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Autore: TuttaColpaDelCielo    30/05/2010    6 recensioni
Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. È solo un diritto tra tanti diritti. - Oriana Fallaci.
Genere: Angst, Drammatico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia Anna, anche se aveva un altro nome.

Alla Fra'.


Mamma...?


Piange, Anna,

su una sedia scomoda dell'ospedale,

in una sala d'aspetto

tre metri per due.


Ha un libro aperto in grembo,

le mani tremanti strette ai jeans chiari;

vent'anni compiuti ieri

e un bimbo nel ventre.


"Essere mamma non è un mestiere.

Non è nemmeno un dovere.

È solo un diritto

tra tanti diritti."


Legge così sul suo libro,

e continua a ripetersi

che ad un diritto si può rinunciare.

In una situazione normale


manderebbe le preoccupazioni al diavolo

e si farebbe due risate;

ma ora, ovunque vada, con lei c'è un'altra vita,

la sente dentro di sé,


anche se a due mesi

il suo bambino ancora non può muoversi.

Pensa e ripensa, Anna,

a quando Mattia


ha saputo tutto

e le ha detto sorridendo

che sarebbero stati una famiglia.

Ricorda


i progetti, le risate, la speranza

di rimanere davvero insieme,

loro due e il bambino;

e ricorda anche


il giorno in cui si è svegliata

e Mattia non c'era più.

Ma lei, stupida,

ha creduto che sarebbe tornato,


ha continuato a immaginare una famiglia;

ed è rimasta intrappolata in quell'illusione,

come una mosca nella ragnatela,

fino a quando si è accorta


che Mattia è sparito per sempre,

e che quel bambino,

in fondo,

nessuno dei due lo ha mai voluto.


Sono troppo giovane,

non posso rovinarmi la vita così,

si ripete, cercando di convincersi

di aver fatto la scelta giusta.


Eppure

continua ad immaginare un'esistenza

con il bambino e Mattia, e piange ancora,

e non riesce a respirare


sapendo che quella famiglia non esisterà mai,

perché Mattia non tornerà più

e lei sta per rinunciare a quella vita

che le cresce nel ventre.


E guarda le altre donne

sedute in quella sala d'aspetto tre metri per due,

le guarda mentre al loro turno

varcano una porta bianca uguale alle altre,


e singhiozza, pensando a quando l'infermiera

verrà a chiamarla

per andare ad uccidere quel bambino

che ha vissuto dentro di lei per nove settimane.


Non l'ha mai chiamato mio figlio,

nemmeno mentre immaginava un'impossibile famiglia:

le è sempre mancato il coraggio di farlo.

Vorrebbe riuscire a dirlo,


perché Anna vuole sempre essere forte,

ma dalle labbra le sfugge solo un gemito.

Lascia scivolare il suo libro a terra, sentendosi debole,

maledicendo tra le lacrime


quel bambino che non vuole

ma che tante volte ha immaginato di tenere,

intrappolata nel suo sogno di crearsi una famiglia,

di sentirsi chiamare mamma dalla voce incerta di un bambino.


Ma invece sente solo un'infermiera dire il suo nome

e allora si stringe le braccia al ventre,

come a voler proteggere

il bambino a cui sta per rinunciare;


sembra quasi che voglia pronunciare

quelle parole sempre taciute,

quel mio figlio

per cui le è sempre mancato il coraggio.


Ma, mentre si alza e abbandona

quella sala d'aspetto tre metri per due

per varcare la porta bianca uguale alle altre,

rimane in silenzio:


la consapevolezza che quel bambino non la potrà mai chiamare mamma

è già troppo forte.

 

   
 
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