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Autore: rhys89    04/05/2010    3 recensioni
L'attesa è un dolce e maledetto tormento, quando ti divide da una persona speciale...
Un'attesa che la separa da una risposta di cui ha più bisogno di quanto sia disposta ad ammettere...
Sorride a quel pensiero, abbracciando d’istinto il cuscino e nascondendovi il viso rosso d’imbarazzo: sembra un’adolescente alla sua prima cotta.
Eppure non riesce a non essere stupidamente felice.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolino dell'autrice


Salve a tutti! ^-^
Allora, per prima cosa voglio fare una doverosa precisazione: l'incipit di questa storia (il primo paragrafo in corsivo, per intendersi) non è farina del mio sacco, ma è di proprietà di Giusi Marchetta.
Tutto questo perché questa storiella è nata soltanto per partecipare ad un contest letterario chiamato blu su bianco, ma mi sono resa conto troppo tardi che i termini di invio erano scaduti.
Comunque, dato che ormai era finita, ho pensato di postarla qui, e vedere cosa ne pensa la gente. Soprattutto perché l'ho scritta in maniera "forzata", ed è venuta fuori una storia totalmente fuori dai miei canoni. Quindi sono curiosa di sapere se è un totale disastro o se, magari, qualcosa si può salvare...
Detto questo vi saluto e vi auguro buona lettura. ^_^

Il profumo dell'amore

La sua camicia è una macchia bianca sul letto. Lei la ignora: infila nel cassetto la biancheria pulita, mette la borsa nuova sul ripiano più alto dell’armadio, apre la finestra e cambia aria alla stanza. Va a sedersi davanti allo specchio.
E’ bella, oggi; sembra quasi che il trucco di ieri sera le sia rimasto addosso. Ora può girarsi, raggiungere il letto.
Prima sfiora il colletto e accarezza le maniche, poi se la preme sul naso, sulla bocca. Sorride: che stupida.
Va all’armadio e cerca una stampella libera. Si sforza di non guardare il telefono anche se è lì, sul comodino.


E d’improvviso le viene in mente quando, da bambina, si sforzava con tutta se stessa di non controllare sotto il letto, prima di andare a dormire. Perché tanto i mostri non esistevano: glielo aveva detto suo fratello grande, e lui sapeva sempre tutto.
Eppure, dentro il suo piccolo cuore, faceva sempre capolino l’ombra dell’inquietudine, come un suono attutito di passi lontani in quel sentiero astratto che conduce al mondo dei sogni.
Si riscuote con un sorriso, preferendo non pensare a cosa avrebbe detto sua nipote di quel collegamento inconscio. Anche se, si dice mentre con gesti meccanici ripone la camicia, in fondo non serve essere una psicologa per mettere in relazione le due cose: ha paura.
Una dannatissima paura, di quelle che chiudono il cuore in una morsa di ghiaccio ed impediscono quasi di respirare. Paura che quel dannato telefono rimanga muto, paura di sentirlo squillare e scoprire di essersi illusa…
E così aveva scelto di non pensarci. Di rifugiarsi nel dolce limbo dei ricordi, rivivendo all’infinito quelle ore meravigliose…

Era una festa come tante, quella. Musica noiosa, invitati noiosi, discorsi noiosi.
Non che si aspettasse altro dall’ennesimo party di beneficenza, sia chiaro. A volte aveva il sospetto che il livello di simpatia degli invitati fosse inversamente proporzionale alla cospicuità delle loro donazioni… e quella sera dovevano essere presenti i più generosi.
Ovviamente non si era lasciata scoraggiare, dopotutto era una professionista, e aveva distribuito sorrisi e parole gentili a chiunque si trovasse nei suoi paraggi.
Stava cominciando l’ennesimo giro della sala quando accadde: un ospite, preso dall’enfasi del discorso, allargò improvvisamente le braccia proprio mentre passava lei, colpendo il vassoio di tartine che portava in bilico sulla mano destra.
La donna aveva tentato il disperato recupero della situazione, sbilanciandosi ancora di più, fino a perdere completamente l’equilibrio.
Sarebbe rovinata a terra come il suo piatto, se non fosse stato per due forti braccia che la sostennero, risparmiandole almeno quella figuraccia.
Aveva fatto appena in tempo a scorgere con la coda dell’occhio la schiena del maleducato che l’aveva spinta mentre questo si allontanava alla chetichella, senza neanche chiederle scusa. Certa gente non aveva proprio alcun pudore.
Si era poi voltata verso il suo salvatore con un sorriso grato, riconoscendo nel suo volto un qualcosa di familiare che, però, al momento le sfuggiva. L’aveva ringraziato con calore, prima di iniziare a ripulire il piccolo disastro. Quando si rialzò, l’uomo misterioso era scomparso. Proprio come un angelo…

Sorride a quel pensiero, abbracciando d’istinto il cuscino e nascondendovi il viso rosso d’imbarazzo: sembra un’adolescente alla sua prima cotta.
Eppure non riesce a non essere stupidamente felice.

La sala si stava lentamente svuotando, e ormai poche decine di persone continuavano a calpestare i marmi preziosi del centro congressi. Si concesse cinque minuti di riposo: era veramente sfinita.
Si sedette ad un tavolo in disparte, prendendosi il volto tra le mani e massaggiandosi piano le tempie per tentare di riacquistare un minimo di energia.
«Brutto momento?» Chiese una voce gentile, alle sue spalle.
Si maledisse mentalmente per essersi fatta sorprendere in quello stato, poi si voltò verso il suo interlocutore.
Il misterioso salvatore di poche ore prima le sorrideva sincero, appoggiato ad una colonna, e lei non poté fare a meno di rispondere a quel sorriso e alla domanda.
«No, sono soltanto stanca.» Aveva detto, soffocando uno sbadiglio improvviso che sottolineò ancor meglio il concetto.
Lui allora le si era seduto accanto, ed avevano iniziato a parlare.
Della serata, della città, dei loro interessi.
Avevano scoperto di odiare entrambi la cannella, di essere andati alla stessa scuola superiore - ecco perché le sembrava familiare - ed un sacco di altre cose.
E i cinque minuti di pausa erano diventati dieci, poi venti, poi mezz’ora.
Prima che potesse rendersene conto, la festa era finita, ed era giunto il momento di andare a risistemare tutto.
Si separò a malincuore dal suo compagno e tornò a lavoro, convinta che non lo avrebbe più rivisto.
Non era mai stata una brava veggente.

L’irritante allarme della lavastoviglie la riportò per un momento alla realtà. Aprì lo sportello per far uscire il vapore, poi iniziò a riporre ogni cosa, la mente di nuovo alla sera prima.

Quando lo aveva visto sul marciapiede di fronte all’uscita di servizio non riusciva a credere ai propri occhi.
Lui le aveva sorriso, felice come un bambino all’idea di averla colta di sorpresa, ed ogni dubbio si era sciolto nel calore di quello sguardo.
Passeggiarono insieme per un tempo indefinito, immersi in una bolla che li estraniava dal mondo intero. Andarono sul lungomare, camminando scalzi sulla sabbia umida fino a sedersi sugli scogli, abbracciati.
E intanto parlavano, ridevano, scherzavano.
Era come se si conoscessero da sempre, o come se non avessero fatto altro che cercarsi, in tutti quegli anni.
Trovarsi nella sua camera d’albergo, poche ore dopo, non fu altro che una naturale conseguenza di quel fiume che l’aveva travolta, trascinandola in un vortice sempre più intenso di emozioni.

Si alzò di scatto, tornando all’armadio e riprendendo la camicia tra le braccia. L’annusò ancora e ancora, cercando di imprimersi nella mente quell’odore meraviglioso. Il suo odore.
Sorrise di nuovo, rievocando le sensazioni di quella che era stata la notte più bella della sua vita.
Un sorriso che si incrinò appena, nel ricordare il risveglio che ne era seguito.

Il sole era già alto nel cielo quando Morfeo aveva sciolto il suo abbraccio. Ancora ad occhi chiusi si era mossa piano sotto le coperte, scoprendo di essere sola in quel grande letto.
Lentamente aveva messo a fuoco la stanza, concentrandosi su tutti quei particolari che prima non aveva notato.
Le tende in pesante velluto blu.
Le coperte in lino ricamato.
Le abat-jour in ferro battuto sui comodini.
Ai piedi di quella al suo fianco stava un foglio piegato in due.
Diceva: “Buongiorno! Scusa se non ti ho svegliato, ma sembravi così rilassata che non ne ho avuto il coraggio. Sono dovuto andare a lavoro, ma tu ordina pure quello che vuoi per colazione e fallo mettere sul mio conto.”
C’era anche un ps: “Sono stato benissimo stanotte.”
Nient’altro.
Non un accenno ad un’eventuale storia, non una semplice richiesta di vedersi ancora… niente.
L’aveva fatto perché pensava di trovarla ancora al suo ritorno o perché realmente non gli interessava?
Quel dubbio le invase la mente con forza, facendosi largo tra i mille pensieri contrastanti. Le fece compagnia mentre, con gesti volutamente misurati, si rivestiva, mentre si pettinava e mentre prendeva cappotto e borsa.
Prima di uscire aveva riletto quelle poche righe, soffermandosi sul ps. Poi, prima che il suo orgoglio potesse impedirle di fare quella che probabilmente era una grossa sciocchezza, aveva scritto il suo numero sul retro del foglio.

Era quasi sera, e di lui nessuna traccia.
Tese ancora una volta l’orecchio, sperando di sentir finalmente suonare il telefono…
Quello rimase muto.
Ma qualcuno bussò alla porta.



Angolino dell'autrice bis


Allora che ve ne pare? Spero sia piaciuta... Comunque il motivo di questo secondo angolino è un altro: visto che il finale si apre a molte interpretazioni, mi pacerebbe farvi una domanda: secondo voi chi ha bussato alla porta?
Sarei davvero curiosa di saperlo, quindi ringrazio tantissimo chiunque vorrà rispondermi...
Ciao! ^_^
   
 
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