E invece sono qua!
GRAZIE
a queste tre persone:
Angie Cow
KatyCullen
bells84
hanno votato Proibito al contest di EFP.
e soprattutto,
grazie da me!
E quindi, come Cenerentola quasi allo scoccare della mezzanotte di fine mese, ecco finalmente sto nuovo capitolo!
L'ho dovuto riscrivere 4 volte e ho lavorato per 4 nell'ultimo mese. Non aggiungo altro e... beh, mi aspetto i vostri anatemi! :-P
PROIBITO
Ed ora... Buona
Lettura! ^__^
118 - Bite - Bella & Esme
-Madame?
… Lady? … Senora…?-
-…-
-…
Madame…?-
-Parlez-vouz
to moi?-
-Aehm…
oui, escuse-moi, Madame… on peut fermer la
fenetre, s'il vous plait?-
-…
Sorry, I no parle French…-
-Do
you speak English?-
-Yes!-
-Oh,
God! … Please… It’s possibile to close the window, ‘cause it’s cold…-
-Oh,
sweety! Of course!-
E
mentre il treno che mi avrebbe portato dritta tra le mani del mio
nemico
continuava la sua corsa, quella anziana donna ed io andammo avanti a
parlare
del più e del meno, del perché fossi in Italia e di cosa ci stessi
facendo.
“Stia
tranquilla, signora!”, mi disse quando il treno era a metà strada tra
Milano e
Torino, “Sembra quasi che stia andando al patibolo! Su! Forza, che la
vita è
bella!”: allora iniziai a parlare e parlare, raccontandole della mia
vita,
delle speranze e delle sofferenze, perché era vero che la vita era
bella, ma
era anche così tanto, tanto difficile…
Le
dissi che l’uomo che amavo aveva bisogno di me e lei mi ascoltò
curiosa,
avvicinandosi, di tanto in tanto per prendere la mia mano nelle sue,
piccole,
ossute e fredde, per la giornata di gelo. Poi, dopo aver osservato a
lungo la
campagna sfrecciare oltre il vetro spesso della vettura, voltandosi a
guardarmi
con aria seria, mi domandò se sarei stata disposta a rischiare la mia
vita per
il mio amato, dal momento che si vedeva che ero davvero innamorata.
Non
seppi perché me l’aveva domandato, ma quello che le risposi, senza
pensarci
neanche un istante, entrò nelle fibre più profonde della mia carne e in
ogni
alito della mia anima, perché era l’unica cosa di cui fossi davvero
certa.
Morirei
per lui. Morirei per avere una
volta ancora i suoi baci, per stargli vicina, anche solo per guardare
una sola
volta i suoi occhi luminosi sorridere per me.
***
-La
vita di Carlisle Cullen dipende da te: sei ancora pronta a sacrificarti
per
lui, Isabella?-
Sapevo
che l’avrei fatto, l’avevo sempre saputo, ma quella domanda mi lasciò
senza
parole, perché in quel momento, per la prima volta, percepii un
formicolio al
ventre, come se il mio bambino si stesse facendo sentire per mettermi
in
guardia dai pericoli in cui avrei potuto trascinarlo, assieme alla
follia
causata da troppo amore che provavo per suo padre Carlisle Cullen, che
per me
era diventato Carl Maxwell.
E quando il mio cuore andò in tilt di emozioni,
quando le decisioni da prendere furono troppo più grandi dell’amore che
ero
disposta a donare incondizionatamente, in quel momento, lo provai sulla
mia
stessa pelle, fu il mio cervello a sbloccare la situazione.
Ero
sempre stata convinta di possedere una furbizia nella media, nonostante
la mia
propensione ai guai: quella notte di febbraio, invece, dimostrai di
essere più
sveglia di quanto tutti, vampiri o umani che fossero, potessero mai
pensare.
-Penso
che si possa trovare un’alternativa al mio sacrificio: ho deciso che
affronterò
Aro e sfrutterò le sue debolezze per ottenere comunque lo scopo che
dobbiamo
raggiungere. In fondo Aro è un uomo e
come tale penso che potrebbe dimenticare di avere un cervello, se lo
stimolo
che gli fornirò sarà sufficientemente interessante…-
Risposi
alla vecchia sforzandomi di sorridere maliziosamente e sentendo la
speranza e
la forza, per la prima volta dopo giorni di incubo, rifiorire nel mio
corpo.
Esme
e Bernard si avvicinarono a me, mentre Helejina e i suoi protetti
ascoltarono
in silenzio il piano che avevo ideato, fino all’ultima parola, annuendo
e
dandomi consigli e suggerimenti. Non ero affatto certa che la mia idea
potesse
funzionare, ma dovevo almeno provarci.
O
la va, o la spacca…
pensai e abbracciai Esme per l’ultima volta, prima di dare l’avvio
all’operazione ‘Cavallo di Troia…’
Una
volta stabilito il piano, parlai ancora con voce stentorea alla mia
piccola
folla: -Qualcuno mi ferisca in modo che io sanguini. E dopo portatemi
da Aro-, ordinai,
strizzando gli occhi nell’attesa di ricevere il colpo.
Ma
nessuno ebbe il coraggio di alzare le mani su di me: una donna incinta
disponibile a giocarsi il tutto e per tutto in una folle gara contro la
morte.
Come
arrivai al punto di chiedere a quella sgangherata compagnia di condurmi
tra le
braccia del mio incubo più grande, incredibilmente, fu conseguenza
della fuga
che stavo tentando proprio per sottrarmi alle sue mani: a volte, si sa,
la
strada più veloce per arrivare al traguardo è quella di tornare sui
propri passi
e cercare una valida scorciatoia…
Ma
la scorciatoia, purtroppo è sempre la
via più irta di pericoli ed io non mi sottrassi a nessuno di esso,
sbattendoci
la testa, rischiando la vita e la mia dignità, pur di mettere in salvo
la mia
famiglia.
***
Tutto
era iniziato solo poche ore prima, o forse erano stati minuti… non
avrei saputo
dirlo, né avrei mai pensato che in quel lasso di tempo le decisioni che
avevo
preso mutassero così repentinamente. Fortunatamente Esme non mi aveva
abbandonata al mio destino ed era rimasta al mio fianco, nonostante
fosse
evidente il lei l’urgenza di correre a riabbracciare i suoi figli
dispersi
nella battaglia, seguendo Marcus.
Ma
il Volturo ci aveva obbligate a scappare lontano, correndo via dal
pericolo:
aveva rivolto ad Esme un ultimo sguardo carico di significati a me
oscuri ed
era sparito nella direzione opposta alla nostra.
La
nostra fuga, però, era durata poco, principalmente a causa della mia
totale
inettitudine alla corsa, ai movimenti affrettati, al gestire situazioni
di
pericolo come quella che stavamo vivendo. Esme aveva insistito per
portarmi
sulle sue spalle a corsa verso est, come le aveva detto Marcus, ma,
dopo soli
pochi minuti, avevo stretto la mano arpionata al suo petto, tirando
convulsamente tra le dita la sua maglia di lana e l’avevo fatta
fermare. Mi
aveva fatta scendere dalle sue spalle con gentilezza ed ero schizzata
via,
sufficientemente lontana da lei, liberandomi ancora una volta del cibo
che la
piccola vampira isterica mi aveva portato. Avevo barcollato verso di
lei e,
guardandola mortificata, mi ero lasciata aiutare a sedermi un istante
su un
masso terroso e umido. Mi girava forte la testa, ero ad un passo dal
cadere
nell’oblio e abbandonarmi al destino.
Sotto
la folta chioma dei pini che ornavano la notte, spettri nel chiarore
della neve
che cadeva silenziosa, avevo tratto un lungo respiro e, senza che me ne
rendessi conto, avevo dato sfogo alle mie lacrime, versandole senza
riuscire a
trattenerle, mentre la mia schiena aveva sussultato, nonostante dalla
mia bocca
non uscisse alcun suono. Ero stanca, troppo stanca anche per
lamentarmi,
terrorizzata dalla situazione in cui ci trovavamo e ancor più
preoccupata dal
silenzio della vampira. Da quando eravamo uscite dalla cella infatti,
dopo che Marcus
era andato via, Esme mi era apparsa preoccupata e turbata. Si era presa
cura di
me in silenzio ed io non avevo osato disturbare i suoi pensieri, già
così
palesemente agitati.
Ero
rosa da un tarlo che grattava senza sosta la mia anima, sfaldando quel
poco di
coraggio che mi era rimasto: sapevo che poteva esserci solo una cosa
che
avrebbe potuto turbare Esme a quel modo e temevo di sapere cosa potesse
essere.
Marcus doveva per forza averla messa a conoscenza di qualche brutta
notizia che
l’aveva scossa e che io non dovevo sapere… altrimenti perché si erano
attardati
così tanto, mentre io ero già praticamente fuori dalle segrete? Dentro
di me
non avevo ormai più dubbi: c’era una sola cosa che avrebbe potuto
sconvolgermi
se ne fossi venuta a conoscenza, ma avevo troppa paura anche solo per
pronunciare la domanda che avrebbe confermato le mie teorie.
Ed
ero così stanca…
Carl,
dove sei?
-Bella,
bambina… devi farti forza…devi combattere ancora: adesso, insieme a
me-, mi
aveva detto Esme, porgendomi la sua mano e guardandomi con i suoi occhi
color
del grano. Avevo ricambiato il suo sguardo, sforzandomi di sorriderle,
ma
producendo solo una misera smorfia. Se solo avessi parlato, lo sapevo,
sarei
giunta al punto di non ritorno e sarei crollata del tutto. Volevo solo
andare
via da lì, il più lontano possibile, tornare alla mia casetta a Parigi,
rannicchiarmi sotto al piumone e lasciarmi abbracciare da Carl, mentre
il fuoco
scoppiettava nel camino e noi…
Avevo
scosso la testa per scacciare quell’immagine inarrivabile, avevo tirato
su col
naso e mi ero convinta che ‘peggio di così non poteva andare’; avevo
afferrato
la mano che Esme mi porgeva e mi ero fatta aiutare ad tirarmi su. Un
semplice
sguardo aveva pattuito che non avremmo riprovato con la corsa
forsennata dei
vampiri: in piedi davanti a lei, avevo puntato nella direzione
indicataci e mi
ero messa in marcia, scivolando nel fango e nella neve, ferendomi i
palmi e
rialzandomi dopo le cadute, tutto per portare in salvo il mio miracolo.
Della
mia vita, se davvero le brutte notizie
avessero riguardato il mio Carl, non avrei più saputo che farmene.
Avevamo
camminato a lungo, fino allo stremo delle mie forze: Esme mi aveva
stretta a
sé, sostenendo quasi interamente il mio peso, conducendomi nel buio,
mentre i
miei piedi rispondevano a malapena ai comandi del mio cervello
annebbiato.
C’era
solo una cosa che riuscivo a pensare e che riempiva totalmente la mia
mente:
restare in vita per rivedere almeno un’ultima volta l’uomo che amavamo
entrambe
e dirgli addio.
Carl,
dove sei?
Era
stato al bordo di una radura che la nostra fuga si era conclusa,
laddove gli
alberi si diradavano e la neve aveva imbiancato il suolo duro.
Un’altra
caduta, ancora quella maledettissima caviglia che aveva ceduto, di
nuovo un
tonfo nella fanghiglia, battendo la spalla e la testa, senza che Esme
potesse
avere il tempo di aiutarmi: era stato allora che dalle mie labbra
secche era
uscito per la prima volta un lamento, lungo e straziante, simile al
grido di un
animale morente. Non era stato il dolore alla gamba, né alla spalla o
alla
testa, non era stato a causa della disperazione che mi accompagnava, né
della
paura che mi stava tagliando il respiro, ma perché ancora, come le
altre volte,
era giunta atroce e pungente la necessità fisica che avevo di lui. Lo
volevo da
impazzire, volevo sentire il contatto con la sua pelle fredda e dura,
ma che
tornava calda e liscia quando stavamo vicini; volevo affondare le mani
nei suoi
capelli biondi e lasciarmi stringere, cullandomi dolcemente, fino a non
aver
più bisogno di niente che non fosse riempito dalla sua vicinanza.
E
mentre Esme, accorsa subitaneamente per sollevarmi dal mio letto di
lacrime, mi
aveva implorava di star zitta, di non urlare, di fare piano, ché
avrebbero
potuto sentirci e ghermirci, io non potevo che pensare a lui, a quanto avevo bisogno delle sue mani grandi e
del suo sorriso solare.
Carl,
dove sei?
-Bella,
ti prego… shhh…-, le mani fredde e gentili di Esme nulla avevano potuto
contro
il dolore, il suo petto dolce e accogliente non mi aveva confortata,
l’abbraccio materno di chi aveva perso tutto a causa mia non era
riuscito a
calmarmi ed io non mi ero resa conto che stavo urlando a tutti la
nostra
posizione, in quel fazzoletto di notte silenziosa non ancora infranta
dal
clangore della battaglia.
Era
stato a causa mia, dei miei lamenti inconsolabili e della mia stupidità
disperata, che ci avevano trovate.
Esme
mi aveva tappato la bocca, bloccandomi il respiro, e mi aveva
trascinata
insieme a lei in una cavità nel tronco di un grosso albero morto, ma
l’odore
del sangue che grondava dai miei palmi e il battito forsennato del mio
cuore
avevano tradito il nostro nascondiglio in pochi attimi.
Era
stato un incubo: essere consapevole che i predatori sapevano
esattamente dove eravamo
nascoste, mentre non potevo impedire al cuore di battere impazzito, né
al
panico di avviluppare ogni mia fibra; sapere che non era solo la mia
vita in
pericolo, perché c’è qualcuno che contava su di me, mentre io lo stavo
tradendo,
vittima del terrore più puro, mentre attendevo pietrificata che la
mannaia
scendesse sul mio collo e tutto finisse.
Erano
passati solo pochi attimi prima che loro
si manifestassero, ma si erano dilatati in un tempo infinito. I battiti
del mio
cuore affannato mi erano apparsi distanziati tra loro di ore e i
particolari
più rapidi erano giunti amplificati,
come i piccoli gesti di Esme, che aveva stretto appena l’abbraccio nel
quale mi
teneva immobile, mormorando brevi e incomprensibili preghiere, finché
non erano
arrivati alle mie orecchie i rumori dall’esterno del buco: un ramo
spezzato dai
carnefici in avvicinamento, un’esplosione, molto lontana e le loro
voci, che mi
avevano scosso fino all’anima. Voci ringhiate, voci arrabbiate e
minacciose, in
una lingua sconosciuta e poi ancora il clangore di catene e passi
pesanti, come
se stessero trasportando un prigioniero.
E
infine, raggelante, avevo chiaramente percepito l’attimo in cui avevano
capito
che c’era carne fresca nelle vicinanze e avevano taciuto, restando
immobili
come solo i vampiri sanno fare, come leoni che annusino l’aria in cerca
dell’esatta posizione della preda. In quell’istante avrei voluto
morire, pur di
non dover assistere a quello che sarebbe venuto dopo, pur di non
doverlo vivere
sulla mia pelle.
E’
la fine… mi divoreranno come un pezzo
di carne e mi lasceranno nel fango… Non rivedrò mai più il tuo sorriso,
il tuo
sguardo attento, le tue mani che scivolano tra i capelli, quando sei
assorto
nei tuoi pensieri. E tu non vedrai mai il nostro bambino, perché io non
sono
stata in grado di proteggerlo e ho lasciato che te lo portassero via…
Carl,
dove sei?
E
poi, mentre l’immagine del mio vampiro che teneva tra le braccia il
nostro
piccino sbiadiva nella mia mente come cancellata dalla pioggia
torrenziale, senza
un motivo valido, d’un tratto, erano tornate alla mia mente le parole
che
l’anziana signora conosciuta sul treno mentre arrivavo in Italia mi
aveva
detto: “Su! Forza, che la vita è bella!”.
“La
vita è bella…”, avevo continuato a ripetere nella mia testa,
illudendomi di
riuscire in quel modo a fuggire alla realtà che di bello non aveva
assolutamente nulla, “La vita è bella…”, mi dicevo, restando aggrappata
ai miei
sogni, a quanto di meraviglioso mi attendesse, una volta tornata a
casa, come
se stessi solo facendo un incubo, in attesa di svegliarmi.
“La
vita è bella…”
Un
rumore più forte aveva fratturato il silenzio di vetro che si era
creato ed io
avevo immaginato che si trattasse del nostro carnefice, in movimento
verso di
noi. La mia breve bolla di oblio era esplosa, lasciandomi nuda davanti
alla
cruda realtà e nuovamente suoni e colori erano tornati alla mia
attenzione: la
voce di quello che avevo intuito fosse il prigioniero, quasi un guaito
in
confronto alle altre che lo avevano schernito, aveva iniziato a
farfugliare
qualcosa, ma era subito stato zittito da un ringhio che era entrato nel
mio
petto e fatto a brandelli del poco coraggio che ormai non possedevo
più.
-Chi
va là?-, aveva inaspettatamente chiesto, nella mia lingua, una voce
femminile,
melodiosa come quella di tutti i vampiri, eppure più roca, che mi
ricordava
qualcosa di antico, che aveva già fatto parte di me. Esme mi aveva
stretta a sé
ed era rimasta in silenzio, inutilmente, perché dopo pochi istanti una
enorme
mano si era intrufola nel buco e ci aveva afferrate, trascinandoci
fuori a
forza.
La
fine era giunta, non aveva più senso resisterle.
Tutto
quello che era avvenuto dopo mi era apparso come frutto di un incubo
ben
orchestrato da un regista cinico e amante degli effetti speciali e dei
colpi di
scena, ma non lo avevo vissuto realmente, perché, nel momento in cui
eravamo
state stanate come topi, il mio cervello era andato in cortocircuito e
mi ero
lasciata andare all’unico sogno che avrebbe potuto tenermi ancorata
alla vita.
Carl,
se la vita è davvero bella, perché
non sei qui a salvarmi e portarmi lontano, una volta ancora e per
sempre?
***
Esme
***
Bella
non ce la faceva più. Era inutile che continuasse a sforzarsi per non
piangere
e apparire forte, perché io lo sapevo benissimo come doveva sentirsi.
Ci ero
passata sulla mia pelle, quando ancora avevo un cuore e tanti progetti
e capivo
perfettamente come fosse atroce sapere che il proprio bambino era in
grave
pericolo. In più eravamo in fuga da due eserciti di vampiri, in una
notte
troppo gelida perché la sua salute umana non ne risentisse. Non sapevo
come
fare per alleviare le sue pene, avrei voluto poter prendere tutto il
carico di
angoscia e dolore che gravava sul suo corpo e sulla sua anima, entrambi
fragili
ed esposti, entrambi preziosi per me, per tutta la mia famiglia, per lui.
Glielo
dovevo e dovevo farlo per me.
Era
troppo tardi, ormai, ma avevo perdonato la decisione di Carlisle di
assecondare
mio figlio per salvare Bella e mi ero convinta di essere stata io
l’unica a
sbagliare, dieci anni prima… Ormai non potevo più tornare indietro per
rimediare al mio immane danno, ma potevo fare tutto quanto in mio
possesso per
proteggere Bella: lei era l’alfa di tutto quello che era capitato e
sarebbe
stata l’omega che avrebbe potuto riportare un po’ di felicità, almeno
per Carlisle,
ma, in fondo, anche per me.
Da
quando, solo poche ore prima, avevo capito quello che le era successo e
avevo
udito quel tremulo battito nel suo ventre, avevo saputo cosa avrei
fatto, a
costo della mia vita: il suo bambino sarebbe stato come il mio e non
avrei
lasciato che il fato si portasse via anche lui. Non una volta ancora…
In fondo,
anche se Bella appariva ormai più grande di me, nel mio cuore rimaneva
la
figlia su cui, intimamente, avevo investito fin da subito le mie
speranze e i
miei sogni. Un figlio suo… vedere che, in qualche modo, era stata
capace di
affrontare la sua vita e tutto il dolore che l’aveva segnata era motivo
d’orgoglio: in fondo per lei mi sentivo come una madre che vede la
propria
bambina crescere, diventare una donna e realizzare i sogni che lei –che
io-,
invece, avevo ormai seppellito insieme alla mia vita umana.
Non
potevo lasciare che le venisse fatto altro male, avrei lottato fino in
fondo
per proteggerla e non avrei permesso alle persone che ci avevano
stanate di
torcerle un solo capello. Avevo sperato fino all’ultimo di poterla
aiutare e
portarla in salvo, escogitando un qualsiasi piano per fuggire da loro e
avevo
confidato che quella lucidità nervosa in cui ancora Bella riusciva a
galleggiare non la tradisse proprio allora, rendendola inerme di fronte
ad un
potenziale pericolo. Ma quando era stato evidente che eravamo cadute
nella
trappola di qualche spietato mio simile, quando ci avevano estratto dal
nostro
ridicolo nascondiglio ed il pericolo si era manifestato in tutta la sua
cruenta
realtà, Bella aveva ceduto e si era lasciata andare, perdendo il
contatto con
la realtà e restando del tutto affidata alle mie cure.
Ma
io avrei davvero avuto la forza di trarla in salvo? Ero solo una
ridicola, elegante vampira incapace di resistere
agli attacchi fisici e di combattere. Una vampira inutile, buona solo
per
soffrire e disperdere i propri affetti. Per una frazione di secondo
avevo
invidiato le calde lacrime che scendevano senza sosta sul volto di
Bella e
avrei tanto voluto potermi permettere di lasciarmi andare e sfogare
finalmente
anche la mia angoscia, ma non avrei potuto tradirla proprio allora. Per
una
volta avrei combattuto con i denti e con le unghie. Per una volta sarei
stata
utile a qualcosa…
Tenendo
Bella stretta a me, mi ero decisa ad affrontare il nostro nemico,
ignara di
come si sarebbero sviluppati gli eventi.
-Sign…
signora Esme?-, il vampiro che ci aveva stanate mi aveva guardava
incredulo
almeno quanto lo ero stata io: davanti a
me, silenziosi nella notte, stavano immobili cinque persone, alcune
delle quali
le conoscevo già…
Helejina,
la vecchia vampira romena e suo nipote Carlisle
ci avevano guardate esterrefatti e altrettanto stupiti per il fortuito
incontro; il gigante aveva strattonato la catena con cui teneva al
guinzaglio
un vampiro che ringhiava e sbavava, lanciando anatemi nella sua lingua
ignota.
Avevo
indietreggiato di un passo e solo allora avevo messo a fuoco un altro
componente
del gruppo: era un maschio più basso degli altri, dal cuore pulsante e
canini
affilati proprio come me.
Un
mezzo vampiro…
Ci
avevo messo poco a capire che fosse il figlio della donna e di Aro: il doppiogiochista, quello che aveva tenuto
d’occhio Carlisle e Bella e aveva informato la madre della nuova
situazione
sentimentale del mio amato ex compagno.
Ero
assolutamente certa, infatti, che Helejina conoscesse l’identità della
donna
per la quale Carlisle non sarebbe tornato a far parte della famiglia
Cullen,
come mi era stato vaticinato alla stazione di Milano, in un momento che
ormai
si era perso nel tempo e nella mia mente ampia al punto da poter
accantonare i
brutti ricordi e le sofferenze, per non ritrovarle più. Anche lui
teneva legato
per una robusta corda un prigioniero che aveva il volto coperto con un
cappuccio e le mani costrette dietro alla schiena: il suo cuore pareva
voler
uscire dal petto e l’odore del suo sudore, misto al terrore che
provava, non
lasciavano dubbi sulla sua natura. Umano in mezzo ai vampiri, come
Bella.
-E’
proprio la signora Esme?-, aveva farfugliato il nipote di Helejina.
Cosa ci
facevano quei tre, all’apparenza innocui, con due prigionieri, di cui
uno
umano, dove l’avevano preso e perché si trovavano lì? Sicuramente era
il loro
pasto e altrettanto sicuramente avrebbero trovato in Bella, la mia umana, un ottimo dessert… Per
questo dovevo portarla via di là al più presto, prima che la
riconoscessero o
prima che venisse loro in mente qualche strana idea…
L’avevo
stretta a me, mentre continuava a mormorare il nome di Carlisle
sottovoce, tra
un lamento e un altro, con il viso premuto sul mio petto inospitale,
per
nasconderla. Sembrava un piccolo animale caduto nella trappola dei suoi
carnefici e quello che era peggio era che non potevo fare niente per
lei, se
non continuare a pregare che il destino risparmiasse la sua vita e
quella del
bambino.
-Cosa
ci fa lei qua?-, aveva chiesto Helejina, quasi irritata dal mio
silenzio e le
avevo spiegato a malincuore che stavo scappando dalla battaglia; -E lei
chi
è?-, aveva insistito, avvicinandosi a Bella e subodorando che ci fosse
qualcosa
di strano nel nostro rapporto. Avevo protetto la mia bambina, celando
il suo
volto alla vampira, che continuava a guardarci e ghignare, ma non avevo
risposto, perché non sapevo come
risponderle.
‘E’
una mia amica’… oppure… ‘è mia figlia’…
O ‘è la donna del mio ex marito’…
-E’
il suo spuntino di mezzanotte?-, di nuovo il nipote aveva parlato,
facendo
arricciare il volto della vecchia, che aveva risposto di no, ‘Decisamente no…’, con tono minaccioso.
Senza accorgermene avevo stretto di più Bella a me, facendole sfuggire
un
lamento: dovevo stare attenta, dosare le forze, proteggerla come se
fosse stato
un fiore di cristallo, condurla sana e salva verso il suo futuro.
-Allora?
Cosa ci fa con un’umana, lei che è vegetariana, signora Esme?-, per un
attimo
avevo temuto il peggio. Ma al peggio non c’è mai limite e Bella non era
stata
d’aiuto nel liberarci da quella situazione incresciosa…
-Carlisle…-,
quando la mia piccola umana, nel suo oblio, aveva chiamato a voce più
alta
l’uomo che amava, movendosi tra le mie braccia, l’attenzione della
romena si
era definitivamente accesa e non c’era stato più modo di evitarle di
interessarsi a Bella.
Come
se avessi mai potuto realmente
farla franca in quella situazione disperata…
-Cos’ha
detto?-, aveva chiesto, mentre uno sguardo minaccioso era andato
dipingendosi
sul volto rugoso.
Ti
prego, sta zitta…! Zitta, Isabella, o
ci scopriranno…
-Ti
ho domandato cosa ha detto-, aveva insistito Helejina, avvicinandosi
ancora,
mentre io avevo indietreggiato. Eravamo in trappola, non c’era niente
che
potessi fare ed esserne consapevole mi stava dilaniando.
-Ha
detto ‘Carlisle’, madre…-, per la prima volta, quello vestito di nero
aveva
parlato, per poi saettare vicino alla vampira e parlare frettolosamente
al suo
orecchio. Il loro umano era caduto a terra, nel fango e aveva blaterato
qualcosa che pareva un’imprecazione. Avevo atteso la loro prossima
mossa,
osservando sul volto della vecchia le espressioni mutare:
soddisfazione,
stupore, cospirazione e speranza, ma sopra a tutti, nonostante i suoi
occhi
fossero addolciti dalla presenza del figlio e del nipote, era stata la
scintilla d’odio che mi aveva pietrificata.
-Bingo!-,
aveva sussurrato, lentamente, senza distogliere lo sguardo dal prezioso
tesoro
che cercavo invano di custodire. Dopo, velocissima, si era mossa e mi
era
apparsa accanto.
-Voglio
vederla-, nella sua voce, tutta la bramosia che non aveva saputo
contenere.
Avevo allontanato Bella dalle sue grinfie, guardandomi attorno in cerca
di una
via di fuga, inesistente.
-Allontanati!-,
le avevo ringhiato contro, pronta a combattere, se fosse stato
necessario,
quando le calde lacrime di Bella, rotolando giù dalla sua guancia,
lungo il mio
braccio nudo, erano gocciolate fino alla mano di Helejina, tesa verso
di lei. La
vecchia mi aveva fissata, dopo aveva chiuso gli occhi e inspirato il
profumo di
Bella. Di nuovo il lampo d’odio, di nuovo la fiamma della speranza
baluginare
nei suoi occhi.
-Mettila
giù-, aveva ordinato, dimenticando le buone maniere e tirandomi per la
spalla
ed io, seppur riluttante, avevo dovuto ubbidirle, perché avevo paura
che lo
facesse senza chiedermelo una seconda volta, prendendosela con la
violenza e
facendole male.
Dietro
di lei, il prigioniero aveva ringhiato una minaccia, divincolandosi
dalla
stretta del bestione che, ridacchiando come un bambino che giochi col
suo cane,
l’aveva sollevato di peso e fatto dondolare in aria.
-Chiudigli
la bocca, Layli!-, dietro consiglio della nonna, il ragazzone aveva
preso la
catena e aveva fatto un doppio giro attorno al volto del malcapitato,
usandola
come una benda per azzittirlo. Stessa sorte era capitata all’umano, che
si
divincolava e cercava di scappare dal suo carceriere vestito di nero.
–Taci!-,
Helejina si era avvicinata a lui, aveva strappato il cappuccio di tela
che lo
mascherava e aveva arpionato il suo volto con la mano adunca ferendolo
e
facendo sì che il suo sangue schizzasse via, diffondendosi appetitoso e
invitante nella notte umida.
Così
lo ucciderà…
-Torniamo
a noi…-, aveva poi detto la donna, dimenticando l’umano e si era
chinata su
Bella, per osservarla. L’avevo vista alzare le sopracciglia e dopo
sorridere
sinistramente, si era avvicinata a lei e l’aveva annusata ancora.
-Lo
sapevo che ti avrei rivista…-, aveva sussurrato e poi aveva volto lo
sguardo in
alto, cogitabonda, rimanendo in silenzio per qualche istante.
-Ca-arl…-,
ancora Bella, aveva ingoiato lacrime e dolore cercando Carlisle nel
profondo
stato di incoscienza in cui era precipitata. Helejina aveva allungato
una mano
verso il suo volto, sfiorandola con un dito in una specie di carezza,
aveva
sorriso raggiante, mi aveva guardata e, animata dalla necessità di
conoscere
ogni dettaglio, mi aveva travolto con le sue domande.
Voleva
sapere chi fosse, cosa ci facesse a Volterra, cosa ci facessi io con
lei e che
legame ci unisse e ad ogni risposta che le avevo dato aveva annuito,
intendendo
che avevo ‘risposto bene’, oppure si era adombrata, scoprendo il mio
bluff.
-Bene,
Esme. Ora mi dica la verità…-, aveva
concluso, mettendomi alle strette, ma senza attendere la mia risposta,
aveva
interrogato Rufus, il figlio silenzioso, ordinandogli di dirmi la sua verità.
-La
donna si chiama Isabella Marie Swan. Figlia dello sceriffo Swan della
polizia
locale di Forks, conobbe i Cullen undici anni fa. Si innamorò di Edward
Cullen
e rimase vittima dell’attacco di un vampiro nomade. Fu salvata dal
potere di
Carlisle Cullen e visse nell’incoscienza di quanto le fosse accaduto
per alcuni
mesi, finché non fu coinvolta in un viaggio in questa terra, durante il
quale
conobbe Aro dei Volturi. In seguito le fu cancellata la memoria, torno
a Forks
e sposò Jacob Black, licantropo della tribù locale dei Quileutes, dal
quale fu
messa incinta per due volte. Iniziò a praticare la professione di
medico presso
Port Angeles ed allora io mi finsi suo paziente e raccolsi tutte le
informazioni sul suo passato. Fu Aro a comandarmi di seguirla e tenere
d’occhio
la sua vita ed io lo feci, perché tutte queste informazioni servivano a
mia
madre-, Rufus si era interrotto e la madre aveva ripreso al suo posto.
-Sono
secoli che aspetto questo momento: secoli che medito la vendetta che
porterà
alla morte Aro e questa umana è l’arma con cui lo ucciderò. Non ero
certa che
fosse davvero lei, quando l’ho incontrata, nonostante il suo odore non
lasciasse adito a dubbi… ma hai anche tu, Esme, lo stesso profumo di
Cullen,
così come l’ho io e i suoi figli Rosalie ed Emmett-, aveva sorriso e
per la
prima volta, dietro la maschera di falsità e odio, avevo potuto
scorgere
un’espressione diversa, dolce e carica di rimpianto: -Ma in questa
umana il
profumo è più intenso, è come se facesse parte di lei, se le desse la
vita,
come una linfa che scorre nelle sue vene più intensamente che nella
nostra
natura. Lei è uguale a come sono stata io… lei è il veleno,
il suo sangue disseterà la brama di potere di Aro. Come il
mio amato Principe si è trasmutato in umano, dopo avere morso me, Aro
tornerà
fragile e mortale, dopo che avrà bevuto fino all’ultima goccia il
sangue di
Bella-, aveva recitato, quasi in trance.
Era
questo, dunque, il suo piano? Dare la mia Bella in pasto a quel mostro?
-Mi
rincresce solo di dover causare al caro Carlisle un po’ di
dispiacere…-, aveva
concluso, alzando le spalle con noncuranza. La mia rabbia, forte come
raramente
l’avevo sentita sulla mia pelle, aveva oltrepassato il limite ed ero
esplosa
contro la vampira.
-Mai!-,
l’avevo colpita con una spinta e l’avevo allontanata dalla mia
protetta. Subito
l’enorme nipote aveva lasciato incustodito il loro prigioniero per
correre in
aiuto della nonna, ma Rufus, che aveva prontamente riacciuffato il
fuggitivo,
lo aveva fermato con un gesto della mano.
Eravamo
solo Helejina ed io, entrambe pronte a combattere, entrambe pronte a
morire per
avere Bella.
-Non
ti avvicinare a lei-, la mia voce era stata simile ad un sibilo
sinistro,
mentre la risata maligna della vecchia aveva riecheggiato nella notte.
Era
balzata alle mie spalle, colpendomi alle gambe con un potente calcio e
facendomi rotolare nel fango: era inutile, non sarei mai stata una
combattente
e non avrei mai potuto difendere Bella.
Ormai
ero schiacciata a terra, sotto al peso della vampira che mi scrutava
sorniona:
-Oh, sì che mi avvicinerò a lei e farò in modo che non una goccia del
suo
sangue vada sprecata. Sarà per una giusta causa, stolta vampira!-, mi
aveva
sbeffeggiata e schiaffeggiata col dorso ossuto della mano, sollevandosi
per
dirigersi verso Bella.
Era
la fine. Non ero più in grado di ricordare quante volte, quella notte,
avessi
pensato a quel concetto, ma mai come in quel momento ero certa che
niente
avrebbe più potuto arrestare un destino che ci inseguiva da dieci anni.
-No,
Bella!-, un urlo roco e sgraziato: tutti i nostri occhi si erano
rivolti verso
il prigioniero umano. Anche Helejina si era fermata per guardare
quell’uomo
sulla trentina, castano e spaventato che l’aveva disturbata al pari di
un
moscone.
-Cullen
non ti perdonerà mai se la ucciderai, strega!-, aveva continuato lui,
con voce
forte eppur tremante, richiamando rapidamente a sé la vecchia, che
l’aveva sollevato
per il bavero della sua giacca a vento, sottraendolo alla custodia del
nipote.
-Che
ne sai tu di quello che vuole Carlisle?-, aveva sibilato e in quel
momento suo
figlio Rufus si era avvicinato a lei, posando con delicatezza una mano
sul suo
braccio sollevato e facendole mollare la presa.
-Te
l’ho già detto, madre: quest’uomo conosce bene sia Carlisle Cullen che
la Swan...
E’ da lui che ho preso le informazioni su quello che lei ha fatto a
Carlisle…-
-Ma
cos’è, un raduno di tutti quelli che conoscono quello che si chiama
come me?-,
aveva domandato Layli, grattandosi la testa, confuso.
-Liberami-,
aveva ordinato l’umano e Rufus aveva ubbidito, lasciando interdetta sua
madre.
Una volta sciolte la corda che lo teneva fermo, l’uomo era corso verso
di me, che
ero tornata al capezzale di Bella e me l’aveva letteralmente strappata
dalle
braccia. L’aveva osservata con attenzione, scrutando il suo viso,
poggiando
l’orecchio sul suo petto per ascoltarne il battito e accertandosi della
sua
forza tenendole il polso. Sembrava davvero preoccupato per lei ed io
non ero
riuscita a capacitarmi del perché. Chi era e cosa ci faceva a Volterra?
-Bella…
Bella, svegliati, ti prego-, aveva detto, rivolgendosi a lei e
carezzandole il
viso, -Bella… ti prego… ho… ho un messaggio per te da parte di Carl!-,
aveva provato
ancora e forse il suo ultimo tentativo era stato quello risolutore,
perché
Bella aveva strizzato gli occhi e aggrottato la fronte, prossima a
svegliarsi.
-Ca…arl?-,
aveva mugolato la povera ragazza, aprendo leggermente gli occhi. Mi ero
chinata
su di lei, prendendole l’altra mano tra le mie; le avevo parlato piano,
sperando che si svegliasse del tutto, mi sentisse, mi facesse capire
che stava
bene.
-Bella,
coraggio! Non puoi fregarmi come hai fatto a Parigi, lasciarmi succube
della
Poulaine e dopo farti ritrovare così, dai! Lo so che puoi sentirmi,
apri quegli
occhioni e guardami-, avevo colto il gesto amichevole con cui l’uomo
aveva
strattonato delicatamente la mano di Bella e il sorriso sincero che si
era
aperto sul suo volto, ricordando qualcosa di cui non ero stata messa al
corrente. Lo stavo fissando, cercando di comprendere chi fosse, quando
l’avevo
visto abbassarsi su di lei e sorridere: avevo seguito i suoi movimenti
e avevo
trovato gli occhi aperti e lucidi di Bella, che lo guardavano senza
capire.
-Bernard…?
Che… che ci fai qui?-, aveva chiesto, confusa e con voce tremante;
l’umano
aveva colpito piano con le nocche delle dita la sua testa e,
rimproverandola,
l’aveva abbracciata e fatta sorridere.
-Marie
ha avuto una crisi di panico, quando mi ha visto mezzo mortoPensa ha
persino
provato a farmi la respirazione bocca a bocca…: per cercare di
svegliarmi… Mi sono svegliato e ho trovato
la Poulaine
avvinghiata a me! Un incubo! Ma quanta roba mi hai fatto bere, zuccona?
-, le
aveva detto e per un istante, persa nel sorriso di Bella, avevo corso
con la
fantasia al suo mondo, alla sua vita tranquilla e normale
con Carlisle e quest’uomo che non conoscevo e Marie. Poi
l’avevo guardata e mi si era stretto il cuore al pensiero di quanto
fosse
lontana dal suo mondo in quel momento.
-Io…
perdonami… Ma cosa ci fai qui, perché mi hai… insomma…-, non aveva
finito di
parlare, che l’uomo l’aveva interrotta, addolcendosi di colpo.
-E’
stata solo colpa mia se sei partita e poi qui… qui c’è la donna che amo
e
dovevo assolutamente rivederla. Comunque Bella, l’importante è che tu
sia
libera, perché Carl ti sta cercando e credeva tu fossi stata
imprigionata-,
aveva dichiarato, mentre l’attenzione di Bella e di Helejina erano
catturate dal
suo intervento.
-Cullen
è qui?-, aveva domandato la romena, mentre i suoi occhi luccicavano.
Ogni
azione, ogni parola che lei avesse mai detto e che riguardava colui che
era
stato il mio compagno mi avevano provocato una fitta al cuore. Ormai l’hai perso, Esme, rassegnati…
-Ti
ho chiesto se Cullen è qui, inutile insetto!-, aveva pestato i piedi a
terra
Helejina. L’uomo chiamato Bernard l’aveva guardata con sfida: -Puoi
scommetterci, strega-, le aveva risposto, -e sappi che ha intenzione di
riprendersi questa donna e di metterla in salvo, per sempre!-
Bella
aveva sussultato a quelle parole che non avrebbero potuto essere meno
indicate:
Helejina, con un guizzo, l’aveva strappata alle mie mani e, ringhiando
contro
Bernard, aveva dichiarato che ‘Cullen non l’avrebbe trasformata, perché
quella
inutile umana serviva a lei, per portare a compimento la sua vendetta’.
Il
figlio Rufus l’aveva affiancata, cercando ancora di calmarla, guardando
Bella
con rammarico e vergogna.
-E
infatti Cullen non la trasformerà, stupida vecchia! Ma se proverai
ancora a
romperci le scatole, vedrò di trasformare te!-, aveva tenuto testa
l’umano,
ergendosi in tutta la sua altezza e soverchiando Helejina.
-Ricorda
che posso ucciderti solo muovendo un dito, misero umano! E non
preoccuparti di
cosa Cullen farà o non farà, perché lui non la dovrà neanche vedere
questa
misera puttana!-
-Non
provarti più a chiamare Bella in quel modo! Apri gli occhi, ottusa
vecchiaccia:
se pensi che questa donna possegga ancora i suoi poteri, ti sbagli di
grosso.
Chiedilo a Cullen, se non ho ragione!-
-No,
farò di meglio: Layli, porta qua quell’idiota!-, aveva ordinato e
allora avevo
capito in quale guaio ci eravamo cacciate…
Era
stato allora che Bella, voltando il viso verso colei che la stringeva a
sé,
aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca, incredula.
***
Bella
***
Dovevo
aver dormito o forse ero svenuta per la paura. Sapevo esattamente dove
fossi e
in che condizione mi trovassi, ma non avevo coscienza di quello che
stava
avvenendo attorno a me.
Avevo
aperto gli occhi e non ero riuscita a vedere nulla.
E’
notte, stupida Isabella… è notte e
hai pianto come una fontana, certo che non ci vedi niente!
Avevo
ascoltato i rumori attorno a me ed ero certa che qualcosa non andasse:
c’era
una voce di donna che parlava e pronunciava il mio nome; aveva il tono
minaccioso quel tanto che era bastato per farmi tornare il batticuore.
Sei
in mezzo ad una battaglia di vampiri
ed è notte: certo che hai di che fartela sotto, stupida Bella!
Mi
ero sollevata e avevo lasciato che i miei occhi si abituassero alla
debole
luminescenza che offriva la luna offuscata dalle nubi dense e bianche.
Non
nevica più: allora non sei così
fuori dal mondo, Isabella!
Avevo
la gola in fiamme e la testa che pulsava come se fosse stata sul punto
di
esplodere e quella voce femminile batteva come un martelletto di
acciaio sulla
mia mente stanca.
Vorresti
dormire, povera, piccola illusa
Isabella? Vorresti essere nella tua mansardina calda, a Parigi,
coccolata dal
tuo vampiro freddo, ma tanto caldo, all’occorrenza?
Poi,
inattesa, avevo udito una voce amica, che mai avrei pensato di poter
ascoltare
in quel luogo di morte. Sembrava… era
Bernard e mi stava parlando, toccandomi con le sue mani grandi e
spronandomi
perché mi svegliassi.
Aveva
detto qualcosa che non avevo capito, poi aveva pronunciato il suo nome.
Carl?
Carl aveva parlato con Bernard? Carl era dunque lì, a Volterra?
Avevo
scosso la testa, certa di essere sufficientemente sveglia da capire
cosa mi
stesse per accadere, mentre, di nuovo, la sottile e strisciante
angoscia si
stava avviluppando alle mie viscere e alla gola, mozzandomi il fiato e
facendo
battere all’impazzata il mio cuore.
Carl
era così vicino a me? Era davvero nell’occhio del ciclone, anche lui
incauto
viaggiatore diretto alla meta fatale?
Istintivamente
avevo portato la mano destra alla pancia, perché là dentro c’era il mio
piccolo
e dovevo proteggerlo per lui, per suo padre.
Avevo
aperto gli occhi e cercato ancora Bernard, che mi guardava felice di
avermi
rapita al sonno.
Cosa
stava accadendo, perché lui era al mio fianco? Gli avevo domandato
spiegazioni,
udendo la mia voce roca e impastata e poi la sua: parlava di Marie,
cercava di
essere allegro, ma la situazione era troppo tragica perché potesse
realmente
esserlo. Gli avevo chiesto scusa, per averlo ingannato e drogato e
allora lui
mi aveva confidato che realmente Carl era lì, a Volterra, così vicino a
noi e
che mi cercava nella battaglia.
Ci
avevo messo poco a capire che non ero stata la sola a reagire con
trasporto
alla notizia: mi ero voltata e avevo rivisto una donna che non avrei
mai
immaginato di poter incontrare ancora nella mia vita. Una donna che,
rapidamente, si era manifestata nella sua natura, lasciandomi a bocca
aperta
per il modo in cui mi aveva ingannata.
-Cullen
è qui?-, aveva chiesto a Bernard, che l’aveva sfidata, rispondendole a
tono.
La
vecchia del treno: quella che mi aveva rincuorata ricordandomi quanto
la vita
fosse bella.
Bella…
parola dimenticata in quella
notte senza stelle, nel mio incubo senza l’uomo che amavo.
Lei?
E’ davvero quella donna?
Avevo
ringhiato trasmutando in un soffio la paura e l’angoscia in profondo
rancore:
per essere stata tenuta sotto controllo, per essermi fatta raggirare,
per
essermi fidata di lei.
Lei
era…Mi ha seguita…
Sapevano che sarei arrivata a Volterra… lo
sapevano da prima… mi spiavano? Conoscevano tutta la mia vita? Cosa…
cosa stava
succedendo?
Se
non fossi stata incinta, ne ero certa, avrei reagito diversamente,
forse
mostrando un atteggiamento più sprezzante nei confronti del pericolo,
ma dovevo
pensare al bimbo che cresceva dentro di me e che avrebbe rappresentato
il
futuro della mia vita e della mia relazione con l’uomo che amavo. Avevo
fatto
appena in tempo a trasalire tra le braccia di Esme, che immediatamente
quella viscida
spia si era scagliata su di me, urlando che io ero lo strumento per la
sua
vendetta.
Ma
chi era e cosa voleva da me?
Un
istante dopo eravamo state raggiunte da un altro essere della loro
specie:
quando l’avevo guardato in faccia e avevo riconosciuto nel tizio
vestito di
nero e dall’aria macilenta il signor Rufus Swloty, mio vecchio paziente
a Port
Angeles, allora, finalmente, avevo capito che era sempre stato tutto un
inganno.
Avevo
davanti a me la vecchina che mi aveva tenuto compagnia sul treno che mi
aveva
portata a Volterra e al suo fianco una persona dalla natura incerta,
che mi
aveva ingannata per anni con i suoi finti acciacchi e le diagnosi
impossibili.
Faceva
tutto parte di un enorme inganno…
la mia vita, il mio lavoro, la mia famiglia, Jacob, il divorzio,
Parigi…
Carlisle… era stato dunque tutto tenuto sotto controllo… da sempre… da…
-Cullen
non la trasformerà, stupida vecchia, dimenticalo!-, aveva urlato
Bernard,
cercando di proteggermi, facendo scudo con il suo corpo. Cosa stava
facendo…? Era
in pericolo, perché non lo capiva? Esme da sola non avrebbe potuto
difendere
entrambi contro quattro vampiri pronti solo a ucciderci.
La
vecchia aveva minacciato il mio amico, mentre il mio cuore galoppava
furioso,
pronto a schizzare via dal mio petto, poi mi aveva insultata,
dichiarando che
non avrebbe permesso che io rivedessi il mio Carl.
E
mentre Bernard prendeva le mie difese e rivelava che non avevo più ‘i
imiei
poteri’, la mia mente era corsa al mio biondo amore, solo da qualche
parte
nella battaglia, esposto ai colpi di quei mostri, martire per difendere
la mia
vita.
Mi
ero distratta pensando a lui per pochi istanti e quando mi ero voltata
verso
colei che mi aveva tradita e avevo visto nei suoi occhi brillare
minacciosa una
luce perversa e cattiva, non avevo voluto credere a quello che stava
per
accadermi.
-E’
tutta tua-, aveva esclamato la vecchia, liberando dalla sua catena il
prigioniero che si era subito avventato contro di me, spintonando a
terra
Bernard ed Esme con la forza di un bulldozer.
-Lasciami!-,
avevo urlato istintivamente, iniziando a dimenarmi, inutilmente e
cedendo
all’angoscia, avevo chiuso gli occhi, abbandonandomi alla
consapevolezza della
mia idiozia nell’essermi fidata di quei vampiri.
-Moridila!-,
avevo udito la vecchina ringhiare e subito dopo un profondo dolore,
ovattato
dal freddo e dalla disperazione, si era impossessato del mio braccio
destro. Era
durato un istante solo, giusto il tempo di riaprire gli occhi e
osservare il
volto sfigurato del vampiro piegarsi in preda ad atroci spasmi, prima
che
cadesse a terra di schiena, con un tonfo sordo. Il mio sangue macchiava
la sua
pelle ed era simile ad una maschera di orrore, mentre lamenti e urla
strozzate
avevano accompagnato la sua rapida agonia: pochi istanti di terrore in
cui era
stato il protagonista della scena e poi, di colpo, aveva smesso di
muoversi,
rimanendo come morto al suolo.
Helejina
lo aveva colpito con un calcio nel costato facendolo piegare per il
dolore.
Avevo chiaramente udito qualcosa spezzarsi dentro di lui e dalla sua
bocca era
uscito un debole gemito sottile, accompagnato dal respiro che si era
fatto
sempre più affannato.
Avevo
cercato Esme, che, pietrificata, aveva ancora gli occhi puntati sul
malcapitato
rantolante per terra e mi ero aggrappata ai suoi vestiti per rialzarmi.
Ero
stata morsa una volta ancora. Ora
sarebbe arrivato il dolore atroce, il fuoco che entrava a forza nelle
vene e le
dilaniava, proseguendo la sua strada verso il mio cuore.
Ora
sarebbe arrivata la fine, era solo
questione di attimi.
Avevo
abbassato lo sguardo e solo allora l’avevo vista: una ferita
sanguinante e
pulsante sfregiava il mio polso destro, mentre rivoli scarlatti
grondavano
laddove c’era stata la mia cicatrice tanto odiata e tanto preziosa.
Quella fredda
mezzaluna che era sempre stata sul mio polso era stata tagliata da
denti affilati
come bisturi ed era ormai irriconoscibile, cancellata da quel nuovo
morso.
Il
dolore che avevo aspettato… quel dolore lancinante non era arrivato…
non era
stato come con James, non c’era il veleno a fare terra bruciata della
mia carne
non…
C’era
soltanto la mia cicatrice, distrutta, eliminata, cancellata. Persa.
“Si
può cancellare?”
“Sei
proprio sicura di volerla
cancellare?”
Un
ricordo potente si era infiltrato tra gli strati melmosi della mia
memoria
appannata, risalendo lento e pungente, riportando alla mia mente gli
occhi di
un dottore biondo che mi aveva aiutato in un ospedale italiano,
prendendosi
cura di una povera ragazza senza passato.
Un
dottore che mi era rimasto accanto nell’ombra, l’unico che non mi
avesse mai
abbandonato, come quella cicatrice, marchiata sulla pelle e penetrata
fin nella
mia anima.
La
mia cicatrice…
Il
morso di James e la disperazione di Edward…
Il
bacio che mi aveva legata per sempre a Carlisle… il segno marchiato
sulla mia
pelle, a ricordo di quell’attimo epocale.
La
mia cicatrice…
Non
c’era più, cancellata da una nuova ferita, da un nuovo dolore, da una
nuova
disperazione perché quello che sarebbe seguito, era ancor più
spaventoso di
quanto avrei potuto immaginare.
E
quella volta non ci sarebbe stato un
dottore biondo e dal cuore grande a curarmi…
Carl,
dove sei?
Sei
stato cancellato anche tu dalla mia
pelle, dalla mia anima, dal mio cuore?
Sei
caduto come un martire, nel fango di
Volterra?
Sei
stato strappato anche tu via dalla
mia vita?
Dove
sei?
Era
stato come un’esplosione nella mia testa: avevo sgranato gli occhi e,
colta da
un furore non compatibile con la mia precaria condizione fisica, avevo
iniziato
a urlare e mi ero scagliata sulla vecchia che aveva ordinato quello
scempio.
Non stavo pronunciando vere parole, non concepivo veri pensieri: era
come se si
fosse rotta la crosta che trattiene il pus di una ferita non ben
disinfettata.
Tutto il marcio che aveva ristagnato nel mio cuore, vecchie paure,
nuove
speranze soffocate, l’odio, la dimenticanza, l’abbandono e ancora la
speranza
troncata, il rimpianto e la perdita, tutto quello aveva sempre ruotato,
che ne
fossi consapevole o meno, attorno a quella cicatrice e al modo in cui
ero stata
salvata da morte certa.
Tutto
quanto aveva sempre ruotato attorno a quello che Carlisle mi aveva
fatto; pur
senza saperlo, pur non avendolo chiesto, pur non immaginandolo, tutte
le mie
azioni, le scelte della mia vita avevano seguito la strada che lui
aveva segnato
per me quella notte a Phoenix e sul cui selciato mi aveva lasciata
libera di
rifarmi una vita nella bugia, dopo avermi chiesto: sei sicura di
volerla
cancellare?
Erano
state quella ferita ad unirci, perché a causa sua io ero quasi morta, e
quella
cicatrice a ricordarmi che avevo ancora un passato a cui ero rimasta
aggrappata
per anni. Perché non avevo voluto cancellare il segno che quella notte
aveva
impresso nella mia vita e così io non avevo cancellato neanche lui dal
profondo
della mia coscienza addormentata.
E
adesso non c’era più.
L’ultimo
colpo sul corpo duro della vecchia, l’ultimo lamento, l’ultima lacrima
disperata: dopo tutto era accaduto troppo rapidamente. Il suolo era
mancato
sotto ai miei piedi, sollevata da braccia forti che mi strizzavano e mi
facevano male, mentre le urla di Esme e di Bernard si sommavano ai
guaiti di
dolore del prigioniero ferito e al sibilo del vento, che aveva preso a
soffiare
maligno. Avevo percepito mani che mi strattonavano, mi tiravano, mi
pretendevano,
mentre qualcosa premeva e strizzava il mio polso, affondando dentro la
carne
viva, allargando la ferita.
-Presto,
Rufus, raccoglilo!-, un ordine esploso senza che capissi davvero il suo
significato, perché ero stordita, stanca e confusa. Mi girava forte la
testa,
non stavo capendo più nulla, sentivo solo dolore al braccio e dentro al
cuore,
come se mi stessero rubando l’anima. E sopra a tutto galleggiava
l’odore del
sangue, del mio sangue, forte,
intenso, pungente, che fluiva via da me, impotente nell’ora della fine.
Era
stato
allora che avevo perso i sensi e mi ero affidata al destino insensibile
e
crudele, pregando perché qualcuno, un angelo biondo, forse, potesse
almeno
salvare il mio bambino.
Ma
l’angelo biondo non sarebbe venuto, perché con le mie decisioni, con la
mia
storia assurda, con la mia morte inutile, avevo strappato le sue ali e
lo avevo
fatto precipitare nel centro esatto dell’inferno in terra.
Carl,
dove sei?
***
... to
be continued...
***
Disclaimer: i
personaggi e gli argomenti trattati appartengono
totalmente a S. Meyer. La storia è di mia
fantasia e
non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
Twilight, New Moon,
Bella Swan, i Cullen,
i
Volturi, Stefan e Vlad,
il
Clan di Denali, il Wolf
Pack dei Quileute sono copyright di Stephenie Meyer. © Tutti i
diritti riservati.
La storia
narrata di 'Proibito', le circostanze e
quanto non appartiene a Stephenie Meyer
è di invenzione dell'autrice della storia
che è
consapevole e concorde a che la fanfic
venga
pubblicata su questo sito. Prima di scaricare i files
che la compongono, ricordate che non è consentito né il loro uso
pubblico, né
pubblicarli altrove, né la modifica integrale o di parti di essi,
specialmente senza permesso! Ogni violazione sarà segnalata al sito che
ospita
il plagio e verrà fatta rimuovere.
© 'Proibito' Tutti i diritti riservati.
**************************************************************************************************************
***
Ovviamente, grazie a chi, nel lontano 1823, ha commentato lo scorso capitolo...
***
SPOILER CAPITOLO 119 - TRADIMENTO
***
Bernard
***
Un calcio particolarmente forte assestato dalla vampira rabbiosa ai paesi bassi del rallentato che ci tratteneva lo aveva fatto sussultare e piegarsi in due dal dolore.
A
me, in tutta la mia fottutissima non vita da vampiro,non era mai
successo di
essere colpito nelle palle… dovevo stare attenta a quella donna dal
volto
angelico e il calcio da Holly e Benji…
Il
suo affondo era stato
provvidenziale, facendo voltare il troll nella direzione di Bella:
anche se
stritolato dalla sua mano gigante, avevo una buona visuale di quel che
le
stavano facendo. La zoccola zingara la teneva ferma e affondava nel suo
braccio
le unghie della sua mano, il becchino accanto a lei raccoglieva il
sangue rosso
e pastoso che colava dalla mia amica in un recipiente dalla forma di
oliera
medievale. Bella era svenuta, perché non si lamentava e stava ferma
immobile. E
io ero nella merda più totale.
...