CAPITOLO TRENTANOVESIMO: IL SIGNORE DELLE OMBRE.
Flegias, figlio di Ares e
Flagello di Uomini e Dei, aveva deciso di
giocare l’ultima carta in suo possesso, liberando il potere della Pietra Nera,
che gli era stata donata tempo addietro per portare l’ombra sulla Terra. Un
potere così tenebroso, capace di inquinare l’animo umano e trasformarlo in un
vuoto immenso, che la notte avrebbe invaso, facendolo suo. Questa era stata la
fine di Giasone della Colchide, uno dei Cavalieri Celesti più fedeli a Zeus,
che per secoli aveva servito il Dio del Fulmine.
Catturato durante la prima
incursione sull’Isola delle Ombre, assieme a Phantom e a Ermes, l’antico
Argonauta aveva trascorso le ultime settimane inerme e avvelenato, corroso dal
demoniaco cosmo di Flegias, che lo aveva avvolto in un oceano di tenebra, di
cui il suo animo si era cibato fino a divenirne parte integrante.
“Ed ecco cos’è diventato! Il
signore di tutte le ombre!” –Esclamò Flegias, dall’alto di una sporgenza
rocciosa, mentre il gigante di tenebra aumentava ancora la propria stazza,
inglobando le ombre che gli ruotavano attorno. –“Siatene orgogliosi! È la
creatura perfetta! L’evoluzione del mito! Egli è il Dio! Ah ah ah!” –Rise il
Maestro di Ombre, fissando i volti attoniti e impauriti dei Cavalieri di Atena,
vivendo infine quella scena che a lungo aveva immaginato nella sua mente. La
battaglia finale.
Fin da quando la sua avventura
era iniziata, fin da quando aveva messo tutto se stesso nel garantire l’avvento
dell’ombra, Flegias aveva ben saputo che l’ostacolo principale sarebbero stati
i Cavalieri di Atena e gli alleati che avessero saputo trovare. Asgard in primo
luogo. Gli Dei e i Cavalieri dell’Olimpo in secondo. Per questo aveva pensato
di premunirsi, addestrando proprio un Cavaliere d’Oro, avendo cura di non
svelare mai le sue vere intenzioni. In questo modo aveva sondato la mente di
Gemini e l’aveva volta al mare, potenziando, grazie al potere di una Pietra Nera,
il suo lato oscuro e facendone un servitore delle tenebre. Facendone l’uccisore
della Dea.
Per uno strano caso del destino
Gemini aveva fallito, e Atena era ancora viva. Ma se non altro l’esercito di
Grecia aveva subito numerose perdite, in una sciocca guerra civile, e questo
aveva rallegrato l’animo di Flegias. Così, se anche non poteva contare
sull’appoggio del Grande Sacerdote, poteva sempre scatenare nuove guerre contro
i Cavalieri di Atena, con il doppio scopo di tenerli impegnati e di disporre di
maggior tempo per proseguire le ricerche dei Talismani. Una cerca senza
successo.
Flegias disponeva infatti di
pochi elementi, non avendo raggiunto un’elevata preparazione spirituale, e non
avendo quindi avuto accesso a segreti che solo i saggi e i druidi dell’Isola
Sacra custodivano. Sapeva soltanto che erano celati nei principali luoghi di
culto della Terra, ma non conosceva la loro forma, né il modo per averli. E
questo lo logorava. Questo consumava il suo animo indemoniato, rendendo le sue
notti insonni e prive di soddisfazioni. Anche quelle trascorse con Cassandra,
distesi su un letto di ombre nelle profondità dell’isola maledetta.
Molte volte aveva pensato di
ucciderla, detestando persino il sentirla respirare. Ma si era sempre
trattenuto, poiché, anche se non era la sua prima sposa, quella ragazza aveva
qualcosa della giovialità di Coronide, l’amata figlia che Apollo gli oltraggiò.
E a cui Flegias aveva risposto bruciando il Tempio del Dio e minacciandolo di
morte.
Fu quello il primo passo verso
l’ombra, il primo gradino che Flegias discese verso gli Inferi, ove tanto
sarebbe stato di casa nei secoli successivi. Venne condannato da Zeus e da
tutti gli Dei, persino da suo padre Ares, che ben temeva all’epoca l’ira degli
Olimpi. Incenerito da un fulmine di Zeus, il suo corpo scomparve dalla Terra,
mentre l’anima, inquieta ed errabonda, non riuscì a trovare la via per il
Tartaro, perdendosi in un limbo di cui nessuno aveva memoria.
E in quel vuoto primordiale
venne salvato e scelto come araldo della grande ombra, ambasciatore di un
impero di tenebra che un giorno sarebbe sorto sulle rovine del vecchio mondo.
Gli uomini, e tutti gli Dei da loro venerati, di qualunque civiltà, sarebbero
stati piegati ad un’unica volontà o sarebbero morti. Il sole avrebbe smesso di
sorgere o se fosse sorto sarebbe stato un globo spento. Persino la luna sarebbe
stata nera, come le acque dei mari e il sangue dei dominatori. Come il colore
dell’Esercito delle Ombre da lui guidato.
Sette Capitani aveva nominato,
ordinando ad Athanor di fabbricare corazze ispirate a mostri leggendari. Ben
sapeva che tali Armature Nere non sarebbero state resistenti come quelle d’Oro
o Divine, ma era certo che il sangue di Asclepio e dei Cavalieri Celesti le
avrebbe rinforzate. All’uomo che aveva personalmente addestrato, negli anni
successivi alla Guerra d’Egitto, aveva affidato il comando del suo esercito,
dandogli il simbolo del grande drago d’Oriente: Orochi. E allettandolo con la
promessa della Spada del Paradiso. Della sua forza era certo, e anche della sua
fedeltà, poiché sapeva che non vi fosse niente in grado di turbarlo. Per questo
motivo lo aveva inviato al Grande Tempio, per affrontare Pegasus e gli altri
Cavalieri Divini.
“Se c’è qualcuno che può
sconfiggerli, quello sei tu!” –Gli aveva detto, prima di congedarlo. E non era
andato poi così lontano dalla verità.
Negli altri Capitani dell’Ombra
aveva nutrito speranze minori, ma tutti, persino il debole Serpente
Giavellotto, erano stati utili al suo piano. Per Iaculo, sconfitto da Andromeda
e dai discepoli di Virgo, non aveva versato una lacrima. Così come per
Livyatan, morto ad Asgard, di cui aveva sfruttato i desideri di vendetta contro
i Cavalieri di Atena, rei di aver accettato un assassino come Kanon nelle loro
fila. Nello stesso modo si era servito di Lamia e di Siderius della Supernova
Oscura, volgendo il loro rancore a qualcosa di più costruttivo. Per sé,
ovviamente.
Il Licantropo era stato un
retaggio del passato che Flegias aveva ben pensato di recuperare, assieme a i
cloni generati quindici anni addietro nelle profondità di Tebe. Una truppa che
avrebbe scagliato inutilmente contro Amon Ra, non immaginando che il Dio avesse
in quegli anni riorganizzato l’Esercito del Sole, messo in guardia proprio da
Avalon.
Infine Iemisch, l’incognita del
suo esercito. Un uomo che aveva le potenzialità per essere il Comandante ma a
cui Flegias non voleva dare tale soddisfazione, preferendo lasciarlo in
continua tensione, in aspettativa costante, obbligandolo a dare sempre il
massimo, sfruttando quell’unica debolezza che la Tigre d’Acqua aveva.
Adesso, di Athanor e dei mostri
leggendari, dei sette Capitani dell’Ombra e dei Cavalieri delle costellazioni
dimenticate non era rimasto niente. Erano stati tutti sconfitti. Ma lui c’era
ancora, saldo al suo posto, con la corona nera sul capo e un mantello d’ombre
sulla schiena, che gli ricordavano continuamente il suo legame con la notte. Al
suo fianco, alto e immenso, il mostruoso prodotto del delirio della Pietra
Nera: una creatura composta interamente di ombre.
“Uccidili! Annienta la loro
luce! Estirpa per sempre la bastarda stirpe dei Cavalieri!” –Gridò Flegias,
mentre il signore delle ombre si allungava verso Pegasus e gli altri.
E subito i suoi arti di tenebra
si scomposero in migliaia di nere evanescenze che piombarono sui Cavalieri di
Atena, avvolgendoli, intrappolandoli, trapassando il loro corpo, desiderose di
cibarsi della loro luce. Ingorde e mai soddisfatte.
“Sono tantissime…” –Mormorò Asher
dell’Unicorno, espandendo il cosmo e generando scariche di energia, così
come fecero Castalia dell’Aquila e Tisifone del Serpentario,
cercando di difendersi da quella marea oscura che si chiudeva su di loro.
“Bastarde!” –Gridò Ioria,
liberando il colpo sacro del Leone. Subito imitato da Dohko di Libra e da Shaka
di Virgo. –“Non serve a niente! Per ogni ombra che colpiamo, altre dieci ne
compaiono! Se non interrompiamo il processo creativo non potremo mai averne
ragione!” –Commentò il Cavaliere della Bilancia.
“E infatti mai le
sconfiggerete!” –Sentenziò Flegias, fissando i suoi avversari inermi con
fiammeggianti occhi rossi. –“Per voi non ci saranno lapidi di pietra, o
mausolei in cui essere venerati come eroi! No! I vostri nomi scompariranno
dalla storia, perdendosi in una notte senza stelle!” –E nel dir questo liberò
un turbine di fuoco, che si abbatté sui tre Cavalieri d’Oro, spingendoli
indietro.
“Ioria!!!” –Gridò Pegasus,
accorrendo in aiuto dell’amico, seguito da Sirio e dagli altri tre compagni.
–“State indietro!” –Ordinò il Cavaliere di Leo. –“Penseremo noi a tenere a bada
questo gigante di ombre! Voi trattenete Flegias! Non deve sfuggirci ancora! La
mano della giustizia deve calare sul suo capo una volta per tutte!”
“Nobili parole, Cavaliere di
Leo! Degne del fratello a cui voltasti le spalle!” –Ironizzò Flegias,
avvolgendosi in un vortice di fiamme oscure e piombando sui cinque Cavalieri
Divini. –“Ma sarà la falce nera a calare su tutti voi!” –Ringhiò, modellando le
tenebre in modo da creare una falce energetica, che piantò di scatto nel terreno,
generando un’esplosione che scagliò Pegasus e gli altri indietro.
Andromeda, subito rialzatosi, scatenò le devastanti Onde del
Tuono, chiudendo a Flegias una via e obbligandolo a balzare indietro per
non essere travolto, nel momento stesso in cui Phoenix, che aveva
intuito la mossa del fratello, caricava il pugno destro di infuocata energia,
scattando contro di lui.
“Intelligenti!” –Sibilò Flegias,
ancora in volo, volgendo il palmo della mano contro Phoenix. –“Ma non
abbastanza, per me!” –E lasciò che il pugno infuocato vi si schiantasse,
contenendone l’energia e spingendolo indietro, con forza tale da scagliare il
Cavaliere contro Andromeda, abbattendoli entrambi. Ma Flegias non poté toccare
terra che dovette voltarsi di lato, per evitare due fendenti di energia che
sfrecciarono paralleli verso di lui. Uno di luce e l’altro di gelo. Vi passò in
mezzo, sentendoli stridere e scheggiare parte della sua Veste Divina, fino a
trovarsi di fronte Sirio e Cristal, con le braccia ancora
sollevate.
“Siete entrati in simbiosi?”
–Ironizzò, travolgendoli con un attacco di pura energia incandescente, a cui i
due amici cercarono di opporsi con lo scudo del Dragone e con un muro di
ghiaccio. Ma la pressione esercitata da Flegias liquefece la barriera di gelo,
crepando persino lo scudo di Sirio, spingendoli infine indietro. –“E quattro!”
–Commentò il Maestro di Ombre, prima di sentire due braccia spuntare da dietro
di lui e chiudersi sul suo petto, stringendolo in una stretta morsa, mentre un
lucente cosmo azzurro lo avvolgeva, nel tentativo di contrastare la sua
infernale oscurità.
“Spirale di Pegasus!!!”
–Gridò il ragazzo, lanciandosi in cielo, in un turbine di energia rovente.
–“Pazzo!!! Pegasus, sei un pazzo suicida!” –Ringhiò Flegias, preso alla
sprovvista da quella mossa. –“Pegasuuus!!!” –Urlarono Sirio e gli altri amici,
vedendo la cometa azzurra compiere una curva nel cielo nero, annientando tutte
le ombre contro cui si scontrava.
“Hai scelto il tuo destino!”
–Commentò infine Flegias, rilasciando il proprio cosmo demoniaco. –“Morte!” –E
scatenò vampe di fuoco nero che incendiarono l’Armatura Divina, ustionando le
braccia e il volto di Pegasus, strappandogli grida di dolore. Senza però
riuscire a convincerlo a mollare la presa. –“Muori, cane d’Atena! Con tutto il
tuo maledetto stoicismo!” –Ringhiò Flegias irato, espandendo al massimo il
cosmo, che esplose in un lampo nero poco prima che i due si schiantassero a
terra.
Sirio e gli altri corsero da
Pegasus, che aveva scavato un profondo solco nel terreno, trovandolo stanco e
ferito, con crepe sull’Armatura Divina, ancora avvolta in un tetro fuoco di
morte. Cristal posò una mano sul petto dell’amico, sprigionando il suo gelido
cosmo, con il quale riuscì a raffreddare la corazza e spegnere quel che restava
delle vampe infernali, aiutandolo poi a rialzarsi.
“Venite tutti insieme!” –Gridò
Flegias, infervorato, facendo voltare i cinque ragazzi.
Era riuscito a sfuggire alla
presa di Pegasus, teletrasportandosi ai piedi del vulcano, in tempo per evitare
lo schianto. Ma per farlo aveva dovuto impiegare una gran quantità di energia,
tanto vicino e avvolgente era il cosmo di Pegasus, da consentirgli un minimo
spazio di manovra.
“Uno alla volta non mi vincerete
mai! Fatevi avanti tutti insieme! Il Maestro di Ombre non teme nessuno,
soprattutto cinque ragazzini!” –Incalzò, espandendo al massimo il proprio
cosmo, liberando vampe di fuoco che incendiarono il terreno, mentre strati di
ombre fluttuavano attorno a loro, cingendoli d’assedio.
“Detesto doverlo dire, ma credo
che Flegias abbia ragione!” –Mormorò Andromeda, bruciando il suo cosmo al punto
da generare una corrente di energia. –“Sono con te!” –Esclamò Phoenix,
accendendo l’aura della Fenice. –“Ci siamo tutti!” –Gli fecero eco Sirio e
Cristal. –“Come sempre! E per sempre!” –Concluse Pegasus, mentre i cosmi dei
cinque amici, come molte volte avevano fatto, fin dai tempi della corsa alle
Dodici Case, si univano assieme, dando vita ad un potere vasto come l’universo.
Al potere dell’amicizia.
“Nebulosa di Andromeda,
che la forza delle stelle sia con teee!!!”
“In nomine tuo, Acquarius!!!”
“Pienezza del Dragone,
nei limiti di Atena, vai e colpisci!”
“Ali della Fenice!!!”
“Risplendi, Cometa lucenteee!!!”
La devastante ondata di energia
cozzò contro la violenta tempesta energetica, striata di fiamme e di ombre, che
Flegias aveva già liberato contro di loro.
Fermo, piantato a terra con
solide gambe, le braccia tese avanti a sé, il Maestro di Ombre scatenò la furia
dell’Apocalisse Divina, il massimo colpo che aveva ideato per decretare
la fine del genere umano. Una razza debole e inutile, ai suoi occhi buona
soltanto per essere ridotta in schiavitù. Lo aveva chiamato così, secoli
addietro, ispirato dalle leggende sui quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Guerra, fame, morte e malattia.
Piaghe che, secondo tali Cavalieri, gli uomini si erano autoinflitti, con i
loro comportamenti, con i loro sbagli. E Flegias aveva sposato in pieno tale
visione, idolatrando i quattro demoni e desiderando ardentemente far parte di
quella gilda di verità. Il destino gli aveva riservato una strada diversa, ma
per tutti quei secoli non aveva mai smesso di credere che egli fosse l’ultimo
Cavaliere dell’Apocalisse, colui che racchiudeva in sé tutti i mali del mondo.
Lo scontro tra i poteri
contrapposti di Flegias e dei Cavalieri di Atena continuò per una manciata di
minuti, durante i quali l’aria si saturò di scariche di energia, che guizzavano
ovunque, e turbini di ombre avvolsero i contendenti, nessuno dei quali era
disposto a cedere di un passo.
“Sono mesi che aspettiamo questo
momento, Flegias! Da quando fuggisti dall’Olimpo, derubando Crono dei poteri
della Pietra Nera!” –Esclamò Pegasus, con il cosmo espanso al massimo. –“E
adesso scoprire che persino di Gemini, tuo allievo, ti sei servito e che per
causa tua inutili guerre sono state combattute mi dà un vigore nuovo per
affrontarti!” –E ripensò a quando, nel castello di Heinschtein, aveva visto
svanire tra le sue mani le polveri del Cavaliere dei Gemelli. Un uomo che, per
fedeltà alla Dea e per volontà di riscattare quel che di malvagio in vita era
stato costretto a compiere, aveva accettato di morire di nuovo. Un eroe. Come
Micene di Sagitter era stato anni prima. Ed altri assieme a loro.
“Quante vite sono state
bruciate? Quanto sangue è stato sparso per soddisfare le pretese di un uomo che
si crede un Dio?!” –Incalzò Pegasus, spingendo sempre di più e suscitando la
reazione collerica del Maestro di Ombre.
“Io sono un Dio! Di uomo
ormai non ho più niente, neppure la forma!” –Rispose questi, scaricando nuove
vampe di fuoco, che sembravano nascere dai suoi occhi indemoniati.
“No! Tu non lo sei!” –Mormorò
Pegasus. –“Ne ho conosciuti molti e, per quanto li abbia combattuti quasi
tutti, non ho trovato in nessuno di loro, neppure in Ade o in tuo padre Ares,
la stessa oscura volontà distruttiva che sento nel tuo cosmo, lo stesso
desiderio di sprofondare il mondo in un’eterna apocalisse! Per questo ti
fermerò! Qua e ora! Troppo abbiamo sofferto per permetterti di vivere ancora!”
“Pegasus ha ragione!” –Intervenne
allora Cristal, avvolto dallo scintillio dei ghiacci di Siberia. –“Ho visto
l’alba di Asgard tingersi di un rosso di sangue! Ho visto donne coraggiose
ergersi solitarie per fronteggiare mostri che tu hai risvegliato! E orfani
innocenti impugnare archi e frecce per difendere la terra in cui sono nati e
cresciuti, la loro patria, ed onorare così le memorie di coloro che li hanno
preceduti, morti in battaglie che non dovevano essere combattute!”
“Hai disturbato il sonno di
creature millenarie, piegando le leggende ai tuoi fini, distorcendo l’animo di
uomini, un tempo giusti, per farne biechi assassini, mossi dalla fedeltà ad un
re che sa imporsi solo tramite la forza e la paura!” –Continuò Andromeda. –“Ma
che non ha niente, neppure l’ombra, dei sovrani del passato o degli eroi dei
tempi antichi!”
“Solo! Dannato ad un’esistenza
di disperazione, non hai fatto altro che scaricare la tua frustrazione sul
genere umano, recidendo tutti i legami di cui eri invidioso, mirando ad
annientare ogni forma di felicità, ben sapendo che tu non l’avresti mai
provata!” –Esclamò Sirio.
“Ma quest’oggi proverai
qualcos’altro! La vendetta! Per tutte le persone morte a causa della tua folle
ambizione, anche tu morrai, Flegias!” –Ringhiò Phoenix, mentre la sua mente,
come quella dei compagni, ricordava gli eroi caduti per dare un futuro agli
uomini e alla Terra. –“Ippolita!” –Mormorò, rinnovando l’assalto.
“Mylock! Lupo, Gerki, Aspides,
Leone Minore!” –Li nominò Pegasus. –“Birnam! Shadir, Lear, Benam!” –Aggiunse
Andromeda. –“Mizar, Alcor! Scorpio!” –Continuò Cristal, prima che Sirio
concludesse. –“Giasone, Artemide, Gwynn e tutti i Cavalieri Celesti e gli Dei,
vittime come noi di un inganno che non hanno saputo decifrare!”
“Ora, uniti ai loro spiriti,
combattiamo!” –Gridarono i cinque amici, generando un’onda di energia così
potente da travolgere l’Apocalisse Divina e scagliare Flegias in alto,
danneggiando la sua armatura scarlatta e schiantandolo al suolo poco dopo.
“Ce… l’abbiamo fatta!” –Mormorò
Pegasus, crollando sulle ginocchia. –“Siamo riusciti a colpirlo!” –Aggiunse
Sirio, ansimando a fatica. –“Quanto abbiamo realmente ottenuto?!” –Ironizzò
Phoenix, senza togliere gli occhi da Flegias.
In silenzio, il Maestro di Ombre
si stava infatti rialzando, mentre turbinanti pensieri affollavano la sua
mente. Primo tra tutti la consapevolezza di non possedere più la Pietra Nera, e
quindi il suo potere rigenerante, avendola interamente usata per potenziare le
ombre, affinché invadessero la Terra intera.
“Devono invaderla!” –Si disse,
chiudendo le mani a pugno e accendendo un fuoco d’ira nei suoi occhi, che
avvampò istantaneo, mentre con un rapido movimento del braccio scaricava vampe
incandescenti contro i cinque compagni, obbligandoli a saltare in direzioni
diverse per evitarle. –“Troppo a lungo mi sono spinto! Il punto di non ritorno
è stato superato! Da questa battaglia uscirà un solo vincitore! E quello sarò
io! Devo essere io!” –Sogghignò, scatenando l’assalto finale della marea nera.
Il signore delle ombre, che
aveva inglobato il corpo di Giasone al suo interno, cullandolo e cibandosi di
quel che restava del suo cosmo, stava liberando strati di nere evanescenze, per
distruggere la cupola protettiva all’interno della quale Ioria, Libra e Virgo
si erano rifugiati, tirando a sé anche Asher, Castalia e Tisifone.
“Queste ombre… sembrano gli
abitanti dei pianeti che Giapeto evocò anni addietro a sua difesa!” –Rifletté
Ioria, cercando lo sguardo di Virgo. –“Ma sono in quantità maggiore e, seppur
non rette da divino cosmo, sono cariche di un’infinita oscurità!”
“Ogni minuto che passa sento le
forze venirmi meno!” –Commentò Tisifone. –“Sommerse, quasi soffocate, da questa
tenebra senza fine!”
“Già al Grande Tempio non
avevamo speranze, ma ci salvò l’intervento di Atena! Adesso che speranze
abbiamo?!” –Mormorò Asher.
“La speranza di chi lotta per un
ideale!” –Esclamò Ioria, accendendo il cosmo di bagliori dorati e sfrecciando
fuori dalla cupola di protezione, con il pugno carico di luce. –“Questo è per
mio fratello Micene! Lightning Bolt!” –E diresse un’accecante cometa di
energia contro il cumulo di ombre, presto seguita da un’altra. –“E questo è per
Siderius!”
“Iaaah!!!” –Asher seguì Ioria
all’istante, comprendendo le sue parole. Forse le ultime che gli avrebbe
sentito dire. –“L’Unicorno non morirà aspettando in difesa! Corno d’Argento,
rifulgi!!! Per Atenaaa!!!”
Virgo tolse la barriera
protettiva, radunando le forze per un nuovo assalto, proprio mentre Libra,
avvolto nel suo cosmo d’oro, liberava le armi di cui era custode.
“Possano essere per noi il
confine dove le benigne stelle fermeranno l’oscurità!” –Commentò, sollevando lo
scudo d’oro. Ioria afferrò la spada, Castalia il tridente e Tisifone la barra a
tripunte, come contro Crono sull’Olimpo. A Virgo porse la lancia bracciale,
prima di voltarsi verso Asher e mostrargli le barre gemellari.
“Sarà un onore impugnarle per
Atena!” –Commentò il ragazzo, con rivoli di sangue che gli colavano sul volto,
ma l’incrollabile fede nella Dea ancora vivida.
“Insieme, Cavalieri!!!” –Caricò
Libra, lanciandosi contro l’ammasso di ombre, subito seguito dai cinque
compagni. La luminosa energia prodotta dall’assalto avvampò al contatto con la
marea nera, che per un momento parve davvero intimorita dall’accecante bagliore
che le Armature d’Oro, da secoli bagnate dalla luce solare lungo l’Ellittica e
potenziate di recente dal fuoco di Muspellheimr, sapevano emettere. Ma fu un
attimo, prima che una cappa di oscurità calasse sui sei Cavalieri, inghiottendo
il loro timido bagliore, trapassandoli da parte a parte, svuotandoli
progressivamente della loro energia vitale.
“Ohm!!!” –Gridò allora
Virgo, liberando il cosmo allo stato puro, che si dischiuse attorno a sé come i
petali di un fiore di loto, spingendo via per un attimo le ombre.
“Il nostro tempo è scaduto…”
–Mormorò Libra, schiantato a terra accanto ai compagni. –“Shin! Presto ci
ritroveremo e potremo abbracciarci di nuovo!”
Improvvisamente, mentre il
signore delle ombre torreggiava sui sei compagni, una pioggia di stelle iniziò
a traforare la sua mole immensa, generando piccoli fori dentro i quali si
verificarono continue esplosioni.
“Per il Sacro Ariete!
Rivoluzione stellare!” –Gridò una voce. E nello stesso momento un’onda di
energia acquatica si sollevò alle spalle di Ioria e degli altri, scavalcandoli
e abbattendosi sulle ombre, anticipando l’arrivo di due Cavalieri Celesti. –“Gorgo
dell’Eridano!” –Esclamò il Luogotenente dell’Olimpo. –“Attacco del Drago
Bianco!” –Gli fece eco il Comandante della Legione Nascosta. E annientarono
qualche ombra, liberando i Cavalieri di Atena da quella tetra prigionia.
“Phantom…” –Mormorò Castalia,
sorpresa, aiutata da Tisifone a rimettersi in piedi.
Mur dell’Ariete spuntò proprio dietro a Phantom dell’Eridano Celeste
e ad Ascanio Pendragon, salutando Libra e gli altri con un sorriso.
“Castalia!” –Esclamò Phantom,
felice di vederla. Aveva il volto stanco e l’Armatura Celeste era per metà in
frantumi, e questo fece capire a Castalia che il ragazzo doveva aver combattuto
parecchio. Ma era sopravvissuto. E quello era l’importante.
Anche Ioria fu lieto di vedere
il Luogotenente dell’Olimpo ancora vivo. Ma non disse niente, limitandosi a
scambiare con lui uno sguardo d’assenso, proprio mentre le ombre tornavano a
fluttuare attorno a loro, attratte dalle fresche prede appena giunte.
“Ma quello è… Giasone!!!”
–Mormorarono sconvolti Phantom e Ascanio. –“Dannato Flegias! Dannato!!!”
–Ringhiarono i due, liberando un violento assalto energetico contro l’immensa
sagoma di ombre, che parve risentirne per un momento, prima di risanare le
proprie ferite, generando nuove oscure evanescenze.
“Temo che per il Cavaliere
Celeste non ci sia più niente da fare!” –Commentò Libra, con una certa
tristezza. Ma mentre Phantom reagì con dolore, reprimendo un singhiozzo,
Ascanio si infervorò, rifiutando di accettare la sua terribile sorte.
“Non resterò a guardare mentre
Giasone viene annientato assieme all’oscurità!”
“Ascanio…” –Mormorò Phantom,
cercando di far capire all’amico che qualunque loro azione non avrebbe salvato
il Cavaliere Celeste.
“Se c’è una vita umana da
salvare, Ioria del Leone non si tirerà indietro!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro,
affiancando Ascanio.
“E altrettanto farò io!”
–Intervenne Asher, ricordando come Giasone, sull’Olimpo, l’avesse riconosciuto
un combattente degno di lottare al suo fianco.
“Orbene…” –Ironizzò allora
Libra. –“Morire per morire, tanto vale farlo nel tentativo di salvare
qualcuno…” –E anche gli altri gli diedero ragione, accendendo i loro cosmi
incandescenti e lanciandosi verso la massa di tenebra.
Ascanio guidava il gruppo e
subito uno stormo di ombre piombò su di lui, ma il Cavaliere Celeste sfiorò i
serpenti tatuati sul braccio, che si illuminarono, generando un’immensa sagoma
illusoria, che lo sormontò, attirando l’attenzione delle ombre.
“Il raziocinio di queste entità
è limitato! Sono attratte dalla luce ma non distinguono ciò che è reale da ciò
che non lo è!” –Rifletté Ascanio, volgendosi verso Virgo.
“Ho capito!” –Rispose
semplicemente questi, unendo le mani e disegnando simboli in aria, mentre
centinaia di copie di sé e dei Cavalieri suoi compagni apparivano attorno a
loro, in lampi continui di luce, che eccitarono le ombre, attirandole verso di
loro.
“Ora!” –Gridò Phantom,
concentrando il cosmo sotto i piedi di Ascanio e sollevando un getto di energia
acquatica che spinse in alto il Comandante dell’Ultima Legione, fino a portarlo
all’altezza del torace del signore delle ombre, al centro del quale, avvolto in
un turbinio incessante di tenebre, giaceva Giasone.
“Dannate canaglie!” –Ringhiò
Ascanio, lanciandosi al suo interno, avvolto in un cosmo bianco, dai sapori
ancestrali, su cui le ombre subito si avventarono, senza riuscire però a
superare quella splendente, quanto impenetrabile, cortina di luce. –“La Metempsicosi
non permette soltanto la trasmigrazione dell’anima, ma costituisce anche una
solida difesa contro qualsivoglia attacco mentale o immateriale! E adesso che
sono così vicino al cuore, assaggiate, oh infauste tenebre, le fauci del Drago
Bianco di Glastonbury!” –Esclamò, aprendo uno squarcio nel torace dell’immensa
sagoma, dove bianche folgori risplendettero, illuminando per un momento il
volto spento di Giasone, che giaceva proprio là in mezzo.
A fatica, Ascanio riuscì ad
arrivare a lui, per quanto le ombre cercassero di ostacolarlo. Ma quando gli
volse la testa, Ascanio impallidì, alla vista di nient’altro che i resti del
valente Cavaliere che aveva difeso l’Olimpo da Tifone e dai figli di Ares. I
suoi occhi erano spenti e strati di ombre ne uscivano ed entravano, in una
macabra danza di morte.
In quel momento, dal basso,
Phantom evocò le Liane dell’Eridano, allungandole lungo la sinuosa
superficie della creatura di ombre, fino a raggiungere Ascanio e attorcigliarle
al polso di Giasone. Cumuli di tenebre si strinsero sul Luogotenente
dell’Olimpo, che non poteva difendersi, intento a usare il cosmo per generare
le liane e tirare Giasone fuori da lì. Ma Castalia da un lato e Tisifone
dall’altro intervennero subito in suo aiuto.
“Volo dell’Aquilaaa!!! Cobra
incantatore!!!” –Gridarono, piombando sulle ombre.
Spalla contro spalla, le
Sacerdotesse si chiusero su Phantom, mentre Mur evocava il Muro di Cristallo,
dandogli la forma di una cupola cubica, per proteggere se stesso e i suoi
compagni. Libra lo affiancò all’istante, unendo il cosmo a quello dell’amico.
“Insieme! In un’altra battaglia
persa in partenza!” –Commentò, ricordando i tredici anni trascorsi da entrambi
lontani da Atene, dopo la morte di Micene, in attesa di un segno che
permettesse loro di liberare il Grande Tempio dalla tenebra che lo aveva
occupato. Una tenebra che proprio in Flegias aveva avuto origine.
“Chissà…” –Mormorò Mur. –“Anche
allora pensavamo non vi fosse speranza…”
Ascanio, nel frattempo, cercava
di trascinare Giasone fuori dal cumulo di ombre, aiutato dalle liane di
Phantom. Lavorava incessantemente, senza avere il coraggio di fermarsi, perché,
se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere quel che tutti già sapevano. Che
Giasone era ormai perduto.
“Il corpo forse!” –Strinse i
denti Ascanio, bruciando il cosmo. –“Ma l’anima, quella voglio salvarla!”
–Improvvisamente sentì qualcosa sfiorargli un polso e subito si voltò, credendo
fossero ombre. Ma rimase sconvolto nel vedere la mano di Giasone che lo aveva
appena afferrato. E in quel tocco, in quell’ultimo tocco, il Cavaliere Celeste
riversò tutti i suoi ricordi, ringraziando Ascanio per il tentativo.
“Ho vissuto una lunga vita,
superiore a quella di qualsiasi uomo! Ho viaggiato verso la Colchide, sulle ali
del mito, recuperando il Vello d’Oro! Ho sposato una donna, grazie alla quale
sono stato fatto re, e ho combattuto contro il suo fantasma per anni! È tempo
che anch’io, adesso, assapori la pace!” –Parlò Giasone, tramite il cosmo,
incendiando le liane che lo avevano fermato e lasciandosi cadere all’interno
del cumulo di ombre. –“Salvati, Ascanio! Proprio come hai salvato me!”
“Indietro!!!” –Gridò il
Comandante, avendo compreso quel che Giasone voleva fare. Ma la sua voce venne
coperta dalla deflagrazione alle sue spalle, che dilaniò dall’interno la
creatura di ombre, scaraventando Ascanio, e altri Cavalieri, avanti di una
decina di metri, facendoli ruzzolare a terra.
“Giasone…” –Mormorò Ascanio,
rialzandosi, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Hai atteso in silenzio per tutti
questi giorni, mentre le ombre ti divoravano l’anima, senza mai perdere la
speranza di ritrovare i tuoi compagni. E lottare un’ultima volta al loro
fianco! Addio, Cavaliere Celeste! Addio Re di Iolco!”
L’immensa sagoma del signore di
ombre si sollevò di nuovo, torreggiando sempre più in alto sui Cavalieri e
liberando un quantitativo di ombre maggiore che in precedenza. Virgo e Mur si
guardarono, comprendendone il motivo.
“La morte di Giasone ha
interrotto un equilibrio!” –Commentò il Cavaliere della Sesta Casa. –“La sua
presenza nel cuore del regno di tenebra consentiva infatti alle ombre di
cibarsi continuamente del suo cosmo, tenuto vivo dalla speranza del Cavaliere
Celeste, ma al tempo stesso, essendo fonte di luce, limitava le ombre nel loro
agire! Adesso, con la sua scomparsa, le creature della notte hanno perso il
loro serbatoio primario di rifornimento!”
“E immagino che ne cerchino uno
nuovo…” –Ironizzò Libra, mentre una smisurata tenebra avvolgeva tutti loro,
affievolendo i loro cosmi incandescenti.
In quel momento Flegias diede
l’ultimo ordine. La carica finale.
Le ombre si chiusero su tutti i
Cavalieri di Atena e di Zeus, trapassando ogni loro difesa, fisica e
spirituale, prostrandoli a terra e stringendoli in un abbraccio oscuro. Privi
della forza anche solo per parlare, sopportarono il dolore, come Giasone aveva
fatto per settimane, unendosi l’un l’altro in una catena di cosmi che neppure
le tenebre potevano disgregare. Un’unità di destini capace di vincere la notte.
Fu in quel momento di
disperazione massima che Avalon apparve. Silenzioso come era suo solito. Ed
anche Flegias se ne accorse quando fu troppo tardi.
Sfavillò in mezzo alle ombre,
annientandone qualcuna solo con la presenza. Poi mosse un braccio verso destra,
generando un’onda di luce che incenerì parte della marea nera, prima di fare
altrettanto con il braccio sinistro, liberando quindi un ampio spazio tra lui e
il Maestro di Ombre.
Apparve così, tra lo stupore dei
Cavalieri di Atena e l’ossequioso rispetto di Ascanio, che subito si
inginocchiò di fronte al suo maestro, il Signore dell’Isola Sacra.