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Autore: Ninfea Blu    04/06/2010    14 recensioni
Storia che avrà al massimo tre capitoli. Una Rosalie più dura, un po' diversa dall'originale (spero), testimone della vita di Oscar e Andrè.
Rosalie è vissuta con loro, ma cosa può avere intuito di quello che legava i nostri eroi?
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore, ricordi e rimpianti'
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LE MEMORIE DI ROSALIE

LE MEMORIE DI ROSALIE

 

 

Premessa: questo racconto riprende il tema del ricordo iniziato con le memorie di Alain, è altrettanto vecchio e nel corso del tempo, ha subito varie modifiche sostanziali e radicali. È un’ idea che mi affascina, esplorare la vita di Oscar e Andrè anche attraverso altre prospettive, e Rosalie, che per un po’ è vissuta con loro, mi dava questa possibilità. Che cosa poteva aver visto e intuito di loro, di ciò che li univa?

La nota piagnola Rosalie, risulta spesso esasperante; so che non è molto amata, ma io ho cercato di vederla sotto una luce un po’ particolare. Qui è piuttosto diversa dal personaggio che ci ha restituito prima il manga, e poi l’anime: ho cercato di renderla più forte e decisa, un po’ indurita dalla vita. Con tali premesse, spero vorrete provare a seguirmi in questi suoi pensieri e nel suo vissuto. Come sempre i personaggi non mi appartengono, ma sono nati dalla fantasia di R. Ikeda. Buona lettura.

 

 

******

 

 

Parigi, 1794

 

Scrivo queste note, una fredda mattina di gennaio.

Seduta al tavolo della nostra modesta casa, dalla finestra che si apre sulla strada, vedo i muri delle abitazioni del quartiere che limitano la mia visuale.

La luce chiara invade la stanza come i ricordi affollano la mia mente e trovano sfogo attraverso il pennino che lascia i suoi segni neri, graffiando la carta con un rumore morbido.

Mi viene naturale pensare a un’ altra casa, a una tavolo laccato di fattura più ricca di questo, e ampie vetrate che si aprivano su terrazze da cui osservavo con meraviglia i fiori bianchi di un mandorlo rigoglioso in primavera. Da una di quelle stesse terrazze, sotto l’esplosione delle piante in fiore, io restavo in silenzio ad osservare per ore, due persone che danzavano sull’erba incrociando le spade, in un muto linguaggio di corpi che celava ben altro mistero. Colori accesi, profumi intensi di una vita lontana che sembra appartenere alla memoria dei sogni. Fu anche la mia, per un breve lasso di tempo.

 

Pochi mesi possono sembrare un tempo lunghissimo, quando il mondo intorno a te cambia tanto velocemente, che non riesci ad abituarti. Neppure i ricordi fanno in tempo a sedimentare nella tua anima, come se non ci fosse spazio per tutto. Tanti, troppi ricordi; dai più belli, ai più tristi e dolorosi.

Ma io non voglio e non posso dimenticare, e sono gelosa di ogni schiaffo, di ogni carezza che mi ha dato questa vita straordinaria e terribile.

Non voglio scordare nulla, perché tutto ciò che è legato a quei ricordi, mi ha fatto diventare la donna risoluta che sono oggi, e non posso dimenticare, perché sarebbe fare un grave torto a tutte le persone che hanno attraversato, anche per poco, la mia vita e l’hanno cambiata, molto spesso in meglio.

Quello che sono diventata oggi lo devo a loro.

Anche l’incontro, prima con Maria Antonietta, e dopo con la vedova Capeto ha lasciato i suoi segni.

 

Con la morte della ex-regina di Francia, è scomparso un mondo intero che avevo imparato a conoscere, senza averne mai fatto parte veramente.

Maria Antonietta era l’ultimo aggancio al mio passato, l’ultimo fragile legame che mi restasse di lei; posso capire i suoi sentimenti e forse intuisco la sua delusione; chissà quanti dubbi e quanto dolore deve aver nascosto in fondo al cuore già martoriato dalla sorte.

Maria Antonietta fu incapace di capire perché una delle persone a lei più fedeli l’avesse tradita; avrà temuto che l’odio avesse preso il posto dell’amore nel cuore di Oscar. L’ho rassicurata per quanto potevo che questo, in realtà, non è mai accaduto. Cosa meglio del ricordo poteva confortarla su questo?

So perfettamente che fino all’ultimo istante della sua vita, il suo affetto per Oscar non è mai mutato.

Quasi con sollievo ho condiviso con la regina i ricordi di una vita; per un attimo essi hanno aperto uno spiraglio di luce, tra le mura grigie della cella. Niente altro che ci accomunasse, troppo diverse le nostre vite e il nostro passato; il mio fatto di tanta sofferenza, il suo di luci brillanti e di stucchi dorati, di gloria e opulenza.

In comune, abbiamo avuto il medesimo affetto per una persona di valore e coraggio, che ha lasciato un vuoto incolmabile nel cuore di entrambe.

Non ne parlerò con altri in futuro, ma i francesi ricorderanno il 14 luglio e forse, la figura eroica, quasi leggendaria, di un Comandante caduto sotto la Bastiglia.

Per questo sento l’esigenza di mettere nero su bianco il passato.

Mi illudo forse, così, di mantenere viva una parte importante della mia vita, che fu toccata profondamente da tutte quelle persone che oggi non ci sono più, ma che restarono coinvolte nelle vicende umane di cui sono stata indegna testimone.

Fra tutti, due sono le persone i cui fili delle loro esistenze si sono intrecciati con quelli della mia.

 

Oggi sono una donna sposata, cui è stato concesso diventare madre.

Sì, da pochi giorni ho scoperto che hai appena iniziato il viaggio che ti porterà in questo mondo, ma neppure tuo padre, che pure ha avuto modo di conoscere e soffrire per quelle persone, potrebbe capire l’affetto e l’amore che porto ancora nel cuore.

Un giorno figlio mio, se Dio vorrà, tu leggerai queste mie memorie: è per te che sto rivivendo i miei ricordi, prendili come un regalo attraverso cui conoscere tua madre e la sua storia. Ma non solo per questa ragione, che di tutte, è la meno importante.

Vorrei che attraverso le mie parole, seppur imperfette, tu potessi conoscere Oscar François De Jarjayes. A dispetto del nome, non si trattava di un uomo.

Ma parlare di Oscar, vuol dire parlare anche di Andrè, l’uomo che aveva disegnato la sua esistenza su quella di Oscar.

Chi di noi oggi, può dire di essere stato felice?

Erano questi i nostri sogni?

Erano questi i sogni di tuo padre?

È questo il mondo migliore fatto di giustizia sociale che auspicava per te e per tutti coloro che sarebbero venuti dopo di noi?

Chi verrà dopo la rivoluzione, cosa troverà?

A quale prezzo abbiamo cercato di salvare la Francia, se il nostro odio verso le classi privilegiate, ci ha fatto cadere ancora più in basso?

Era necessario allontanare Maria Antonietta dai suoi figli e rivolgerle accuse false e infamanti come quella d’incesto? [1]

Il mio istinto materno, come quello di tante altre madri di Parigi, è stato mortificato da quell’azione vile.

E ancora non è finita, perché la sete di sangue della rivoluzione non si placherà tanto presto.

E mi chiedo quante altre teste ancora dovranno finire sotto la scure della ghigliottina.

Non è per tutto questo orrore, che Oscar è caduta davanti alla Bastiglia; non lo avrebbe voluto.

 

Ripenso alle parole di uno dei soldati di Oscar; Alain, parlando di Oscar e Andrè, disse che furono felici perché non videro le tragedie della rivoluzione.

Non hanno visto il sogno infrangersi contro la realtà.

Solo la speranza mi fa pensare che sia stato così, ma non ho certezze.

 

 

****

 

 

Ragazzo mio, la vita a volte è davvero strana, per come può cambiare repentinamente. La mia è cambiata improvvisamente un giorno di tanti anni fa, quando mia madre fu travolta dalla carrozza su cui viaggiava una nobildonna che viveva alla corte del re di Francia.

Versailles e la reggia, un fantasma lontano che i poveri di Parigi non sapevano concepire. Io non avevo mai conosciuto altro che la povertà, il freddo e la fame. Così si viveva a Parigi. Si doveva lavorare duramente per un misero tozzo di pane e non sempre bastava. La fame più nera era la compagna costante della nostra povera vita.  Una morsa che prendeva lo stomaco, un’ossessione per la mente che non ti abbandonava mai, crampi che mai erano soddisfatti. Farò di tutto perché tu non debba mai provarla; se necessario ruberò e ucciderò.

Io ero poco più di una bambina e vivevo con mia madre malata e mia sorella Jeanne, in una stanza di uno squallore tale che trasudava miseria.

Benché fossimo molto povere, tanto da non riuscire a mangiare tutti i giorni, eravamo serene perché non mancavano l’affetto e l’amore.

Queste erano cose che potevano bastare a me, ma non a Jeanne, che un giorno si stancò di quella vita miserabile e ci abbandonò per seguire i suoi sogni.

Ancora oggi ignoro se si siano avverati almeno in parte e benché io sappia di quali delitti si è macchiata, io non riesco a biasimarla. Non posso avercela con lei per aver tentato di riscattare se stessa.

Direi anzi, che tendo a giustificare le sue scelte.

Perché se dovessi farlo per te, per il tuo bene, sono quasi sicura che agirei nello stesso modo.

Non esiterei e mi farei marchiare la carne viva per evitarti le mie sofferenze; mi morderei le labbra a sangue per trattenere le urla.

Sicuramente la vita le ha dato un’occasione, che pochi al suo posto, avrebbero saputo sfruttare; mia sorella ha afferrato tutto quello che poteva prendere, con avidità, senza preoccuparsi delle conseguenze dei suoi atti, ma alla fine ha dovuto pagare un prezzo enorme. Chissà se per Jeanne ne è valsa la pena.

Ricordo solo le parole amare che mi disse un giorno su una spiaggia della Normandia, sul meritare qualcosa dalla vita, dopo aver vissuto fra gli stenti.

“Hai ottenuto quello che volevi sorellina: ora fai parte della famiglia Jarjayes.”

“Ottenuto? Io non sono come te, io non tramo per avere qualcosa…”

“Ti ricordi Rosalie? Ricordi cosa è stata la nostra vita? Ricordi la fame e i lavori più duri e miserabili che abbiamo dovuto fare? Se ora la vita ci concede qualcosa dobbiamo prendercela.”

“Non occorre diventare disonesti, però…” tentai di obbiettare ingenuamente. Al tempo ero ancora un’idealista.

“I nobili sono i veri disonesti, se togliamo loro qualcosa pareggiamo i conti. Senti, ognuna di noi farà la sua corsa e arriverà dove deve arrivare. Non mettiamoci i bastoni tra le ruote.”

Parole che mi fecero capire che la lotta per Jeanne non era mai finita.

Avrebbe lottato fino all’ultimo dei suoi giorni… come Oscar.

In questo erano molto simili.

 

Dopo la fuga da casa, riuscì a farsi accogliere presso una marchesa, che la prese sotto la sua protezione.

Fu una sorpresa per me vederla passare in carrozza per le vie di Parigi, come una nobildonna elegante e raffinata.

Ma sotto la patina dorata che la ricopriva, si celava ben altro.

Mia madre stava male e io non sapevo come curarla; se compravo il pane non potevo prendere le medicine, così pensai di potermi rivolgere a lei, ma quando disperata chiesi il suo aiuto, tentò quasi di uccidermi.

Con l’inganno e manifestando una commozione che era ben lungi dal provare, mi fece credere che mi avrebbe aiutato; invece mi ritrovai sola in una stanzetta con un uomo che mi prese a frustate.

Non sono più tornata a implorare il suo aiuto.

Mi sono tenuta le piaghe sulla schiena senza lamentarmi e non ho mai detto a mia madre la verità.

L’ho tenuta dentro di me, come sale che bruciava sulle ferite. Ma la mia scorza iniziava a diventare più dura.

Jeanne era profondamente cambiata, o forse quello era il suo vero volto che non avevo mai saputo vedere, ed era disposta a tutto pur di nascondere il suo passato e raggiungere il suo obbiettivo. Al colmo della disperazione, avrei commesso un errore irreparabile se sulla mia strada, in quel momento, non fosse comparsa Oscar.

 

Luigi XVI era da poco salito al trono e tutti ci aspettavamo migliori condizioni di vita, ma presto furono deluse le aspettative di coloro credevano, che con il nuovo re sarebbe iniziata una nuova era.

I prezzi aumentavano e io non riuscivo a trovare un lavoro, quindi una sera decisi che mi sarei prostituita, pur di racimolare i soldi che mi servivano. Non avevo più ritegno, né vergogna o amor proprio.

Avevo solo la spinta della disperazione, la mia pancia da riempire e una madre malata da curare.

Fermai la carrozza su cui viaggiava Oscar e le proposi di comprarmi per una sera, convinta di trovarmi di fronte ad un gentiluomo ricco ed attraente. In fondo, la cosa avrebbe potuto essere piacevole. Non avrei mai capito che era una donna; mentre ridendo mi rivelava la sua vera identità, fui presa dallo sconforto. [2]

Quando le spiegai le ragioni del mio gesto, lei mi diede una moneta d’oro. Ci comprai pane, patate, anche un po’ di legumi per oltre una settimana e per una volta, qualche scarto dal macellaio. [3]

Quello fu il nostro primo incontro che non scordai mai, per quanto fu bizzarro.

 

In seguito, fui messa a dura prova dagli eventi.

 

Qualche mese più tardi, mia madre morì, travolta da una carrozza su cui viaggiava una nobildonna diretta a Versailles, una persona talmente coinvolta nella mia esistenza, da influenzarla più di quanto io sospettassi.

Tuo padre fu testimone di quel dramma della mia vita; all’epoca era un giovane giornalista pieno d’ideali dal temperamento acceso, rammento ancora le parole infuocate che indirizzò verso quella contessa.

“Voi nobili credete che vi sia concessa ogni cosa? Perché non aiutate questa donna? Si è ferita per colpa vostra!”

Ma quella contessa proseguì la sua corsa, ignorando le parole di tuo padre e le mie lacrime disperate.

Disse solo che era attesa dalla regina e che non poteva perdere tempo con noi.

Per lei come per tanti signori nobili che si fregiavano di un blasone, che li poneva al di sopra di tutto, non eravamo altro che pezzenti insignificanti, di cui non ci si doveva curare troppo.

Mia madre spirò lì, tra le mie braccia, nel fango della strada, dopo una vita passata nella melma, non prima di avermi rivelato qualcosa che giudicai incredibile nell’immediato. Ero sola, senza più niente. Non avevo più nessuno.

Mi era rimasto solo il mio odio e la vendetta e forse, furono le sole cose che mi impedirono di suicidarmi.

Anche l’odio può far sentire vivi, ma solo a metà.

Alla fine, esso ti distrugge, quindi figlio mio, non farti mai guidare da questa forza negativa.

Anche questo mi ha insegnato Oscar.

“Non costruire la tua vita sull’odio e sul rancore Rosalie, non ti poterà a nulla. Cerca di guardare al futuro con speranza. Fallo per me…” insisteva a dirmi, quando io non facevo altro che pensare alla mia vendetta giorno e notte,  applicando costantemente ogni mia energia al solo scopo di raggiungere il mio obbiettivo.

Ore e ore, spese ad allenarmi con la spada, a duellare con Andrè, sotto l’occhio vigile di madamigella Oscar, immaginando di affondare la lama affilata nel petto di quell’assassina. Sarei stata disposta a morire pur di ottenere quel traguardo.

Non ero certamente animata dalla speranza, la sera che piombai a Palazzo Jarjayes, credendo nella mia ignoranza, fosse la residenza reale. Lì tentai di uccidere la madre di madamigella Oscar, che avevo confuso con la nobildonna della carrozza. Fu allora che le nostre esistenze si incrociarono definitivamente.

 

Tutto può cambiare in un baleno, figlio mio. Non sai mai cosa ti riserva il destino.

La mia vita cambiò così, come se una fata avesse fatto un incantesimo, come quando all’oscurità profonda della notte, segue l’alba più luminosa.

Rinascevo quel giorno, in quel grande palazzo dove Oscar invece di cacciarmi, mi accolse con fiducia e affetto. Non ero nulla per lei, quasi un’ estranea, eppure immediatamente, decise di prendersi cura di me. Ancora oggi mi chiedo cosa la mosse veramente… oh, generosità, certo.

Forse esisteva una spinta più profonda in lei, qualcosa che non sarebbe mai stato soddisfatto, e mi pare di capirlo ora, che ti sento muovere nel mio ventre.

 

Immagina come fu tutto assolutamente nuovo e straordinario per me: mangiavo tutti i giorni a una tavola riccamente imbandita, indossavo bei vestiti di seta ricamati, ero servita e riverita, vivevo nel lusso e dormivo in un letto caldo e accogliente, sormontato da cortine di broccato.

Godevo della compagnia di Oscar, del tempo che lei dedicava alla mia educazione. Oscar mi insegnò a leggere e scrivere.

Quindi, è anche merito suo se tu un giorno leggerai quanto ora sto scrivendo.

All’inizio dubitavo che fosse la realtà; mi addormentavo la sera, pensando che mi sarei svegliata nella mia misera casa di Parigi, dove avrei ritrovato mia madre a stirare la biancheria di qualche nobile signore.

Invece era la realtà, splendida ma anche dolorosa e mi chiedevo perché la sorte fosse stata così generosa con me.

Mi capitava spesso di pensare a mia sorella Jeanne e mi chiedevo cosa ne fosse di lei, in quali avventure si era imbarcata. Una strana fortuna mi aveva portato a entrare in quel mondo senza volerlo veramente, invece lei vi era entrata di prepotenza.  Forse un giorno l’avrei incontrata di nuovo chissà…

Ero abbastanza certa che sarebbe accaduto.

 

Intanto vivevo in una casa di nobili. Come una di loro.

Imparai l’arte della conversazione, a suonare il piano, a danzare con grazia. Diventai elegante e raffinata nei modi e negli atteggiamenti, poteva sembrare davvero che nelle mie vene scorresse sangue blu, ma nell’animo sarei sempre stata la ragazzina cresciuta in un misero quartiere di Parigi. Non ho mai dimenticato le sofferenze di quegli anni. Ripensavo spesso a tutte le persone che erano rimaste là, in mezzo alla loro miseria disumana, persone che conoscevo e che continuavano a soffrire. Avrei potuto aiutarle. Oscar mi fornì di una piccola rendita per le mie necessità, che però non usai mai per me stessa e invece, presi a distribuire tra i poveri.

Oscar mi aveva dato tutto e io attraverso lei potevo rendere qualcosa agli altri. Potevo sdebitarmi.

Lei naturalmente approvò la mia decisione.

 

All’inizio della mia convivenza a palazzo, ripensavo spesso alle ultime parole di mia madre morente.

Io conoscevo così poco del mondo, soprattutto di quel mondo. Non conoscevo i meccanismi che lo regolavano. Era finto e chiuso nelle sue convenzioni sociali, nei contratti disumani che stringevano alleanze di potere, nelle sue etichette. Era un teatro fatto di luci abbaglianti che ti accecavano e stordivano, mentre dietro le quinte si nascondeva il reale marciume che infettava una società apparentemente meravigliosa.

Prima di morire, la donna che io credevo mia madre, mi disse che in realtà, io stessa provenivo da quel mondo.

Figlia della colpa e dell’inganno, forse abbandonata per evitare lo scandalo.

Fu una notizia assurda e incredibile.

Per me è esistita una sola madre, e fu colei che mi allevò con affetto a amore, ma la donna che mi aveva dato alla luce e subito abbandonata, si chiamava Martine Gabrielle. Apparteneva all’aristocrazia.

Mi chiesi se fosse vero, o era stato il delirio di una moribonda a parlare. Non potevo credere di essere figlia di gente nobile, persone che odiavo per come ci facevano vivere, che ci toglievano il pane di bocca e vivevano dei frutti del nostro duro lavoro, derubandoci della nostra dignità. Avevo imparato a odiare gli aristocratici che ci trattavano come bestie e ricordavo ogni insulto e umiliazione subita da due bambine che a piedi nudi nell’inverno rigido, chiedevano l’elemosina per strada.

Fino a quel momento li avevo giudicati tutti uguali.

Invece scoprivo improvvisamente che anche in mezzo a loro c’erano persone di buon cuore.

Era come se avessi trovato una nuova famiglia; Oscar, André, la vecchia governante. Anche madame Jarjayes era molto gentile con me, mi dissero che era una delle dame di compagnia della regina, quindi il più delle volte alloggiava a Versailles. L’unica persona che faticavo a comprendere era il generale Jarjayes. Era ritenuto dalla servitù un buon padrone anche se era severo e inflessibile, soprattutto con madamigella Oscar.

Il padre era sicuramente molto orgoglioso della figlia, riponeva il lei grandi speranze, ma la cosa più sorprendente era che la considerava in tutto e per tutto come se fosse stata veramente un uomo.

Trovavo sempre sorprendente che le si rivolgesse normalmente al maschile, non riuscivo ad abituarmi a quella stranezza e Oscar pareva giudicare la cosa, assolutamente normale. Era suo figlio, l’erede della famiglia Jarjayes. L’unico che pareva ricordare che lei fosse una donna era Andrè.

Per Oscar, essere considerata non alla stregua di un uomo, ma un uomo di fatto, sembrava non crearle alcun problema.

In certi momenti, pareva si divertisse a giocare su questa stranezza e il suo atteggiamento la faceva apparire ambigua.

Compresi che la sua ambiguità generava negli altri, anche forti dubbi sulla sua natura. Col tempo, arrivai a pensare che lei nascondesse dietro il suo atteggiamento, un lato più intimo e personale che tendeva a non mostrare mai a nessuno… eccetto, forse una persona soltanto…

Certo, anch’io mi ero lasciata ingannare all’inizio, ma di fronte all’evidenza non capivo come si potesse pensare che fosse un uomo.

Perché Oscar era davvero bella, molto bella. Non solo esteriormente.

 

Lei era diversa da chiunque io avessi incontrato in vita mia.

Prima di incontrarla, avevo creduto che tutti i nobili fossero uguali; gente gretta ed egoista, interessata a mantenere solo i loro privilegi a scapito della povera gente. Invece vivendole accanto, scoprii giorno per giorno, che Oscar era una persona meravigliosa: era buona, idealista e generosa come nessuna.

Se fosse stata veramente un uomo, credo me ne sarei innamorata subito.

In fondo, il sentimento che arrivai a provare nei suoi confronti, era molto simile ad una sorta di infatuazione, per una donna, certo singolare e non comune.

Ne ero affascinata e non ero l’unica che subiva il suo fascino.

Leggevo questa strana infatuazione in tante persone che incrociavano il suo passaggio, sicuramente l’ho percepita nitidamente nella sfortunata Charlotte De Polignac.

Questa scoperta per me fu davvero bizzarra, ma mi abituai a questo fatto un po’ per volta.

Per uno strano pudore, non ebbi mai il coraggio di chiedere direttamente ad Oscar, qualcosa della sua strana vita, che mi aiutasse a comprenderla meglio.

Ma un giorno parlai con André, il suo attendente; mentre lucidava il cuoio della sella di un cavallo, presi a fargli un sacco di domande.

“Andrè, da quanto tempo lavori per madamigella Oscar?”

“Oh, praticamente da sempre. Sono venuto in questa casa da bambino dopo la morte dei miei genitori; posso dire di essere cresciuto con lei…”

“Madamigella Oscar ha sempre vissuto così?”

Andrè rise un po’ delle mie perplessità.

“Sì, ha sempre fatto questa vita. Alla sua nascita, il generale suo padre, non avendo avuto il dono di un erede maschio, decise che l’avrebbe cresciuta come un ragazzo. Oscar aveva solo 14 anni, quando divenne capitano delle guardie di palazzo e da allora, ha sempre seguito la carriera militare.”

“Ma Andrè… sono tante le donne nobili che vivono come Oscar?”

Una domanda più ingenua non avrei potuto farla e Andrè rise ancora di più, mentre terminava il suo lavoro.

“Lo trovi davvero singolare, vero? No, Oscar è un caso unico… ma concordo con te; è una cosa bizzarra. Eppure lei riesce benissimo in quello che fa, non trovi?”

“Oh, sì… certo.” Conclusi.

 

Che destino strano per una donna.

Avrebbe dovuto essere già sposata o quantomeno in procinto di farlo.

Invece, era il Colonnello delle Guardie Reali del re di Francia.

Vivere come un uomo e rinunciare a tutte quelle cose che avrebbe potuto desiderare una donna, non sembrava pesarle affatto, forse non avrebbe voluto vivere in altro modo. Appariva molto sicura di sé, era abilissima con le armi, ebbi modo di constatarlo e almeno apparentemente sembrava soddisfatta della vita che conduceva.

Era fiera e orgogliosa; non sembrava manifestare alcun disagio per il suo modo di vivere.

Questa era l’immagine che dava di sé al mondo esterno, ma in alcuni momenti mi sembrava di cogliere in lei una sottile inquietudine, un tormento malcelato che si sforzava di dominare. Non ho mai capito di quale natura fosse.

Oscar era una donna molto riservata e schiva; in realtà non frequentava volentieri neppure la reggia di Versailles e quel mondo che gravitava attorno ad essa. Nonostante questo, mi fece dare l’educazione adeguata che mi avrebbe permesso di fare il mio ingresso in quella società.

 

A volte era molto esigente, ma era anche molto paziente, almeno con me.

Lei si interessava di me, era sempre attenta a tutto ciò che mi riguardava, nessuno a parte mia madre, si era mai preoccupato per me.

“Devi toglierti quegli abiti bagnati Rosalie, o ti verrà un malanno… Fa freddo, mettiti il mantello…”

Mi insegnò ad usare la spada perché sapeva che volevo vendicarmi, ma sperava col tempo, potessi dimenticare i miei propositi.

Oscar tentava di costruirmi un futuro, guadagnando tempo.

Quando le rivelai le parole dette da mia madre prima di morire, decise di aiutarmi a trovare la donna che mi aveva abbandonato. Anche per questo mi introdusse a corte, dove scoprii che il colonnello Oscar era un personaggio molto popolare; suscitava l’ammirazione e la stima di dame e gentiluomini.

Tutti erano affascinati da lei, ma non mancavano coloro che le invidiavano l’amicizia della sovrana.

 

Fu durante un ballo a corte che ebbi modo di incontrare per la prima volta la regina Maria Antonietta. Ricordo l’impressione che ne ricevetti; non coincideva assolutamente con l’immagine che mi ero fatta di lei: una donna dissoluta, dedita solo agli sperperi, secondo la descrizione che ne facevano i poveri di Parigi.

Invece mi apparve bella come una dea e di una dolcezza infinita.

Il re non impressionava altrettanto; accanto alla regale consorte, appariva goffo, timido, a disagio ovunque. Eppure, era lo stesso re che la mattina dell'esecuzione affrontò il suo destino con coraggio e salì sul palco del supplizio a testa alta e senza vergogna.

La regina di Francia era una donna di incredibile fascino: all’apice del suo fulgore, possedeva una grazia ed un’eleganza indimenticabili. Era una leggiadra nuvola di luce, una farfalla dai colori splendidi che si muoveva libera nell’aria, un caldo sole abbagliante, e tutto il mondo dorato di Versailles gravitava attorno a lei.

Ricordo le dame di corte fare a gara per imitarla, per avere il privilegio di una sua parola o un cenno di benevolenza.

L’immagine splendida di allora, vista da questa distanza sembra irreale; essa si sovrappone e scompare davanti all’ultima della donna triste e consumata, con i capelli canuti come quelli di una vecchia, che incontrai un anno fa, nella prigione della Conciergerie.

 

A Versailles, il mio vero obbiettivo era trovare l’assassina di mia madre e infatti, mi bastò quella sera per trovarla.

Si trattava della contessa di Polignac, donna all’epoca molto potente, perché godeva della protezione e dell’amicizia della sovrana. L’avrei uccisa quella sera stessa, davanti a tutti i cortigiani presenti, se Oscar non mi avesse fermato, impedendo il mio folle gesto, dicendomi che sarei morta senza scopo.

In verità, non mi sarebbe importato di morire in quel momento, perché giudicavo la mia vendetta la cosa più importante. Non ragionavo, accecata com’ero dal mio odio. Quello era il mio scopo e non ne avevo un altro.

 

Oscar, dopo quel primo incontro, mi esortò a dimenticare, a pensare solo al mio futuro; mi considerava parte della sua famiglia e anch’io ormai nutrivo un forte affetto per lei. Sarei stata felice di poter restare sempre al suo fianco, ma non riuscivo a dimenticare la contessa di Polignac. Il mio odio per lei non diminuiva e a corte non tornai mai volentieri, se potevo evitavo di incontrarla. Eppure le nostre strade si sarebbero incrociate ancora, molto più di quanto io potessi volere.

Per una beffa del destino, un giorno scoprii chi era veramente Martine Gabrielle.

Oscar aveva fatto delle ricerche per trovare chi mi aveva messa al mondo. Scoprì che si trattava proprio della contessa Di Polignac. Non ricordo cosa provai in quel momento, so soltanto che restai inerme, come se avessi ricevuto uno schiaffo in pieno volto. Sapere la verità non servì a cancellare il mio odio, mi restava il desiderio della vendetta, ma alla fine mi mancò il coraggio di attuarla, pensando ad una triste ragazzina di undici anni che sarebbe rimasta orfana.

Mi sforzai di dimenticare anche per non dare un dolore a Oscar.

Quello che successe dopo, mi fece pensare che la punizione divina aveva comunque raggiunto la contessa di Polignac, perché perse la figlia giovanissima, tragicamente.

Ho pianto con dolore per quella sorella trovata e subito persa.

 

Ma forse Dio mette a posto tutte le cose in un modo che noi non possiamo capire e colloca le persone nel posto esatto in cui devono stare.

 

E anch’io forse ero arrivata lì per un motivo.

 

La mia vita continuava, in qualche modo; la dividevo con Oscar e Andrè…

Così, fui testimone di un segreto che per chiunque altro sarebbe rimasto ignoto…

 

 

Continua…

 

 

Non temete, non sarà una storia lunga, al massimo due capitoli.

 



[1]  Se non sbaglio, durante il processo farsa della regina, questa era una delle accuse che le fu mossa.

 

[2]  Naturalmente, qui faccio riferimento al manga, dove Rosalie cerca davvero di prostituirsi; ferma la carrozza di Oscar e si vende a lei per una sera. Anche nell’anime è presente questa scena, solo che in Italia è stata tagliata e censurata.

 

[3]  Io non so bene cosa si potesse comprare con una moneta d’oro, cosa potesse valere, ma ho voluto pensare che Oscar sia stata molto generosa con la piccola Rosalie.

   
 
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