Tre
Colpi
Salve
a tutti. Eccomi qua con una
mini-fic che mi sento quasi in colpa a scrivere, dal momento che ho da
parte
alcune long che devo finire. Invece, l’ispirazione (mi fa
sentire così
importante dire così) ha preso il sopravvento, e ora eccomi
qui, a pubblicare
pezzi di frasi sparse nella mia mente e nel mio computer, che
finalmente hanno
trovato una loro collocazione. Dal momento che è nata come
una one-shot, e
ancora non sono del tutto sicura di continuarla, gradirei molto (che
dico,
MOLTISSIMO) ricevere dei commenti, belli o brutti che siano.
Dedicato
a tutti coloro che
conservano gelosamente un doloroso 31 marzo da qualche parte. E che,
ancora
adesso, quando chiudono gli occhi, fissando fuori dal finestrino, la
musica
nelle orecchie, riescono a vedere come sarebbe stato e come avreste
ripercorso
i momenti, anche brutti, passati, senza rimorso o malinconia, ma
semplicemente
ridendone insieme.
“Lasciami
stare, Cormac”
Hermione
sbucò dal ritratto della signora grassa e entrò
nella Sala Grande, seguita a
ruota da Mc Laggen. Fortunatamente, data l’ora tarda, non
c’era nessuno.
“Hermione,
cerca di ragionare.” Il ragazzo, dietro di lei,
tentò di afferrarle il braccio,
ma lei si divincolò.
“Cormac,
ascolta. Non so bene come fartelo capire meglio di
così.” Si era fermata, e lo
fissava con intensità, sperando che finalmente recepisse il
messaggio. Per un
attimo sembrò quasi che il ragazzo si fosse reso conto della
verità delle sue
parole, ma poi continuò:
“Herm,
amore, sei solo stanca.” Ribattè debolmente con un
sorriso.
Giusto
cielo,
pensò la ragazza.
“Ascolta,
Cormac. Devi capire che… non c’è alcuna
possibilità che questa… ehm… cosa” Hermione
gesticolò, indicando ad
ampi gesti sé e il ragazzo, nel vano tentativo di fargli
capire ciò di cui
stava parlando. “Sì, insomma, questa relazione
possa andare avanti.”
Mentre
prima si era sentita triste per la rottura con Cormac, ora era
semplicemente
furiosa, e fissava il ragazzo, che faceva finta di non capire, con aria
truce.
Improvvisamente
Cormac cambiò espressione, e da serenamente inconsapevole
diventò arrabbiato.
Anzi, decisamente furioso. Hermione, per un attimo, si illuse che lui
avesse
finalmente preso atto della rottura, ma dovette ricredersi.
“C’è
qualcun altro?” Strinse i pugni e gonfiò il petto,
come il suo primitivo
istinto maschile gli suggeriva. “Chi è?
Dimmelo.”
Hermione
sbuffò, tentando di mascherare il turbinio di emozioni che
la stavano sconvolgendo.
Cercò di imprimere sul volto la sua aria più
spavalda e incredula.
“Ma
è
assurdo!” Hermione sperò vivamente che la sua voce
beffarda e fiera non la
abbandonasse proprio in quel momento.
“Ma
come
puoi pensare una cosa simile?”
E, senza
dargli il tempo di ribattere, si girò, diretta verso il suo
dormitorio.
“E’
Weasley, vero?”
La domanda,
o meglio, la quasi-affermazione di Cormac la colpì come un
pugno nello stomaco.
Certo
che era Weasley.
“Ma
come ti
vengono in mente certe cose?” Malgrado il suo cervello, e
anche il suo cuore,
le suggerissero di scappare per le scale, entrare nella sua camera e di
chiudere la porta dietro di sé, uno stupidissimo istinto
masochista la convinse
a restare e girarsi.
“Non
fare
la finta tonta. Ho visto come lo guardi.” La voce di Cormac
tremava dalla
rabbia. Era così sicuro della sua opinione che
parlò come se Hermione non
avesse mai detto nulla.
“Non...
non
ha senso.” La voce di Hermione suonava debole perfino alle
sue stesse orecchie.
Da quando McLaggen era diventato così intelligente? Non
avrebbe mai pensato che
uno come lui potesse possedere un così grande intuito.
Cormac
reagì a questo suo tacito assenso in un modo che
stupì Hermione ancor più della
sua celata intelligenza. Sogghignò. Un sogghigno sadico e
beffardo, tagliente
abbastanza da nascondere la delusione per essere stato appena lasciato.
“Weasley?
Mi stai prendendo in giro?” Il suo tono, beffardo, la
ferì più delle sue parole.
No,
non un Weasley. Ma Ron, il suo Ron.
“Tu
non
puoi capire.” Non era ancora arrivata al fondo della frase
che si rese conto
della sua stupidità, e di quanto queste parole dovessero
suonare senza senso
per lui. L’aveva ammesso, quasi più a se stessa
che a lui, e credeva a stento
alle sue stesse parole.
Cormac
rimase senza parole. Quando però si riprese,
mostrò un odio e un risentimento
così profondi che sarebbero stati eccessivi persino per un
Serpeverde.
“Sai
che ti
dico?” Il ghigno stampato sul suo volto malcelava i suoi veri
sentimenti. “Sei
patetica.”
Hermione si
sarebbe aspettata di tutto, perfino le lacrime da quel ragazzo che le
ripeteva
ogni giorno quanto l’amava. Sicuramente, però, non
era preparata per una
risposta così fredda e collerica.
“Patetico,
davvero.” Ribadì McLaggen. “Come puoi
prenderti una sbandata per uno che, oltre
a essere così sfigato e ridicolo, come
dire…” Fece una pausa, per accentuare le
successive parole. “Ti ritiene poco meno di una
sorella?”
Un
colpo.
Hermione
non si sarebbe sorpresa se in quel momento tutti i suoi compagni di
casa si
fossero svegliati, tanto era stato forte quel colpo. O forse
l’aveva sentita
solo lei, quella pugnalata al cuore.
La ragazza
inspirò profondamente, o passò le mani sudate
sulla gonna, cercando di
recuperare ciò che rimaneva del suo autocontrollo, e intanto
raccogliendo tutte
le risorse che la sua brillante mente poteva offrirle, ogni forza che
la
potesse aiutare a risollevarsi dal profondo baratro in cui stava
cadendo.
“Tu
non
puoi capire.” Un sussurro, quattro parole dense di
significato uscirono dalle
sue labbra, ma non furono abbastanza per dissuadere McLaggen
dall’infierire
ulteriormente.
“Già,
non
posso capire.” Il suo tono era impregnato di un sadismo che
Hermione non
conosceva. “Perché mai una come te dovrebbe
prendersi una cotta per uno che non
si rende neanche conto che è una ragazza?”
Due
colpi.
Cormac
aveva ragione. Aveva così dannatamente ragione che, a prova
di ciò, Hermione
dovette fare appello a tutte le sue ultime forze per ricacciare
indietro le
lacrime. Qualcosa, dentro di lei, sembrò muoversi. Cormac
non avrebbe mai
capito cosa si provava. Una rabbia silenziosa si impossessò
della ragazza,
donando al suo corpo l’energia necessaria per voltarsi e per
fronteggiare il
suo temibile interlocutore.
“Lasciami
in pace. Ho tentato di spiegarti con le buone che non possiamo
più stare
insieme, quindi vedi di fartelo piacere.” Vedendo poi che il
ragazzo di fronte
a sé non accennava né ad abbassare lo sguardo,
né a mostrare un qualche
sentimento diverso dalla rabbia, continuò:
“Tu
non
puoi biasimarmi. Io non posso continuare così. Non posso
continuare a illudere
una ragazzo che non amo.” Spinta dallo sguardo ancora
arrabbiato di Cormac, non
si trattenne.
“Tu
non hai
idea di cosa significhi svegliarsi ogni mattina e scoprire con dolore
che il
tuo primo pensiero non è stato il tuo ragazzo, ma una
persona che non si
accorge di te. Tu non sai”
sottolineò
le ultime tre parole con più vigore, impregnandole di tutto
il dolore che
provava in quel momento. “Tu non sai cosa vuol dire andare a
dormire e pensare
soltanto a lui, addormentarsi, e sognare soltanto lui… Ma
soprattutto, tu non
sai cosa significa vivergli accanto ogni giorno, vederlo, parlargli,
abbracciarlo, e nello stesso tempo sperare che lui sia felice ogni
istante
della sua vita, anche se non con te.”
La sua voce
aveva perso il vigore iniziale, traducendosi a poco più che
un debole sussurro.
“Tu
non sai
cosa vuol dire amare una persona che ti guarda, ma che non ti vede
davvero, che
ti parla, ma non con le parole che vorresti sentire.” La sua
mano corse alla
ricerca di un appiglio, e la ragazza iniziò a stringere
convulsamente lo
spigolo di un tavolo, sperando che questo sostegno le avrebbe dato la
forza di
andare avanti.
“Tu
non sai
cosa vuol dire amare un ragazzo, e cercare disperatamente di amarne un
altro. E
fallire.”
Terzo
colpo.
Hermione lo
sentì arrivare ancora prima di avvertirne gli effetti su di
sé, in tutta la
loro ferocia.
Cormac le
si avvicinò, pallido in volto, lo sguardo deformato in un
misto di dolore,
rabbia e disprezzo.
“No.
Non so
cosa vuol dire.”
Si
voltò e,
senza dire di più, si avviò verso il dormitorio
maschile. Mentre saliva i primi
gradini, il ragazzo si voltò nuovamente verso Hermione.
“Non
finisce qui.” E, lasciando dietro di sé
l’ombra di questa velata minaccia,
sparì su per le scale.
Passarono
minuti,
ore, anni, prima che Hermione si concedesse un respiro. Il debole
sostegno
della sedia non bastava più.
Si
accasciò
a terra e cominciò a piangere.