Salve! questa è una mia nuova storia, che ho deciso di pubblicare perchè è una delle mie creazioni preferite.
Spero che piaccia anche a voi.
sarò molto contenta di ricevere anche qualche piccolo commento.
buona lettura!!!! :)
--NEW LIFE—
Cap.
1 nuova scuola
jo
Era
un mattino caldo di
settembre, di quelli che ami finché non arriva il giorno nel
quale ti devi
svegliare alle 5 del mattino dopo una lunga serata a chattare con quel
adorabile ragazzo che dopo tanto tempo hai trovato.
Cominciai
ad avere un po’ di
fifa. Il primo giorno in un liceo così
impegnativo… era già un miracolo il
fatto che mi avessero presa.
Quando
finii di prepararmi, mi
accorsi di essere perfetta!
La
Chilton avrebbe
trovato Joanne May fantastica!
Certo,
una francese in America
solo da un paio di anni non sarebbe stata la cosa che si sarebbero
aspettati in
tanti, ma ero pronta a farmi vedere e a dare il massimo! Sarei
diventata una
brava giornalista grazie a quella scuola e non vedevo l’ora
di cominciare a
frequentarla.
Stavo
iniziando una nuova vita!
Che mi avrebbe costretto a combattere ogni giorno per avere
ciò che desideravo.
Già
immaginavo come gli
insegnanti avrebbero cominciato a conoscerci. Come sarei andata dal
preside che
col sorriso gli avrei detto “Vorrei diventare una giornalista
di cronaca
quotidiana, ma avere lo stile di Honesty Bloomfield. È la
cronista che stimo
più di tutte nella storia, la ammiro
molto”.
Sì.
Avevo detto poi quelle
parole alla direttrice scolastica e come risposta ricevetti:
“Dovrai imparare
ad essere meno aperta.” “ Honesty ha
l’accento sulla “o” e non sulla sillaba
finale.” “ Impara a parlare meglio la nostra lingua
e… forse non lo sapevi,
dovevi metterti l’uniforme prima di entrare da me.”
Oh!
La direttrice Gilmore era
la persona più adatta per rimettermi coi piedi per terra.
Indossava un tailleur
nero che le sottolineava le forme, aveva un ombretto dorato e un
rossetto
marrone. Era una bella donna che portava davvero alla perfezione i suoi
65
anni, ma si capiva dal tono della voce e dal suo vizio di guardare i
giovani
con disprezzo, che non era nient’altro che una vecchia
invidiosa, alla quale
era mancata l’occasione di realizzare i propri sogni.
Grazie a lei pensai a
talmente tante parolacce
e maledizioni, che era davvero strano il fatto che fosse rimasta viva
quel
giorno.
Le
risposi gentilmente: “ Mi
scusi tanto direttrice, al prossimo colloquio sarò
più attenta e userò i
consigli che mi ha dato. Grazie tante per avermi accettato nella sua
magnifica
scuola. Arrivederci Mrs. Gilmore”
Andai
in bagno a mettermi
l’uniforme. Mi stava bene, come quando la provai a casa. Dal prossimo
giorno avrei dovuto
averla addosso subito e poi l’avrei portata tutto
l’anno. Certo che la fantasia
a loro mancava. E
io poi, perché avevo
scelto una scuola nella quale vi era da portare l’uniforme?
No!
Non m’importava né della
direttrice, né dell’uniforme. Andava tutto alla
grande. Grazie a quel liceo
avrei avuto un grande futuro.
“Potrò
fare la
giornalista…potrò fare la giornalista”
ripetevo tra me.
Chiesi
al bidello dov’era
l’aula della classe 3H e quello mi disse il percorso da fare.
In più mi diede una
cartina con sopra segnate tutte le classi.
Trovai
l’aula e dal suono della
campanella mi accorsi che ero a malapena in tempo. Appena mi vide
l’insegnante
di lettere mi presentò alla classe come May Joanne, venuta
da Parigi, molto
lieta di essere venuta alla Chilton e disse anche che anche la Chilton
era
lieta di avermi fatto venire e, dopo un miscuglio di parole che non
compresi,
mi permise di sedere.
Sentii
un ragazzo sussurrare “abbiamo
la sexy Giovanna d’Arco quest’anno!”
sorrisi. Almeno un complimento, anche se
troppo semplice e assurdo: Giovanna d’Arco?
Per
me i miei capelli castano
chiaro lisci che brillavano magicamente al sole e i miei occhi verdi
come le
foglie fresche appena raccolte del tè erano una cosa per cui
vantarmi. Non
sapevo se considerare vero il fatto che ero sexy. Ma sapevo
approfittarmi bene
di questo fatto. (Ero molto esibizionista grazie a ragazzi che ci
provavano con
me… e non solo esibizionista).
Sentivo
dire che ero sensuale da
tanti ragazzi, ma non capivo che cosa questi considerassero come tale.
Il mio
viso era bello, ma anche abbastanza comune, il seno non era
né troppo grande né
troppo piccolo. Boh! Il giudizio della gente nei miei confronti non
coincideva
col come mi consideravo io stessa.
A
ricreazione un ragazzo si
avvicinò a me.
“Hey,
Giovanna d’Arco, ti serve
aiuto a metterti in pari con il lavoro che facciamo in
classe?” – sì, diciamo
che era carino. Aveva dei capelli neri sistemati a cresta con il gel e
anche i
suoi occhi erano neri, ma ero impegnata con Nick, che abitava vicino a
casa
nostra e che era un ragazzo molto simile a me, e non potevo tradirlo,
poiché gli
dovevo un favore…
“No,
grazie. Ho già chiesto un
tutor e spero di cavarmela da sola. Grazie comunque! Ci vediamo
dopo!” gli
sorrisi.
“Ouh!
Aspetta! Io mi chiamo
Michael. Se ti serve
qualcosa dimmelo,
Giovanna d’Arco, obbedirò a tutti i tuoi
ordini!” disse con tono da soldatino
balilla.
“S-sì.
Caro Mike, sarà troppo
difficile in primo caso eseguire l’ordine di abolire
l’uso di chiamare me
“Giovanna d’Arco”, poiché
siamo in tutto e per tutto due ragazze completamente
diverse anche per quanto riguarda i periodi
nei quali viviamo?”
“Signor
nossignore! Richiesta
afferrata! Allora Jo, appelle moi,
chérie*!”
“promit, mon cœur** !”
Mike
se ne andò facendomi
l’occhiolino. Era simpatico. Era già una buona
cosa aver trovato un amico il
primo giorno.
Ero
distrutta dopo quella
giornata impegnativa. Avevo bisogno di caffè, della mamma e
della mia casetta.
Avrei fatto i compiti e dormito per l’ultima volta nella
vita, poiché mi
aspettava un anno nel quale avrei riposato davvero poco. Già
me lo immaginavo
il tipico pomeriggio a tradurre testi in greco, ma come sempre
ripetevo, ne
valeva la pena per diventare una brava giornalista.
Sandy
Ero
arrivata dall’Argentina a
New York per studiare canto ed ero felicissima e sapevo che con la mia
voce
melodica potevo fare strada.
E
ora aspettavo il mio turno
dalla direttrice della P.A. high school of
New York City per sapere che cosa avrei dovuto fare
all’esame
d’ammissione. Ascoltavo la musica sull’I-Pode ad un
basso volume.
Sentii
la segretaria che
continuava a ripetere “Sandra Bossu”. Che ne potevo
sapere che avevano capito
talmente male il fatto che mi chiamavo Alexandrah Bossaix! La ragazza
che mi
stava di fianco mi diede una gomitata. “Scema! Sta chiamando
te!”. In
effetti vidi la direttrice puntarmi gli
occhi addosso minacciosamente. Mi alzai ed entrai prima di lei.
“mi
scusi tanto, non mi ero
resa conto che stavate chiamando me, poiché il mio cognome
è Bossaix e non
Bossu, probabilmente la vostra segretaria si è sbagliata a
scrivere.” Cominciai
con un po’ d’imbarazzo.
“lascia
stare! Piuttosto
cerchiamo subito un pezzo da farti cantare all’esame di
ammissione.”
Mentre
cercava il brano mi sentii
molto tesa, ma anche eccitata! Wow! La cosa che mi riusciva meglio!
All’esame
d’ammissione avrei dovuto cantare! Un grande sollievo.
“Ecco
qua! Conosci “La Carmen”?
comincerai a prepararti oggi pomeriggio con un insegnante privato.
Sénior José
Bertignac. D’accordo?”
“S-sì…
ehm. Scusi, ma forse
dovrei cantare qualcosa in inglese, o magari in spagnolo,
perché il francese
non lo parlo. Non l’ho mai studiato! Mi dispiace tanto,
ma…”
“Scusa
se te lo dico troppo
bruscamente, ma non me ne fotte se non sai il francese, devi imparare a
cantare
il pezzo con un accento perfetto entro 13 giorni, se no…
dovrai alzare il culo
e andare via da questa scuola. È già strano che
ti abbiano fatto fare l’esame
di ammissione, Bossi, non sei più in Mexico!”
Non
avevo mai incontrato prima
d’ora una persona di talmente tanto disprezzo verso la
propria lingua, verso le
espressioni da usare. La mia famiglia non era politeista, ma ricordavo
perfettamente le leggende che raccontavano i nonni sugli dei, che
quando una
persona raggiungeva una certa età la obbligavano a togliersi
certi lussi per
permetterli ai più giovani e anche a dare
l’esempio a questi ultimi, quindi per
volere delle divinità dovevano
impegnarsi ad avere un linguaggio adatto all’istruzione dei
loro figli e
nipoti. La mia cara direttrice si dimostrava verso me davvero con poco
spirito
di pedagogia, permettendomi quindi una vasta libertà per
quanto riguarda
l’educazione. In più, faceva davvero tanto
inca**are il fatto che non riuscisse
a ricordarsi il nome e cognome di un’allieva, e nemmeno il
suo paese d’origine.
Mi chiedevo chi fosse la persona che un tempo le permise di insegnare
con una
comprensione linguistica così scarsa.
“mi
scusi tanto. Cercherò con
tutto il mio impegno e le mie forze di imparare il brano. Probabilmente
c’è
davvero stato un piccolo errore in segreteria. Perché io
vengo dall’Argentina,
non dal Messico e mi chiamo Alexandrah Bossaix, non Sandra Bossu o
Bossi.”
“
Va bene! Se proprio ti
importa talmente tanto che io sappia quest’anno il tuo nome,
fai vedere in giro
la tua faccia e fa sentire la tua voce! Canta tutti i santi giorni,
finché non
ti si strapperanno le corde vocali. Esercita tutti i timbri di voce.
Dovrai
essere soprano, tenore e contralto, tutti quanti insieme. Dovrai
suicidarti di
impegno e lavoro. Probabilmente quando vedrò il tuo nome in
un giornalino
interessante, comincerò a ricordarmene. Adesso per me sei
soltanto un piccolo
insignificante scaccolino che cerca di diventare oro invano. Quindi ora
vai
via, mi fai schifo, vermiciattolo inutile! Canta e forse potrai farti
rispettare da me!”
Rimasi
ben un minuto a bocca
aperta dall’offesa che avevo ricevuto. Peggio di una scarica
elettrica! Ma
comunque mi diede forza di dire qualcosa.
“Brutta
strega! Lei non può
permettersi di dire certe cose ai ragazzi della sua scuola e
soprattutto a
quelli che devono fare l’esame d’inizio! Mi chiedo
da che parte dell’universo
lei provenga! Si comporta come una donna di strada: appena apre bocca
le escono
fuori feci, non parole! Come si permette! Guardi che il rispetto riesco
a
guadagnarmelo subito, e comunque, è maleducata! Signora
Julien, da ora in poi
dovrà sapere che il mio nome è A-LE-XAN-DRA
BU-SSAIX, pronunciato “Bussè”! con
l’accento sull’ultima sillaba e il mio Stato
d’origine è l’Argentina! Non sono
messicana! ARGENTINA! E ora, poiché me l’ha
permesso con quel suo modo si
parlare, le dirò di andare a… ehm…
quel paese e le sbatterò la porta in faccia,
ma prima le ricorderò che so come si chiama! Il suo nome
è Clarissa Angelina
Julien! E viene dal Canada! Lo so perché prima di venire qua
mi sono
interessata, per non fare brutta figura e non offenderla!”
Poi
uscii con il mento in su sbattendo
la porta. La mia nobiltà l’ho fatta
vedere. Io sono Alexandrah Bussaix e non mi meritavo di essere trattata
in quel
modo.
Mia
nonna si era guadagnata da
vivere in un modo sporco e poco piacevole per farci arrivare a questo
livello.
Era molto matura psicologicamente ad una età ancora
d’infanzia. Dovette
prostituirsi a 13 anni e partorì mio padre a 14. Era pronta
a tutto per lui,
gli cuciva vestitini molto belli e con una precisione straordinaria.
Non faceva
mai vedere in giro che era povera, poiché si cucì
vestiti meravigliosi dalle
vecchie coperte del letto. Da quando era nata aveva l’animo
nobile nonostante i
suoi genitori fossero dei delinquenti e la abbandonarono in un
orfanotrofio.
Lei
non comprò nulla da
mettersi per ben 4 anni. Dormiva sotto coperte senza copri piumini,
poiché
quelli diventavano magliette, pantaloni e abiti da sera.
Per
la brutta fama dei suoi
genitori, Clara Bussaix non riuscì a trovare lavoro come
sarta, poiché, anche
se aveva un talento naturale, nessuno si fidava di una figlia di ladri.
Così,
continuò a subire violenze di pedofili vari a pagamento.
Pablo, mio padre, è
figlio di uno di questi abusi sessuali, ed era sempre stato il tesoro
più
grande di mia nonna, che risparmiò tutti i soldi che poteva
per poi mandarlo in
una buona scuola.
Quando
Pablo ebbe compiuto 12
anni, riuscì anche a trovare una piccola casetta a basso
prezzo, abbandonando
così la “casa delle donzelle”.
Cominciò
a fare l’aspirante
sarta, ma poiché non riusciva a mantenersi solo decorando
sciarpe e lavando i
panni nuovi, alla sera riprendeva il suo lavoro di prostituta che
lasciò
completamente a 40 anni. Mio padre allora aveva 26 anni e aveva
già finito con
successo l’università, diventando un grande
ingegnere chimico.
Conobbe
mia madre ad una serata
di samba e a 28 anni la sposò.
Io
nacqui dopo 9 mesi dal
matrimonio…dite un po’ presto? Siamo in Argentina,
amori miei! E questo
significa prima nasce, meglio è.
Volevano
chiamarmi Clara, ma
mia nonna si mise ad urlare dicendo che così le portavano
troppa sfortuna.
Aveva 42 anni e voleva un marito e dei figli, non poteva avere una
nipote con
il suo nome, questo avrebbe avvicinato la sua morte, così lo
scelse lei. Mi
chiamò Alexandrah in onore della sua compagna di stanza
nella “casa delle
donzelle”, che durante una violenza morì. Quella
ragazza aveva poco più di 18
anni quando la prese nella sua camera. Era pronta ad aiutare Clara ad
accudire
Pablo, e lo fece con tanto amore. Per mia nonna era come una sorella
maggiore
capitata nella sua stessa sorte. Mi raccontò più
tardi che non rivelò a nessuno
il suo cognome e che il fatto che si chiamasse Alexandrah lo disse solo
a lei.
Tutti gli altri la chiamavano Lally, che aveva un significato nascosto
poco
carino…
È
per questo che mi offendo
quando qualcuno non ricorda come mi chiamo, perché penso al
significato di
Lally…Vabbé… non voglio cominciare a
piangere proprio ora.
Mia
madre invece era la figlia
di un sacerdote pagano, che aveva il diritto di avere una moglie. Erano
le
donne che dovevano sceglierlo e lui era obbligato a trattarle come dee.
Così
era stata la mia nonna materna a sposarlo, la quale decise di avere una
figlia
e il sacerdote prese quella decisione come un ordine. Pregò
finché non nacque
Corale. La mia madre adorata, figlia di una donna divenuta dea. La sua
nascita
era una festa per gli abitanti pagani che ringraziarono i cieli e
quella
famiglia divina per il dono ricevuto. Era la prima volta dopo 50 anni
che
l’ordine della moglie di un sacerdote venne davvero eseguito.
Ma
mia madre appena incontrò
Pablo, si convertì al cristianesimo e poiché
questa decisione venne presa dalla
figlia divina, era giusta. I miei nonni materni rimasero comunque
pagani, per continuare
ad essere venerati.
I
miei si sposarono in una
chiesa, ma la festa venne fatta in spiaggia, dai pagani. Lasciamo
perdere come
si svolse…comunque quella notte si concepì la
“nipote divina”: io.
Quando
il mio nonno sacerdote
lo scoprì, disse: “Oh dee mie! Mia moglie adorata
Jasmine, tu generasti nostra
figlia Corale, che ha continuato la generazione divina con
un’altra dea che
genererà a sua volta una dea…”
eccetera, eccetera, eccetera. Tutte le
generazioni per lui sarebbero state femminili. Certo. Poverino! In
verità, da
quello che disse mio padre si disperò, poiché
avrebbe voluto un nipotino
divino, un ragazzino beato, ma era troppo chiuso per ammettere che
pregò le
divinità di nascosto di donargli come nipoti due gemelli
diversi, un maschio e
una femmina.
Ricordo
che a 10 anni gli dissi
che avrei ordinato a mio marito di farmi concepire un maschietto, per
farlo
contento.
Mammamia!
Una famiglia così,
uno non se la sogna neanche.
Comunque,
eravamo diventati
molto nobili grazie a Clara e delle mie origini celesti nessuno
parlò più,
anche se mia mamma dice che mio nonno ha continuato a pregare me fino
alla sua
morte. Viva lui!
Tornando
a quel giorno di
scuola …
Guardai
il foglio con il testo
di Carmen e vidi l’orario della mia prima esercitazione. Alle
15:30 avrei
dovuto recarmi nell’aula 36 della scuola nella quale avrei
trovato questo José
Bertignac. Per fortuna potevo tornare a casa!
*“appelle
moi chérie” –
chiamami, tesoro
** “promit mon cœur” – promesso, mio cuore (amore)
Angoluccio.........
Ecco qua!!!
spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
nel prossimo ci sarà anche la descrizione fisica di Sandy.
spero che non abbia esagerato in qualche cosa....
se volete lasciate qualche commentuccio...