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Autore: cabol    05/06/2010    1 recensioni
Un ladro del calibro di Blackwind e una potente gilda dei ladri inevitabilmente sarebbero giunti allo scontro. Così, la capitale della Repubblica di Elos viene sconvolta da una feroce guerra fra fazioni che potrebbe portare addirittura a sconvolgere l'assetto dello stato.
Contemporaneamente, un'assassina distrutta dal dolore cerca la vendetta contro chi le ha ucciso l'uomo che amava.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Guerra 7

Capitolo Sette

Arel si guardò intorno, circospetta. Si stupì della sua stessa calma nel constatare di essere circondata. Tutte le vie di fuga erano bloccate. Avrebbe dovuto essere preoccupata, se non addirittura impaurita, invece era assolutamente calma. Si sorprese a valutare quali possibilità avesse di saltare addosso al gobbo e tagliargli la gola prima di essere sopraffatta ed eliminata dagli altri.

Richiamò il potere che le consentiva di vedere al buio e si preparò alla lotta.

Avrebbero dovuto sudare per avere la sua pelle.

Avvertì un movimento alla sua destra.

Un coltello lampeggiò.

La spada di Arel saettò a bloccare l'attacco.

Troppo facile.

Un altro lampo, stavolta a sinistra.

Altra parata.

Troppo facile anche questa.

Perché non portano a fondo gli attacchi?

Un movimento improvviso dietro di lei.

Balzò di lato.

Il gobbo stava maneggiando una specie di grossa rete da pesca.

Mi vogliono viva!

Era un vantaggio fondamentale.

La rete si spiegò, volteggiando a mezz'aria.

Arel scattò improvvisamente.

Piombò su Elkanjuv come un ariete, prendendolo in pieno torace con una testata che lo lasciò senza fiato. Rotolò su un fianco e balzò in piedi, parando un affondo poco convinto. Il suo contrattacco piombò sul braccio dell’assalitore, provocando una ferita profonda che lo costrinse ad abbandonare l’arma.

Una luce maligna brillava negli occhi della giovane guerriera.

Vi costerà caro, ragazzi. Molto caro.

Mentre si voltava per bloccare un altro degli scagnozzi di Elkanjuv, il suo stivale destro affondò nell'inguine del gobbo, strappandogli un gemito straziante.

Loro la volevano viva ma lei non aveva problemi a fare del male ai suoi aggressori. Riuscì a fargliene parecchio, prima che una violenta bastonata riuscisse a farle perdere la coscienza di quanto accadeva intorno a lei. Alla fine, il bilancio per gli assalitori constava di due feriti gravi, tre lievi, una mezza dozzina di occhi neri, almeno tre denti di bocche diverse e la virilità di Elkanjuv seriamente compromessa. Il tutto a fronte di un bernoccolo e un paio di graffi.

Nessuno osò infierire sulla ragazza. Gli ordini erano tassativi e tutti sapevano bene cosa poteva costare provocare l'ira di un mago di Uytolgoth.

La legarono strettamente e la caricarono su un carretto, coperta da un telo. Le fece compagnia un Borghy troppo malconcio per camminare o anche solo parlare e troppo spaventato per cercare vendette.

Quando Arel riprese i sensi, era ancora sul carretto ma il buio intorno a lei era troppo fitto per essere quello della notte. Sentiva freddo, aveva male ai muscoli e la testa le ronzava come un alveare. Istintivamente, cercò di portare una mano sul capo ma era legata troppo strettamente per accennare a movimenti di qualsiasi tipo. I muscoli le dolevano soprattutto per quello.

Cercò di rilassarsi. Il carretto era fermo, dunque dovevano averla lasciata in un magazzino o qualcosa di simile. Cercò di aguzzare gli altri sensi, dal momento che c'era poco da vedere. Voci in lontananza. Vicino, un respiro. Avevano lasciato qualcuno di guardia? In ogni caso, non aveva grosse possibilità di liberarsi senza far rumore. Meglio attendere un'occasione più propizia. Dal momento che, pur di prenderla viva, quegli scagnozzi si erano fatti pestare per bene, era evidente che non stava correndo alcun pericolo immediato.

Ma cosa diavolo potevano volere da lei?

Sulle prime aveva pensato a una vendetta di Borghy, ma ormai la cosa era da escludere. Il gobbo agiva per conto di qualcuno che la voleva viva e in buono stato. Qualcuno cui Elkanjuv e i suoi scagnozzi obbedivano supinamente.

La testa continuava a farle male ma ora il dolore era localizzato, sicuramente dove aveva ricevuto la botta che l'aveva stordita, dunque la ragazza riusciva a pensare sempre più lucidamente. Il gobbo non doveva essere solo un bulletto da quattro soldi. L'anello magico non poteva far parte dell'equipaggiamento di una simile nullità. Agiva per conto di qualcuno di importante. E chi poteva avere tanto ascendente sui delinquenti della città se non la gilda dei ladri? Era un'ipotesi credibile. Che non spiegava, però, il perché l'avessero rapita.

Passi.

«Dorme ancora?».

«Come un angioletto, Borghy!».

«Crepi! Fosse per me mi ci sollazzerei un po' prima di tagliarle la gola. Ma il nero la vuole viva e in buona salute. Appena sarà in grado di muoversi, liberatele le gambe e portatela giù, la chiuderemo nella fossa. Un po' di topi non nuoceranno certo alla sua salute!».

La fossa. Verosimilmente una cantina o qualcosa del genere adibita a cella. Bene, i topi non sarebbero stati certamente un problema e Arel decise che era arrivato il momento di farsi sciogliere i lacci e muovere un po' le gambe.

Gemette.

«Ehi, si è svegliata!».

«Ma bene, gallinella mia, bentornata fra noi».

La giovane scoccò un'occhiata beffarda al gobbo.

«Non hai ancora cambiato voce, tu?».

Elkanjuv impallidì visibilmente. L'odio traspariva evidente dai suoi occhi ma seppe controllarsi.

«Farai meno la spavalda domattina, quando il nero si occuperà di te. Chissà cosa vuol farti... forse trasformarti in un tacchino o prenderti a palle di fuoco. Comunque, non sarà nulla di divertente, stanne certa!».

Un mago o qualcosa del genere. Poteva essere davvero un avversario pericoloso. Arel decise di scoprire qualcosa di più.

«Fai il cane da riporto, Elkanjuv? Se il tuo padrone è potente come tu sei abile con la spada, posso stare tranquilla».

Il gobbo divenne livido di furore.

«Tu non sai contro chi ti sei messa, maledetta strega! Non è solo Sfi-Hak il tuo nemico ma Snake con tutta la gilda. Sei spacciata, schifosa».

Dunque il mago si chiamava Sfi-Hak. Un nome uytolgosh[13], quasi certamente un mago nero, uno della casta alta. Brutta razza, pensò Arel. E dietro di lui c’era nientedimeno del famigerato Snake. Un brivido di paura le corse lungo la schiena. Era già maledettamente scabroso vedersela col mago ma una delle più potenti gilde dei ladri di tutta Ainamar era effettivamente troppo. Ma per nessun motivo al mondo avrebbe dato a Borghy la soddisfazione di apparire spaventata. Intanto, le gambe erano finalmente libere, dunque si alzò in piedi.

«La gilda deve essere davvero messa male se si affida a un buffone come te. Credi davvero di impressionarmi? Secondo me sei solo un povero bulletto con manie di grandezza».

Elkanjuv scattò contro di lei col braccio alzato, pronto a colpirla ma un violento calcio della giovane lo centrò nuovamente nelle zone critiche, facendolo accasciare al suolo.

Un violento strattone la costrinse a voltarsi. Il tipo che le aveva fatto la guardia fino ad allora la trascinò con sé.

«Vieni con me, se no quello ti sgozza. Sei fortunata che ti vogliono viva e intatta. O forse no. Comunque, nella fossa farai meno la sostenuta».

Attraversarono un tratto buio dove Arel scorse le ombre di alcune casse di dimensioni notevoli, che confermarono la sua ipotesi di trovarsi in un magazzino, poi fu introdotta attraverso una porta in una stanza dove alcune persone stavano parlottando fra loro.

All’ingresso di Arel, tutti si voltarono a osservarla, facendo bruscamente cessare il brusio. Cinque brutti ceffi la guardarono in silenzio. Uno di quelli, un ciccione col naso a patata, la colpì per l’espressione indagatrice dei suoi occhi vivaci.

«Che hai da guardare palla di lardo?».

Il ciccione non parve assolutamente offeso.

«Perdonatemi, dolce signora», disse in tono beffardo, «sono solo stupito che in questo posto circolino così belle ragazze. Devo rivedere l’opinione che mi ero fatto, credevo ci fossero solo facce patibolari come quella dei signori qui presenti». Sorrise, indicando i suoi compagni.

«Ha parlato il bellone!». Ghignò uno dei loschi figuri, ammiccando al grassone.

«Ti piacerebbe fare compagnia a questa bellezza, eh? Purtroppo è proprietà del nero. Scordatela, Horace». Il ceffo che stava trascinando Arel rise sguaiatamente.

«Si tratta bene, il vostro capo». Sorrise il pingue individuo che avevano chiamato Horace.

«Pensa quanto sei importante: anziché spassarsela subito con lei, stasera vuole ricevere te. Deve essere qualcosa di assolutamente importante». Disse un altro dei ceffi che sedevano accanto a Horace, guardandolo con malcelata invidia. Una riunione segreta direttamente col braccio destro di Snake era un onore assolutamente insolito per uno straniero.

«Contento lui. Io avrei fatto il contrario, ragazzi. E datemi torto, se avete il coraggio!». Il grassone si era voltato verso i suoi compagni, strizzando loro l’occhio. Una risata lubrica degli altri affiliati della gilda accompagnò Arel attraverso una porticina segreta che il suo guardiano aveva spalancato.

Scese un’infinità di scale a chiocciola e, giunta alla fine, calcolò che doveva trovarsi circa cinquanta  piedi sottoterra. Percorse ancora un corridoio lungo e buio, fino a una porta massiccia dietro la quale si trovava un locale squallido ed umido, fiocamente illuminato da una torcia. Al centro della stanza una botola aperta la stava attendendo, come le fauci spalancate di un mostruoso carnivoro.

***

Sfi-Hak guardava perplesso l’ometto grassottello seduto davanti a lui. Chissà perché, quel famoso scassinatore se lo aspettava più imponente. Nel vederlo aveva dovuto fare un bello sforzo per mascherare la delusione. Quell’individuo appariva pressoché inoffensivo e i suoi movimenti goffi non erano certamente quelli agili e precisi che ci si sarebbe attesi da uno con la fama di sapere aprire qualsiasi serratura. Le apparenze spesso ingannano, si ripeté, sperando vivamente che Borghy non gli avesse combinato qualche altro disastro.

«Siete davvero Horace di Sirtir?».

«Da abbastanza tempo da esserne convinto, messere».

Arguto. Almeno il cervello pare funzionare. Vediamo quanto.

«Sapete perché vi ho convocato?».

«Siccome dubito che mi abbiate chiamato per deliziarvi con le mie chiacchiere, ritengo probabile che abbiate bisogno che vi apra qualcosa di piuttosto ben chiuso. La scelta di rivolgervi a qualcuno che non sia di queste parti, mi fa ipotizzare che nessuno ne debba venire a conoscenza».

Horace di Sirtir aveva parlato in tono sicuro, con calma, sebbene la sua vocetta acuta suonasse ridicola. Il mago lo guardò con maggiore rispetto. Un sorriso affiorò sulle sue labbra.

«Bene, vedo che sapete ragionare. Questa è la dote che apprezzo di più nei miei collaboratori».

«Ne sono certo». Replicò asciutto lo scassinatore.

«Vi spiegherò, allora, cosa mi attendo da voi».

Horace si rilassò sulla sedia, posò le mani sul ventre prominente e sorrise al mago.

«Vi ascolto».

«Si tratta di violare un forziere con una serratura meccanica disegnata da fabbri gnomi».

Lo scassinatore alzò un sopracciglio.

«Abili ma prevedibili. Sarebbe questa la difficoltà?». La sua voce suonava scettica.

«C’è dell’altro. Sulla serratura sono state applicate anche delle trappole progettate da un elfo scuro».

«Ah, questo è interessante. Una sfida appassionante, messere». Stavolta l’uomo si era fatto attento, gli occhi fissi sull’interlocutore esprimevano un’eccitazione a malapena repressa.

«Potrebbe essere pericoloso».

«Me ne rendo conto. Ma, vedete, amo la mia arte e l’amore va spesso a braccetto con la follia».

Sfi-Hak lo guardò con curiosità. Un personaggio insolito. Un artista, nel suo genere, geniale ma bizzarro. Si augurò una volta di più che le informazioni che aveva preso a suo riguardo fossero esatte e che il genio prevalesse sulla bizzarria.

«Allora accettate?».

Il grasso ladro scoccò un’occhiata ironica al suo interlocutore. Il mago se ne avvide, stizzendosi. Quel tipo reggeva troppo bene il confronto.

«Quanto?».

«Diecimila».

Horace ridacchiò.

«Vanno bene per la parte gnomica. Per quella elfica devo chiedervi il doppio».

Sfi-Hak spalancò i piccoli occhi.

«Trentamila? Siete pazzo?».

«Messere, so fare i miei conti. Con le trappole degli Elfi Scuri si rischia la pelle, spesso in maniera poco simpatica, inoltre comprendo che non vogliate lasciare tracce, dunque non si tratta solo di disattivarle e aprire il forziere ma di rimettere tutto com’era prima, una volta preso quel che cercate».

Il mago osservò attentamente lo scassinatore ma il suo sguardo indagatore non parve metterlo a disagio. Al contrario, il ciccione pareva divertirsi parecchio.

«Dovrete portarmi tutto ciò che è contenuto nel forziere e, sì, lasciare tutto come l’avete trovato. Meno tracce si lasciano e meglio è».

Un largo sorriso comparve fra le guance paffute.

«Allora concordate che la mia richiesta è equa?».

«D’accordo. Avrete i trentamila». Sfi-Hak sospirò rabbiosamente, nell’accettare la tariffa esosa dello scassinatore. Horace sorrise. La trattativa era finita e da quel momento le parole del mago sarebbero state solo ordini.

«Quando dovrei fare il colpo?».

«Stasera stessa». Gli occhietti maligni dell’uomo di Uytolgoth si strinsero lievemente.

«Dove?».

«Sarete condotto nel luogo dai miei uomini. Tornerete con loro e mi consegnerete tutto, e ribadisco, tutto, ciò che avrete trovato nella cassaforte. Solo allora sarete ricompensato come meriterete».

La voce di Sfi-Hak era tranquilla ma gli occhi esprimevano chiaramente quanto fosse determinata la sua volontà. In pochi avrebbero osato obiettare qualcosa alle sue parole.

«Benissimo».

«Partite allora. Vi attendo per domattina. Dormirete dopo aver completato il vostro incarico».

«A domani, messere. Dormite pure tranquillo. Avrete ciò che cercate».

Il mago lo guardò in silenzio, con le sopracciglia aggrottate, quasi cercando di penetrare nella mente dello scassinatore. Fu quasi tentato di ricorrere a un sortilegio ma si ricordò che lui stesso aveva creato un’area di dissoluzione della magia, per evitare scherzi da parte di quell’individuo, che Borghy gli aveva descritto come capace di utilizzare incantesimi. Probabilmente conosceva solo qualche rudimento dell’Arte ma Sfi-Hak non amava i rischi inutili. Se il suo interlocutore avesse fatto un tentativo di manipolare la Magia, sarebbe andato incontro a una delusione cocente, seguita immediatamente dall’intervento di quattro uomini del mago. Ma Horace non aveva assolutamente fatto nulla del genere e il mago si sentì rassicurato sul buon senso dell’uomo che aveva di fronte.

Sorrise.

«La fortuna vi assista, messer Horace».

Il pingue furfante sorrise a sua volta.

«Lo fa sempre. A domani».

Appena lo scassinatore fu uscito dalla stanza, un pannello nascosto della parete si aprì e Snake si avvicinò al mago. Il suo viso esprimeva perplessità.

«Che ne pensi? Me lo aspettavo diverso».

Il mago annuì.

«Anch’io. Ma non fidarti delle apparenze. C’è più di quello che non sembri».

Un lampo crudele comparve nei piccoli occhi di Sfi-Hak. Snake lo guardò pensoso.

«Lo spero. A parole si difende bene. Questa faccenda è vitale. Se il colpo riesce, la gilda sarà nelle nostre mani e, presto, anche la città». La sua voce, solitamente sicura e arrogante, tradiva un’ansia repressa. Un altro lampo maligno balenò nello sguardo del piccolo mago.

«Riuscirà. È un uomo astuto e intelligente ma sembra dotato di buon senso. Ha capito che gli conviene evitare furbate».

Snake sorrise, seppure a denti stretti.

«Con quello che lo paghi mi sembra il minimo!».

Sfi-Hak sghignazzò malignamente.

«Non se li godrà a lungo, quei soldi».

Il potente numero due della gilda lo guardò con espressione inquisitoria.

«Hai già disposto tutto?».

Il capo tatuato del mago si piegò in segno d’assenso.

«Se il colpo riesce, lo terremo nascosto per un giorno, con la scusa di predisporre il suo rimpatrio, poi lo spediremo ai pesci».

Snake annuì gravemente.

«Se è davvero così capace, sarà un peccato». Ma la luce malvagia nei suoi occhi smentiva le sue parole. In realtà, concordava perfettamente con il suo complice.

«Sarà un peccato maggiore se vivrà e racconterà quello che ha fatto. Eliminarlo è la soluzione più sicura».

«Lo so. Meglio così. Non ha tentato scherzi?».

Il mago sorrise con aria soddisfatta.

«Assolutamente. L’ho tenuto d’occhio tutto il tempo ed è stato buono come un agnellino».

Snake si alzò, dirigendosi verso il pannello segreto.

«Non sospetterà quello che intendiamo fargli?».

«Non credo. Ho recitato bene e lui mi pare convinto».

«Che Dhela ci assista, dunque. Domani potremmo essere i due individui più potenti della repubblica».


[13] Proveniente da Uytolgoth, isola occidentale governata da una casta di maghi
  
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