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Autore: Miriam85    23/08/2005    7 recensioni
Una fan fiction sul genio più giovane del mondo criminale, una storia che ipoteticamente si pone un paio di anni dopo la fine del terzo libro, narrando un misterioso e per certi versi abominevole caso di ingegneria genetica.
Spero di riuscire a scrivere una bella storia; gradisco certamenti commenti ma soprattutto suggerimenti per migliorarmi ogni giorno di più...
Genere: Azione, Avventura, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO PRIMO

Non era certo uno che amava passare inosservato, il coraggioso che aveva parcheggiato quella lunga, nera e lucida limousine in uno dei più malfamati quartieri di New York. Molti ragazzini dagli abiti lerci passarono accanto a quel gioiello, organizzando mentalmente furti che andarono a monte non appena intravedevano il gorilla che vi era stato lasciato di guardia: un omone grande, grosso, dai neri capelli striati di grigio e l’espressione degna del peggior diavolo.
Il proprietario, invece, ne era l’antitesi: basso, giovane, esile fisico dello studioso; accompagnato da una bella ragazza, si era diretto all’interno di uno dei grandi palazzi popolari, inghiottito dalla povertà che albergava in quei luoghi. Piuttosto disturbato dall’assenza di ascensore, con pazienza si era diretto alle scala, puntando al sesto piano.
“Forse diamo un po’ troppo nell’occhio?” Azzardò Juliet, sorpassando tre giovanotti dai tratti latini e idee non proprio degne di un gentleman. “Magari avremmo dovuto mimetizzarci con…”
“Mimetizzarci?” La voce di Artemis era più roca. Ultimamente molto di lui andava trasformandosi, grazie a quella metamorfosi naturale che lo avrebbe fatto diventare uomo. Tacitamente, il giovane Fowl attendeva con impazienza lo sputare di qualche pelo, anche se questo stadio era ancora ben lontano dal realizzarsi. Una volta adulto, avrebbe potuto gestire la sua intelligenza e le sue risorse al meglio, senza essere costretto a mascherare geniali imprese agli occhi di quei genitori così faticosamente ritrovati, eppure così diversi e paradossalmente sempre più lontani. “Ho con me sia te che Leale: non avrei bisogno di mimetizzarmi nemmeno in presenza del Ku Klux Klan!”
“Grazie per la fiducia… ma dobbiamo contrattare con gente pericolosa e… beh non vorrei altre distrazioni, tutto qui.” Gli occhi non smettevano mai di saettare qua e là, esplorando attentamente l’ambiente circostante. Una vera guardia del corpo; peccato che avesse deciso di interrompere gli studi.
“Pericolosa? Degli idioti che vendono una merce tanto preziosa su internet non possono certo…” Tacque. Ecco, ci stava ricascando: sottovalutava il nemico. “Hai ragione: meglio non abbassare la guardia. Ma ho come la sensazione che non avremo molti problemi. E poi…” Le sorrise, ammiccando prima all’abbigliamento provocante che le aveva domandato di indossare, poi al proprio completo di Armani. “… A volte un po’ di classe suscita quel tanto di rispetto che basta, no?”
Juliet annuì, facendo ondeggiare la lunga treccia alla cui estremità era legato un pesante – e letale – fermacapelli. Sapeva esattamente quale era il suo ruolo: oca. Non doveva fare altro che passeggiare dietro al capo, facendo ondeggiare le forme messe in mostra dallo stretto abito in velluto nero, fingendo uno sguardo perso nella stupidaggine più totale. Essere donna spesso comporta questo doppio vantaggio: rimbambire gli uomini e far credere loro di essere una povera sprovveduta.
Se solo avessero osato alzare le mani su di loro, non ce ne sarebbe stato per nessuno.
Giunsero infine al sesto piano, camminando con attenzione nel corridoio scricchiolante che sembrava non aver ancora deciso se crollare o meno.
“Eccoci qui.” Un sorriso tirato sul volto pallido, Artemis allungò una mano alla porta in fondo a sinistra, bussando un paio di volte, con eleganza. Dietro quel vecchio e marcio strato di legno forse si celava uno dei misteri che il giovane aveva inseguito per tutta la vita, galoppando come una bambina che cerca disperatamente di catturare una bianca farfalla. Dietro quella porta… c’era il senso ultimo del Mistero.
O forse più semplicemente una trappola con uomini mascherati e pallottole fischianti; ma anche questo faceva parte del divertimento.
Qualcuno rispose al bussare. Intanto, una vocina, una vocina così famigliare che spesso sussurrava nei suoi sogni lo avvertì di non entrare, di non affrontare il destino che lo aspettava. Il senso pratico di Artemis la zittì con divertita indifferenza. Non era tipo da voci, lui.
La porta si aprì.

Teneva una mano premuta contro il petto. Le doleva molto, e sospettava che il gonfiore del polso non promettesse nulla di buono… ma doveva cercare di non pensarci: nessuno lì l’avrebbe curata, quindi tanto valeva dimenticarsi di ossa rotte e sangue essiccato.
Chiuse gli occhi, tentando di rievocare i pochi momenti piacevoli della sua esistenza, sensazioni che magari avrebbero saputo donarle serenità anche in un frangente simile; voleva ricordare quelle rare volte in cui non si era sentita solo disprezzata cavia di laboratorio, ma anche essere amato e rispettato. Però le uniche immagini che la sua mente si degnò di risvegliare furono fuoco e fiamme, esplosioni del capanno del padrone che lei stessa aveva involontariamente distrutto, fuggendo con disperazione per le vie di una città la cui grandezza non aveva mai nemmeno osato immaginare.
Era stata inghiottita da quella bestia feroce, dal suo caos, dai suoi odori, e proprio quando pensava d’aver conosciuto degli uomini gentili (“Ciao bella fatina… vieni a casa con noi! Non hai fame?”), nuovamente la sua fiducia era stata tradita. L’avevano picchiata e costretta in quella stanza, nutrendola con scarti e attendendo qualche facoltoso collezionista interessato all’Incredibile Ragazza Alata, venduta ad un’asta on-line per mezzo milione di dollari a un facoltoso quanto misterioso miliardario.
La porta si aprì.

Artemis avvertì una grave forma di carenza da saliva. Una reazione decisamente normale, considerata la situazione.
Accolti da tre briganti afflitti da alitosi ed evidente allergia ad acqua e sapone, per un attimo lui e Juliet avevano supposto d’essere davvero caduti in una stupida trappola; ma, una volta vista la valigia e il suo verde e frusciante contenuto, i tre si erano tramutati in agnellini, conducendoli nell’unica altra stanza dell’appartamento, chiusa a chiave.
Rivolto uno sguardo che voleva essere furbo all’acquirente ed un altro che voleva essere languido alla sensuale accompagnatrice, uno di loro l’aveva spalancata, presentando loro la merce.
Una merce di corporatura esile, coperta di stracci e sangue. Una ragazza del tutto normale, fatta eccezione per la pelle color perla e le strane orecchie a punta, che emergevano dalla massa di morbidi boccoli.
“Sarebbe questa? Non vedo ali.” La voce si indurì al punto da far tremare quello che doveva essere il capo banda.
“Ci sono le ali, ci sono!” Entrò prepotentemente, dirigendosi a gran passi verso di lei. Le strappò un urlo a metà tra il dolore e la paura, mentre sgraziatamente la voltava, costringendola a dare la schiena agli ospiti. Una schiena nuda, sottile, dalla quale emergevano sottili ma grandi ali di fata; se le teneva ripiegate, riusciva a nasconderle alla perfezione. Quale strana creature era mai…?
“Le faccio un pacchetto o la porta via così?” Ghignò l'uomo, riconoscendo nello sguardo sorpreso del ragazzo la buona riuscita dell'affare. Ma purtroppo per lui la battuta non fu certo bene accolta, e quasi se la fece addosso, quando una fredda canna di pistola fu premuta contro la sua fronte.
“Sarà anche stata venduta come una schiava,” Il cane scattò, freddo e placido. “ma nessuno tratta così una ragazzina in mia presenza.” Fu la spiegazione dell’accompagnatrice, e Artemis non poté trattenersi dal sorridere, ricordando spaventosamente un vampiro.
Era davvero impossibile chiedere a Juliet d’essere un’oca decente.

  
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