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Autore: MaxT    10/06/2010    8 recensioni
“Non si può fermare l’inverno, ma si può seminare per la primavera”. Adariel Escanor, sesta Luce di Meridian. Questo prequel racconta gli avvenimenti culminati con l’ascesa al potere di Phobos, la lotta di una regina morente per assicurare un futuro al suo mondo e la fuga sulla Terra dei genitori adottivi di Elyon con la predestinata al trono di Meridian.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Phobos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian'
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10-rivolta  
 
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua bella recensione. Cedric è uno degli antagonisti più notevoli in WITCH, e per il fumetto far morire lui è stato un modo di tagliarsi i ponti alle spalle per poi diventare qualcosa di diverso da com'era nato.  In questa fase non è ancora un personaggio negativo, al di là del servilismo che chiunque voglia avere successo con Phobos è obbligato a sfoggiare.
Ringrazio anche Silen che, a suo tempo, aveva riletto questo episodio per consigliarmi. 

Ecco, il giorno della profezia di Frordal è arrivato, e come potete immaginare non è un bel giorno. Alcuni storici di Meridian fanno risalire l'inizio della tirannia a questo episodio, altri più prudenti preferiscono rifarsi all'episodio finale di questo racconto.
Qui si intravedono entrare in scena, da lontano,  due personaggi che appaiono anche nel fumetto, e credo che qualcuno saprà già dare loro un nome. Nella prossima puntata ne saprete di più su di loro, e anche sul lontano passato di Lord Cedric.

Buona lettura
MaxT

Capitolo 10

Rivolta


Meridian, palazzo reale

'Più cose scopro della Terra, più mi sembra strana', pensa Eleanor Brown, materializzandosi nel suo alloggio a palazzo.
Depone la cartella di riviste terrestri. Il sigillo di metallo smaltato svanisce nel suo palmo, poi, con un gesto delle mani si materializza una grossa borsa: una scorta di alcune medicine terrestri che non hanno equivalenti a Meridian. Da quando l’acqua magica scarseggia, i medici della sua città richiedono sempre più spesso questi farmaci chimici.
Lei ha provato, per curiosità, a leggere un paio di foglietti di istruzioni, ma fin dalle prime righe le hanno fatto drizzare i capelli: tra avvertenze, controindicazioni, effetti collaterali e interazioni, questi prodotti sembrano più minacciosi dei mali che curano.
E poi, cavolo, non si potrebbe farla semplice? Andare con un po’ di lingotti d’oro e portarsi via una vagonata di quello che serve?
No, la guarderebbero come un’aliena. Invece le richiederebbero codici fiscali, ragioni sociali, documenti, coordinate bancarie, conti correnti… tutte cose che non ha ancora imparato a gestire, così le tocca ogni volta cambiare faccia e fare il giro delle sedici farmacie della città presentando false ricette mediche, comprando con denaro falso tre scatole qua, due là… Insomma, la Terra è proprio pazzesca, pensa, mentre la borsa di medicine torna a svanire nel suo palmo.
Con un baluginio, Miriadel riprende il suo vero aspetto.
Si guarda allo specchio, soddisfatta: la liscia pelle grigioverde, i capelli a treccine verde azzurro scuro, le affusolate orecchie a punta, le pieghette sopra il suo bel nasino all’insù… sì, è proprio affascinante.
E poi, non è il caso di meravigliare i passanti uscendo dall’alloggio a palazzo con tratti insoliti o esotici. Si ricorda bene di quella volta che suo marito Alborn la vide con l’aspetto terrestre: rimase così turbato che poi, per mesi, volle tenere la luce accesa tutte le volte che facevano all’amore assieme.
Caro Alborn! Se non avesse utilizzato tutta la sua influenza di comandante della guardia per averla lì, forse l'avrebbero costretta a trovarsi un alloggio ad Heatherfield e rientrare a palazzo solo nei fine settimana: i frequenti cambiamenti di aspetto fisico e i teletrasferimenti hanno un costo energetico che, in questo periodo di scarsità, sta pesando molto.
Fuori dalla finestra, verso nord, si vedono solo le riposanti distese dell’altopiano e le montagne che muovono l’orizzonte, azzurre di lontananza. È ancora pieno giorno, mentre ad Heatherfield stavano già scendendo le prime ombre di una soleggiata sera di agosto.
Prende con sé la cartella delle riviste: Sua Altezza sarà certo contenta di aggiornarsi su quelle forme di magia che i terrestri chiamano pomposamente ‘scienza’.

Appena uscita dall’alloggio, Miriadel percepisce subito una tensione nell’aria.
Due guardie, insolitamente dotate di elmi e scudi, percorrono a lunghi passi il corridoio senza degnarla di un’occhiata; si sente un lontano vocio concitato, forse dall’ingresso principale nella torre est.
Segue, inquieta, quei soldati e quel vocio, superando la torre nordest e gli appartamenti reali dove era diretta.
Giungendo nel grande atrio, vede molte guardie schierate, perlopiù in un insolito assetto da battaglia.
Accanto al portone aperto, suo marito sta gridando ordini, e un drappello si dirige fuori, uscendo alla luce e svoltando a destra per scendere dalla grande rampa di scale esterna.
“Alborn!”.
“Miriadel! Grazie agli Dèi, sei arrivata. Forse ci puoi aiutare”.
“Ma cosa sta succedendo?”.
“Dei disordini in città. La Guardia di Palazzo ha avuto ordine di presidiare l’edificio”.
La accompagna sul grande scalone esterno che curva elegantemente a destra, offrendo una vista stupenda dell’abitato sottostante. “Ho fatto disporre parte degli uomini sulla strada che sale dalla città, e parte appena fuori dalla recinzione del giardino”.
Miriadel osserva le guardie schierate; alcune si rigirano nervosamente tra le mani caschetti e scudi come se li vedessero per la prima volta.
Ai piedi della rupe, in città, l’ampio Piazzale Sottocastello  è presidiato da soldati tarchiati, dalla pelle marrone e con divise azzurre che non riconosce. “Chi sono quelli?”.
“Un’unità arrivata di recente da Mitlar. In città ci sono truppe richiamate da fuori, e anche unità antibrigantaggio”.
Miriadel aggrotta lo sguardo: in passato, ha svolto alcune missioni segrete in appoggio a truppe del genere, e non avrebbe mai scelto proprio loro per un’operazione di ordine pubblico in città. “Perché non hai mandato le nostre guardie in centro, piuttosto, e non hai tenuto quelli lì attorno al palazzo?”.
“Ordini del Principe Phobos”. Indica verso l’alto.
Seguendo il suo sguardo, Miriadel vede solo i riflessi sulle vetrate chiuse della sala del trono, ma le è impossibile capire se vi sia qualcuno dietro a osservare. Poi torna a guardare in basso. “Com’è la situazione in città?”. Dall’alto, la via principale le sembra vuota fino alla centralissima Piazza Due Lune, gremita di gente.
“Non lo so. Non sono riuscito a contattare Cedric, né i comandanti di quelle unità, e non posso lasciare questa posizione. Non potresti andare a dare un’occhiata e riferirmi per via telepatica?
Lei esita: anche se conosce tante tecniche, i suoi poteri personali non sono gran che, quando non c’è vicino qualcuno molto speciale, come Cedric, a farle da master.
Prova a pensare a lui… invano. Dopo qualche secondo, si rassegna a non avere risposta.
“Va bene, caro. Farò quel che potrò”.
“Con prudenza, Miri, ti prego”.
“Con prudenza”, promette lei incrociando le dita e facendosi svanire in mano la borsa di riviste. Al suo posto, appare nuovamente il sigillo di teletrasporto.

Un istante le basta per percorrere i centoventi metri che la separano dal piazzale sottostante, fin alle spalle dei soldati.
Li osserva: sono un gruppo abbastanza omogeneo, tarchiati, dalla pelle marrone e quasi scagliosa; brandiscono lunghe alabarde che, nei vicoli stretti, potrebbero essere non poco d’impaccio.
Decide di passare senza farsi notare: la sua appartenenza ai servizi segreti non è di dominio pubblico.
Non può rendersi veramente invisibile, ma è capace di influenzare le menti degli astanti per passare del tutto inosservata. Peccato che questo suo modesto potere si esaurisca  nel raggio di una ventina di passi… buffo, potrà essere individuata più facilmente da lontano che da vicino.

Si inoltra sulla via centrale, quasi deserta. Tutti i negozi hanno chiuso i battenti; dalle finestre dei piani superiori, facce preoccupate sbirciano da sottili spiragli o nascoste dalle tende.
In fondo alla via, però, la centralissima piazza Due Lune appare gremita. Ovviamente niente bancarelle, oggi.
Avvicinandosi, capisce che è una specie di comizio: alzandosi in punta dei piedi, intravede un palco improvvisato. L’oratore  del momento è un uomo gobbo e anziano che lamenta i prezzi dei guaritori, saliti alle stelle.
Subito dopo, un altro lamenta che, dopo le udienze pubbliche settimanali della regina, sono state sospese anche quelle del principe Phobos.
Miriadel cerca un buon posto di osservazione: purtroppo rendersi invisibili in una folla serve perlopiù a farsi spintonare e pestare i piedi, e collezionare un po’ di scuse distratte o stupite quando ti notano comunque. La breve scalinata di una casa signorile fa al caso suo, basta influenzare un paio di astanti per farsi lasciare libero il gradino più alto.
Arriva a far emergere la testa dalla folla in tempo per sentire: “Ma cosa vuoi raccontarle, alla regina? Che si decida a crepare? Sono proprio le sue cure a prosciugare le distribuzioni di acqua magica!”.
Miriadel si acciglia: quel tipo pagherà caro ciò che ha detto. Anche se lei lo volesse ignorare, il suo occhio allenato ha già riconosciuto diversi agenti segreti infiltrati tra la folla ad osservare i facinorosi. Niente di più probabile che anche Cedric sia qui.
Altri intervengono, parlando tutti assieme. Qualche voce spicca sulle altre: “E’ Phobos ad usare l’acqua per irrigare il giardino. Alzate gli occhi dopo il tramonto e lo vedrete brillare da far impallidire il firmamento”.  “Ci va anche la regina”. “No, solo Phobos”.  “La regina non si vede più da mesi”. “C’era pure, quando Phobos ha fatto quella figuraccia”.
Un uomo vestito elegantemente, con una barba ben curata, si fa avanti. Lei lo riconosce: è un ricco mercante di stoffe. Con voce calma e conciliante, scandisce: “Cittadini, propongo di nominare una delegazione per chiedere udienza alla Luce di Meridian”.
Un altro ribatte: “Meglio a Phobos. Ormai la regina non conta più niente”.
Con sollievo, Miriadel constata che la situazione è ancora controllabile: basterà influenzare la mente di qualche facinoroso e la manifestazione prenderà senza dubbio una strada non pericolosa.
Meglio non farsi notare, però: i metodi ipnotici agiscono solo su poche persone per volta, e se qualcuno si accorgesse di questo suo gioco, lei si troverebbe in grosse difficoltà.

Il sollievo dura poco: dalla strada centrale che sale da Meridian bassa si vede arrivare un nutrito drappello di soldati dalla pelle marrone, tozzi e massicci, con elmi metallici e lunghe alabarde sollevate. In testa al gruppo marcia un ufficiale dalla pelle azzurrognola e dalla corporatura enorme, più di sette piedi di altezza per tre di larghezza. Il grosso mento tondeggiante è ornato, sul solo lato sinistro, da un assurdo pizzo biancastro ritorto, con poche ciocche di capelli asimmetriche che contornano il cranio calvo.
Ma è ciò che sta alle spalle del drappello che la impressiona di più: un Sarvak addestrato, un bestione verde e squamoso a metà tra un dinosauro e una tigre: utilissimo per stanare i briganti dai boschi, ma difficilissimo da controllare in un ambiente affollato.
Da un’altra via si vede arrivare… ma quello, coperto da un mascherone di cuoio e dipinto di verde scuro, è un rinoceronte da guerra! E’ cavalcato da un ufficiale dalla pelle azzurrina, i cui lunghi capelli biondi e lisci fanno contrasto alla corporatura massiccia e ai lineamenti rozzi che sembrano scolpiti nella pietra.
Al suo seguito, un reparto molto eterogeneo, vestito con divise mimetiche verdi e marroni, brandisce machetes che sarebbero molto più adatti alla guerra nella giungla che a una operazione di ordine pubblico.
Alla vista di quei militari, un’ondata di paura percorre gli astanti. Miriadel vede parecchie persone rientrare nelle case; altri dapprima bussano, poi battono con forza alle porte di case non loro, che non sempre vengono aperte.
L’uomo dalla barba ben curata scende dal palco  e si fa largo faticosamente tra la folla, cercando di sembrare autorevole. Studia un attimo i militari schierati, poi sceglie di andare incontro al gigante azzurrognolo. “Signor ufficiale, questa manifestazione è pacifica e rispettosa, e le armi sono fuori luogo. Stavamo per nominare una delegazione per chiedere udienza a Sua Altezza la Luce di Meridian”.
Per un attimo la tensione sembra allentarsi, poi dei mormorii corrono tra la gente.
Un altro uomo fende la folla e si accosta al primo. “No, a Sua Altezza il Principe Phobos”.
Alle sue spalle, protette dall’anonimato, alcune voci si alzano:
“A quel ladro?”  “Abbasso Phobos”.  “Vogliamo la regina”. “Quella mummia? Che si decida a crepare, una buona volta”.
L’uomo elegante si volta scandalizzato: “Ma che dite?”.
Il gigantesco ufficiale si fa avanti, spingendolo in disparte, ed avanza fino all’ultimo che ha mormorato. “Prova a ripeterlo!”, lo minaccia sovrastandolo.
L’omino esita, intimorito, ma nella folla diverse voci anonime mormorano “Quel ladro”. “Quella mummia”.
L’ufficiale si gira, cercando di dare un volto a quelle voci. “Ripetetelo, vigliacchi!”, grida brandendo i pugni possenti.
Dalle sue spalle si leva un coro anonimo di insulti. Quando un piccolo sasso lo colpisce da dietro, lui si volta con un ringhio di rabbia, sguainando uno spadone che, in mezzo a quella calca, non potrebbe neppure manovrare.
Lungo la via, i suoi soldati prendono ad avanzare lentamente, puntando le alabarde ad altezza d’uomo.
Nell’altra via, l’ufficiale biondo  grida un incitamento dal suono selvaggio, poi  avanza con il suo rinoceronte fendendo la folla e roteando per aria un’enorme spada.
Grida di panico si levano da molti, mentre i suoi uomini avanzano brandendo i machetes, ma alcuni dei manifestanti restano fermi guardando con sfida i soldati. In pochi secondi, si passa agli spintoni. Poi, quando un uomo solleva con incredulità una mano insanguinata, gridando di dolore, scoppia il caos, e mille grida si soprappongono: paura, rabbia, orrore.
Ma è un altro il grido che copre tutti gli altri: con lo stridio di una immensa aquila, il sarvak carica, aprendosi la strada verso il suo padrone la cui testa azzurra spicca ancora tra la folla. Prima si fa largo tra i soldati colti di sorpresa, poi tra la folla, spintonando e travolgendo. Dopo pochi passi, quando sente l’odore del sangue, sembra impazzire. Viene proprio verso Miriadel, creandosi attorno il vuoto con potenti sferzate di coda, e spargendo sangue con gli artigli.
Non è il momento di perdere la calma. Miriadel si fa apparire in mano il sigillo. Inizia la procedura mentale. 'Com’era? Sì…  Niente! Perché non funziona più questo coso di merda? Stupido fondo di lattina, portami via di qui!'
Le fauci del sarvak sono ad un braccio da lei, e sente l’alito caldo e fetido del mostro. La sua pupilla da coccodrillo la guarda dall’occhio giallo. La può percepire? Giurerebbe di sì…
Improvvisamente, quando Miriadel aveva già cominciato a rivedere la sua vita che le passava davanti agli occhi, un tremolio inghiotte la scena orribile.
Subito dopo, la sua prospettiva è cambiata. 'Tetti di ardesia? Dov’ è la belva? Sono già morta?'
L’appoggio le manca sotto i piedi, e annaspa senza sapere cosa…
Una mano la afferra, consentendole di ritrovare l’equilibrio. “Attenta, Miriadel”.
“Chi…”. Guarda sorpresa il suo salvatore. “Cedric!”.
La guarda cupo. “Proprio io”. E’ in piedi sulla falda del tetto, aggrappato ad un camino. “Abbiamo già perso Bolkotz e Gruplerd in quella bolgia. Hai rischiato di essere la terza dell’elenco”.
Miriadel si afferra al camino e guarda incredula sotto di sé: nella piazza ai suoi piedi il massacro sta continuando. Il sarvak ha raggiunto il suo signore, lasciandosi dietro una scia di corpi a terra in posizioni innaturali. L’ufficiale sul rinoceronte rotea lo spadone insanguinato. Macchie rosso scuro si intravedono sul selciato, mentre la gente cerca di fuggire dalle vie laterali. Qualcuno dei manifestanti ha raccolto una spada, sfidando i commandos in uno scontro dall’esito scontato.
“Cedric, è orribile! Fai fermare questo massacro insensato!”.
Lui risponde imperturbabile: “Non posso. Non sono qui per comandare”.
“Ma chi ha ordinato questa…”.
La interrompe con un gesto. “Ora io sono gli occhi e le orecchie del Principe Phobos”.
Miriadel si zittisce: avrebbe voluto urlare chi era quel deficiente che ha fatto intervenire quegli esaltati e quella belva scatenata a far precipitare le cose, ma certo non è il caso di dirlo in diretta a Phobos.
“Ma lui non può far finire….”.
“Lui sa già ciò che succede. Se vorrà intervenire, non sarà perché glielo abbiamo chiesto né io, né tu”.
Miriadel annuisce amareggiata. Guarda la gente che cerca rifugio nelle stradine e i soldati che li inseguono. Deve fare qualcosa.
Cedric le prende tra le dita il ciondolo che lei tiene ancora in mano. “Perché vai in giro con il sigillo scarico, Miriadel? Questa leggerezza stava per costarti cara”. Attraverso i suoi polpastrelli, una debole luminescenza avvolge l’oggetto. “Ecco, così funzionerà ancora per un po’ ”.
Lei annuisce. “Vado giù”.
“Non puoi fare niente”.
“Posso provarci”.

Un attimo dopo, è di nuovo in piazzale Sottocastello, alle spalle dei posti di blocco.
I soldati hanno incominciato ad avanzare lentamente verso il centro, intrappolando gente che cercava la salvezza nella fuga.
Miriadel insegue i militari e afferra per le spalle un sottufficiale. “Li fermi! Lasci uscire la gente da questo inferno!”.
L’uomo si volta stupito. “Non sono questi, gli ordini che ho ricevuto”.
“Io ho visto cosa succede laggiù! Un sarvak impazzito e un criminale su un rinoceronte stanno massacrando la gente. Volete anche voi la vostra parte?”.
Il sottufficiale scambia sguardi dubbiosi con i soldati. “E lei chi è?”.
“Servizi segreti”, risponde sventolando il sigillo.
Poco convinto, l’uomo ordina: “Fermiamoci qui”.

Dopo aver convinto altri gruppi di soldati a non serrare la morsa, Miriadel si trasferisce nuovamente nell’atrio del palazzo.
“Pazzi assassini!” sbotta.
Alborn, dalla scalinata esterna, si gira e viene verso di lei con occhi spalancati dall'apprensione. “Mi hai fatto paura. Ho perso il contatto quasi subito”.
Parlando tra i denti, Miriadel gli racconta: “E’ stato orribile. Quando sono arrivata, la situazione era ancora controllabile. Poi sono arrivati degli idioti con spadoni, rinoceronti e sarvak, e hanno fatto un massacro. E Phobos non ha fatto niente per fermarli!”.

Dal corridoio della torre nordest si sente gridare: “Phobos! Dove sei, Phobos?”. E’ la voce della Regina.
Pochi istanti dopo, lei arriva trafelata nell’atrio, correndo pesantemente. “Dov’è Phobos?”, grida fuori di sé.
Alla sommità dello scalone, il principe appare solenne da un alone luminescente. “Stai tranquilla, madre. Non c’è pericolo”.
“Tranquilla? Pericolo? Non c’è mai stato pericolo, qui. E’ in città che sta succedendo un disastro, un massacro senza precedenti!”.
Senza scomporsi, lui risponde: “Senza precedenti sono gli insulti che quella feccia ha rivolto contro la nostra dinastia”.
Lei freme di sdegno. Urla, con voce strozzata: “Insulti? Quella è la mia gente, la tua gente! E tu hai permesso questo per poche parole stolte?”. Poi, portandosi i pugni alla fronte:  “Che tu sia maledetto, Phobos! Che questo sangue ricada su di te e te soltanto, e ti accompagni per sempre!”.
Mentre la regina scoppia a singhiozzare e si accascia a terra, il grande atrio resta congelato in un silenzio inorridito.
Phobos, incapace di rispondere, scruta tutti gli occhi dei presenti alla ricerca di un’assoluzione, ma vi trova solo rammarico e imbarazzo.
I singhiozzi di sua madre echeggiano fino a smorzarsi lentamente come un fuoco che si spegne, lasciando nuovamente sentire lontane grida e lamenti dalle strade della città ferita.
 

  
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