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Autore: Hoel    27/05/2010    7 recensioni
"Koukou tout le monde …
Si può?
Mi chiamo Camus (come il grande Albert !) Molinier e sì lo so, mostruosa allitterazione della “m”, tanto da valermi sia a casa, che a scuola il nomignolo di “Momus” con mio sommo chagrin, anche perché sembra più un appellativo da gatto, che da essere umano, non vi pare?
Ho diciassette anni e mezzo, quasi diciotto, e quest’anno sto felicemente veleggiando verso il sospirato bac littérature, [...] Bien, credo che possiamo incominciare, no? Spero di non avervi annoiato con questa mini presentazione del sottoscritto, ma sapete, espediente narrativo, giusto per chiarire che sì, sarò io a raccontarvi questo doloroso dramma."
***
Per ogni studente francese che si rispetti, il bac o bacalauréat è sinonimo di libertà, verso la vie folle degli universitari. L'unico problema è arrivarci, ché la strada è lunga e perigliosa; specie, se ci si mette di mezzo la famiglia, con dei fratelli a dir poco ... inaspettati!
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Gemini Kanon, Gemini Saga, Leo Aiolia, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Salut a tutti! Rieccoci qua con il secondo capitolo! Allora, prima d’incominciare il nuovo capitolo, un po’ di vocabolario d’emergenza, per delle parole che troverete nella storia:

Mec = è il moroso, il fidanzato;

Gonzesse = la morosa, la fidanzata;

Flûte = lett., sarebbe il flauto, ma per i francesi corrisponde al nostro “cacchio”;

Enfin = “insomma”, usato spesso anche come intercalare;

Chouchou = da chou, ovvero cavoletto. Corrisponde al nostro “ciccino” o “tesorino” o a qualsiasi interpretazione stucchevol – amorosa vogliate dargli;

Roastbeef = oltre ad essere una pietanza, questo è il nomignolo con il quale i francesi chiamano gli inglesi. Chissà perché, ci si offende sempre con il cibo: insomma; i francesi sono “mangiarane”; gli italiani “pastasciutta o mangiapasta”; i tedeschi “crauti” … boh …

Tiens = lett. significa “tieni”, usato a volte come esclamazione, corrisponde circa al nostro “Toh!”

Ta gueule = forma contratta di ferme ta gueule (chiudi la tua gola) corrisponde all’italiano “chiudi il becco!”

Mon oeil = lett. “il mio occhio”, è un’espressione ambivalente: da una parte, viene utilizzata, quando si vuole ironizzare, tipo “Sì, come no! Sicuro!”; dall’altra, segna un totale rifiuto: “Un corno!”

Cochon = maiale, usato per definire sia l’animale, che varie attività sconce;

Conneries = stronzate o cazzate, insomma, cose molto sciocche;

La ferme! = smettila!

Bordel = bordello, viene spesso utilizzato come esclamazione o imprecazione;

Putain / P’tain = il mestiere più antico del mondo …

Crétin geignard = cretino piagnucoloso;

Canard laqué = anatra alla pechinese, ricetta tipica cinese;

Le goûter = la merenda!

Minou (pronuncia minù) = gattino

Foi de … + nome = nei giuramenti corrisponde a “parola di …”

 

Basta, credo di averle inserite tutte, almeno quelle più ostiche, comunque per intuizione si capisce, per fortuna!

Un enorme ringraziamento ai miei lettori e recensori (cui per motivi di spazio risponderò alla fine del capitolo) e …

Buona lettura!

 

H.

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“Quindi, traslocheranno proprio questo pomeriggio?”, domandai a Maman, osservando infelice il mio café au lait.

“Esatto”, mi confermò lei, appoggiando la sua tazza, per attaccare il croissant al miele. “O meglio, si fermano da noi stanotte e il giorno successivo incominceremo il vero trasloco!”

“Ma non possono venire allora domani?”, mi lagnai, per nulla entusiasta dall’idea di avere subito in casa il Demonio e famiglia. “Come mai tutta questa fretta?”, fu la mia domanda retorica: ovvio che Maman voleva restare appiccata come una patella al suo nuovo e (a Dio piacendo) definitivo mec il prima possibile.

“Vedi, Momus, dobbiamo approfittarne ora, che Saga e Kanon sono qui, così ci possono dare una mano e finiremo prima!”, fu la pragmatica risposta di mia madre, nonostante avesse benissimo intuito, che io conoscevo il suo vero motivo e il modo con il quale cercò di nascondere il rossore del suo viso dietro alla tazza me lo confermò.

“Tzé! La nostra casa è ben fornita: che cosa devono portarsi di nuovo?”, affermai piccato, interpretando il trasloco come un’alterazione del mio territorio. Il che, sotto certi punti di vista, lo era: nuovi mobili, nuovi accessori, nuovi vestiti, nuovi inquilini avrebbero modificato l’equilibrio e il silenzio della mia abitazione, chissà arrivando perfino ad alienarmela.

“Mais enfin, Momus! Non lamentarti come un bébé di cinque anni! Ormai è deciso: vengono ad abitare da noi! Eppoi, prima inizierà la coabitazione, prima vi soppor- ehm, prima diverrete intimi!” e si ficcò diplomaticamente un pezzo di dolce in bocca, onde evitare ulteriori lapsus.

“Ma io non voglio diventare intimo con loro!”, protestò il detto bébé di cinque anni, specialmente con Milo: la sola idea mi fa vomitare!, conclusi mentalmente, affogando di malagrazia due canelés, per poi ingollarle quasi intere: flûte, il solo pensare a lui mi causava un nervoso epico, subito seguito da una fame altrettanto nervosa, specie di dolci, con sommo chagrin della mia glicemia.

“Zut, zut mon chouchou, ti abituerai presto: non sarà così terribile!”, fu l’ottimistico responso di Maman, ignorando che il Demonio mi aveva promesso di farmi assaporare le delizie dell’inferno proprio in casa mia e l’idea mi aveva tormentato per tutta la notte, tenendomi sveglio fin quasi alle quattro del mattino, tra incubi, congetture una più sadica e orrorifica dell’altra, tutto mischiato con il continuo refrain: ma che gli ho fatto, per meritarmi tale astio da parte sua?

Era una domanda che mi ponevo da quasi sette anni, in particolar modo in questi ultimi due: insomma, non ero popolare, anzi, se sparivo nessuno se ne sarebbe accorto; non ero una cima nello sport; non mi consideravo neppure tanto bello da attirare chicchessia; ero timido al parossismo, quindi non potevo avergli sottratto un’ammiratrice o peggio, la sua ragazza … L’unica cosa, nella quale brillavo era lo studio, ma sai che roba, visto che eravamo in corsi diversi, tranne che per inglese.

Boh.

Se si abituerà!”, s’intromise Mamie, intanto che sparecchiava. “Non è mai facile digerire nuova gente in casa!”, aggiunse ed io, per una volta, fui d’accordissimo con lei.

Appoggiando con insolita veemenza la tazza sul tavolo, mia madre le ricordò con stizza: “Senti Maman, sono anni, che mi tampini con le tue ansie, perché non trovavo un compagno, che mi amasse e che accettasse Camus e me!  E ora, che l’ho trovato, ti lamenti?”

Uh – uh, scontro mattutino tra le leonesse.

“Quando ti dicevo di portare a casa un uomo, intendevo letteralmente uno. Non cinque!”, sottolineò piccata Mamie, punta sul vivo, memore delle sue paranoie, circa la terribile prospettiva di vedere sua figlia irrimediabilmente zitella, marchiata a vita come intoccabile, per via del figlio a carico, unico ricordino rimastole del fedifrago compagno.

“Tecnicamente, sono in tre, visto che Saga e Kanon saranno a casa solo per le vacanze!”, ribatté Maman impassibile, per nulla intimorita dalla frecciatina di Mamie.

“Certo! Portando magari qualche loro amichetta, trasformando così questo luogo morigerato in un bordello!”, sentenziò offesa l’augusta genitrice. Bordello? “Già uno mi pare sia imbrigliato con una ragazza, una roastbeef tiens!”

Ah, ecco allora chi era Rhada: era la fidanzata di Kanon!

Scrollando le spalle, la di lei figlia replicò serafica: “Boh, des conneries ça … oh, merde … di già le undici e mezza? Devo arieggiare le stanze e preparare i letti! Momus, vieni a darmi una mano!”, imprecò, ingollando a grandi sorsi il café au lait rimasto. “E fai qualcosa per quel maledetto gallo, ché è tutta la notte che rompe, neanche gli avessero dato una purga!”, disse alla nonna, prima di sparire fuori dalla cucina.

“Ta gueule! Non toccarmi Jean – François!”, le inveì contro Mamie, la quale era affezionatissima a quella dannata bestia, la quale si divertiva a ricordare la sua misera e inutile esistenza a tutto il pollaio e a noi, non solo di giorno, ma anche di notte a scapito del nostro sonno. Enfin, io ci sono ormai abituato, tuttavia un estraneo …

Un sorriso maligno s’increspò sulle mie labbra, immaginandomi sadicamente la faccia stravolta, che il Demonio avrebbe avuto la mattina successiva, dopo aver sopportato l’intero repertorio di gorgheggi di Jean – François! Mentalmente, mi appuntai di scattargli pure una foto.

“Camus Molinier, viens ici, maintenant!”, mi chiamò urlando Maman, il cui tono scocciato non concedeva ulteriori ritardi al suo imperioso appello!

Sbuffando, mi alzai dalla panca, sistemando la tazza e il cucchiaio nel lavabo, intanto che Mamie sciacquava le altre stoviglie, prima di metterle nella lavastoviglie.

“Umphf, greci in casa nostra!”, la sentii borbottare, osservando preoccupato la foga con la quale puliva un coltello, che mi puntò all’improvviso contro, facendomi balzare indietro di riflesso. “D’ora in avanti, ti consiglio la notte di chiudere a chiave la tua stanza, giusto per sicurezza!”

Forse avrei dovuto, sì. Di certo, non era il mio sogno proibito, di essere picchiato di notte da Milo, mentre dormivo, nel mio letto!

 

***

 

Dopo aver riordinato, ventilato e arredato con lenzuola pulite ben quattro stanze da letto (figurarsi se Maman ci riusciva da sola), mi rintanai nella mia cameretta, buttandomi sfinito sul letto, osservando come ipnotizzato l’orologio appeso alla parete, simile a un prigioniero della Conciergerie, che attendeva la carretta per essere portato a Place de la Concorde e lì ghigliottinato.

Ancora mezz’ora e il Demonio sarebbe arrivato, rendendomi amara la vita, almeno fino alla fine dell’anno scolastico e magari oltre.

Ancora mezz’ora e sarei stato costretto a chiamare Papa e fratelli, gente a me estranea e sconosciuta.

Ancora mezz’ora e l’invasione greca sarebbe infine incominciata e non c’era nulla che potessi fare per impedirlo.

Quando vidi la lancetta appropinquarsi alle quattro, un crampo doloroso mi attorcigliò lo stomaco, sconquassandomelo; flûte, neppure all’esame per il diploma del collège ero stato così in ansia! Veloce, afferrai da sotto il letto il barattolo maxi di Nutella, ingoiando spudoratamente e à la cochon grosse cucchiate della crema marrone, sperando di calmarmi e che l’effetto della cioccolata mi desse quelle poche endorfine necessarie, per sopravvivere al pomeriggio e alla serata.

La pendola del salotto batté le quattro del pomeriggio con l’entusiasmo di un carillon in rottamazione, eppure riuscì a farmi quasi saltare giù dal letto; avevo i nervi ipertesi, pronti a captare il fatale squillo del campanello.

Invece, fummo deliziati da quello del telefono.

Scesi in fretta dalle scale, raggiungendo l’apparecchio e mettendo il vivavoce, acciocché Maman potesse ascoltare la conversazione e allo stesso tempo finire di sistemare le goûter sulla tavola. “Bonjour, qui Corinne Molinier!”, salutò meccanicamente, contando sovrappensiero le tazze per la cioccolata calda.

“M.lle Corinne? È lei? Ci sente?”, domandò incerta la voce di quel che mi pareva essere Saga, mezza coperta dal rumore del motore e dai concitati commenti degli altri passeggeri.

“Giriamo da tre quarti d’ora, bordel, tre quarti d’ora!”, sentii borbottare Aiolia. “Ma dove vive? Nella giungla? Dov’è quest’uscita della malora?”

La voce scocciata (e con un pizzico di esasperazione) di Kanon lo ammonì pericolosamente. “Silenzio, patacca: chi è che si è dimenticato l’indirizzo, eh?”, cui il fratello minore si ribellò, rigirandogli con abilità la frittata:

“Ah ouais?  E perché neppure tu te lo sei ricordato? Cos’è, hai il troppo cervello pieno di Rhada - chouchou?”

“No! No, la ferme, Kanon, non qua!”, protestò Milo, in quale, molto probabilmente, doveva essere seduto in mezzo ai due litiganti. “Se gli vuoi spezzare le ossa, fallo quando siamo arrivati, non qui e soprattutto, non con me tra voi due!”

Sono un genio!, avevo indovinato!

Ascoltando perplessi la grottesca conversazione, Maman ed io ci chiedemmo se per caso non fosse meglio prendere in mano la situazione, incominciando dal domandare se …

“M.lle, temo che ci siamo persi …”, riuscimmo finalmente a sentire il flebile responso di Saga, subito messo a tacere dal sarcastico commento del terzo fratello minore.

“Brillante deduzione, Sasà!”

“Lo sai, Milo, che il sarcasmo è la forma più bassa d’intelletto?”

“Mouais, però almeno io ne posseggo un poco; quanto a te … uhm … ho i miei dubbi …”

“Saga! No! La ferme! Non in macchina: non vorrai mica sporcare la tappezzeria? E tu, taci per una volta, mi vuoi fare questo favore?”

“Solo se baci Iou – Iou sulla bocca!”

“Milo!”

“Tu …”

“La ferme tutti e quattro o appena arrivati, vi faccio passare un brutto quarto d’ora, putain de bordel de merde!”, s’impose alquanto irritato il pater familias, imprecando pesantemente e sottraendo al primogenito il prezioso cellulare.  Nessuno osò più fiatare. “Pronto Corinne?”

Avvicinandosi timorosa all’apparecchio telefonico, quasi temesse di essere coinvolta in quell’intimo – per così dire – scambio d’idee tra fratelli, Maman rispose: “Ehm … Christophe? Dove siete?”

“Eh, perbacco, c’est la question ma très chère demoiselle !”, bofonchiò Milo mezzo soffocato, evidentemente ancora prigioniero dell’abbraccio di Kanon – boa constrictor.

“Siamo in autostrada, ma non riusciamo a vedere l’entrata per casa tua!”, c’informò M. Christophe a disagio, quasi si sentisse in colpa; poveraccio, non era così: ignorava quanta gente si fosse persa prima di loro, per venirci a trovare, io in primis, quando venni iniziato alla nobile arte della guida.

Raccogliendo le idee, Maman gli domandò: “Uhm … precisamente, dove siete? Voglio dire, ci sono dei cartelli specifici?”

Un mormorio ci svelò, che il clan si stava consultando. Infine il portavoce, il pater familias,  annunciò: “L’ultimo visto era quello di un ristorante …”

“Il nome?”

Altra consultazione e poi, finalmente il nome. “L’abbiamo appena superato di … due kilometri, credo …”

Ahia, la prossima risposta di Maman non li sarebbe di certo andata a genio. “Mais alors, siete arrivati: ancora cento metri e vedete sulla sinistra un cartello per dare la precedenza; girate e procedete per altri duecento – trecento metri avanti, poi girate ancora sulla sinistra e siete da noi!”

Silenzio imbarazzante.

Tuttavia, il rumore meno ovattato della strada, interrotto dallo scricchiolio dei sassi e dei rami che la ricoprivano, ci rivelò, che i nostri ulissi avevano imboccato l’uscita giusta.

Quand’ecco che un urlo, che sembrava provenire dalle profondità stesse dell’inferno e un brusco stridore dei freni interruppero la pace del viaggio. E la nostra: Oddio, che era accaduto?

“Aaaaahhhhhhhh!!!!!!!!!!”

“Putainnnnn!!!!!!!!!!!!!”

“Bordellllllll!!!!!!!!!!!!!”

“Merdeeeeeeeeee!!!!!!”, furono le grida belluine e disperate, che udimmo, anzi, che ci trapanarono le orecchie, provocandoci a momenti un arresto cardiaco.

Poi, un inquietante silenzio.

“Christophe? Che è successo? Christophe?”, il tono di Maman aveva assunto una piega isterica. “Christophe? Tutto a posto?”

 E mentre mia madre era impegnata a cercare segni di vita del suo mec, io mi portai alla finestra: il rumore della frenata mi era parso piuttosto vicino, forse non erano tanto distanti da noi … E, infatti, scrutando con il cannocchiale, potei intravedere, ben celati dalle fronde degli alberi, una sagoma scura immobile in mezzo al sentiero.

“Saga!”, sentimmo all’improvviso, anche se in maniera ovattata: evidentemente, il cellulare doveva essere caduto per terra, durante il brusco arresto della vettura. “Crétin geignard! Dovevi proprio urlare come un porco sgozzato?”

Yuk, orribile immagine!

“Volevi forse, che Papa investisse il povero leprotto?”

“Mon oeil, povero leprotto! Mi hai appena accorciato la vita di dieci anni, animal stupide!”

“Ma va’ a cagare, Nônon!”

“Eh guarda, con lo spavento che mi hai fatto prendere, credo che mi sia proprio venuto lo stimolo!Tu e le tue convinzioni animaliste!”

“Taci, canard laqué! L’importante è che siamo riusciti a risparmiare una vita innocente!”

“Ehm, veramente …”, s’intromise Aiolia, che doveva aver aperto il finestrino. “Temo, che l’abbiamo preso in pieno …”

“Cheeeeee?”, strillò M. Christophe, riprendendosi dallo shock e uscendo rapido dalla vettura, subito imitato dalla maschia prole. “Seigneur, dritto sulla ruota; gli ha spezzato l’osso del collo!”

“Beh, almeno non ha sofferto …”

“Messieurs, stasera lepre alla cacciatora!”

“Milo! Espèce de sauvage!”

“Cosa? Mica vorrai lasciarla qua? Eppoi, sai che buona, che viene con i funghi e il purè?”

“Non hai tutti i torti …”

“Kanon, non ti ci mettere pure tu, eh?”

Maman ed io ci guardammo interrogativamente negli occhi, incerti se ridere o piangere per la tragicomica situazione, cui avevamo assistito in diretta via cellulare. Beh, almeno non avevano avuto un incidente, il che era un sollievo (per mia madre).

Quanto a me, la gustosa scenetta dell’alterco tra i fratelli mi aveva calmato i nervi, facendomi dimenticare l’ansia, che mi aveva roso fino a quell’istante il fegato.  E preda di un inaudito slancio di generosità, mi offrii volontario per andare a recuperare i naufraghi e, ovviamente, la cena.

 

***

 

Le goûter venne consumato nel silenzio più assoluto; evidentemente l’imbarazzo di essere stati uditi in un momento di debolezza metteva la famiglia Valavitis, la mia futura famiglia, a disagio ogni oltre dire. Fortuna che il dolce allo yoghurt di Mamie e la cioccolata calda avevano fatto la loro parte, riempiendo diplomaticamente la bocca, impedendo così commenti non necessari.

Per quel che riguardava la vittima del delitto, essa era già pronta per essere una delle portate principali di stasera e dalle occhiate assassine tra Kanon e Mamie, intuii una prossima guerra per il predominio della cucina e sulla preda in questione.

E, infatti, per alleggerire la tensione, che alleggiava come una nuvola di smog sopra di noi, Maman m’invitò ad accompagnare i miei fratelli alle loro nuove camere.  Come un martire, mi alzai e, sfoderando l’espressione più entusiasta che potei, li feci cenno di seguirmi. Aiolia mi fu accanto subito, incuriosito da vedere la sua stanza, mentre il Demonio ci mise il suo tempo, restando indolentemente dietro. Saga, invece, si offrì di aiutare Maman e M. Christophe a portare le valigie di prima necessità.

Gli unici rimasti in cucina furono Mamie e Kanon, i quali continuarono a fissarsi in cagnesco, impegnati in una tacita contesa del territorio. Il primo a parlare fu il minore dei gemelli, che, impirando l’ultima fetta di dolce nel suo piatto, dettò la sua condizione: “La lepre e il dolce.”

Lentamente, Mamie appoggiò la tazza di cioccolata sul tavolo. “Mi pare equo. E apparecchi la tavola”, dichiarò solenne, spostando verso Kanon la chicchera vuota, che il giovane riempì con il caldo liquido, segno che il patto era stato sancito in comune accordo tra le due parti.

Scuotendo rassegnato la testa, Aiolia, Milo ed io salimmo al piano superiore, il quale era diviso in tre stanze, collegate tra loro da una sorta di studiolo al centro, dove volendo, si poteva lavorare assieme. Guidai Aiolia nella camera mediana, rimanendo piacevolmente sorpreso, quando vidi il volto del più piccolo dei Valavitis illuminarsi di piacere.

“È di tuo gusto?”, gli domandai, gongolando fieramente come un riccio in fase digestiva. Chi se la sarebbe mai aspettata una reazione così entusiasta?

Appoggiando per terra il suo zaino, il ragazzo si mise a girovagare per la camera a naso all’aria, ancora incredulo che fosse riservata a lui. “Non ho parole … davvero … Flûte, non ho mai avuto una stanza tutta mia!”

“Ah no?”, feci incuriosito, sedendomi ai bordi del letto. In effetti, per quanto spazioso, il loro appartamento in centro era oggettivamente piccolo, per una famiglia così numerosa.

Imitandomi, Aiolia mi confessò: “Ho incominciato ad avere una stanza mia, solo quando Sasà e Nônon sono partiti per l’università; prima, la dovevo condividere con Milou e credimi, non sai quante volte mi sia venuta la tentazione di soffocarlo nel sonno!”

Ridacchiai sommessamente, contento che eravamo almeno in due a non sopportare la Fauve, la bestia. Oh, ecco che gli avevo trovato un nuovo soprannome! E a proposito, com’era che il fratello lo aveva appena chiamato?

“Milou?”, ripetei piano, sperando di aver capito bene. Allora, era quello il suo personale nomignolo?

“Sì Milou, perché quand’era piccolo Maman diceva che lui assomigliava a un minou!”, affermò candidamente Aiolia, osservando poi un po’ sconcertato un me stesso rotolare dalle risate su per il letto, come un furetto imbottito di caffeina. Oddio, che immagine si era formata nella mia mente: Milo simile a un gattino! Miao!

Improvvisamente, la risata mi morì in gola: un momento, dov’era la Fauve? L’ultima volta, che l’avevo visto, era dietro di me! Balzai invasato giù dal letto sotto lo sguardo attonito di Aiolia, il quale, molto probabilmente, si stava domandando a che livello arrivasse la mia sanità mentale, da correre via ululando il nome del fratello.

Spalancai la camera sulla mia sinistra, quella assegnata a Milo, sperando di vederlo lì; invece, la trovai terribilmente vuota. Quasi in preda alle convulsioni a causa dell’orribile prospettiva di vedermelo in camera mia, volai nella suddetta stanza, sospirando di sollievo nell’appurare, che anch’essa era vuota.

Sempre con il fiato corto e i nervi a fior di pelle, per lo spavento appena provato, mi lasciai cadere pesantemente sul letto, imponendomi di calmarmi: di certo, quel Demonio era da qualche altra parte, inghiottito o dalla casa o dal bosco, che avevamo per giardino. Non avevo nulla da temere, tutto era a posto …

Ma allora, cos’era quell’Ouch!  che sentii non appena il mio corpo ebbe toccato il materasso?

Lentamente, mi sistemai in ginocchio su di esso, osservando ipnotizzato il suo bordo, sperando che la belva non fosse … Facendomi coraggio, mi sporsi oltre il letto, alzando il piumino e, dopo un sentito Fa’ che non sia, dove penso che sia, guardai sotto il letto.

L’inattesa vista di due iridi cerule illuminate di pura birbanteria e un Buh!, urlato in faccia mi fecero cadere arlecchinescamente all’indietro a gambe all’aria, intanto che Milo usciva stile marine da sotto il mio letto. “P’tain, Valavitis!”, imprecai, la pressione a mille sia per lo spavento preso, che per la collera montante. “Che accidenti ci fai lì sotto? Chi t’ha invitato?”

Scrollandosi ineffabile un poca di polvere dai jeans, il diretto interessato rispose flemmatico, quasi fosse normale e moralmente accetto strisciare sotto i giacigli altrui: “Stavo cercando i tuoi giornaletti porno, sai, in caso d’insonnia …” Prima che potessi replicare, offeso a morte da simile oltraggiosa supposizione – io, leggere dei magazine cochon? – Milo riprese: “Invece, ho trovato …” e s’inginocchiò, tirando fuori il suo bottino “I falsari, di André Gide; I Buddenbrook, di Thomas Mann; un più venale Persepolis, di Marjane Satrapi … uhm, hai buon gusto …”, commentò, sfogliando i suddetti libri “Tutti con lo stesso leitmotiv: la famiglia …” e mi lanciò un’occhiata obliqua, alla quale, per ripicca non ricambiai. Sghignazzando, la Fauve riprese: “Ma ciò, che mi ha colpito di più è questo: bravo il nostro birbo! Facciamo gli schizzinosi a tavola, però non disdegniamo les joies della Nutella, eh? Maxi barattolo, poi!” e mi sventolò trionfante la Nutella sotto il naso, che tentai invano di afferrare. “Uh, Maman sarà deliziata nell’apprendere che il suo Momus chèri si avvelena con queste schifezze!”, mi canzonò, utilizzando l’esatto termine di mia madre: mica l’avrà ascoltata sul serio, nella sua invettiva contro la Nutella e il McDo?

Ricomponendomi in fretta, replicai freddamente: “Ebbene, Valavitis, arriva al punto!”

Un sorriso malevolo gli attraversò il viso. “Il punto, Ionesco? Il punto è che ora vado ad informare tua madre!”

Alzandomi dal letto, mi avvicinai a lui, pronto a dare battaglia per la salvezza della mia Nutella. E del mio scalpo: se Maman lo veniva a sapere, avevo finito di stare bene. “Non ne avresti il fegato!”, lo sfidai gelido, sperando di persuaderlo nel desistere dall’impresa kamikaze: perché se finivo nei casini per causa sua, quant’era vero che il gallo Jean – François era un gran rompipalle, la Fauve non la passava liscia! Foi de Camus!

“Ah, ouais?”, mi chiese sornione Milo, piazzandosi davanti a me, i suoi occhi azzurri puntati sui miei con assassina insistenza. “Mettimi alla prova!”, mi soffiò, il suo naso a qualche centimetro dal mio, facendomi deglutire a disagio; tuttavia, mi rifiutai di abbassare lo sguardo: gli sarebbe troppo piaciuto. E stranamente, il ragazzo sembrava piuttosto divertito da questa mia reazione. Bestia! “Ma sarò generoso con te, Ionesco, ti proporrò uno scambio, va bene?”, disse, facendo quasi le fusa, come una tigre del Bengala, che si pregustava l’imminente pasto. Non dissi nulla, temendo di convincerlo, che ero disposto a cedere alle sue malsane trattative. Interpretando il mio silenzio come un incentivo a continuare, il Demonio dettò le condizioni del patto faustiano: “Io non dico niente a Corinne dei tuoi peccati di gola …” e si strinse più presso a me, tanto che potei sentire il battito del suo cuore, lento, mentre il mio pareva un tamburo di guerra: bon sang, quanto odiavo, essere messo con le spalle al muro, da lui poi! “… e tu …”, riprese con esasperante lentezza, portando il suo viso vicino al mio e in quel momento maledii il destino di essere qualche centimetro più basso di lui. “ … tu, Molinier Camus …”, mormorò al mio orecchio; giurai d’aver percepito un brivido scendermi per la schiena “… mi cedi la tua camera!”

Puntandogli le mani contro il petto – troppo vicino, per i miei gusti – lo spinsi indietro, schiaffandogli tutta la mia indignazione. “Mon oeil, che ti prendi la mia stanza, bon sang! Ce ne sono tante in giro per casa, pigliati quella che più ti piace, ma la mia è T-A-B-U’!”

Per nulla toccato dalla mia vivace protesta, Milo dichiarò tranquillo: “Ah, d’accord. Peccato, volevo venirti incontro. Allora, porto questa a Corinne, ça va?”

Decisi di cambiare strategia: se fingevo, che la cosa non mi toccava (invece mi toccava, eccome!) forse la Fauve avrebbe desistito nella sua impresa ricattatrice. Piano un po’ garibaldino, ma c’era la mia camera in palio. “Fa’ quel che vuoi, Valavitis: portala a mia madre; buttala giù per il cesso; mangiala … je m’en fiche!” e mi levai da sotto gli incisivi la punta del pollice [1] , aggiungendo pure un sorrisetto di sufficienza, come ciliegina sulla torta.

Milo mi guardò a lungo, come se fossi una bestia rara o incredibilmente stupida o con tendenze suicide (o forse entrambe le cose), girando pigramente l’indice sul coperchio bianco del barattolo della discordia. Infine, sospirando, lo abbassò e per la prima volta in vita mia, osai sperare di aver ottenuto una qualche forma di vittoria nei suoi confronti.

Sicuro: e Shaka ballava il cancan senza mutande!

“Corinne!”, chiamò ad alta voce Milo in direzione delle scale. Più ratto di un ghepardo, mi fiondai sulla porta, sbattendola di malagrazia e chiudendola a chiave. “Ionesco, cos’è quella faccia? Non avevi detto, che potevo farne quel che volevo?” disse, ridendosela sotto i baffi e, spostandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio, aggiunse, il tono della voce più freddo e pragmatico: “Vorrei questa stanza, perché hai il bagno privato ed io non me la sento la mattina di entrare in camera tua, aspettando mille anni, che tu finisca i cavoli tuoi. Del resto, non desidero neppure scendere nel bagno di sotto, con Papa e Corinne che faranno i piccioncini nella doccia!”

“Cos’è, una scusa per giustificare il tuo ricatto?”, gli rinfacciai, dimenticando che ero solo con il Demonio e con la porta chiusa a chiave, ergo indifesa preda dei suoi istinti vendicativi.

Milo scrollò le spalle. “Chiamala come vuoi. Accetti?” e si rimise a fissarmi con insistenza. Sbattendo sconfitto il pugno sul legno della porta, mi diressi a grandi falcate verso il mio letto, afferrando rabbioso il pigiama e incominciando a levare la federa del cuscino, quando il greco m’interruppe, spaesato: “Che fai?”

“Che faccio?”, ripetei sarcastico, le mani che mi tremavano dalla voglia di strangolare quel dannato biondino. Merde, era appena da due ore in casa mia e già dettava legge, anzi, mi dettava la sua legge! “Visto che ti cedo la stanza, dovrò pur portarmi via il mio pigiama e le mie lenzuola, no?”, sputai veleno, ponendo un forte accento sugli aggettivi possessivi.

Dopo aver appoggiato il barattolo colpevole sulla scrivania, Milo mi allontanò dal letto, lasciandomi in mano solamente il pigiama da notte. “Pigliati quello, il resto lascialo.”

“Che? Vuoi dormire sulle mie lenzuola?”, l’accusai con tono da lesa Maestà.

Scostando con un ampio gesto le coperte e controllando attentamente il materasso, il ragazzo mi chiese accigliato: “E perché no? Cos’è, ci sono ancora delle tracce dei tuoi solitari sulle lenzuola?”

“Uhm?”, feci poco elegantemente, sbattendo le palpebre a dir poco confuso. “I solitari? Mica gioco a carte di notte, sai?”, affermai piccato: ma che razza di domande mi poneva?

“Ma non mi dire …”, mormorò malizioso il Demonio, causandomi un pericoloso arricciamento dei capelli dalla rabbia e non riuscendo più a sopportare quell’aria da sfottò dipinta in viso, gli domandai dolce come una leonessa a digiuno:

“Perché tu sì?”

“Eccome!”, mi rispose anche fin troppo entusiasta, gli occhi due fari di birbanteria. “E ben altro!”

Stavolta, inquisii più per curiosità, che per ripicca: “Ah ouais? E che fai, oltre al solitario?”

Avvicinandosi a me con le mani in tasca e ridacchiando furbescamente, Milo dichiarò divertito: “Scopa!”

Pausa di riflessione, onde captare i vari significati della battuta. Risultato: encefalogramma piatto.

Scopa? Di notte? Boh, di sicuro ci giocava con Aiolia, ché quello non era un gioco a uno. “Se ogni tanto vuoi venire a fare una partitina, be my guest, come direbbero in Inghilterra!”, aggiunse il ragazzo, partendo all’esplorazione del bagno, dopo avermi fatto l’occhiolino. Che si fosse dato alle gioie della cannabis?

Scrollando le spalle, aprii l’armadio per acchiappare i miei vestiti per il forzato trasferimento. “Perché t’ingozzi di cioccolata?”, mi domandò poi a bruciapelo la Fauve dal bagno.

“Perché non ti fai gli affaracci tuoi?”, ribattei io, mentre lottavo per non finire sommerso dai miei stessi indumenti.

Instancabile, il greco ritornò nella mia camera, appoggiandosi al muro. “Non è una risposta. Allora, perché?” e il tono mi parve, per un folle istante, addirittura serio. Ma no, che andavo a pensare! Figurarsi se quel dannato poteva essere per davvero interessato alla mia salute. Dinanzi alla mia mancanza di collaborazione, Milo riprese: “Lo sai, dicono che chi si strafoghi di cioccolata non sia altro che una persona sessualmente frustrata!”

Arrossendo furiosamente per la sgradita congettura  sulle condizioni della mia vita intima, replicai gelido: “Tzé! Dicono anche che mangiare frutta e verdura guarisca dal tumore alla prostata! Conneries, nient’altro che delle conneries!” e mi avviai spedito alla porta, armeggiando maldestramente con la chiave.

Afferrando al volo tre capi d’abbigliamento, che mi erano scivolati, Milo commentò ilare: “T’as raison!”, e mi aiutò a uscire dalla mia ex, alas, stanza.

 

***

 

La serata scivolò via piacevolmente, contro ogni pronostico. La sfida culinaria tra i due contendenti si risolse in un onorevole pareggio, anche se dovetti ammettere che il tiramisù di Kanon valeva un extra bonus.

 L’argomento principale della conversazione a tavola fu il mio improvviso trasloco di camera, notizia alla quale risposi serafico che sì, avevo accettato la proposta indecente di Milo, poiché quest’ultimo aveva la vescica debole e di conseguenza, necessitava della toilette ogni tre minuti.

L’incontinente in questione non reagì alla mia pubblica provocazione, anzi, la confermò, lodando il cielo di aver ricevuto un fratellastro così comprensivo e dolce come il cioccolato.

Bastardo!

 E se Maman e M. Christophe interpretarono la vicenda in chiave positiva, ovvero che il Demonio ed io incominciassimo finalmente a familiarizzare l’uno con l’altro; i di lui fratelli lo crocifissero con lo sguardo, immaginando a quale tiro mancino mi avesse sottoposto quella peste bubbonica di Milo, che ricambiò con un’espressione da Bernadette.

Terminata la cena e tre fette ciascuno di tiramisù, ci alzammo da tavola, lasciando l’incombenza di sparecchiare e pulire ai due neo piccioncini, fin troppo desiderosi di averci fuori dalle scatole, onde godere di un attimo di intimità.

Conquistammo dunque il salotto e ognuno si ritagliò un suo posticino: Mamie sfidò chiunque a sottrarle la sua poltrona preferita dinanzi la televisione, che accese per sentire il telegiornale; le tre Marie, ergo Aiolia, Milo e Kanon erano immersi in una concitata partita a Uno, i primi due distesi comodamente sul pavimento e il terzo stravaccato sul divano. Saga, invece, si era sistemato su di un tavolo in un angolo del salotto, immerso in una torre di Pisa tra libri e quaderni degli appunti.

Attirato dai miei amori cartacei, mi avvicinai silenziosamente al giovane, sedendomi accanto a lui, la morbida testa pelosa di Fred in grembo.

Per chi non lo sapesse, Fred era il mio cane, un bellissimo e coccolone pastore tedesco di tre anni, che mi seguiva dappertutto, tranne che in camera, dove gli era stato insegnato di non entrare, giacché raramente le sue zampe erano modello di pulizia.

Rimasi in contemplazione dei libri per quasi mezz’ora, tentando di leggiucchiarli dall’alto del mio B2 in tedesco e nonostante la mia buona conoscenza della lingua, dovetti inginocchiarmi davanti alla bravura di Saga nel comprendere testi sì difficili e soprattutto di prendere complicati appunti parola per parola. Osservai affascinato come quegli incomprensibili caratteri cuneiformi si trasformassero nel quaderno ufficiale in un fluente e preciso fiume di parole, arricchito ogni tanto da qualche grafico e schema riassuntivo.

“Yo, Sasà!”, lo chiamò Milo da dietro al divano. “Molla il tuo grande amore Freud e vieni a giocare un poco con noi!”

Levandosi gli occhiali da vista – approfittandone quindi per una mini pausa, onde riposarsi gli occhi – Saga ribatté tra lo scocciato e il divertito: “Non ti conviene, Milou” e giurai d’aver visto il porpora nelle guance della Fauve. “Perché se vengo a giocare a carte, ti traumatizzerei a tal punto, da persuaderti ad affogarti nel gabinetto, senza il bisogno di tirare lo sciacquone!”

“Cattivo!”, fece finto offeso il ragazzo “Sei un bel tomo, sai? Sparisci per un anno in Germania e quelle poche volte che torni, incolli subito il tuo bel naso sulle pagine dei tuoi libri della malora! Su, Sasuccio, vieni a passare un po’ di tempo con la tua famiglia!”, lo provocò scherzosamente, ritornando al gioco.

Il diretto interessato scosse il capo, inforcando di nuovo gli occhiali e riprendendo il lavoro interrotto dal fratello discreto come una iena.

“Saga”, gli chiesi piano, dopo averlo lasciato ricopiare gli appunti in santa pace per quasi mezz’ora. “Come mai hai scelto di studiare psichiatria? In Germania, poi!”

Il gemello più grande alzò gli occhi dal foglio, sorpreso dalla mia domanda così inaspettata. Poi, riconobbi il lampo birbante nelle sue iridi azzurre – doveva essere un tratto di famiglia – quando, facendomi cenno di avvicinarglisi, mi domandò con fare cospiratorio: “Sai mantenere un segreto, Camus?”  e alla mia risposta affermativa, confessò: “Ho intenzione di prendere una laurea in psichiatria, così posso imbottire Milou di psicofarmaci, zittendolo almeno per una settimana di fila!” e imitò l’espressione di uno rintronato dai suddetti medicinali.

Ridemmo assieme di gusto alla battuta e dovetti ricredermi su di lui: in fin dei conti, Saga non era così serioso, come mi era apparso all’inizio. Inoltre, il fatto che riuscisse a domare quella bestia di Milo gli faceva guadagnare extra punti.

Il giovane continuò a ricopiare i suoi appunti fino alle nove e mezza di sera, quando, dopo l’ennesimo appello dei fratelli, si decise ad unirsi a loro.  Della serie: o li sopprimo o li accontento.

“Dunque”, annunciò Saga ad alta voce, chiudendo il quaderno e levandosi definitivamente gli occhiali. “Chi è che osa affermare di essere più bravo di me a carte? Partita a scala quaranta?”e il suo sguardo leggermente miope si fermò su uno a caso dei suoi fratelli – Milo – che ricambiò alla sua sfida con altrettanto trasporto ed entusiasmo. “Ci puoi scommettere le mutande, Sasà!”

“Eh – eh, attento a non perdere le tue, mon minou!”, fu la risposta sorniona del fratello e fu di parola: ci stracciò vergognosamente, vincendo due partite su tre. E com’era ovvio immaginarsi, i fratelli gridarono al baro, gettandosi addosso al “colpevole” e lo perquisirono a suon di solletico, in cerca di carte compromettenti.

E osservandoli, non potei non trattenere un timido sorriso, invidiando un poco la loro complicità e domandandomi, se un giorno anch’io vi sarei stato incluso.

“E ora perquisiamo Camus!”, propose Kanon sogghignando; i tre fratelli furono istantaneamente d’accordo e in un battito di ciglia mi ritrovai vittima del peggior solletico mai sopportato in tutta la mia vita, finendo per scalciare poco dignitosamente come un bébé appena nato, arrivando perfino alle lacrime, da quanto ridevo.

Ritiro tutto! Ritiro tutto! Non voglio la loro complicità! No, no!

 

 

 

To be continued …

 

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[1] Il termine Je m’en fiche, equivale al nostro “me ne frego”; in Italia, il gesto che sottolinea tale stato d’animo è uno strofinamento dell’indice sotto al mento, in Francia, invece, si porta la punta del pollice sotto gli incisivi, per poi levarla bruscamente, imitando un poco il gesto di levarsi l’unghia.

 

ORA AI MIEI RECENSORI:

 

A Kiki May: cattivissima? Eh – eh, sarà la mia gemella malvagia! Non so perché ho voluto creare un Milo così “oscuro”, io sarei per un Milo puccioso e invece, no, in questa fic il nostro scorpione preferito è stato attirato dal Lato Oscuro del Cosmo! ;-)  Sì, in qualche maniera perversa, le basi per un grande amore ci sono, ma si evolveranno o i due si disintegreranno prima a vicenda? Saga che studia psichiatria è stata una trovata all’ultimo momento, volevo fargli studiare chirurgia (sai, piccola passione per i coltelli e bisturi …) e invece … Beh, Kanon non ha tutti i torti: gli uomini si prendono per la gola! Grazie per la recensione, ti aspetto al prossimo capitolo! Ciao!

A Clayre: dovresti davvero visitarla la Francia, non solo le grandi città: la provincia è un mondo totalmente diverso, te l’assicuro! Eh – eh, promette bene come famiglia? Di certo, sono molto rumorosi, ma che vuoi, quattro fratelli + il nuovo fratellastro … una vera masnada. Eh sì, Milo ha tirato fuori il suo aculeo e si diverte come un matto ad usarlo (nessun doppio senso è contemplato in questa frase). Allora, contenta del nomignolo? Non è puccioso Milou? Grazie per seguire la storia, ti aspetto al prossimo capitolo! Ciao!

A Sagitta72:  ciao! Ben trovata! Ebbene sì, sono madre per la terza volta! (Almeno in Saint Seiya) Già, qui il nostro ghiacciolo e scorpione non si possono vedere! Ma mai dire mai! Eh – eh, vero, Camus ha coraggio nel provocare Milo, ma noi conosciamo bene, quanto l’Acquario possa essere dannatamente orgoglioso! E chissà, magari è un modo per attirare la sua attenzione … no, in questa fic Saga fa il bravo bimbo, però ogni tanto … quando gli saltano i cinque minuti … Sorpresa eh, per i 4 fratelli? Ho chiamato a raccolta tutti i Gold greci e non preoccuparti, se uno manca all’appello, presto si saprà, che fine ha fatto! Quanto a Shaina, beh, io sono per la coppia Milo/ Camus 4ever, vedere Milo accompagnarsi con quella vipera … grrrrrr … questa è la mia vendetta! (risata maligna della gemella malvagia) Anch’io non vedo l’ora di vederla sconvolta! Muaahahah! Grazie per seguire questa storia e le altre in generale! Ti aspetto, eh!

Ad Aurora: neanch’io vorrei essere nei panni di Camus, non quando Milo è nel pieno dei suoi umori maligni … ma per il resto … grazie per la recensione! Ti aspetto al prossimo capitolo! Ciao!

 

  
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