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Autore: cabol    07/06/2010    1 recensioni
Un ladro del calibro di Blackwind e una potente gilda dei ladri inevitabilmente sarebbero giunti allo scontro. Così, la capitale della Repubblica di Elos viene sconvolta da una feroce guerra fra fazioni che potrebbe portare addirittura a sconvolgere l'assetto dello stato.
Contemporaneamente, un'assassina distrutta dal dolore cerca la vendetta contro chi le ha ucciso l'uomo che amava.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo Dieci

Horace sedeva appoggiato al muro, massaggiandosi la guancia sinistra, stranamente non più grassoccia, che portava stampata la fiammeggiante impronta della mano dell’Oleandro Nero. Questa, da parte sua, si adoperava con uno straccio bagnato a rimediare alla propria reazione inconsulta. Nonostante tutto, entrambi sorridevano.

«Sapevo che avevi la mano pesante ma non pensavo così».

«Se tu me l’avessi detto subito non sarebbe successo. Sono stata malissimo. Dovevi avvertirmi!».

«Allora dammi il tuo indirizzo. Ti ho cercata per mesi senza trovarti.».

Un sorriso malizioso.

«Nessuno mi trova se io non voglio».

Horace allargò le braccia.

«Ma allora come potevo avvertirti?».

«Non potevi». Un altro sorriso malizioso. «Ma dovevi farlo lo stesso».

«Ho capito. Mi attendono tempi duri!». Nonostante il tono esasperato, lo scassinatore sorrideva dolcemente. «Comunque è meglio se ci leviamo di qui. Fra poco l’aria diventerà pesante. Sta per arrivare sir Alaum Sevendal con un’intera compagnia della Guardia di Elos».

Si alzò in piedi, liberandosi dell’ingombrante imbottitura che fino ad allora aveva costituito il suo adipe, dalla quale trasse rapidamente degli abiti più adatti alla sua corporatura, ora decisamente snella. Rapidamente li indossò, sotto lo sguardo divertito e vagamente malizioso dell’assassina.

«Hai strani alleati per essere un ladro. Andiamocene. Oh Dei!».

L’Oleandro Nero si batté una mano sulla fronte. A proposito di strane alleanze.

«Cosa c’è?».

«Arel!».

L’altro la guardò perplesso.

«Cosa? Chi è Arel?».

«La combattente psionica. È una brava ragazza, Deve essere prigioniera da qualche parte».

Ovviamente lui non poteva conoscerla. Ma l’Oleandro si rendeva conto di essersi affezionata a quella che era stata la sua prima alleata dopo tanti anni di solitudine.

«Psionica? Forse capisco di cosa parlava il mago! Non vorrei che la tua amica fosse l’oggetto dell’esperimento del quale accennava. Fra l’altro ho un conticino in sospeso con lui.».

«Dobbiamo trovarla». Una nota d’ansia si era insinuata nella voce dell’assassina.

«Bisognerebbe chiedere a Snake… dubito però che abbia voglia di collaborare».

«Lo vedremo. Ci parlo io. Diventerà loquace come una vecchia pettegola».

Uno sguardo sospettoso.

«Cosa intendi fare?».

Un sorriso disarmante.

«Tu sorveglia il corridoio. Il resto è affar mio».

«Ascoltami bene, non permetto…».

«Ascoltami bene tu: conosco le tue regole. Sono grande abbastanza da prendermi le responsabilità di quel che faccio. Fidati».

«Va bene. Di quanto tempo hai bisogno?».

«Circa cinque minuti. E il pugnale che hai sottratto alla guardia».

Cinque minuti dopo, La donna uscì dalla cella sorreggendo un pallidissimo Snake.

«Ora, il nostro simpatico amico ci accompagnerà al laboratorio del mago, ci tiene a evitare che qualcosa di brutto gli possa accadere».

«Io non sono amico vostro». Le parole del potente capo dei ladri trasudavano disprezzo ma le mani sudate corsero a riparare le sue parti intime.

Il sorriso della donna, anziché rassicurarlo, fece impallidire ulteriormente il prigioniero.

«A voler essere pignoli, allora, non sei nemmeno simpatico. Ma forse potresti essere simpatica…Andiamo».

***

Arel cercò di dominare la rabbia. Inutile maledire quell’individuo. Doveva fare qualcosa subito, perché era assai improbabile che qualcuno potesse intervenire per salvarla e lei era addestrata a cavarsela da sola. Osservò attentamente le mosse del mago che, sorridente, ruotava verso di sé il volano che lo collegava alla gabbia che la imprigionava e in senso opposto quello che collegava la poltrona alla prigione del gobbo. Sorresse con calma il suo sguardo ironico, mentre si accomodava nella poltrona e chiudeva l’ingresso della campana di vetro che la circondava. Ordinò al suo cuore di battere a un ritmo più consono mentre dalle labbra sottili di Sfi-Hak cominciarono a fuoriuscire arcane e inintelligibili parole. Ordinò alla sua mente di escludere le urla di terrore del gobbo.

Poi rilasciò il suo potere.

La ruota fra il mago e il gobbo cominciò a ruotare all’indietro, prima lentamente, poi sempre più rapidamente mentre la giovane guerriera provava un’orribile senso di prosciugamento e la testa le cominciava a pulsare in modo tremendo. Cercò di resistere al dolore e di focalizzare la propria mente sull’altra ruota ma sentiva che non avrebbe avuto la forza di smuoverla. Si accasciò al suolo mentre udiva gloglottare in lontananza.

Almeno ci aveva provato.

***

Il paladino avanzava con passo sicuro nei sotterranei, seguito dal rumore cadenzato dei suoi uomini. Di tanto in tanto la giovane e bellissima elfa che gli camminava accanto si allontanava per esaminare dei piccoli segni sulle pareti umide. Ogni volta il suo sorriso affascinante lo avvertiva che la strada era sempre quella giusta.

Strani alleati, pensava. Eppure la trappola pareva avere funzionato. Le azzecca tutte, quel manfano! Sorrise. Forse interpretava troppo elasticamente i suoi voti ma sentiva di avere agito per il meglio.
Stava per porre fine a un complotto che avrebbe potuto sovvertire l’intero ordine costituito della Repubblica. Se avesse interpretato il suo dovere alla lettera avrebbe dovuto arrestare colui che gli aveva dato le chiavi di quella congiura. Lui era il capo delle guardie e quell’altro era un ladro.

Detestava i compromessi. Ma davvero quello lo era? Per quanto indifferente al concetto di proprietà privata, quell’individuo agiva con un forte senso del giusto. Ma per un paladino conta più il giusto o la legge?

Guardò ancora il bel volto della sua compagna. Lei non aveva mai avuto dubbi in proposito. Era profondamente amica dell’audacissimo ladro ed era animata esclusivamente da lealtà, amicizia e un fortissimo senso del giusto. Anche per questo si era perdutamente innamorato di lei.

C’è una profonda differenza fra quello che è giusto e quello che le leggi prescrivono. Perché il giusto viene dagli Dei e le leggi dagli uomini. Queste parole provenivano dalla donna che amava. Eppure gli parevano sussurrate dallo stesso Mirpas. Quell’elfa era forse più saggia di lui.

E Blackwind... Avevano combattuto fianco a fianco in più di un’occasione e il ladro aveva dimostrato coraggio, audacia e intelligenza. Ed era capace di rischiare la vita per evitare di uccidere. Quello era un coraggio davvero speciale.

No, aveva scelto bene. Il suo voto era combattere il male e non difendere le ricchezze dei disonesti, come quell’insolente malfattore gli aveva rimarcato più volte. Sorrise e guardò la giovane elfa. Sì, poteva essere amico anche di un ladro.

***

Arel aprì gli occhi con enorme fatica. Le pareva di avere una mandria di cavalli selvaggi lanciata al galoppo fra le sue tempie. Un giovane dai profondi occhi verdi la stava guardando con aria preoccupata. Si accorse che il suo polso destro si trovava fra le mani di quel tipo, poi lo vide sorridere. Una bella voce melodiosa le giunse da lontano.

«Si sta svegliando. Aiutami a tirarla fuori da questa specie di gabbia».

Dietro di lui comparve il volto sorridente dell’Oleandro Nero. Non avrebbe mai immaginato di vedere con tanto piacere il viso di un’assassina. Cercò di aiutare i suoi soccorritori ma le gambe non la reggevano proprio.

Uscire di lì fu uno sforzo tremendo per tutti e tre ma, alla fine, Arel poggiò i piedi sul pavimento e si sentì rinascere. Sorrise. Poi si accasciò al suolo. Un attimo prima di perdere i sensi le parve di vedere il lord cancelliere entrare nella gabbia dov’era stata rinchiusa.

Che strani sogni.

***

Elkanjuv tremava ancora.

Non capiva perché ma aveva la sensazione di essere in debito con l’assassina e, soprattutto, la guerriera.

Non capiva nemmeno che fine avesse fatto il mago ma era felice che non fosse lì nei paraggi.

Non capiva cosa ci facesse Snake nell’altra gabbia ma, visto che lo aveva abbandonato nelle grinfie del mago, gli stava bene.

Infine, non capiva assolutamente come avesse fatto Horace a dimagrire tanto in fretta.

***

Alaum dava rapidi ordini che la sua voce incredibilmente ricca di tonalità arcane diffondeva fra i suoi uomini, i quali reagivano con straordinaria efficienza e disciplina. Il capitano Tyron lo affiancava efficacemente guidando l’avanguardia. La resistenza degli uomini della gilda, presi assolutamente di sorpresa dall’irruzione che proveniva da dove meno se l’attendevano, era disorganizzata e le guardie riuscirono a fiaccarla senza grossi sforzi.

Il paladino si muoveva rapido, affrontando i pochi che osavano sbarrargli il passo col peso della sua schiacciante personalità più ancora che con quello della sua spada. In realtà solo pochi osavano affrontarlo armi in pugno e finivano rapidamente più o meno malconci nelle mani delle guardie.

Quando giunse in prossimità delle stanze meglio protette del covo di Snake, Alaum fu in prima fila a sbaragliare gli uomini dell’aspirante capo dei ladri della città. Aveva sempre dato l’esempio e pensava che fosse il modo migliore di guadagnarsi il rispetto e la lealtà dei suoi uomini.

Fu lui a sfondare il portone che racchiudeva il cuore della gilda.

***

Arel riaprì gli occhi. I cavalli dentro il suo cranio adesso andavano al trotto. Si guardò attorno. Il giovane dagli occhi verdi e l’assassina erano ancora lì, accanto a lei e le sorridevano rassicuranti.

«Arel, ce la fai a camminare?».

Il sorriso radioso dell’Oleandro la stupì un po’. Non l’aveva mai vista così.

«Sì, dovrei farcela».

L’assassina ammiccò verso di lei e si diresse verso la porta del laboratorio del mago.

«Sento un gran fracasso. Stanno arrivando».

«Chi sta arrivando?». Arel era ancora confusa.

«Amici ma è meglio che non ci trovino qui. Potrebbe essere… imbarazzante».

La voce melodiosa del giovane le giunse, stavolta, da più vicino.

«Meglio muoversi».

La guerriera lasciò vagare il suo sguardo per il laboratorio. Tutto era come l’aveva visto prima. Solo che nella gabbia dove era stata prigioniera lei c’era davvero il lord cancelliere. Ne fu ovviamente stupita ma niente affatto dispiaciuta. Il pensiero le corse al capitano delle guardie che l’aveva coraggiosamente affrontato quella sera. Quell’ufficiale avrebbe avuto una bella soddisfazione a vedere quell’arrogante individuo in una gabbia da canarini.

Nell’altra gabbia c’era il gobbo, seduto sul fondo con aria afflitta ma non più terrorizzato.

La campana di vetro era aperta e la poltrona deserta. Il mago era scomparso.

Si riscosse quando il giovane dagli occhi verdi le si avvicinò facendole segno di seguirlo.

«Ma voi chi siete?».

«Io?». Un sorriso divertito. «Io sono la notte, il mistero, l’ambiguità. Sono un nome con mille volti. Io sono Blackwind, il ladro cortese». Nel vedere lo stupore dipingersi sul volto della guerriera il ladro allargò il suo sorriso. «Seguimi, ragazza, ti devo tantissimo e il minimo che possa fare è portarti fuori di qui».

***

I rumori di lotta si affievolivano sempre di più. La retata era riuscita e la fazione ribelle della gilda era stata sgominata. I pochi fuggitivi trovavano sbarrata ogni via d’uscita e finivano col cedere le armi alle guardie esultanti.

La voce rombante di sir Alaum Sevendal sovrastava ancora, sempre più da lontano, gli evviva dei suoi uomini.

Siete in arresto, milord.

Quella frase rimbombava ancora nei corridoi deserti di quella che era stata l’organizzazione criminale più efficiente della città.

Un sorriso stanco comparve sul volto di Ravenclaw. Anche quella guerra era vinta, ma a che prezzo! Appoggiato allo stipite del passaggio segreto che dalle prigioni conduceva in riva al mare, ascoltava quei suoni lontani con un misto di sollievo e amarezza.

Sono davvero diventato troppo vecchio per questo mestiere.

Ora era davvero finita. La gilda avrebbe potuto scegliere un nuovo capo ma sarebbe stato qualcuno con la saggezza necessaria a guidare un’organizzazione del genere. Uno i cui interessi sarebbero coincisi con quelli degli altri membri. Uno che avrebbe mantenuto un equilibrio accettabile.

Uno come lui.

Ma non lui.

Lui era stanco. Stanco di vivere nell’ombra, fra intrighi, crudeltà, delitti. Stanco di doversi nascondere dai suoi stessi alleati. Stanco di lottare per la sicurezza di gente che lo avrebbe pugnalato alle spalle alla prima occasione.

Chiuse la porta segreta dietro di sé, spaccandone il meccanismo di apertura con un colpo preciso della sua scure. Di lì non sarebbe uscito più nessuno.

Discese le scale respirando voluttuosamente la brezza luminosa del mare.

Quel capitolo si era chiuso per sempre.

Vedeva il luccichio delle onde, in fondo alla galleria buia.

Il vecchio Finn sarebbe potuto tornare e restare coi suoi ragazzi.

In quello stesso istante, un tacchino dalle penne nere e i bargigli scarlatti scendeva svolazzando le scale che conducevano alla prigione della gilda.


  
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