe potuto tenermi ancorata alla vita.

 

Carl, se la vita è davvero bella, perché non sei qui a salvarmi e portarmi lontano, una volta ancora e per sempre?


***

Esme

***

Bella non ce la faceva più. Era inutile che continuasse a sforzarsi per non piangere e apparire forte, perché io lo sapevo benissimo come doveva sentirsi. Ci ero passata sulla mia pelle, quando ancora avevo un cuore e tanti progetti e capivo perfettamente come fosse atroce sapere che il proprio bambino era in grave pericolo. In più eravamo in fuga da due eserciti di vampiri, in una notte troppo gelida perché la sua salute umana non ne risentisse. Non sapevo come fare per alleviare le sue pene, avrei voluto poter prendere tutto il carico di angoscia e dolore che gravava sul suo corpo e sulla sua anima, entrambi fragili ed esposti, entrambi preziosi per me, per tutta la mia famiglia, per lui.

Glielo dovevo e dovevo farlo per me.

Era troppo tardi, ormai, ma avevo perdonato la decisione di Carlisle di assecondare mio figlio per salvare Bella e mi ero convinta di essere stata io l’unica a sbagliare, dieci anni prima… Ormai non potevo più tornare indietro per rimediare al mio immane danno, ma potevo fare tutto quanto in mio possesso per proteggere Bella: lei era l’alfa di tutto quello che era capitato e sarebbe stata l’omega che avrebbe potuto riportare un po’ di felicità, almeno per Carlisle, ma, in fondo, anche per me.

Da quando, solo poche ore prima, avevo capito quello che le era successo e avevo udito quel tremulo battito nel suo ventre, avevo saputo cosa avrei fatto, a costo della mia vita: il suo bambino sarebbe stato come il mio e non avrei lasciato che il fato si portasse via anche lui. Non una volta ancora… In fondo, anche se Bella appariva ormai più grande di me, nel mio cuore rimaneva la figlia su cui, intimamente, avevo investito fin da subito le mie speranze e i miei sogni. Un figlio suo… vedere che, in qualche modo, era stata capace di affrontare la sua vita e tutto il dolore che l’aveva segnata era motivo d’orgoglio: in fondo per lei mi sentivo come una madre che vede la propria bambina crescere, diventare una donna e realizzare i sogni che lei –che io-, invece, avevo ormai seppellito insieme alla mia vita umana.

Non potevo lasciare che le venisse fatto altro male, avrei lottato fino in fondo per proteggerla e non avrei permesso alle persone che ci avevano stanate di torcerle un solo capello. Avevo sperato fino all’ultimo di poterla aiutare e portarla in salvo, escogitando un qualsiasi piano per fuggire da loro e avevo confidato che quella lucidità nervosa in cui ancora Bella riusciva a galleggiare non la tradisse proprio allora, rendendola inerme di fronte ad un potenziale pericolo. Ma quando era stato evidente che eravamo cadute nella trappola di qualche spietato mio simile, quando ci avevano estratto dal nostro ridicolo nascondiglio ed il pericolo si era manifestato in tutta la sua cruenta realtà, Bella aveva ceduto e si era lasciata andare, perdendo il contatto con la realtà e restando del tutto affidata alle mie cure.

Ma io avrei davvero avuto la forza di trarla in salvo? Ero solo una ridicola, elegante vampira incapace di resistere agli attacchi fisici e di combattere. Una vampira inutile, buona solo per soffrire e disperdere i propri affetti. Per una frazione di secondo avevo invidiato le calde lacrime che scendevano senza sosta sul volto di Bella e avrei tanto voluto potermi permettere di lasciarmi andare e sfogare finalmente anche la mia angoscia, ma non avrei potuto tradirla proprio allora. Per una volta avrei combattuto con i denti e con le unghie. Per una volta sarei stata utile a qualcosa…

Tenendo Bella stretta a me, mi ero decisa ad affrontare il nostro nemico, ignara di come si sarebbero sviluppati gli eventi.

 

-Sign… signora Esme?-, il vampiro che ci aveva stanate mi aveva guardava incredulo almeno quanto lo ero stata io:  davanti a me, silenziosi nella notte, stavano immobili cinque persone, alcune delle quali le conoscevo già…

Helejina, la vecchia vampira romena e suo nipote Carlisle ci avevano guardate esterrefatti e altrettanto stupiti per il fortuito incontro; il gigante aveva strattonato la catena con cui teneva al guinzaglio un vampiro che ringhiava e sbavava, lanciando anatemi nella sua lingua ignota.

Avevo indietreggiato di un passo e solo allora avevo messo a fuoco un altro componente del gruppo: era un maschio più basso degli altri, dal cuore pulsante e canini affilati proprio come me.

Un mezzo vampiro…

Ci avevo messo poco a capire che fosse il figlio della donna e di Aro: il doppiogiochista, quello che aveva tenuto d’occhio Carlisle e Bella e aveva informato la madre della nuova situazione sentimentale del mio amato ex compagno.

Ero assolutamente certa, infatti, che Helejina conoscesse l’identità della donna per la quale Carlisle non sarebbe tornato a far parte della famiglia Cullen, come mi era stato vaticinato alla stazione di Milano, in un momento che ormai si era perso nel tempo e nella mia mente ampia al punto da poter accantonare i brutti ricordi e le sofferenze, per non ritrovarle più. Anche lui teneva legato per una robusta corda un prigioniero che aveva il volto coperto con un cappuccio e le mani costrette dietro alla schiena: il suo cuore pareva voler uscire dal petto e l’odore del suo sudore, misto al terrore che provava, non lasciavano dubbi sulla sua natura. Umano in mezzo ai vampiri, come Bella.

-E’ proprio la signora Esme?-, aveva farfugliato il nipote di Helejina. Cosa ci facevano quei tre, all’apparenza innocui, con due prigionieri, di cui uno umano, dove l’avevano preso e perché si trovavano lì? Sicuramente era il loro pasto e altrettanto sicuramente avrebbero trovato in Bella, la mia umana, un ottimo dessert…  Per questo dovevo portarla via di là al più presto, prima che la riconoscessero o prima che venisse loro in mente qualche strana idea…

L’avevo stretta a me, mentre continuava a mormorare il nome di Carlisle sottovoce, tra un lamento e un altro, con il viso premuto sul mio petto inospitale, per nasconderla. Sembrava un piccolo animale caduto nella trappola dei suoi carnefici e quello che era peggio era che non potevo fare niente per lei, se non continuare a pregare che il destino risparmiasse la sua vita e quella del bambino.

-Cosa ci fa lei qua?-, aveva chiesto Helejina, quasi irritata dal mio silenzio e le avevo spiegato a malincuore che stavo scappando dalla battaglia; -E lei chi è?-, aveva insistito, avvicinandosi a Bella e subodorando che ci fosse qualcosa di strano nel nostro rapporto. Avevo protetto la mia bambina, celando il suo volto alla vampira, che continuava a guardarci e ghignare, ma non avevo risposto, perché non sapevo come risponderle.

‘E’ una mia amica’… oppure… ‘è mia figlia’… O ‘è la donna del mio ex marito’…

-E’ il suo spuntino di mezzanotte?-, di nuovo il nipote aveva parlato, facendo arricciare il volto della vecchia, che aveva risposto di no, ‘Decisamente no…’, con tono minaccioso. Senza accorgermene avevo stretto di più Bella a me, facendole sfuggire un lamento: dovevo stare attenta, dosare le forze, proteggerla come se fosse stato un fiore di cristallo, condurla sana e salva verso il suo futuro.

-Allora? Cosa ci fa con un’umana, lei che è vegetariana, signora Esme?-, per un attimo avevo temuto il peggio. Ma al peggio non c’è mai limite e Bella non era stata d’aiuto nel liberarci da quella situazione incresciosa…

 

-Carlisle…-, quando la mia piccola umana, nel suo oblio, aveva chiamato a voce più alta l’uomo che amava, movendosi tra le mie braccia, l’attenzione della romena si era definitivamente accesa e non c’era stato più modo di evitarle di interessarsi a Bella.

Come se avessi mai potuto realmente farla franca in quella situazione disperata…

-Cos’ha detto?-, aveva chiesto, mentre uno sguardo minaccioso era andato dipingendosi sul volto rugoso.

Ti prego, sta zitta…! Zitta, Isabella, o ci scopriranno…

-Ti ho domandato cosa ha detto-, aveva insistito Helejina, avvicinandosi ancora, mentre io avevo indietreggiato. Eravamo in trappola, non c’era niente che potessi fare ed esserne consapevole mi stava dilaniando.

-Ha detto ‘Carlisle’, madre…-, per la prima volta, quello vestito di nero aveva parlato, per poi saettare vicino alla vampira e parlare frettolosamente al suo orecchio. Il loro umano era caduto a terra, nel fango e aveva blaterato qualcosa che pareva un’imprecazione. Avevo atteso la loro prossima mossa, osservando sul volto della vecchia le espressioni mutare: soddisfazione, stupore, cospirazione e speranza, ma sopra a tutti, nonostante i suoi occhi fossero addolciti dalla presenza del figlio e del nipote, era stata la scintilla d’odio che mi aveva pietrificata.

-Bingo!-, aveva sussurrato, lentamente, senza distogliere lo sguardo dal prezioso tesoro che cercavo invano di custodire. Dopo, velocissima, si era mossa e mi era apparsa accanto.

-Voglio vederla-, nella sua voce, tutta la bramosia che non aveva saputo contenere. Avevo allontanato Bella dalle sue grinfie, guardandomi attorno in cerca di una via di fuga, inesistente.

-Allontanati!-, le avevo ringhiato contro, pronta a combattere, se fosse stato necessario, quando le calde lacrime di Bella, rotolando giù dalla sua guancia, lungo il mio braccio nudo, erano gocciolate fino alla mano di Helejina, tesa verso di lei. La vecchia mi aveva fissata, dopo aveva chiuso gli occhi e inspirato il profumo di Bella. Di nuovo il lampo d’odio, di nuovo la fiamma della speranza baluginare nei suoi occhi.

-Mettila giù-, aveva ordinato, dimenticando le buone maniere e tirandomi per la spalla ed io, seppur riluttante, avevo dovuto ubbidirle, perché avevo paura che lo facesse senza chiedermelo una seconda volta, prendendosela con la violenza e facendole male.

Dietro di lei, il prigioniero aveva ringhiato una minaccia, divincolandosi dalla stretta del bestione che, ridacchiando come un bambino che giochi col suo cane, l’aveva sollevato di peso e fatto dondolare in aria.

-Chiudigli la bocca, Layli!-, dietro consiglio della nonna, il ragazzone aveva preso la catena e aveva fatto un doppio giro attorno al volto del malcapitato, usandola come una benda per azzittirlo. Stessa sorte era capitata all’umano, che si divincolava e cercava di scappare dal suo carceriere vestito di nero.

–Taci!-, Helejina si era avvicinata a lui, aveva strappato il cappuccio di tela che lo mascherava e aveva arpionato il suo volto con la mano adunca ferendolo e facendo sì che il suo sangue schizzasse via, diffondendosi appetitoso e invitante nella notte umida.

Così lo ucciderà…

-Torniamo a noi…-, aveva poi detto la donna, dimenticando l’umano e si era chinata su Bella, per osservarla. L’avevo vista alzare le sopracciglia e dopo sorridere sinistramente, si era avvicinata a lei e l’aveva annusata ancora.

-Lo sapevo che ti avrei rivista…-, aveva sussurrato e poi aveva volto lo sguardo in alto, cogitabonda, rimanendo in silenzio per qualche istante.

-Ca-arl…-, ancora Bella, aveva ingoiato lacrime e dolore cercando Carlisle nel profondo stato di incoscienza in cui era precipitata. Helejina aveva allungato una mano verso il suo volto, sfiorandola con un dito in una specie di carezza, aveva sorriso raggiante, mi aveva guardata e, animata dalla necessità di conoscere ogni dettaglio, mi aveva travolto con le sue domande.

Voleva sapere chi fosse, cosa ci facesse a Volterra, cosa ci facessi io con lei e che legame ci unisse e ad ogni risposta che le avevo dato aveva annuito, intendendo che avevo ‘risposto bene’, oppure si era adombrata, scoprendo il mio bluff.

-Bene, Esme. Ora mi dica la verità…-, aveva concluso, mettendomi alle strette, ma senza attendere la mia risposta, aveva interrogato Rufus, il figlio silenzioso, ordinandogli di dirmi la sua verità.

-La donna si chiama Isabella Marie Swan. Figlia dello sceriffo Swan della polizia locale di Forks, conobbe i Cullen undici anni fa. Si innamorò di Edward Cullen e rimase vittima dell’attacco di un vampiro nomade. Fu salvata dal potere di Carlisle Cullen e visse nell’incoscienza di quanto le fosse accaduto per alcuni mesi, finché non fu coinvolta in un viaggio in questa terra, durante il quale conobbe Aro dei Volturi. In seguito le fu cancellata la memoria, torno a Forks e sposò Jacob Black, licantropo della tribù locale dei Quileutes, dal quale fu messa incinta per due volte. Iniziò a praticare la professione di medico presso Port Angeles ed allora io mi finsi suo paziente e raccolsi tutte le informazioni sul suo passato. Fu Aro a comandarmi di seguirla e tenere d’occhio la sua vita ed io lo feci, perché tutte queste informazioni servivano a mia madre-, Rufus si era interrotto e la madre aveva ripreso al suo posto.

-Sono secoli che aspetto questo momento: secoli che medito la vendetta che porterà alla morte Aro e questa umana è l’arma con cui lo ucciderò. Non ero certa che fosse davvero lei, quando l’ho incontrata, nonostante il suo odore non lasciasse adito a dubbi… ma hai anche tu, Esme, lo stesso profumo di Cullen, così come l’ho io e i suoi figli Rosalie ed Emmett-, aveva sorriso e per la prima volta, dietro la maschera di falsità e odio, avevo potuto scorgere un’espressione diversa, dolce e carica di rimpianto: -Ma in questa umana il profumo è più intenso, è come se facesse parte di lei, se le desse la vita, come una linfa che scorre nelle sue vene più intensamente che nella nostra natura. Lei è uguale a come sono stata io… lei è il veleno, il suo sangue disseterà la brama di potere di Aro. Come il mio amato Principe si è trasmutato in umano, dopo avere morso me, Aro tornerà fragile e mortale, dopo che avrà bevuto fino all’ultima goccia il sangue di Bella-, aveva recitato, quasi in trance.

Era questo, dunque, il suo piano? Dare la mia Bella in pasto a quel mostro?

-Mi rincresce solo di dover causare al caro Carlisle un po’ di dispiacere…-, aveva concluso, alzando le spalle con noncuranza. La mia rabbia, forte come raramente l’avevo sentita sulla mia pelle, aveva oltrepassato il limite ed ero esplosa contro la vampira.

-Mai!-, l’avevo colpita con una spinta e l’avevo allontanata dalla mia protetta. Subito l’enorme nipote aveva lasciato incustodito il loro prigioniero per correre in aiuto della nonna, ma Rufus, che aveva prontamente riacciuffato il fuggitivo, lo aveva fermato con un gesto della mano.

Eravamo solo Helejina ed io, entrambe pronte a combattere, entrambe pronte a morire per avere Bella.

-Non ti avvicinare a lei-, la mia voce era stata simile ad un sibilo sinistro, mentre la risata maligna della vecchia aveva riecheggiato nella notte. Era balzata alle mie spalle, colpendomi alle gambe con un potente calcio e facendomi rotolare nel fango: era inutile, non sarei mai stata una combattente e non avrei mai potuto difendere Bella.

 

Ormai ero schiacciata a terra, sotto al peso della vampira che mi scrutava sorniona: -Oh, sì che mi avvicinerò a lei e farò in modo che non una goccia del suo sangue vada sprecata. Sarà per una giusta causa, stolta vampira!-, mi aveva sbeffeggiata e schiaffeggiata col dorso ossuto della mano, sollevandosi per dirigersi verso Bella.

 

Era la fine. Non ero più in grado di ricordare quante volte, quella notte, avessi pensato a quel concetto, ma mai come in quel momento ero certa che niente avrebbe più potuto arrestare un destino che ci inseguiva da dieci anni.

 

-No, Bella!-, un urlo roco e sgraziato: tutti i nostri occhi si erano rivolti verso il prigioniero umano. Anche Helejina si era fermata per guardare quell’uomo sulla trentina, castano e spaventato che l’aveva disturbata al pari di un moscone.

-Cullen non ti perdonerà mai se la ucciderai, strega!-, aveva continuato lui, con voce forte eppur tremante, richiamando rapidamente a sé la vecchia, che l’aveva sollevato per il bavero della sua giacca a vento, sottraendolo alla custodia del nipote.

-Che ne sai tu di quello che vuole Carlisle?-, aveva sibilato e in quel momento suo figlio Rufus si era avvicinato a lei, posando con delicatezza una mano sul suo braccio sollevato e facendole mollare la presa.

-Te l’ho già detto, madre: quest’uomo conosce bene sia Carlisle Cullen che la Swan... E’ da lui che ho preso le informazioni su quello che lei ha fatto a Carlisle…-

-Ma cos’è, un raduno di tutti quelli che conoscono quello che si chiama come me?-, aveva domandato Layli, grattandosi la testa, confuso.

-Liberami-, aveva ordinato l’umano e Rufus aveva ubbidito, lasciando interdetta sua madre. Una volta sciolte la corda che lo teneva fermo, l’uomo era corso verso di me, che ero tornata al capezzale di Bella e me l’aveva letteralmente strappata dalle braccia. L’aveva osservata con attenzione, scrutando il suo viso, poggiando l’orecchio sul suo petto per ascoltarne il battito e accertandosi della sua forza tenendole il polso. Sembrava davvero preoccupato per lei ed io non ero riuscita a capacitarmi del perché. Chi era e cosa ci faceva a Volterra?

-Bella… Bella, svegliati, ti prego-, aveva detto, rivolgendosi a lei e carezzandole il viso, -Bella… ti prego… ho… ho un messaggio per te da parte di Carl!-, aveva provato ancora e forse il suo ultimo tentativo era stato quello risolutore, perché Bella aveva strizzato gli occhi e aggrottato la fronte, prossima a svegliarsi.

 

-Ca…arl?-, aveva mugolato la povera ragazza, aprendo leggermente gli occhi. Mi ero chinata su di lei, prendendole l’altra mano tra le mie; le avevo parlato piano, sperando che si svegliasse del tutto, mi sentisse, mi facesse capire che stava bene.

-Bella, coraggio! Non puoi fregarmi come hai fatto a Parigi, lasciarmi succube della Poulaine e dopo farti ritrovare così, dai! Lo so che puoi sentirmi, apri quegli occhioni e guardami-, avevo colto il gesto amichevole con cui l’uomo aveva strattonato delicatamente la mano di Bella e il sorriso sincero che si era aperto sul suo volto, ricordando qualcosa di cui non ero stata messa al corrente. Lo stavo fissando, cercando di comprendere chi fosse, quando l’avevo visto abbassarsi su di lei e sorridere: avevo seguito i suoi movimenti e avevo trovato gli occhi aperti e lucidi di Bella, che lo guardavano senza capire.

-Bernard…? Che… che ci fai qui?-, aveva chiesto, confusa e con voce tremante; l’umano aveva colpito piano con le nocche delle dita la sua testa e, rimproverandola, l’aveva abbracciata e fatta sorridere.

-Marie ha avuto una crisi di panico, quando mi ha visto mezzo mortoPensa ha persino provato a farmi la respirazione bocca a bocca…: per cercare di svegliarmi…  Mi sono svegliato e ho trovato la Poulaine avvinghiata a me! Un incubo! Ma quanta roba mi hai fatto bere, zuccona? -, le aveva detto e per un istante, persa nel sorriso di Bella, avevo corso con la fantasia al suo mondo, alla sua vita tranquilla e normale con Carlisle e quest’uomo che non conoscevo e Marie. Poi l’avevo guardata e mi si era stretto il cuore al pensiero di quanto fosse lontana dal suo mondo in quel momento.

-Io… perdonami… Ma cosa ci fai qui, perché mi hai… insomma…-, non aveva finito di parlare, che l’uomo l’aveva interrotta, addolcendosi di colpo.

-E’ stata solo colpa mia se sei partita e poi qui… qui c’è la donna che amo e dovevo assolutamente rivederla. Comunque Bella, l’importante è che tu sia libera, perché Carl ti sta cercando e credeva tu fossi stata imprigionata-, aveva dichiarato, mentre l’attenzione di Bella e di Helejina erano catturate dal suo intervento.

-Cullen è qui?-, aveva domandato la romena, mentre i suoi occhi luccicavano. Ogni azione, ogni parola che lei avesse mai detto e che riguardava colui che era stato il mio compagno mi avevano provocato una fitta al cuore. Ormai l’hai perso, Esme, rassegnati…

-Ti ho chiesto se Cullen è qui, inutile insetto!-, aveva pestato i piedi a terra Helejina. L’uomo chiamato Bernard l’aveva guardata con sfida: -Puoi scommetterci, strega-, le aveva risposto, -e sappi che ha intenzione di riprendersi questa donna e di metterla in salvo, per sempre!-

Bella aveva sussultato a quelle parole che non avrebbero potuto essere meno indicate: Helejina, con un guizzo, l’aveva strappata alle mie mani e, ringhiando contro Bernard, aveva dichiarato che ‘Cullen non l’avrebbe trasformata, perché quella inutile umana serviva a lei, per portare a compimento la sua vendetta’. Il figlio Rufus l’aveva affiancata, cercando ancora di calmarla, guardando Bella con rammarico e vergogna.

-E infatti Cullen non la trasformerà, stupida vecchia! Ma se proverai ancora a romperci le scatole, vedrò di trasformare te!-, aveva tenuto testa l’umano, ergendosi in tutta la sua altezza e soverchiando Helejina.

-Ricorda che posso ucciderti solo muovendo un dito, misero umano! E non preoccuparti di cosa Cullen farà o non farà, perché lui non la dovrà neanche vedere questa misera puttana!-

-Non provarti più a chiamare Bella in quel modo! Apri gli occhi, ottusa vecchiaccia: se pensi che questa donna possegga ancora i suoi poteri, ti sbagli di grosso. Chiedilo a Cullen, se non ho ragione!-

-No, farò di meglio: Layli, porta qua quell’idiota!-, aveva ordinato e allora avevo capito in quale guaio ci eravamo cacciate…

Era stato allora che Bella, voltando il viso verso colei che la stringeva a sé, aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca, incredula.

 

***

Bella

***

 

Dovevo aver dormito o forse ero svenuta per la paura. Sapevo esattamente dove fossi e in che condizione mi trovassi, ma non avevo coscienza di quello che stava avvenendo attorno a me.

Avevo aperto gli occhi e non ero riuscita a vedere nulla.

E’ notte, stupida Isabella… è notte e hai pianto come una fontana, certo che non ci vedi niente!

Avevo ascoltato i rumori attorno a me ed ero certa che qualcosa non andasse: c’era una voce di donna che parlava e pronunciava il mio nome; aveva il tono minaccioso quel tanto che era bastato per farmi tornare il batticuore.

Sei in mezzo ad una battaglia di vampiri ed è notte: certo che hai di che fartela sotto, stupida Bella!

Mi ero sollevata e avevo lasciato che i miei occhi si abituassero alla debole luminescenza che offriva la luna offuscata dalle nubi dense e bianche.

Non nevica più: allora non sei così fuori dal mondo, Isabella!

Avevo la gola in fiamme e la testa che pulsava come se fosse stata sul punto di esplodere e quella voce femminile batteva come un martelletto di acciaio sulla mia mente stanca.

Vorresti dormire, povera, piccola illusa Isabella? Vorresti essere nella tua mansardina calda, a Parigi, coccolata dal tuo vampiro freddo, ma tanto caldo, all’occorrenza?

Poi, inattesa, avevo udito una voce amica, che mai avrei pensato di poter ascoltare in quel luogo di morte. Sembrava… era Bernard e mi stava parlando, toccandomi con le sue mani grandi e spronandomi perché mi svegliassi.

Aveva detto qualcosa che non avevo capito, poi aveva pronunciato il suo nome.

Carl? Carl aveva parlato con Bernard? Carl era dunque lì, a Volterra?

Avevo scosso la testa, certa di essere sufficientemente sveglia da capire cosa mi stesse per accadere, mentre, di nuovo, la sottile e strisciante angoscia si stava avviluppando alle mie viscere e alla gola, mozzandomi il fiato e facendo battere all’impazzata il mio cuore.

Carl era così vicino a me? Era davvero nell’occhio del ciclone, anche lui incauto viaggiatore diretto alla meta fatale?

Istintivamente avevo portato la mano destra alla pancia, perché là dentro c’era il mio piccolo e dovevo proteggerlo per lui, per suo padre.

Avevo aperto gli occhi e cercato ancora Bernard, che mi guardava felice di avermi rapita al sonno.

Cosa stava accadendo, perché lui era al mio fianco? Gli avevo domandato spiegazioni, udendo la mia voce roca e impastata e poi la sua: parlava di Marie, cercava di essere allegro, ma la situazione era troppo tragica perché potesse realmente esserlo. Gli avevo chiesto scusa, per averlo ingannato e drogato e allora lui mi aveva confidato che realmente Carl era lì, a Volterra, così vicino a noi e che mi cercava nella battaglia.

Ci avevo messo poco a capire che non ero stata la sola a reagire con trasporto alla notizia: mi ero voltata e avevo rivisto una donna che non avrei mai immaginato di poter incontrare ancora nella mia vita. Una donna che, rapidamente, si era manifestata nella sua natura, lasciandomi a bocca aperta per il modo in cui mi aveva ingannata.

-Cullen è qui?-, aveva chiesto a Bernard, che l’aveva sfidata, rispondendole a tono.

La vecchia del treno: quella che mi aveva rincuorata ricordandomi quanto la vita fosse bella.

Bella… parola dimenticata in quella notte senza stelle, nel mio incubo senza l’uomo che amavo.

Lei? E’ davvero quella donna?

Avevo ringhiato trasmutando in un soffio la paura e l’angoscia in profondo rancore: per essere stata tenuta sotto controllo, per essermi fatta raggirare, per essermi fidata di lei.

Lei era…Mi ha seguita… Sapevano che sarei arrivata a Volterra… lo sapevano da prima… mi spiavano? Conoscevano tutta la mia vita? Cosa… cosa stava succedendo?

Se non fossi stata incinta, ne ero certa, avrei reagito diversamente, forse mostrando un atteggiamento più sprezzante nei confronti del pericolo, ma dovevo pensare al bimbo che cresceva dentro di me e che avrebbe rappresentato il futuro della mia vita e della mia relazione con l’uomo che amavo. Avevo fatto appena in tempo a trasalire tra le braccia di Esme, che immediatamente quella viscida spia si era scagliata su di me, urlando che io ero lo strumento per la sua vendetta.

Ma chi era e cosa voleva da me?

Un istante dopo eravamo state raggiunte da un altro essere della loro specie: quando l’avevo guardato in faccia e avevo riconosciuto nel tizio vestito di nero e dall’aria macilenta il signor Rufus Swloty, mio vecchio paziente a Port Angeles, allora, finalmente, avevo capito che era sempre stato tutto un inganno.

Avevo davanti a me la vecchina che mi aveva tenuto compagnia sul treno che mi aveva portata a Volterra e al suo fianco una persona dalla natura incerta, che mi aveva ingannata per anni con i suoi finti acciacchi e le diagnosi impossibili.

Faceva tutto parte di un enorme inganno… la mia vita, il mio lavoro, la mia famiglia, Jacob, il divorzio, Parigi… Carlisle… era stato dunque tutto tenuto sotto controllo… da sempre… da…

-Cullen non la trasformerà, stupida vecchia, dimenticalo!-, aveva urlato Bernard, cercando di proteggermi, facendo scudo con il suo corpo. Cosa stava facendo…? Era in pericolo, perché non lo capiva? Esme da sola non avrebbe potuto difendere entrambi contro quattro vampiri pronti solo a ucciderci.

La vecchia aveva minacciato il mio amico, mentre il mio cuore galoppava furioso, pronto a schizzare via dal mio petto, poi mi aveva insultata, dichiarando che non avrebbe permesso che io rivedessi il mio Carl.

E mentre Bernard prendeva le mie difese e rivelava che non avevo più ‘i imiei poteri’, la mia mente era corsa al mio biondo amore, solo da qualche parte nella battaglia, esposto ai colpi di quei mostri, martire per difendere la mia vita.

Mi ero distratta pensando a lui per pochi istanti e quando mi ero voltata verso colei che mi aveva tradita e avevo visto nei suoi occhi brillare minacciosa una luce perversa e cattiva, non avevo voluto credere a quello che stava per accadermi.

-E’ tutta tua-, aveva esclamato la vecchia, liberando dalla sua catena il prigioniero che si era subito avventato contro di me, spintonando a terra Bernard ed Esme con la forza di un bulldozer.

-Lasciami!-, avevo urlato istintivamente, iniziando a dimenarmi, inutilmente e cedendo all’angoscia, avevo chiuso gli occhi, abbandonandomi alla consapevolezza della mia idiozia nell’essermi fidata di quei vampiri.

-Moridila!-, avevo udito la vecchina ringhiare e subito dopo un profondo dolore, ovattato dal freddo e dalla disperazione, si era impossessato del mio braccio destro. Era durato un istante solo, giusto il tempo di riaprire gli occhi e osservare il volto sfigurato del vampiro piegarsi in preda ad atroci spasmi, prima che cadesse a terra di schiena, con un tonfo sordo. Il mio sangue macchiava la sua pelle ed era simile ad una maschera di orrore, mentre lamenti e urla strozzate avevano accompagnato la sua rapida agonia: pochi istanti di terrore in cui era stato il protagonista della scena e poi, di colpo, aveva smesso di muoversi, rimanendo come morto al suolo.

Helejina lo aveva colpito con un calcio nel costato facendolo piegare per il dolore. Avevo chiaramente udito qualcosa spezzarsi dentro di lui e dalla sua bocca era uscito un debole gemito sottile, accompagnato dal respiro che si era fatto sempre più affannato.

Avevo cercato Esme, che, pietrificata, aveva ancora gli occhi puntati sul malcapitato rantolante per terra e mi ero aggrappata ai suoi vestiti per rialzarmi.

Ero stata morsa una volta ancora. Ora sarebbe arrivato il dolore atroce, il fuoco che entrava a forza nelle vene e le dilaniava, proseguendo la sua strada verso il mio cuore.

Ora sarebbe arrivata la fine, era solo questione di attimi.

Avevo abbassato lo sguardo e solo allora l’avevo vista: una ferita sanguinante e pulsante sfregiava il mio polso destro, mentre rivoli scarlatti grondavano laddove c’era stata la mia cicatrice tanto odiata e tanto preziosa. Quella fredda mezzaluna che era sempre stata sul mio polso era stata tagliata da denti affilati come bisturi ed era ormai irriconoscibile, cancellata da quel nuovo morso.

Il dolore che avevo aspettato… quel dolore lancinante non era arrivato… non era stato come con James, non c’era il veleno a fare terra bruciata della mia carne non…

C’era soltanto la mia cicatrice, distrutta, eliminata, cancellata. Persa.

 

“Si può cancellare?”

“Sei proprio sicura di volerla cancellare?”

 

Un ricordo potente si era infiltrato tra gli strati melmosi della mia memoria appannata, risalendo lento e pungente, riportando alla mia mente gli occhi di un dottore biondo che mi aveva aiutato in un ospedale italiano, prendendosi cura di una povera ragazza senza passato.

Un dottore che mi era rimasto accanto nell’ombra, l’unico che non mi avesse mai abbandonato, come quella cicatrice, marchiata sulla pelle e penetrata fin nella mia anima.

 

La mia cicatrice…

Il morso di James e la disperazione di Edward…

Il bacio che mi aveva legata per sempre a Carlisle… il segno marchiato sulla mia pelle, a ricordo di quell’attimo epocale.

 

La mia cicatrice…

 

Non c’era più, cancellata da una nuova ferita, da un nuovo dolore, da una nuova disperazione perché quello che sarebbe seguito, era ancor più spaventoso di quanto avrei potuto immaginare.

E quella volta non ci sarebbe stato un dottore biondo e dal cuore grande a curarmi…

 

Carl, dove sei?

Sei stato cancellato anche tu dalla mia pelle, dalla mia anima, dal mio cuore?

Sei caduto come un martire, nel fango di Volterra?

Sei stato strappato anche tu via dalla mia vita?

 

Dove sei?

 

Era stato come un’esplosione nella mia testa: avevo sgranato gli occhi e, colta da un furore non compatibile con la mia precaria condizione fisica, avevo iniziato a urlare e mi ero scagliata sulla vecchia che aveva ordinato quello scempio. Non stavo pronunciando vere parole, non concepivo veri pensieri: era come se si fosse rotta la crosta che trattiene il pus di una ferita non ben disinfettata. Tutto il marcio che aveva ristagnato nel mio cuore, vecchie paure, nuove speranze soffocate, l’odio, la dimenticanza, l’abbandono e ancora la speranza troncata, il rimpianto e la perdita, tutto quello aveva sempre ruotato, che ne fossi consapevole o meno, attorno a quella cicatrice e al modo in cui ero stata salvata da morte certa.

Tutto quanto aveva sempre ruotato attorno a quello che Carlisle mi aveva fatto; pur senza saperlo, pur non avendolo chiesto, pur non immaginandolo, tutte le mie azioni, le scelte della mia vita avevano seguito la strada che lui aveva segnato per me quella notte a Phoenix e sul cui selciato mi aveva lasciata libera di rifarmi una vita nella bugia, dopo avermi chiesto: sei sicura di volerla cancellare?

Erano state quella ferita ad unirci, perché a causa sua io ero quasi morta, e quella cicatrice a ricordarmi che avevo ancora un passato a cui ero rimasta aggrappata per anni. Perché non avevo voluto cancellare il segno che quella notte aveva impresso nella mia vita e così io non avevo cancellato neanche lui dal profondo della mia coscienza addormentata.

 

E adesso non c’era più.

 

L’ultimo colpo sul corpo duro della vecchia, l’ultimo lamento, l’ultima lacrima disperata: dopo tutto era accaduto troppo rapidamente. Il suolo era mancato sotto ai miei piedi, sollevata da braccia forti che mi strizzavano e mi facevano male, mentre le urla di Esme e di Bernard si sommavano ai guaiti di dolore del prigioniero ferito e al sibilo del vento, che aveva preso a soffiare maligno. Avevo percepito mani che mi strattonavano, mi tiravano, mi pretendevano, mentre qualcosa premeva e strizzava il mio polso, affondando dentro la carne viva, allargando la ferita.

-Presto, Rufus, raccoglilo!-, un ordine esploso senza che capissi davvero il suo significato, perché ero stordita, stanca e confusa. Mi girava forte la testa, non stavo capendo più nulla, sentivo solo dolore al braccio e dentro al cuore, come se mi stessero rubando l’anima. E sopra a tutto galleggiava l’odore del sangue, del mio sangue, forte, intenso, pungente, che fluiva via da me, impotente nell’ora della fine.

Era stato allora che avevo perso i sensi e mi ero affidata al destino insensibile e crudele, pregando perché qualcuno, un angelo biondo, forse, potesse almeno salvare il mio bambino.

Ma l’angelo biondo non sarebbe venuto, perché con le mie decisioni, con la mia storia assurda, con la mia morte inutile, avevo strappato le sue ali e lo avevo fatto precipitare nel centro esatto dell’inferno in terra.

 

Carl, dove sei?



 


 

 

***

 ... to be continued...

 

***

Disclaimer: i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S. Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.

***

Twilight, New Moon, Bella Swan, i Cullen, i Volturi, Stefan e Vlad, il Clan di Denali, il Wolf Pack dei Quileute sono copyright di Stephenie Meyer© Tutti i diritti riservati.

La storia narrata di 'Proibito', le circostanze e quanto non appartiene a Stephenie Meyer è di invenzione dell'autrice della storia che è consapevole e concorde a che la fanfic venga pubblicata su questo sito. Prima di scaricare i files che la compongono, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli altrove, né la modifica integrale o di parti di essi, specialmente senza permesso! Ogni violazione sarà segnalata al sito che ospita il plagio e verrà fatta rimuovere.
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Commentate, commentate, commentate... conta davvero molto per me e mi dà lo stimolo per impiegare ogni secondo libero a questa storia che è quasi al capolinea!
***
Ovviamente, grazie a chi, nel lontano 1823, ha commentato lo scorso capitolo...

***

SPOILER CAPITOLO 119 - TRADIMENTO

***
Bernard
***


Un calcio particolarmente forte assestato dalla vampira rabbiosa ai paesi bassi del rallentato che ci tratteneva lo aveva fatto sussultare e piegarsi in due dal dolore.


A me, in tutta la mia fottutissima non vita da vampiro,non era mai successo di essere colpito nelle palle… dovevo stare attenta a quella donna dal volto angelico e il calcio da Holly e Benji…


Il suo affondo era stato provvidenziale, facendo voltare il troll nella direzione di Bella: anche se stritolato dalla sua mano gigante, avevo una buona visuale di quel che le stavano facendo. La zoccola zingara la teneva ferma e affondava nel suo braccio le unghie della sua mano, il becchino accanto a lei raccoglieva il sangue rosso e pastoso che colava dalla mia amica in un recipiente dalla forma di oliera medievale. Bella era svenuta, perché non si lamentava e stava ferma immobile. E io ero nella merda più totale.


...


   
 
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