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Autore: cabol    03/05/2010    1 recensioni
Un inquietante mistero aleggia intorno all'antica rocca e al villaggio di Brightmoon. Morti misteriose, intrighi e ululati scuotono la tranquilla campagna intorno a Baldur's Gate.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7: La villa

Blackwind rise a lungo, gioiosamente, poi si rialzò in piedi non più curvo e tremante, bensì agile e sicuro in ogni movimento. Si sbarazzò della parrucca bianca e si avvicinò alla porta. Ascoltò a lungo senza udire alcun rumore. Sorrise soddisfatto ed estrasse alcuni grimaldelli da una tasca ben nascosta nei suoi abiti cenciosi. In pochi istanti la serratura scattò.

Uscì nel corridoio buio e deserto, muovendosi in silenzio. Esplorò rapidamente la piccola prigione umida e gelida, finché si fu assicurato che le altre celle fossero vuote. Entrò nella stanza, dove avrebbero dovuto vegliare i carcerieri e che era ridotta a una disordinata cantina dove erano stati ammassati innumerevoli barilotti e fiaschi. Su un tavolaccio faceva bella mostra di sé un grosso mazzo di chiavi che il ladro esaminò con aria critica per poi scuotere la testa con un sorriso di commiserazione. Su una rastrelliera erano raccolte alcune armi il cui stato di manutenzione lasciava alquanto a desiderare. Proprio uno sceriffo in gamba. Lanciò un’occhiata disgustata al soffitto a volta che doveva, un tempo, essere decorato di affreschi dei quali erano rimaste solo alcune macchie scrostate. Sulla parete di fondo spiccavano le vestigia di un arco cieco che doveva essere stato di notevole valore artistico e che l’incuria e l’umidità avevano trasformato in un popoloso allevamento di ragni. La sua attenzione fu attratta da una lapide malconcia che recava incisi alcuni frammenti di parole: A¤¤¤ ¤¤ v¤¤ ¤¤ ¤¤¤¤¤ro ¤¤ ¤¤¤c¤ ¤¤¤¤ f¤¤¤ ¤¤¤ ¤¤¤¤ ¤¤¤ ¤¤rz¤¤¤ ¤¤ ¤¤¤¤ ¤i ¤¤¤¤ne. La studiò con curiosità, aiutato dalla sua vista notturna da elfo che gli permetteva di sfruttare la benché minima fonte di luce.

Un lieve gemito attirò la sua attenzione. Si mosse con cautela, cercando di capire da dove proveniva. Solo quando raggiunse il fondo del corridoio scorse una porticina blindata, simile a quelle che chiudevano le celle, solo più piccola. Si avvicinò con prudenza e aprì lo spioncino.

Impiegò un po’ ad adattare la sua vista all’oscurità che regnava in quel piccolo ambiente. Una figura era rannicchiata in un angolo, coperta di stracci, tremante dal freddo. Il giovane non esitò e aprì rapidamente la serratura del portoncino, venendo investito da un tanfo orrendo. Si rese conto che quella cella era in pratica poco più di un buco, dal soffitto così basso che solo uno gnomo di bassa statura ci sarebbe potuto stare in piedi. Si piegò e si avvicinò carponi al fagotto di stracci. Questo si mosse bruscamente, schiacciandosi disperatamente contro il fondo della cella.

«Sono un amico. Non temete».

Due occhi vuoti si spalancarono nel buio. Quella creatura doveva essere rimasta così tanto tempo in quella tana buia da aver quasi perduto la vista. Era spaventosamente magra e una capigliatura lunga e stopposa le ricadeva sulle spalle. Non aveva peluria sul viso, dunque ipotizzò che si trattasse di una donna. Anelli metallici le cingevano i polsi e le caviglie martoriate. Una catena correva fra quegli anelli, permettendo alla sventurata solo pochi e penosi movimenti. Rapidamente il finto pastore individuò il lucchetto che serrava la catena, agganciandola a un grosso anello infisso nella parete di roccia. Cercò di aprirlo ma era tanto arrugginito da essere pressoché inservibile. Senza attrezzi adeguati sarebbe occorso parecchio tempo per aver ragione di quel blocco di ruggine, forse tutta la notte. Troppo, in quella situazione. Improvvisamente ebbe un’idea.

«Aspettatemi. Tornerò presto a liberarvi».

La sventurata creatura non osava emettere alcun suono. Continuava a fissarlo con gli occhi sbarrati, respirando affannosamente. Il giovane rabbrividì pensando agli orrori che quella povera donna doveva aver patito. Sospettava di sapere chi fosse e, in quel caso, doveva essere lì dentro da circa un anno. Abbastanza da perdere la ragione, in un ambiente simile.

Clarence Bellingham si era appena riaddormentato, dopo essere stato tirato giù dal letto da quell’esaltato di Hull che cercava volontari per aiutarlo a cacciare dei poveracci immigrati. Lo aveva ascoltato attentamente, poi lo aveva mandato a quel paese nel modo più diretto e volgare del suo repertorio, aveva richiuso la porta e se ne era tornato a letto. Ora qualcun altro bussava. Se fosse stato ancora quell’idiota, Clarence avrebbe svuotato il vaso da notte con qualche ora d’anticipo. Si affacciò alla finestra e vide un cesto di capelli bianchi sopra un mucchio di stracci. Si chiese chi diavolo potesse essere e scese di corsa. Quando aprì, si trovò davanti ad un giovane snello, con una parrucca bianca scarmigliata, poggiata alla bell’e meglio sul cranio, vestito come uno straccione, che gli stava parlando con una voce limpida e sicura, una voce abituata al comando.

«Seguitemi mastro Bellingham, e portate qualcuno dei vostri attrezzi».

«Temo vi siate sbagliato, signore. Il cerusico abita nella strada di sotto».

«Il cerusico non c 'è, vengo da casa sua. Comunque occorre soprattutto il fabbro, almeno per ora. Seguitemi, perché non c’è tempo da perdere».

La voce dello strampalato individuo pareva non ammettere repliche, sicché mastro Bellingham prese con sé un martello e un paio di leve e si accinse a seguirlo. Quando si accorse che erano diretti all’ufficio dello sceriffo, sgranò gli occhi.

«Ehi! Dove mi state portando? Bond è rimasto chiuso in cella, per caso?».

«Bond è partito in caccia di fantasmi. Invece noi ne incontreremo uno, fra poco».

«Siete pazzo?».

«Seguitemi e lo vedrete». La voce dello straniero suonò stranamente grave in contrasto con il suo buffo aspetto e un brivido corse lungo la schiena del borgomastro. Anche la scomparsa del cerusico lo innervosiva. Dove poteva essersi cacciato? Certamente non aveva seguito Bond nella sua spedizione. Scacciò quel pensiero. Forse è andato in cerca di piante medicinali … alcune si dice debbano essere colte durante il plenilunio.

Incuriosito da quello strano individuo, Clarence entrò nell’ufficio dello sceriffo, scacciando l’abituale senso di nausea che gli procurava quell’ambiente. Seguì il giovane fino alla cella, dove rimase a bocca aperta. Quello che vedeva gli sembrava incredibile. Furia e gioia si mescolarono nella sua mente, quando, alla tenue luce di una candela, riconobbe la creatura incatenata. La voce gli tremò mentre pronunciava il suo nome.

«Keira …».

***

Robert si era appena assopito quando un rumore di zoccoli nel cortile della rocca lo fece scattare alla finestra. Socchiuse prudentemente gli scuri. Un messaggero era giunto alla rocca e stava conferendo con sir Mordred. Questi rientrò nel palazzo per uscirne poco dopo avvolto nel mantello, dirigendosi a passo rapido verso le stalle. Robert continuò a osservare la scena, fin quando il gentiluomo non fu uscito dal portone della fortezza, seguito dal messaggero. Si chiese cosa potesse significare quell’evento ma non riuscì a trovare altra spiegazione che qualcosa di urgente richiedeva altrove la presenza dell’effettivo signore di quelle terre. Stava per sdraiarsi nuovamente sul suo giaciglio, quando avvertì un rumore di passi nel corridoio.

Cautamente, si avvicinò alla porta, schiudendola per quel poco necessario a sbirciare fuori. Un’ombra, avvolta in un mantello, si muoveva furtivamente e si accingeva a scendere le scale. Il giovane sentì il cuore sobbalzare nel vedere quella figura. Era certo che quella cappa racchiudesse la sagoma dell’avvenente ancella. Rapidamente si rivestì, afferrò la spada e uscì nel buio del palazzo.

***

Un’ombra furtiva si aggirava intorno all’alto muro di cinta che circondava la villa dei Cipressi Neri. Raggiunse una macchia di alberi i cui rami arrivavano sin sopra la recinzione. Agile come un gatto, si arrampicò su uno degli alberi, salì su un ramo robusto e sporgente e balzò sul muro. Ne percorse un tratto, camminando con la sicurezza di un acrobata esperto, finché non raggiunse un altro albero, all’interno del parco. Con estrema leggerezza balzò su un grosso ramo e vi si mise a cavalcioni. Un lugubre ululato echeggiò in lontananza.

Da lassù poteva controllare accuratamente buona parte del parco e il viale che, dalla villa, conduceva al grande cancello che interrompeva il muro di cinta. Dopo circa un quarto d’ora, vide un gruppo di armati uscire dal portone e dirigersi alle stalle. Poco dopo, si diressero verso il grande cancello che si spalancò per lasciarli uscire. Alla testa del drappello, alla luce delle torce, si riconoscevano chiaramente sir Mordred e lo sceriffo Bond.

L’ombra ridiscese al suolo e cominciò ad avvicinarsi, silenziosa e invisibile, alla macchia di cipressi che circondava la villa su tre lati e che le dava il nome. Si muoveva con prudenza, tenendosi accuratamente controvento, per evitare di attirare eventuali cani da guardia.

Raggiunto il boschetto, vi penetrò silenziosamente, scomparendo per alcuni minuti. Ricomparve nel punto in cui gli alberi si avvicinavano di più alle mura della villa fortificata. Con due balzi raggiunse la base delle mura, schiacciandosi contro la roccia, immobile nel buio, sotto una finestra protetta da inferriate, posta circa tre metri sopra la sua testa. Rimase così per alcuni minuti, poi sganciò la frusta che portava al fianco e fece un passo indietro, gli occhi fissi verso la finestra. Dopo qualche secondo, la frusta saettò nell’aria, avvolgendosi intorno ad una delle sbarre. Pochi istanti dopo, la figura ammantata di nero si trovava sul davanzale della finestra. Ancora più in alto, c’era un balconcino con una balaustra costituita da leggeri colonnini marmorei. Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio, poi la frusta si stese nuovamente nell’aria, avvolgendosi intorno ad un colonnino e l’ombra si arrampicò velocemente sul terrazzo. Rimase nascosta fra le ombre per alcuni minuti, poi aprì la porta-finestra e si introdusse all’interno della villa.

Blackwind era abituato a pianificare attentamente le sue azioni ma, stavolta, era costretto a improvvisare. Non sapeva nulla di quella casa. D’altronde, quell’intrusione furtiva nella villa fortificata sarebbe stata soprattutto un’esplorazione, destinata a porre le basi per le sue mosse successive. Non stava cercando ricchezze ma informazioni.

La stanza dove era entrato doveva essere una specie di salottino, arredato con un gusto che faceva supporre decisamente l’intervento di una donna. Con calma esaminò il locale. C’erano due porte. Una doveva condurre verso l’interno della villa, forse in un corridoio, l’altra si apriva in una stanza accanto a quella dove si trovava, verosimilmente la camera da letto della misteriosa dama. Si pose in attento ascolto, silenzioso e con tutti i sensi all’erta. Non udì il minimo rumore, dunque provò ad aprire dolcemente la porta. Il letto appariva in ordine. Nessuno vi era ancora giaciuto, quella sera. A quanto si sapeva, sir Mordred non era sposato e sua sorella aveva lasciato la casa da tanti anni, dunque, chi era la donna che viveva lì? Esaminò la stanza con cura, senza trovare granché. La cassapanca era semivuota, con qualche abito femminile di gran pregio e un elegante paio di stivali di pelle. Una dama, dunque.

Riprese a interessarsi del salottino. Si avvicinò a una specchiera di pregevole fattura, esaminandola attentamente in cerca di indizi che gli permettessero di capire chi fosse colei che viveva nella casa di Sir Mordred. Aprì i cassetti delicatamente, trovando trucchi che parevano usati di recente e gioielli. Una boccetta di profumo lo incuriosì. Aprì il tappo e lo annusò prudentemente. Un’espressione perplessa si dipinse sul suo volto. Richiuse immediatamente la boccetta e riprese l’ispezione della toilette. Spesso, in quel genere di mobile, si trovavano scomparti segreti, dove le dame nascondevano oggetti di valore o compromettenti. Impiegò mezz’ora buona ma riuscì a scovarlo. Una nicchia si spalancò sotto lo specchio. Il giovane riconobbe subito il contenuto, sentendosi improvvisamente girare la testa.

Ora il mosaico era completo. Ora sapeva quale fosse il vero pericolo. Si chiese se sarebbe stato capace di affrontarlo. Richiuse lo scomparto segreto.

Esplorò rapidamente la stanza, senza trovare null'altro di veramente interessante. Si diresse verso la parete opposta, aprendo prudentemente la porta. Conduceva a un ballatoio sul quale si aprivano altre tre porte e che sboccava su un elegante scalone che scendeva al piano inferiore, in quello che sembrava l’atrio dell’abitazione.

Cominciò a esplorare le altre due stanze, oltre la camera della dama. Una era la camera di sir Mordred, l’altra uno studio. Esaminò accuratamente la camera, dove rinvenne poche cose degne d'interesse. Solo un mantello verde, sporco di fango destò la sua attenzione. Emanava un insolito odore selvatico, come se fosse stato a stretto contatto con qualche animale. Passò allo studio, dove poté esaminare alcune carte che dimostravano come sir Mordred amministrasse quelle terre. Rimase incuriosito da alcuni documenti. I possedimenti della villa dei cipressi neri erano notevolmente cresciuti, negli ultimi tempi. Nulla di particolarmente strano se non fosse per il fatto che sir Mordred amministratore della rocca aveva venduto quelle terre a sir Mordred proprietario della villa. E anche i possedimenti del vicino lord Cardekon si erano notevolmente accresciuti, con lo stesso sistema. Si intendono alla perfezione, sorrise fra sé l'avventuriero. Proseguì l’esplorazione dell’abitazione. Al terzo piano, come di norma, c’erano gli alloggi della servitù e un discreto assortimento di armi che dimostrava come il personale fungesse anche da guardia personale del signorotto. Evidentemente, tutti gli uomini lo avevano seguito nell'impresa di dare la caccia agli immigrati, giacché solo un'anziana donna e una bambina dormivano in quegli alloggi.

Scese silenziosamente le scale per raggiungere il piano terreno. Un ampio salone, riccamente arredato di arazzi pregiati e dal soffitto affrescato con immagini bucoliche, era adibito a sala da pranzo, con un enorme tavolo centrale e un immenso camino, la cappa del quale era completamente rivestita da pannelli di legno scuro. Osservò con attenzione le pareti e si avvicinò ad alcuni quadri, esaminandoli con occhio esperto. Passò al setaccio anche i soprammobili e gli oggetti di pregio sparsi qua e là. Poi esplorò un altro salone, evidentemente attrezzato per ricevimenti, e due salottini arredati con cura, adatti a trattare affari al riparo da sguardi indiscreti. Infine, esaminò con cura anche la cucina, senza trovare granché d'interessante.

Scese in cantina cercando qualcosa che confermasse le ipotesi che aveva formulato ma non trovò nulla. Era una cantina relativamente piccola, estremamente pulita e ben tenuta. Le pareti erano lisce e asciutte. Risalì nel salone da pranzo. Eppure deve esserci. Sedette su una poltrona con gli occhi fissi sul soffitto della stanza, perplesso. Mi sarei aspettato di trovarlo qui. Si rialzò di malavoglia. Il tempo stava passando e presto si sarebbe dovuto allontanare, sir Mordred non avrebbe passato tutta la notte a dar la caccia ai fantasmi. Si avvicinò al camino, studiandone la copertura di legno scuro. Poi gli sorse un dubbio. Sfilò il pugnale dal fodero e provò a inserirne la lama fra due assi di legno. Il camino era decorato dai simboli di Selûne, coperti, ma ancora perfettamente riconoscibili. Tornò rapidamente in cantina.

***

Robert si muoveva silenzioso, seguendo la figura indistinta di Lucy, lungo un ripido sentiero che scendeva rapidamente, costeggiando i boschi, verso la vallata sottostante. La ragazza si muoveva con rapida e sicura agilità, dimostrando una volta di più la sua perfetta conoscenza di quei paraggi, aiutata dalla luce della splendida luna piena di quella notte. Un ululato lontano ruppe il silenzio di quei luoghi.

***

I passi del giovane Ian suonavano decisi nel bosco, attutiti dall’erba alta. Camminava rapidamente, senza curarsi del rumore che causava, scuro in volto, gli occhi fissi davanti a sé. Proseguì per un quarto d’ora, per sentieri che conosceva ormai a memoria, percorsi quotidianamente negli ultimi due anni, quando aveva coltivato la speranza di essere arrivato a casa.

«Ian?». Una voce esitante risuonò da dietro un cespuglio.

«Sì, Georg. Sta’ tranquillo».

In una piccola radura, un gruppo di cinque giovani, malamente armati e dall’aria spaurita, stava attendendo l’arrivo di colui che riconoscevano come loro capo. Appena Ian emerse dal sentiero, gli si fecero intorno.

«Allora?».

«Che ti ha detto?». Le voci dei giovani erano concitate, cariche di tensione.

«Il tiranno ci sta cercando dalle parti del vecchio mulino. Non so chi gli abbia messo in testa quest'idea ma gli Dei ci offrono un'occasione e noi non possiamo lasciarcela sfuggire».

«Cosa facciamo, allora?». Un tono di delusione era comparso nelle parole di quello che il giovane Ian aveva chiamato Georg.

«Quello che avevamo progettato. Avremo una patria solo quando ritroveremo la dignità che ci hanno sottratto. E potremo recuperare la nostra dignità solo abbattendo chi ci opprime».

«Noi siamo con te, Ian». La voce di Georg, però, tremava, nel pronunciare quelle parole.

«Fratelli, giuriamo di vivere e morire insieme, finché la nostra gente non otterrà la libertà che ci è negata». Ian alzò la spada verso la splendida luna. Le lame dei suoi compagni si affiancarono alla sua.

«Giuriamo!».

«Giuriamo!».

Un ululato proveniente da molto lontano parve commentare lugubremente il voto dei giovani cospiratori.

«La notte è propizia, con questa luce potremo muoverci rapidamente. Se ci muoveremo con decisione, il tiranno sarà in mano nostra mentre torna alla villa. È tanto sicuro di sé da prendere solo pochi uomini di scorta».

Ian si mise alla testa del gruppetto, inoltrandosi nei boschi con passo sicuro. Gli altri lo seguirono, meno baldanzosi, scambiandosi occhiate nervose.

***

Lucy camminava sicura, lungo i sentieri che conosceva benissimo, pur con un tremito in fondo al cuore che sobbalzava ogniqualvolta nella notte echeggiava un ululato. La splendida luce lunare le scendeva fino in fondo all’anima, riscaldandola e dandole il coraggio di affrontare la paura. Aveva la sensazione di non essere sola, che occhi misteriosi la stessero scrutando nell'ombra. Alcune volte le sembrava di avvertire un rumore, un fruscio, da qualche parte intorno a lei e il gelo le attanagliava il cuore. Tuttavia andava avanti. Aveva una missione da compiere, dalla quale dipendevano numerose vite. Non poteva fermarsi.

In certi momenti, riconosceva le sagome familiari di alberi e rocce che aveva visto numerose volte e che le davano una calda sensazione di sicurezza. In altri, non distingueva bene i luoghi intorno a lei e il terrore di aver smarrito la strada la pervadeva. Continuava a camminare speditamente verso la valle, sapendo che dalla sua rapidità dipendeva la riuscita del suo compito. Un altro ululato risuonò nella foresta.

***

Blackwind risalì dalla cantina soddisfatto. Aveva trovato tutto quel che cercava. Comunque, rifece il giro della casa, ricontrollando quanto aveva scoperto e riflettendo. Si stava formando un’ipotesi. Che si sposava perfettamente, pur rendendolo ancora più perverso, con l’intrigo che si stava svelando di fronte ai suoi occhi. Ora restava solo qualche dettaglio. Tornò nel salottino dal quale era entrato per fermarsi nuovamente davanti alla specchiera. Avrebbe voluto portarsi via il contenuto del cassetto segreto ma si trattenne. Meglio che non si sentissero minacciati. Si mise a scrivere su un foglio di carta.

***

Robert procedeva con enormi difficoltà, cercando di non perdere il contatto con Lucy e, contemporaneamente, di non far rumore per non farsi scoprire dalla ragazza. Quei luoghi gli erano sconosciuti e il sentiero ripido gli rendeva difficile quel pedinamento. A un tratto temette di averla persa. Non la distingueva in alcun modo e si chiese come potesse essere accaduto. Si fermò in ascolto. Dopo un attimo sentì un fruscio che pareva venire di sotto a lui. Si sporse prudentemente fra le fronde e si rese conto che il sentiero scendeva bruscamente, con una rudimentale scaletta di pietre, per un dislivello di circa tre metri. Si sentì rincuorato perché questo spiegava come la ragazza fosse sfuggita alla sua vista. Un attimo dopo, però, il cuore gli sussultò, nel vedere alcune figure ammantate sbucare dall’ombra e circondare la giovane.

Valutò la possibilità di saltare addosso a quegli sconosciuti ma si rese immediatamente conto che non sarebbe riuscito a sconfiggerli tutti. Rimase in attesa, cercando di capire cosa stesse accadendo.

Lucy non pareva allarmata da quell’incontro e si mise a parlare fittamente con quello che sembrava il capo del gruppo. Robert cercò di ascoltare cosa si stessero dicendo ma non riuscì ad afferrare che qualche pezzo di parola. Il tono della conversazione, però, lo rassicurò. Non c’era minaccia nella voce degli uomini, né timore in quella dell'ancella. Si rilassò. Forse Lucy aveva terminato la sua missione notturna.

Un fruscio.

Dalla boscaglia emerse un animale da incubo. Pareva un lupo ma di dimensioni triple rispetto alla norma, gli occhi iniettati di sangue che rosseggiavano fra l’ispido pelo nero, le fauci mostruose, spalancate mostravano zanne affilate simili a pugnali. Con un ruggito spaventoso piombò in mezzo al gruppo, disperdendolo e puntò sulla ragazza che lanciò un urlo di terrore disperato.

  
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