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Autore: C r i s    08/06/2010    6 recensioni
«E pensi che l’abbia scelto io? Pensi che io abbia scelto di innamorarmi di te?! Di passare le mie giornate come un automa, fossilizzata davanti a quella finestra, aspettando che arrivi la neve, come se arrivasse la fine del mondo?! No! Non l’ho scelto io, dannazione, eppure ogni giorno, quando apro gli occhi, sento un’angoscia nascermi dentro, sento il cuore pronto all’esplosione per quanto io abbia paura di affacciarmi fuori dalla finestra. Io ho paura, Mark!»
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Così distante -

«Secondo me ci sta a pennello questa lampada».

La voce di Sally arrivò fioca alle orecchie di Molly, la quale si ridestò solo quando la donna le afferrò le spalle tra le mani e la scosse.

Molly non la degnò di uno sguardo. Nessuno poteva attirare la sua attenzione quando nella sua mente regnava un unico volto. D’altronde, come nella mente, anche nel cuore.

«Sai cosa ti dico? Possiamo anche prendere queste tende. Non credo che la Dottoressa Parker dirà qualcosa, anzi, ci ha consigliato di rendere il più confortevole possibile la sua camera. Che dici, gli piaceranno? Non sono neanche colori accesi…»

Sally tacque non appena si rese conto dell’inevitabile: qualunque cosa avesse detto, sarebbe stato assimilato soltanto dalle pareti di muro che incorniciavano il negozio di prodotti per la casa nel quale erano entrate esattamente trenta minuti prima.

La donna si trovò a sospirare, afferrando ambedue gli oggetti annunciati poco prima, e si affrettò a raggiungere la commessa che, immobile dietro il bancone, puntava famelica gli occhi come sentinelle nella loro direzione.

Molly, nonostante sembrasse agli occhi estranei intenta ad osservare qualcosa al di fuori dell’enorme finestra del negozio, sapeva perfettamente di non osservare un bel niente.

«Senta», Sally afferrò sia la lampada che le tende, strette saldamente contro il petto, e le mostrò con fare animato alla commessa, «Secondo lei, donerebbero insieme? La mia lista di nozze fu preparata da mia suocera e, cosa inevitabile, i tre quarti delle cose sono rimaste imballate in cantina per anni. Eppure, una volta sbattuto fuori di casa mio marito, ho avuto la possibilità di sbattere fuori tant’altro.  Ma quel che mi chiedevo è: questi colori per caso sono troppo accesi

Sussurrò l’ultima parola con tono pacato, come se stesse trattando con il Presidente degli Stati Uniti per la Pace nel Mondo. Dal suo canto, la commessa fece scoppiettare la bolla della chewing-gum tra le labbra e la gonfiò nuovamente, innalzando leggermente un sopracciglio.

«Crede di comprarli lo stesso?», fu la risposta acida della ragazzina appena ventenne, il quale tono sembrava dimostrare quanto il mondo fosse pesante a soli vent’anni.

Beh, arriva ai quarantacinque, tesoro, e poi vedremo se non avrai una seduta dalla strizza cervelli ogni settimana, si trovò a pensare Sally, cedendo il suo bancomat e afferrando saldamente le buste contenenti i suoi acquisti.

Fiera di sé, rivolse lo sguardo alla ragazza ancora immobile davanti la finestra.

«Ehi, Molly, tesoro! Che dici, abbiamo finito?»

La ragazza roteò leggermente il capo per permettersi la visuale delle buste svolazzanti nell’aria grazie alla foga di Sally. Quest’ultima le strizzò l’occhio e Molly sentì i muscoli della faccia innalzarsi involontariamente, ma solo per un breve, inutile istante.

Tornò a fissare la finestra per quello che sembrò durare una vita, quando, socchiudendo gli occhi, decise di dover dare un Time-Out al suo cervello e, aimè, al suo cuore.

Riaprì di scatto le palpebre e infilò le mani in tasca.

«Sì, abbiamo finito», mormorò tra sé e avanzò verso l’uscita del negozio, mentre il cielo cedeva lacrime che cadevano incessanti sul mondo.

 

«Non sono colori accesi!», sbottò Sally, posizionando la lampada al centro del tavolino e inclinando il capo per poterla osservare meglio. Si trovò a sorridere, pur non volendo, ma l’orgoglio era così forte da non poterlo evitare.

Il silenzio era il nemico di Sally. Per questo motivo, arrivando ai cinque secondi, Sally riapriva la bocca e soffocava l’impulso di strozzare quell’assurda macchina che ricordava quanto fosse debole il battito cardiaco del nipote.

«Avanti, zia, cosa ti aspettavi dal rosso e l’arancione? Sono colori accesi».

Mark accentuò un sorriso, schiarendosi la gola indolenzita. Odiava non poter parlare come un tempo, quando ancora poteva saltare su di un materasso e cantare senza ritegno It’s raining men, in compagnia dei suoi folli amici che sgolavano birre come se fosse acqua. Adesso, l’unico materasso che poteva sentire, toccare e vedere era colui che lo immobilizzava, come se lo imprigionasse e lo tenesse stretto a sé, neanche fosse vittima di un maleficio.

«Tesoro, questi sono colori vivi, non accesi! Con ‘accesi’, tu intendi una parola negativa! Io invece voglio portarti colori vivi, che possano regalarti un sorriso!»

Zia Sally scartocciò le tende dall’involucro di plastica e le distese per bene tra le mani, osservandole con uno strano luccichio di soddisfazione nelle pupille.

Dalla bocca di Mark arrivò un sussurro roco, che un tempo sarebbe stato sinonimo di una risata possente. Eppure, non era più in grado di ridere, non poteva neanche sfiorare l’idea di portarsi la mano sulla pancia per quanto fossero forti le risate. No, non poteva neanche più ridere, perché gli faceva fin troppo male il solo respirare, figurarsi accingere a tanto.

Lo sguardo di Mark, seppur concentrato sulla zia, intenta a sua volta nell’attaccare le tende all’asta che sovrastava la finestra, svolazzò sulla soglia della porta, oltre la quale riusciva a riconoscere la sagoma di Molly.

Molly. La sua Molly.

O meglio, un tempo era stata la sua Molly.

Non aveva più questa certezza da tanto tempo. Perché?

Molly non lo guardava neppure.

Passava intere giornate accanto alla finestra, fossilizzando quelle perle color del ghiaccio in qualcosa che non voleva condividere con lui.

Non scambiavano più parole del dovuto, come quelle di routine, e, quando Mark prese quella decisione, tutto sembrò invariato, ma qualcosa variò.

Ogni mattina, quando Mark apriva gli occhi, sul comodino trovava nel vaso un tulipano, il primo fiore che regalò a Molly, seppur in strambe circostanze.

Si conobbero cinque anni prima, quando erano ancora ragazzini ignari del peso della vita, e ciò che attirò l’uno verso l’altro fu un’unica caratteristica, a loro comune: l’antagonismo, la sete di vittoria.

Era il campionato regionale di Tennis ed entrambi si trovarono a gareggiare come l’uno avversario dell’altro. Fu subito alchimia, se non antipatia mista a masochismo. Fu una partita così estrema, all’insegna dell’infinito, che superò il tempo massimo. Per rendere migliore l’idea, un ritmo da presentare ai Guinness World Record.

Fu lui ad aggiudicarsi la vittoria, ma, del resto, fu lei ad incassare il premio vero e proprio: il suo cuore. Fu proprio al termine di quella partita che Mark afferrò lo stelo di un tulipano e le corse incontro, sentendosi stranamente teso e con la cassa toracica in tumulto.

 

«Ehi! Johnson, giusto?»

Mark chiamò con impeto la ragazza dai capelli color corvino, che le cadevano sulla schiena come una cascata a forma di boccolo. Inclinò il capo, mostrando il suo sguardo glaciale. Mark non si fece intimorire e, con sorriso spavaldo e fiero di sé, nascose il tulipano dietro la schiena e le si parò davanti.

«Vorrei le tue congratulazioni».

La ragazza inarcò un sopracciglio e portò le mani sul fianco, preparandosi a scatenare l’ira sommessa in lei.

«Come, scusa?»

Mark si grattò la fronte con la mano libera e sostenne il suo sorrido beffardo. «Le tue congratulazioni. Mi farebbe piacere averle. Sono stato più bravo di te, no? A volte bisogna ammettere di aver perso, Molly, giusto?»

Molly infittì lo sguardo e tentennò la sua corazza da donna invincibile.

«Per quanto mi riguarda, io oggi non ho perso un bel niente, anzi, ho vinto persino».

«Davvero? E cosa avresti vinto, di grazia?», la scimmiottò il ragazzo, torturando lo stelo del tulipano che nascondeva dietro la schiena.

Molly gli si avvicinò rapida, mozzandogli il fiato e investendolo con il suo profumo alla ciliegia. «Ho vinto una sfida con me stessa e questo mi basta per non provare rancore nei tuoi confronti».

Fu soltanto un sussurro. Mark scoppiò a ridere e porse rapidamente, come a volersi separare, il tulipano tra i loro visi.

Molly inarcò le labbra in un sorriso amaro. «E questo che sarebbe, uno scherzo?»

«No, a me sembrerebbe un fiore», ammise il ragazzo con una scrollata di spalle.

Eppure Molly, nonostante avesse voglia di accartocciare quel fiore e voltargli le spalle, si trovò a sostenere ancora quel sorriso, che da amaro passò a divertito.

Le veniva regalato un fiore, da uno sconosciuto per di più; anzi, dal suo ex avversario. Era comica la situazione, no?

Afferrò il tulipano e lo osservò con sguardo rapito.

«Mi piacciono questi fiori, hanno una storia affascinante».

Mark, inconsapevole o non, si avvicinò di qualche altro millimetro al suo viso e la osservò, curioso.

«Ah sì? Potrei saperla?»

Lo sguardo di Molly fu così intenso da fargli mancare la terra da sotto i piedi. La ragazza si allontanò di punto in bianco, stringendo lo zaino sulle spalle e indietreggiando.

«Magari un giorno te la racconterò».

La osservò allontanarsi, con un sorriso deliziato sulle labbra.

Quella frase era come un corridoio che conduceva ad una porta aperta: la sua porta aperta.

 

«Oh! Non sono fantastiche?»

Mark si ridestò dai ricordi quando notò le tende issate da zia Sally, la quale si lisciava la maglietta color glicine e sorrideva soddisfatta verso il nipote.

Zia Sally era una persona incredibile, si trovò a pensare Mark, proprio perché trasmetteva allegria a tutti. Nel suo vocabolario, esistevano soltanto parole positive, nessuna negativa. Mark la invidiava molto per questo, ma la ringraziava anche, perché, chiunque avesse varcato quella porta d’ospedale, l’aveva guardato con occhi colmi di pietà, cosa che odiava. Un tempo l’avrebbero guardato con avidità pur di poterselo portare a letto, oppure l’avrebbero guardato con arroganza, pensando di poterlo battere ad una partita di tennis. O, semplicemente, non l’avrebbero neppure guardato, perché si sarebbe mischiato tra la folla, tra la gente comune, quella che passeggia per le strade affollate, fa compere insieme alla propria ragazza e passa del tempo con o senza amici. Avrebbe voluto vivere un po’ di normalità, ma era ormai un anno che passava immobile, aspettando che tutto quello finisse. Perché era questo a mandarlo avanti, l’aspettare che arrivasse il momento di pigiare il tasto OFF della sua vita.

Tornò a pensare alla decisione presa poche settimane prima, la decisione che aveva spinto Molly a regalargli quel tulipano.

Mark udì il mormorio delle parole di zia Sally, la quale contemplava le tende con la Dottoressa Parker, appena entrata nella camera con una cartellina tra le braccia.

‘I soliti controlli di routine’, si rammentò con un mezzo sorriso sulle labbra.

Dalla porta fece capolino il viso oscurato di Molly, la quale si chiuse l’ammasso di legno alle spalle, si posizionò sul marmo della finestra, sua solita posizione, e aspettò che la Dottoressa parlasse. Evidentemente, c’erano novità.

«Mark, lo Stato ha dato il consenso».

Quelle parole vagarono nella stanza e furono assimilate da tutti i presenti. Ma nessuno osò fiatare, nessuno a parte il diretto interessato.

«Oh, bene. Quindi, posso decidere io quando?»

Quelle parole gli raschiarono quasi la gola per quanto fossero state difficili da pronunciare, ma non poteva farne a meno. Lo sapeva. Tutti lo sapevano e dovevano farsene una ragione.

Con la coda dell’occhio, gli sembrò di percepire un movimento ambiguo verso la finestra. Quell’argomento non era mai stato trattato tra loro. ‘Chissà se ne parleremo mai’, si trovò a pensare Mark.

«Certo, Mark. Ormai hai deciso e non possiamo fare altro che assecondarti», affermò la Dottoressa con fare professionale, ma con un tono affettuoso. Anch’ella si era abituata alla presenza di quel folle ragazzo che, da piccolo, finiva sempre in pronto soccorso per dei semplici punti.

Strano come la vita possa giocare brutti scherzi.

Un giorno si prendono dei punti, un altro si prende il cancro. A quella frase, Mark si fece sfuggire un sorriso amaro.

«Prima, però, voglio comprare dell’ottimo Champagne! E magari anche una torta. Al cioccolato va bene, tesoro? Molly, cara, cosa ne pensi? O forse preferite una torta alla frutta? Capisco, quella al cioccolato è una bomba per lo stomaco, ma è così buona…», gli occhi di Sally cominciarono a brillare solo per aver immaginato una torta al cioccolato davanti agli occhi.

Un rumore tonfo fece inclinare il capo di Mark.

La borsa di Molly era cascata per terra e la sua proprietaria si era finalmente avvicinata al letto, cosa che accadeva di rado. Puntò gli occhi in quelli di Sally e Mark notò il suo stringere i pugni lungo il fianco.

«Io mi domando come tu faccia a dire certe stronzate».

Nella camera scese il silenzio e persino Sally non riuscì a proferire parola per più di cinque secondi. Cercò di studiare il volto della ragazza, così frustrato e mal ridotto. ‘Quella ragazza ne ha passate così tante’, pensò tra sé e sé.

 «Io…Pensavo che un po’ di zuccheri farebbero bene, no? Poi…Lo Champagne è ottimo per poter…»

Molly interruppe bruscamente Sally con voce alta il triplo. «Per poter cosa?! Festeggiare, per caso? E cosa c’è da festeggiare, me lo spiegate?!»

La voce le tintinnava ed era tesa come una corda di violino. Non si concesse un’ulteriore pausa e gettò come una valanga le parole che le attanagliavano la mente.

«Non c’è assolutamente niente da festeggiare, Sally! Per quanto tu possa credere che la vita sia fatta di fiori e ghirlande, di sentimenti felici e persone armoniose, devi capire che non è così! Non è così! Lo capisci questo? Ai sentimenti felici si alternano altrettanti sentimenti infelici! Alle cose positive, seguono sempre quelle negative! E mi spieghi perché dovremmo festeggiare una cosa così…»

«Negativa?», con amarezza, Mark pronunciò quella parola.

Fu allora che Molly lo guardò: il suo guardo era neutro, non faceva percepire quali fossero i suoi sentimenti reali. Ma Mark sapeva, sapeva che era talmente combattuta da voler fuggire da tutto e da tutti. Fuggire persino da lui.

«Assurda», mormorò Molly a denti stretti, sciogliendo il pugno e stiracchiando debolmente le dita che aveva torturato fino a quel momento.

Fu allora che Mark decise.

«Non ho scelto io questo».

Molly lo fissò senza capire, alterandosi ulteriormente. «E pensi che l’abbia scelto io? Pensi che io abbia scelto di innamorarmi di te?! Di passare le mie giornate come un automa, fossilizzata davanti a quella finestra, aspettando che arrivi la neve, come se arrivasse la fine del mondo?! No! Non l’ho scelto io, dannazione, eppure ogni giorno, quando apro gli occhi, sento un’angoscia nascermi dentro, sento il cuore pronto all’esplosione per quanto io abbia paura di affacciarmi fuori dalla finestra. Io ho paura, Mark!»

«Io no».

Quella fu la risposta di Mark, il ragazzo che fissava Molly con quegli occhi accentuati, del color del mare. La fissava e nel suo cuore sapeva che aveva preso quella decisione soltanto per non infierirle più dolore.

Lei aveva il diritto di vivere, non di morire con lui.

«Sai cosa penso?», sbottò la ragazza, cominciando a passeggiare in lungo e in largo per la camera, «Che odio la neve! Tu, mi hai fatto odiare la neve, tu! Era…Era una delle cose che più amavo al mondo, Mark, e tu me la porterai via! Tu ti porterai via tutto quanto!»

Il ragazzo rimaneva muto, ascoltando le parole di Molly come se fossero arrivati alla fine dei conti. E voleva davvero che gliele dicesse, perché, in caso contrario, non sarebbe potuto andar via a cuor leggero.

Preferiva che Molly lo odiasse, anziché lo amasse per l’eternità.

«E io non voglio restare qui un altro minuto di più, ad aspettare che sia proprio una stupida pioggerella ghiacciata a darci un taglio! Daglielo tu, il taglio! Non fare il vigliacco!»

«Signorina Johnson, forse è meglio che si prenda un caffè, le pare?», la Dottoressa Parker si insinuò nel discorso, ma per tutta risposta, Molly la ghiacciò con uno sguardo di sbieco.

«NO. Io ho bisogno di qualcosa di più».

Mark la fissò, la fissò con tanta intensità da farle perdere un battito, quando alle sue spalle, alle spalle del suo angelo, intravide l’inizio della fine.

«Hai ragione», mormorò Mark a labbra strette, «Hai bisogno di qualcosa di più».

E, quando anche Molly seguì il suo sguardo, si voltò ed ebbe un fremito, tanto intenso da farle perdere la cognizione di ogni cosa.

Non voleva di più. Molly voleva Mark, ecco cosa voleva.

Voleva più tempo, voleva più speranza. Voleva credere nel futuro, nel futuro che includeva anche l’unica persona che manteneva vivo il suo cuore.

Ma, quando una lacrima le solcò la guancia, capì che il mondo non era fatto né di fiori, né di ghirlande.

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{Ma salve a tutti! Probabilmente in passato ho già lasciato qualche screzio su questo sito e ho deciso di tornare a tormentarlo, per divertimento XD No, scherzo. Oppure no. Resta di fatto che questa che ho appena deciso di postare era nata come una ‘one-shot’, per cui, in teoria, sarebbe dovuta essere microscopica. Invece, destino vuole che questa storia sia destinata ad un altro finale. Non so ancora come ne uscirà, ma di certo sarà breve, perché ho intenzione di postare pochi capitoli (Non mi assumo responsabilità nel caso io possa dilungarmi eh! XD) . Spero soltanto che vi piaccia!

Mi raccomando, siate crudeli con le critiche che fanno sempre piacere *-*

A presto, Cris Cris.}

 

   
 
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