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Autore: cabol    04/06/2010    1 recensioni
Un ladro del calibro di Blackwind e una potente gilda dei ladri inevitabilmente sarebbero giunti allo scontro. Così, la capitale della Repubblica di Elos viene sconvolta da una feroce guerra fra fazioni che potrebbe portare addirittura a sconvolgere l'assetto dello stato.
Contemporaneamente, un'assassina distrutta dal dolore cerca la vendetta contro chi le ha ucciso l'uomo che amava.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo Cinque

Sapevano già tutto.

Arel non aveva nemmeno dovuto dare spiegazioni: già avevano avuto notizia di com’era andata la faccenda e volevano solo che la giovane guerriera riferisse tutto al loro comandante. Di buono c’era che su di lei non pendeva alcuna accusa, sicché la ragazza si rassegnò a seguirli al loro quartier generale.

Il Castello Elos[11] sorgeva su un isolotto proprio alla foce del fiume, collegato alla terraferma da un ponte fortificato. Si trattava di una costruzione imponente, alta e massiccia, sormontata da un audace torrione che si ergeva per oltre settanta piedi sulle sue mura possenti. Dalla terrazza in cima alla torre si poteva osservare un immenso tratto di orizzonte, sul mare e sulla terraferma.

Arel dovette accontentarsi di ammirare la torre solo dal basso, dal momento che la caserma della Guardia di Elos si trovava nel cortile della fortezza. Fu introdotta in un piccolo ufficio arredato spartanamente e fiocamente illuminato da una stretta e alta finestra.

La ragazza sobbalzò nel riconoscere il giovane ufficiale che aveva udito scontrarsi col lord Cancelliere pochi giorni prima.

«Buonasera, madamigella. Accomodatevi, sono il capitano Ernest Tyron della seconda compagnia della Guardia di Elos». L’ufficiale si alzò in piedi indicando una comoda poltrona posta davanti alla sua scrivania.

«Grazie, siete molto gentile. Io mi chiamo Arel, Arel Graufhin». La ragazza sedette e il baffuto ufficiale si pose a cavalcioni dell’angolo della scrivania, in un atteggiamento decisamente informale. Evidentemente gli era bastata un’occhiata per capire come mettere a suo agio la giovane guerriera.

«Piacere, Arel. Sappiamo che oggi pomeriggio siete stata coinvolta in una zuffa con un certo personaggio. Lo conoscete?».

«Quel gobbo? No, non l’avevo mai viso prima».

«Ne siete certa? Perché ce l’aveva con voi?».

«Ne sono certissima. Ma non ce l’aveva con me, piuttosto il contrario. Ero io a volergli dare una lezione».

Arel raccontò dettagliatamente il suo incontro con Harry e le angherie che quell’individuo aveva perpetrato ai danni dei ragazzini, fino allo scontro con lui. Evitò di menzionare solamente l’ombra evocata e l’anello. Il capitano la ascoltò con attenzione, interrompendola solo di quando in quando con qualche domanda. Alla fine apparve convinto, sebbene non soddisfatto.

«Un vero peccato. È un pezzo che stiamo dandogli la caccia … se solo fossimo arrivati un po’ prima». Il giovane ufficiale si lasciò sfuggire un sospiro. «Pazienza, l’importante è che non vi abbia fatto del male. Siate prudente, Arel, quell’uomo è pericoloso».

«Ma si può sapere chi accidenti è?».

«Si chiama Borghy Elkanjuv, detto il gobbo, è un capo zona della gilda dei ladri. Sospettiamo che possa appartenere a una delle principali fazioni in lotta».

«Scusatemi, non vi capisco. Di quale lotta state parlando?».

«Non siete di qui?».

«Manco da circa due anni. Mi sto accorgendo che molte cose sono cambiate».

Il capitano sorrise.

«La città è effettivamente cambiata molto in questi ultimi anni. È molto cresciuta, nuovi quartieri sorgono continuamente soprattutto sulla riva meridionale del fiume e già c’è chi parla di erigere una nuova cinta esterna. E, parallelamente, sono cresciuti i problemi».

«Che cosa sta succedendo?».

«La gilda dei ladri, negli ultimi tempi, pare aver abbandonato la politica dell’agire in silenzio che aveva seguito finora. Non passa notte senza che venga trovato un morto ammazzato da qualche parte».

«E non avete scoperto nulla?».

Un’ombra rabbuiò gli occhi dell’ufficiale.

«Sospettiamo che sia in corso una qualche faida interna alla gilda. Se non addirittura una guerra fra bande. Sappiamo per certo che il vecchio capo non ha più il pieno controllo della situazione».

«Immagino che questo sia un problema».

«Infatti. La ricchezza che si è riversata in città ha anche portato a nuovi equilibri nella politica cittadina, mi sembra evidente che questo si possa riflettere anche all’interno alla comunità dei delinquenti. Fino a pochi anni fa, la gilda aveva mantenuto un atteggiamento prudente. Ora si è fatta aggressiva. Immagino che ci sia al suo interno qualche personaggio rampante che intende assumere una posizione dominante».

Arel rifletté in silenzio su quelle parole, poi si rivolse al capitano.

«Però, ammazzando quel Blackwind avete dato un duro colpo alla gilda».

«Penso proprio di no. A quanto ne sappiamo, non ne faceva neppure parte. Potremmo addirittura aver reso loro un favore, ci sono voci che parlano di una taglia sulla sua testa messa proprio dai capi dell’organizzazione».

«Ma non era un ladro?».

«Sì ma era diverso da tutti gli altri ladri … evitava la violenza, non ha mai ucciso nessuno e sceglieva le sue vittime fra i peggiori elementi della città».

«Perdonatemi l'ardire ma ho l'impressione che ne parliate con una certa simpatia».

«Se avessi avuto l'occasione non avrei esitato ad arrestarlo, ma avete ragione. Come uomo ho … avevo simpatia per quel tipo. Aveva stile, coraggio e inventiva e non aveva mai fatto del male a nessuno, semmai il contrario».

«Lo conoscevate?».

«No, anche se lui doveva conoscere me, visto che mi ha impersonato per incastrare un trafficante d'armi». Il capitano si lasciò sfuggire una risatina.

«Davvero? E non ve la siete presa?».

«Forse avrei dovuto ma mi interpretò con tanta classe e intelligenza che mi fece fare una bella figura, forse migliore di quella che avrei fatto io».

«Siete una persona molto intelligente e aperta per, ehm».

«Per essere uno sbirro, vero? Non preoccupatevi, Arel, capisco e apprezzo ciò che volevate dire». Arel arrossì violentemente. Quell’ufficiale sembrava proprio una brava persona e le seccava essersi lasciata scappare quella frase.

«No … ma, ehm, scusatemi, capitano. Siete veramente un uomo capace e vi auguro una splendida carriera».

«Grazie ma la carriera la lascio volentieri agli altri. Sono tutto fuorché un ufficiale rampante».

«Immagino. In effetti, ho notato che ci sono molti personaggi rampanti in città, ehm, sembra un’epidemia. Ho scoperto che abbiamo un nuovo lord Cancelliere».

Il capitano si rabbuiò in volto ma non eluse la domanda.

«Lord Elucin? È vero, è un caso direi … eclatante».

«Ma da dove salta fuori? Non l’avevo mai sentito nominare quando vivevo qui».

«È un ricco impresario edile che ha realizzato almeno tre dei nuovi quartieri della città, arricchendosi a dismisura. L’anno scorso ha ricevuto il titolo nobiliare e da sei mesi è il nuovo lord Cancelliere. Non sarei stupito se, in capo a un paio d’anni, finisse per diventare senatore o Patriarca[12]».

«Non è strana una simile ascesa?».

«Siete indiscreta, Arel … sì, è strana. Ritengo che il Cancelliere abbia in pugno parecchia gente che conta, fra l’altro è qualcosa di cui lui stesso non fa mistero. Quel che non sappiamo è in che termini possa controllare tanti notabili. Ma stiamo divagando. Vi raccomando prudenza: il gobbo è pericoloso e potrebbe tentare di vendicarsi. Se avete sue notizie, non correte rischi inutili e avvertitemi, renderete un grosso servizio alla città».

«Vi ringrazio capitano, e buona fortuna».

***

L'oscurità scendeva rapidamente nei vicoli cittadini, accompagnata, come quasi ogni sera, da una nebbiolina umida che si levava dal mare diffondendosi ovunque nella grande città. Di quando in quando, la luce gialla di un fanale o di una torcia erompeva nel buio, per sparire dopo pochi metri. I suoni si propagavano ovattati, portando con sé e mescolandole, le gioie e i dolori, le grandezze e le miserie.

Un'ombra si muoveva furtiva confondendosi fra la nebbia, quasi senza emettere alcun rumore. Sfiorava i muri sbreccati e le staccionate malconce con passo leggero e deciso, sicura e agile come un gatto. Ai fianchi sinuosi, due daghe affilate protette da foderi di cuoio scuro ondeggiavano ritmicamente, accompagnando con la loro danza i movimenti della bellissima donna vestita di nero.

Svoltato un angolo, si arrestò bruscamente, restando a osservare in silenzio la strada. La luce chiara di due fanali illuminava una porta sulla quale un’insegna logora mostrava sette soli argentei su sfondo scuro.

Rimase per lunghi istanti immobile, ascoltando il silenzio e scrutando nell'oscurità, poi si avvicinò all'edificio grigio. La porta, sebbene scrostata in superficie, appariva robusta. Lentamente e silenziosamente, percorse tutta la parete esplorandola con attenzione, con tutti i sensi all’erta per evitare di essere sorpresa. Al termine della perlustrazione, si fermò in un punto dove una finestra bassa e larga si apriva a circa due metri dal suolo. Attese un altro istante in perfetto silenzio, poi, agile come in gatto, s’inerpicò sul muro, raggiungendo facilmente l’apertura.

In pochi istanti la finestra si aprì, permettendole di scivolare all’interno del magazzino.

L’ambiente era molto grande e ingombro di casse, alcune più alte di lei, e grossi sacchi ben chiusi. Un brusio lontano le fece capire di non essere sola. Ascoltò per qualche istante, finché non le fu chiaro che quelle voci provenivano dall’altra parte del magazzino. Si mosse con estrema prudenza, aggirando le merci stipate, badando con estrema attenzione a dove posava ogni suo passo.

Quando ebbe terminato la sua esplorazione, sapeva che le voci provenivano da una porta socchiusa sulla parete opposta a quella dove si trovava la finestra dalla quale era entrata.

Si accostò alla porta e vide quattro uomini seduti intorno a un tavolo. Dalla vivacità delle espressioni e dalla loro concentrazione, comprese immediatamente che stavano giocando a dadi. Cercò di capire cos’altro ci fosse in quella stanza e la sua attenzione fu immediatamente attratta da un pannello della parete, scostato in modo da lasciare intravedere un’apertura.

Un passaggio segreto. Bene, ora come li sistemo questi?

La donna rimase in silenzio per un po’, mentre la sua mente acuta elaborava un piano per mettere i quattro sorveglianti in condizioni di non nuocere.

Ebbe la tentazione di affidarsi alle sue armi ma la scacciò immediatamente. Innanzitutto aveva giurato a se stessa di non uccidere se non per motivi gravissimi e poi non ci sarebbe stato modo di eliminare quattro avversari senza generare allarme.

Occorreva riuscire a introdursi nel passaggio senza essere vista. La stanza era illuminata da qualche candela ma proprio accanto al pannello aperto c’era una torcia accesa che avrebbe reso impossibile sgattaiolare dentro senza essere vista.

Un modo c’era.

***

Cal stava perdendo e la cosa lo seccava alquanto. Jon aveva davvero una fortuna sfacciata quella sera. E non stava barando. Non che non lo sapesse fare, volendo, ma sarebbe stato un tentativo idiota. Tutti e quatto i giocatori erano bari consumati, il che garantiva l’assoluta correttezza del gioco, giacché chiunque avesse tentato un trucco sarebbe stato immediatamente scoperto dagli altri.

Guardò Rol e quasi gli venne da ridere vedendone l’espressione desolata. Stava perdendo quanto e più di lui e pareva non darsene pace. Cercò di catturarne lo sguardo ma il giovane non pareva badargli, aveva occhi solo per i dadi. Dopo un po’ decise di ignorarlo e, fallito un ennesimo lancio di dadi, si dedicò a studiare Phil, il novellino del gruppo. Poi tanto novellino non era, poiché si era già fatta una notevole fama di tagliagole, ma solo da poco era stato arruolato dal gobbo nell’associazione.

Phil era maledettamente giovane e maledettamente sveglio. E quella sera aveva bevuto più del solito. Non sarebbe stato strano se avesse finito per litigare con Jon. Quando gli occhi di Cal si fissarono in quelli del novellino, l’anziano ladro ebbe la conferma dei suoi timori. Phil aveva bevuto troppo e si stava decisamente adirando.

Un tonfo.

Quattro teste si voltarono all’unisono verso la porta del magazzino.

«Cos’è stato?».

«Non so, forse è caduto un sacco».

«Andiamo a vedere, ragazzi, tanto qui si perde e basta.».

«Ma via, sarà stato un topo. Ma quando mai s’è visto qualcuno qui? E chi sarebbe tanto idiota da venire a rubare in casa nostra?». Jon pareva non avere la minima intenzione di farsi distrarre.

«Può darsi che tu abbia ragione, ma se dovesse accadere qualcosa ne andremo di mezzo tutti. E l’idea non mi piace per nulla». Cal sapeva bene che cosa sarebbe potuto succedere se i capi avessero scoperto che avevano trascurato i loro obblighi di vigilanza. Rabbrividì al pensiero.

«Che c’è, Jon? Paura di andare a vedere o di perdere la mano fortunata?». Phil, inviperito, rincarò la dose.

«Piantala, novellino. Andiamo a vedere. La fortuna sta con chi se la merita, moccioso. Non ti azzardare mai più a insinuare che io abbia paura o ti taglio la lingua».

«Avanti, non mi pare il caso di litigare. Andiamo a controllare».

I quattro lasciarono il tavolo al quale stavano giocando e si diressero verso il magazzino. Jon, nel passare davanti al pannello segreto, afferrò la torcia che ardeva lì accanto.

Esplorarono attentamente il locale senza trovare alcunché. Dopo una mezzora, decisero di desistere.

«Va bene. Qui non c’è nessuno. Ora torniamo di là che vi voglio pelare un altro po’».

Cal rientrò nella stanza con un’espressione seccata in volto. Si sedette di malavoglia sullo sgabello che aveva occupato fino ad allora e guardò il tavolo con aria perplessa. Phil si sedette accanto a lui e il suo sguardo trasognato si fissò sul tavolo con espressione distante. Jon prese i dadi e si accinse a tirarli, quando la voce di Rol lo riscosse.

«Ehi! Chi diavolo si è fregato i miei soldi?».

In effetti, dal tavolo mancavano i sacchetti di monete che i quattro avevano lasciato.

«Ragazzi, se è uno scherzo è idiota. Tirate fuori il mio borsellino o ve lo faccio sputare, insieme all’animaccia vostra».

«Jon, non guardare me, ero accanto a te».

«Non guardo te, Cal. È questo novellino che guardo. Dove hai messo i miei soldi, moccioso?».

«Io non ho toccato i tuoi soldi, chiaro?».

«Davvero? E chi li avrebbe presi? Il gatto?».

«Non sono stato io il primo a rientrare!».

«Cosa vuoi insinuare?».

Phil si alzò di scatto con gli occhi fiammeggianti. Allungò la mano verso il pugnale ma la ferma presa di Rol lo arrestò a metà movimento.

«Ma che siete scemi? Guardiamo, forse li abbiamo poggiati …».

Non terminò la frase, perché dalla cintura di Phil, che tentava di divincolarsi, era caduto un sacchetto che emise un suono ben noto nel toccare il suolo.

«Ma quello è il mio borsellino!».

«Pivello, sei nei guai».

Il giovane ladro scattò improvvisamente cercando di mettere le mani intorno al collo di Jon che si scansò agilmente e finì per urtare Cal. Questi cadde a sedere sullo sgabello e un sacchetto di monete si staccò dalla sua cintura per rovesciarsi al suolo

«Cosa? Anche tu, vecchio furfante?».

«Ehi, non scherziamo! Chi mi ha messo addosso questa roba?».

«Chi vuoi che sia stato? Ci siamo solo noi, qui. Vi eravate messi d’accordo, eh?».

«Rol, se cerchi guai, li hai trovati».

Uno sgabello volò per la stanza.

Nei minuti successivi, il magazzino si trasformò in una bolgia e nessuno fece caso a un’ombra furtiva che sgattaiolò nel passaggio segreto.

L’Oleandro Nero si concesse un raro sorriso. Blackwind avrebbe apprezzato.



[11] Dal nome del leggendario fondatore di Elosbrand
[12] La repubblica è divisa in tre patriarcati, ognuna retta da un Patriarca che ne rappresenta gli interessi in senato

  
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