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Autore: cabol    29/04/2010    1 recensioni
"Certo, bella società quella: i ladri di polli alla gogna e i veri disonesti nei quartieri alti a pavoneggiarsi dei proventi delle loro ruberie. Talvolta anche nei governi. E lui doveva sentirsi rimordere la coscienza se guardava con desiderio qualcosa che non si poteva permettere".
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo Sei: il porto

Elosbrand “la taverna dello squalo”, Lossios 24, 371 ore 10,30 della sera

La taverna era piena di marinai, come al solito. Quasi tutti ubriachi o sulla via di esserlo. Tutti i tavoli erano occupati e l’odore del cibo si mescolava a quello del rum e della birra che abbondavano ovunque. Risate e canzoni si levavano ora da un tavolo, ora da un altro. Il ragazzo al bancone si assicurò che i cinque mercenari addetti al servizio d’ordine fossero ben sobri.
Niente incidenti.
Questa era la consegna del padrone: gli affari vanno meglio se non ci sono risse. Logico e lineare. Ma era tutt’altro che facile tenere a bada quella ciurma di ubriaconi. Per fortuna, nell’ultimo mese, tutto era andato liscio, nonostante l’inverno che teneva in porto la maggior parte degli equipaggi che diventavano sempre più turbolenti con l’inerzia prolungata. I cinque buttafuori sapevano farsi rispettare. Non per nulla erano stati reclutati fra ex pirati ed avventurieri.
Sollevò lo sguardo sulla sagoma in legno di uno squalo a dimensioni naturali di pessima fattura e piena di crepe e scrostature che sovrastava il bancone. Appesi al corpo dell’animale vi erano numerosi oggetti grossomodo circolari, che probabilmente erano stati pesci molto tempo addietro e che i tavernieri avevano l’ordine di definire orecchie gentilmente donate da quelli che non volevano pagare il conto. Rabbrividì involontariamente, come ogni volta che li vedeva. In realtà sperava fortemente che fossero stati dei pesci ma la versione sardonicamente rilasciata ai clienti era decisamente la meno inquietante fra tutte quelle che aveva sentito.
C’erano anche un po’ di facce nuove quella sera. Le ultime due settimane erano state caratterizzate da un tempo insolitamente sereno per la stagione, sicché qualche nave si era arrischiata in mare ed altre erano arrivate da porti non troppo distanti. Qualcuna, certamente, anche da qualche porto non propriamente ben rinomato, purtroppo. In quella taverna si poteva trovare ogni sera un'incredibile accozzaglia di furfanti e tagliagole, esperti di qualsiasi genere di affari loschi, per fortuna intenti soprattutto a bere per la maggior parte del tempo.
Alcune voci concitate si levarono da un tavolo dove era raccolta una piccola folla e dove probabilmente era in corso una partita a dadi. L’aria si stava surriscaldando pericolosamente. I buttafuori si avvicinarono minacciosi al tavolo ma la loro semplice presenza bastò a far calmare i toni. Il ragazzo al bancone sospirò di sollievo. Anche quella volta era andata bene.
Un vecchio marinaio sciancato entrò nella sala e arrancò faticosamente verso il bancone, trascinando la gamba sinistra. Era piuttosto macilento e mal vestito con una giubba sdrucita ed un cappello sudicio e malridotto.
«Due bottiglie di Rum, ragascio!»
La voce del vecchio ed il fetore di alcol che emanava non lasciavano dubbi sul fatto che fosse già abbondantemente ubriaco. Doveva essere alla seconda o terza osteria, quella sera.
«Hai da pagare, nonno?».
«Certo che scì! *hic* Per chi mi prendi?».
Il vecchio posò una mano sudicia sul bancone e vi lasciò una piccola ma splendida perla.
«Il vecchio Finn non lascia conti *hic* in sciospescio! E con questa sci pago almeno *hic* diesci bottiglie!».
Il ragazzo sgranò gli occhi, afferrò la perla e mise subito due bottiglie di Rum davanti al vecchio.
Alcuni avventori che si trovavano nei pressi, notarono la scena e si avvicinarono al vecchio ubriacone, festeggiandolo come un caro amico che non vedevano da un pezzo. In effetti non lo avevano proprio mai visto ma un simile relitto d’uomo con quella dotazione di perle appariva particolarmente simpatico e meritava decisamente un trattamento speciale.
Il vecchio fu portato quasi di peso a un tavolo malmesso, come quasi tutto l’arredamento della taverna, e venne in un attimo circondato da quei parassiti a due gambe, che continuavano a fargli un sacco di complimenti, convinti che quella serata avrebbe portato loro molta fortuna. Il vecchio pareva divertirsi tantissimo dell’attenzione che gli veniva rivolta e prese a chiacchierare con tutti.
«Sciapeste che paura, ragasci! Oggi *hic* pomeriggio, quasci mi spiaccicavano sciulla strada! Una carrozza che correva come sce avesce avuto *hic* il diavolo alle calcagna!».
Due degli avventori che erano intorno al vecchio gli si rivolsero sorridenti.
«Ti è andata bene, vecchio! Un bambino è stato investito oggi pomeriggio, non lontano da qui!».
Uno dei due si offrì di aiutare il vecchio a sedersi al tavolo, cercando maldestramente di borseggiarlo.
«Ma no che non è stato investito! Io c’ero: è stato salvato da un ragazzo che passava di lì, però c’è mancato poco!».
Intervenne l’altro ceffo, cercando di aprire di nascosto la borsa del vecchio. Dopo alcuni goffi tentativi, finì per afferrare la mano del primo.
«Ehi! Via *hic* le manacce!».
Per quanto ubriaco il vecchio si accorse dell’armeggiare dei due furbacchioni.
«Sciono ubriaco, mica scemo! Se vi piasciono le perle *hic* guadagnatevele! Ditemi di chi era *hic* quella fottutiscima carrozza che ha cercato di *hic* inveshtire il vecchio *hic* Errol Finn coscì darò una bella *hic* lezione a quei bashtardi!».
«Lascia perdere vecchio! Non è roba per gente come noi».
Il marinaio parlava senza guardare l’interlocutore, scrutando invece attentamente la giacca dell’ubriaco, nella speranza di individuare dove avesse nascosto la borsa.
«Ah no? Tu lascia *hic* che io vada a casha di quel *hic* verme! Sho farmi rispettare, *hic* io!».
Il furfante sollevò lo sguardo e fissò il vecchio ubriacone con aria divertita, figurandoselo alle prese con i bravacci di guardia a quella casa.
«A casa di chi? Di Jerorevudd? Ma non farmi ridere, quelli ti… AHI!».
Il marinaio si massaggiò la gamba lanciando contemporaneamente uno sguardo d’odio il compagno che lo aveva colpito con un calcio da sotto il tavolo.
«Ehi, dico, sei impazzito? A momenti mi rompi la gamba!».
«Ringrazia Ascaris[10] se non ti rompo la testa, pezzo di cretino!».
L’altro delinquente si dimenticò del vecchio per fissare il complice con aria di superiorità.
«Ehi, scecondo me, ti ha inshultato *hic*!». Disse l’ubriaco al furfante accanto a lui, che si stava ancora guardando la gamba colpita.
«Cretino a me non lo ha mai detto nessuno!».
«C’è sempre una prima volta! Sei cretino e linguacciuto!».
«Ah, davvero? Ora ti faccio vedere!».
Il marinaio tracannò d’un fiato il contenuto del suo boccale di birra e tentò di lanciarlo in testa al compagno che, però si scansò in tempo.
Non così l’ignaro avventore alle sue spalle che fu colpito in piena nuca e cadde in avanti sul tavolo rovesciando cibo e bevande sugli altri commensali.
Scoppiò la rissa.
Il ragazzo si era riparato dietro il bancone mentre le guardie cercavano invano di riportare un po’ d’ordine nel locale. Sedie e bottiglie volavano per tutto il salone. Il padrone non sarebbe stato affatto contento, quella sera.
Il vecchio ubriaco spuntò dietro il bancone e si avvicinò carponi al giovane taverniere. Frugò nella giacca e gli allungò un’altra bellissima perla.
«Per il disturbo, figliolo *hic*! Shaluti dal vecchio Errol Finn».
Il ragazzo guardò a lungo con meraviglia le due perle, poi rialzò gli occhi.
Il vecchio era sparito.
Errol Finn gironzolò a lungo sul molo davanti alla “Rondine di Mare”, stranamente continuando a camminare come un vecchio ubriacone sciancato quando era in vista e muovendosi con l’agilità e la silenziosità di un gatto quando poteva nascondersi nell’ombra.
Studiò attentamente la snella struttura della nave, equipaggiata con due alberi a vele quadre e un ordine di remi. Sul castello di poppa, una lampada illuminava la postazione del timoniere, in quel momento, ovviamente deserta. La prora era decorata da una polena a forma di grande uccello dalla testa protesa sul mare il cui becco ricordava da vicino un rostro da guerra. Sopra le ali della polena sporgevano gli ampi bracci di una possente ballista. Chi aveva costruito quella nave sembrava aver pensato più alla velocità di manovra e di corsa in mare aperto che alla capacità della stiva. Una scelta assai insolita, per un mercantile, per non parlare dell’equipaggiamento da guerra montato sul castello di prua.
La ciurma, composta da marinai che avevano l’aria di tagliagole incalliti, sembrava tuttavia molto ben disciplinata, lavorando alacremente, nonostante l’ora tarda e la temperatura rigida, agli ordini di un uomo robusto, alto quasi due metri e dalla voce tonante, probabilmente il capitano Nathaniel Dell in persona.
Ardis, ancora travestito da vecchio, stava per andare via, quando si accorse che un carro si era accostato alla nave e che i marinai stavano caricandolo con grossi sacchi, evidentemente piuttosto pesanti. Avrebbe archiviato la faccenda se la sua acuta vista notturna non avesse notato chiaramente come quei sacchi sembrassero muoversi spontaneamente. Li osservò con maggiore attenzione e si rese conto che evidentemente in quel carico dovevano essere racchiusi degli esseri umani, probabilmente legati. A quel punto era inevitabile accertarsi dove fosse diretto il carro e cosa significasse quel carico di persone trattate come merci.
Il carro procedeva lentamente e Ardis non ebbe alcuna difficoltà a seguirlo. Agile e silenzioso, guidato dalla vista acutissima, percorse quel tratto di strada mantenendosi sempre nascosto nell’ombra. Dopo un quarto d’ora di strada, Ardis riconobbe il luogo dove aveva salvato il piccolo Marvin. Continuò a seguire il carro anche quando si addentrò in un quartiere per così dire “popolare”, dove muoversi la sera poteva essere decisamente pericoloso. Il carro si fermò nei pressi di un palazzotto piuttosto elegante, che spiccava in quel quartiere misero, con ampie finestre sulla facciata, protette da inferriate, e strette feritoie sugli altri lati che davano su vicoli bui. Dalla struttura, si arguiva che doveva esserci un cortile centrale, sul quale si dovevano affacciare le altre finestre della casa.
Ardis si nascose in un portico avvolto nell’oscurità e si dispose ad osservare cosa sarebbe accaduto.  Il carico venne preso in consegna da un paio di robusti individui, probabilmente bravacci al servizio del padrone di casa, e i sacchi vennero introdotti nel palazzo attraverso una porticina che si apriva in uno dei vicoli laterali.
Il giovane elfo attese che il carro si allontanasse e, quando il rumore delle ruote venne sopraffatto dal silenzio della notte, si avvicinò prudentemente al palazzo. Ebbe la conferma di quel che sospettava.

[10]: dio della distruzione e delle tempeste, assai popolare fra i marinai

  
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