Padme_Undomiel:
grazie, grazie e ancora grazie per la tua recensione e i tuoi
complimenti. Just
lovely. :) La psicologia dei personaggi è la mia passione, e
cerco di
mettercela davvero tutta per provare a rendere almeno alcune delle
infinite sfumature e
meraviglie di una psiche. Scrivo anche altro materiale originale, e la
fanfiction mi serve non solo a sfogare il mio immenso amore per questa
saga, ma
anche per migliorare e – perché no –
imparare di più sulle persone :)
VesiSchwartz:
Ti
rispondo qui e ti ringrazio infinitamente per i bei complimenti (e i
baci! :D).
Aggiorna presto la tua, di storia!
Come sempre,
grazie a
tutti coloro che continuano a leggere questa storia, nonostante le sue
non
indifferenti lungaggini :)
xix.
Dopo che
ebbero
finito di cenare, Palo insistè per fare una passeggiata con
lei tra le stradine
di Kadikoy1. L’aria era frizzante e la
conversazione piacevole.
Il suo
pittore le
aveva chiesto, terminata la loro piccola escursione tra i vitigni, di
ricompensarlo per i suoi servigi artistici semplicemente venendo a cena
con lui
quella sera al villaggio di Kadikoy, dove aveva soggiornato durante
l’ultimo
mese. L'avrebbe portata ad un ristorante semplice, per il quale non
avrebbe avuto bisogno di agghindarsi e nel quale avrebbero potuto
cenare in tranquillità ed abbondanza Padmé non
aveva avuto il cuore di rifiutare quella richiesta accorata, e la cena
si era rivelata una faccenda piacevole, nonostante si fosse astenuta
dal sorseggiare il buon vino della casa.
Kadikoy era
un borgo
pittoresco che s’inerpicava su per un altro ramo del lago
color piombo di
Varykino e
vi s’affacciava come un’amante malinconica, assieme
alle due lune di Naboo. Il luogo era di
un’ineffabile bellezza.
Palo, forse
anche sotto
l’influsso del buon vino, era più loquace del
solito, e le sue riflessioni e i
suoi sguardi erano velati di un alone romantico, sfrontato e che non
chiedeva
scuse. Le sue mani trovavano spesso il corpo di Padmé, fosse
alla vita, al braccio o alle spalle, ma i suoi erano sempre contatti
garbati, da gentiluomo. Mentre i minuti insieme passavano, in
Padmé si
cementificava la certezza
che il suo buon amico era alla ricerca di ben altro che una semplice
amicizia.
La metteva a
disagio.
Aveva la
continua
sensazione che da lì a poco Palo si sarebbe prodotto in
qualche perfetta, artistica,
dichiarazione d’amore. Le
occhiate amorose diventavano sempre più lunghe e assorte, e
le necessarie
distrazioni di Padmé più evidentemente artefatte.
Ben presto, quella convinzione non fece altro che amareggiarla e
Padmé si scoprì progressivamente più
taciturna.
Come quel
pomeriggio
durante la loro passeggiata in campagna, Padmé riconosceva
nelle vie, nelle
casette e nelle botteghe i
luoghi dove
era già stata con Anakin. Alcune volte, la sensazione di
nostalgia era
insopportabile; e quelli erano i momenti in cui si sentiva
più grata per il
buonumore rilassato di Palo quella sera. Il suo pittore dimostrava
un’inesauribile curiosità nei confronti di lei, ma
riusciva a mantenere con
grazia la linea sottile tra l’essere interessati e
l’essere invadenti; inoltre,
sapeva speziare le loro conversazioni con gli aneddoti della sua vita,
tra le
comunità artistiche di vari pianeti della galassia.
‹‹E
su Scipio ho
conosciuto questo vecchio pazzo, e gli ho fatto un ritratto. Tutte le
sue rughe,
tutte le macchie e le mani coperte di vene…era
l’uomo più bello che io avessi
mai visto, ti giuro. Aveva carattere, capisci. Alcuni pensano che i
pazzi siano
grotteschi. Io penso che siano bellissimi. Non c’è
nulla di più affascinante di
qualcuno che è totalmente imprevedibile,
totalmente…assorbito dalla propria
vita emotiva.››
‹‹Credo
che chiunque,
se fosse totalmente assorbito dalla propria vita emotiva,
impazzirebbe.››
‹‹Perché
lo dici?››
Padmé
sorrise suo
malgrado. Mentre passeggiavano, il lago appariva come una visione
tremolante di luce tra i
muri e le
fronde della macchia, e l’abbraccio caldo
dell’estate era al suo culmine. ‹‹La
cefalea mi uccide se m’immergo in profondità nei
miei pensieri per dieci
minuti. Anzi, sento di aver bisogno di un’altra testa
– per condividere il
lavoro. Immagina qualcuno che non riesce ad uscire dalla propria testa,
ed è
costretto a convivere con se stesso dal mattino fino alla
sera.››
‹‹Trovi
difficile
convivere con te stessa?››
‹‹Forse.
A volte.››
‹‹Ma
qui su Naboo va
meglio.››
Palo
citò quello che
Padmé gli aveva confidato un pomeriggio, un paio di
settimane prima mentre
posava per lui alla villa. Padmé annuì e
guardò
dritto, evitando lo sguardo intenso del
suo accompagnatore.
‹‹Su
Naboo va tutto
meglio. Temo il giorno in cui dovrò ritornare su
Coruscant.››
‹‹Devi?››
Padmé
annuì e Palo schioccò la lingua contro il palato,
in segno di disappunto.
‹‹Questo
è il luogo
perfetto dove vivere. Potresti scomparire da ogni
radar,›› continuò,
‹‹potresti
dimenticarti del resto della
Galassia…››
‹‹…della politica, dell’impero, dell’Imperatore…››
‹‹E
il tempo è sempre
mite, e ci sono campi in abbondanza per i bambini e i picnic, fiumi
freschi e
shaak che brucano…››
Padmé
rise, e con la sua risata cercò di far dileguare il fantasma
di quella terribile consapevolezza. La regione dei laghi sarebbe stata
il luogo perfetto per condurre un'esistenza felice, ma mai come allora
le appariva un miraggio in mezzo al deserto.
Camminarono
discorrendo fino a che non arrivarono su una terrazza dalla quale si
godeva una
bella vista sul lago. Kadikoy era piena di piccole meraviglie, come se
fosse uscita dalle fiabe (e forse era vero: a Naboo molte fiabe erano
ambientate nell'ammaliante regione dei Laghi). C’erano un
paio di ragazzi accoccolati
su una panchina,
dimentichi del mondo; e non alzarono nemmeno la testa quando li videro
arrivare e sistemarsi alla balaustra decorata di fiori rampicanti.
‹‹Sei
stato carino oggi
a portarmi fuori, Palo. Mi hai insegnato che dopotutto i bambini non
moriranno
se non mi hanno tra i piedi per un paio
d’ore.››
Palo le cinse
le
spalle con un braccio e sorrise. ‹‹Sei una madre
novella. Conoscendo i miei
soggetti, posso dire che sei molto equilibrata. È un
complimento.››
Padmé
si districò
dall’abbraccio con nonchalance e
s’appoggiò con entrambe
le mani alla balaustra della
terrazzina, ficcando gli occhi nella distesa scura del lago e cercando
le due chiazze delle lune.
‹‹Hai detto che avevi
qualcosa di importante da dirmi, stasera.››
‹‹Sì.
Più d’una.››
‹‹E…?››
Palo si
schiarì la
voce.
‹‹Parto
stasera.
Torno su Corellia.››
Padmé
non fu del
tutto sorpresa. Tutta quella serata aveva avuto il sapore di un lungo,
piacevole addio; tutta la giornata appariva come l’ultimo
tentativo di Palo di rafforzare
la loro amicizia prima della separazione.
‹‹Da
Jan.››
‹‹Sì.
Da Jan.››
‹‹E
cosa farai?››
Palo
s’accarezzò la
barba corta e le guance scavate. ‹‹Me la
caverò. Ho firmato ieri un
contratto con il
giornale
‹‹Buona
fortuna con i
tempi di rotazione.››
‹‹Non
me ne parlare.››
‹‹Mi
mancherai.››
Rimasero in
silenzio
per un po’, osservando il gentile ondeggiare sulla superficie
del lago. Su quella terrazzina ci si sentiva a riparo dall'universo,
stretti nell'abbraccio delle montagnole che s'alzavano ripide
direttamente dal lago, andando ad oscurare la tela stellata del cielo
con le macchie delle loro cime. Lo sguardo poteva alzarsi fino alle
stelle e viaggiare tra le costellazioni, ma Padmé s'accorse
di non ricordare più quali fossero quali. Astronomia era
stata la sua materia preferita a scuola; ora s'accorgeva di conoscere
più il cielo opaco di Coruscant che quello vivace del suo
pianeta.
Poi
parlò, divertita da un ricordo che l'aveva colta mentre
pensava alla scuola.
‹‹Te
l’ho detto che
questo è un luogo importante per i Naberrie? I miei si sono
conosciuti tramite
delle amicizie in comune. Mio padre è nato poco lontano da
qui. Mia madre è di
Theed. Gli amici che avevano in comune avevano raccontato a mia madre
delle
storie che l’avevano lasciata…un po’
indisposta, per così dire. Mia madre era
un po’ una ribelle di buona famiglia. Aveva questa vita molto
attiva e
interessante nella capitale, e conosceva tutti gli artisti e i
perditempo…››
‹‹Stai
equiparando
artisti e perditempo?›› Il sorriso di Palo la
stava prendendo in giro.
‹‹No. Artisti e
perditempo. E mio padre invece era il tuo tipico aristocratico di
campagna, famiglia ricca da tante generazioni, intellettuale. Almeno,
così lo
avevano descritto a mia madre. Ripensandoci, non riesco a capire se
questi
amici volessero farli mettere insieme o far passare qualsiasi voglia a
mia
madre. Alla fine si conobbero, e mio padre riuscì a
strapparle un appuntamento.
In realtà, mia madre non voleva uscire con lui, ma la
convinse sua sorella. Mia
madre era molto richiesta
all’epoca.
Molto prosperosa.››
Rise. ‹‹Molto
bella…››
‹‹E
la portò qui, e
il resto è storia.›› Palo concluse per
lei e la guardò serio, appoggiando la
schiena alla balaustra e incrociando le braccia sul petto.
‹‹Questo posto
farebbe innamorare chiunque.››
Padmé
colse al volo
l’opportunità di ribadire i limiti tra di loro.
‹‹Esatto. Ne so qualcosa.››
Alzò una mano e gli mostrò l’anello che
luccicava sotto la luce della luna. Era
strano e liberatorio insieme poter portare un simbolo del suo
matrimonio.
Ricordò la prima volta che le era stato infilato al dito, su
una terrazza non
troppo dissimile da quella, e sorrise più a se stessa che al
suo accompagnatore.
Ma Palo forse fraintese.
‹‹Padmé?››
‹‹Sì?››
Si
schiarì la voce.
Ora aveva i suoi occhi verdi e carismatici puntati su di lei, che non
ammettevano
che Padmé guardasse via. In qualche modo, Palo aveva trovato
la maniera di
avvicinarsi ancora di più a lei, e il suo corpo era a una
spanna dalla mano di
Padmé. Poteva sentire il suo calore sulla mano.
‹‹Padmé,
credo che tu
sia la donna più bella e intelligente che io abbia mai
conosciuto. E ora che me
ne devo andare, io mi accorgo di non volerlo fare. Io -
››
Padmé
alzò una mano.
‹‹Palo,
per favore.››
‹‹Padmé…››
‹‹Palo,
quello che
dici – quello che dici mi lusinga, e sei e sempre sarai mio
amico, ma non è…››
Si sentì ridicola, e dovette nascondere il viso e le guance che le parevano di fiamma.
‹‹…possibile.››
Palo
annuì e chinò il capo. Fece qualche passo in
avanti, superando Padmé e
allontanandosi dalla balaustra. Padmé lo seguì
piegando il collo. I ragazzini
erano scomparsi, e lei e Palo erano soli. Le casette che
s’affacciavano sulla
piazza erano bellissime, tutte illuminate dai piccoli, eleganti
lampioni, e in
mezzo c’era la figura alta e magra del suo amico.
Palo doveva
accettare
che il suo rifiuto era un favore fatto non solo a se stessa, ma anche a
lui, e
al ragazzo che era stato. Poteva vedere il giovane Palo sedicenne,
lì in mezzo
alla piazza, che la guardava un po’ spaesato, con i suoi
occhi sempre un po’
sognanti. La patina di sogno l’avevano levata gli anni e le
esperienze, ma in
lui rimaneva, amplificato dalla maturità, il fascino
dell’uomo artista. E una Padmé dodicenne sedeva
alla panchina e dondolava le gambe osservando la scena, chiedendosi
perché fossero arrivati a quel punto, quindici anni dopo.
Oh, la vita era bizzarra.
‹‹Palo,
mi dispiace.››
Palo fece
qualche
passo in silenzio, poi si fermò, scosse la testa e sorrise.
‹‹Non
si migliora con
l’età…››
Padmé
si girò e
appoggiò la schiena alla balaustra, sicché erano
in piedi, a pochi metri di
distanza, e si guardavano. Palo sembrava a disagio quanto lei e aveva
le mani
infilate nelle tasche dei suoi pantaloni fini, chiuse a pugno. Era un
uomo
delicato, Palo, pieno di tante piccole vibrazioni emotive che
Padmé aveva
intravisto più volte nelle ultime settimane della loro
amicizia rifiorita sotto
il sole di Varykino.
‹‹Hai
ragione tu.
Tu stai
facendo…›› mosse in aria la
mano, come a liquidare il pensiero per il quale stava cercando le
parole, ‹‹tu
stai facendo quella
che si chiama la
cosa giusta. Fai bene.››
‹‹Sto
facendo ciò che
desidero, Palo.››
Palo la
guardò come
se fosse vagamente sorpreso dalle sue parole, poi distolse lo sguardo.
‹‹Ovviamente.
Sono stato insolente. Ti chiedo scusa.››
‹‹Non
devi chiedere
scusa per come ti senti.››
‹‹Non
chiedo scusa
per quello.››
Padmé
non disse
nulla e distolse lo sguardo. Osservò le pietre lisce della
pavimentazione sulla terrazzina, e i ciuffi d'erbetta che spuntavano
tra gli interstizi e i pochi, deboli fiorellini gialli che
s'allungavano dai ciuffetti verdi. Infine parlò, cercando di
ostentare tranquillità.
‹‹Forse
è meglio se
tornassi a casa, ora. I bambini si staranno chiedendo dove sono
finita.››
Palo
s’avvicinò a
passi lenti. ‹‹Ti
accompagno.››
‹‹Non
ti preoccupare.
Ci sono le gondole.››
‹‹Ti
accompagnerò
fino al molo, allora.››
Bastava un
minuto per rovinare l'atmosfera di un giorno. Prima c'era stata tra
loro un'aria calda e dorata d'amicizia e garbato cameratismo, ora c'era
una freddezza imposta dalle circostanze che nessuno dei due amava ma a
cui entrambi dovevano sottostare. Palo era cupo e contemplativo,
Padmé a disagio. Respirando ad
ogni
passo le parole che non s’erano scambiati, camminarono in
silenzio, giù per le
scalinate che conducevano dalle terrazze alla sommità del
borgo fino al molo.
Seguirono i percorsi tra le stradine tortuose illuminate dalle
fiaccole. Sulle
piante rampicanti erano incastonate numerose gemme in boccio, che
aprivano i
loro petali delicati la sera e inondavano le vie del loro profumo.
Passarono
davanti al
cancello di una bella villa, imboccando la via dolcemente in discesa
del molo.
A Padmé pareva che con ogni passo
l’intimità costruita col vecchio amico si
sgretolasse tra le sue mani come sabbia che fuggiva tra le dita come
niente.
‹‹Domani
se ne vanno
anche i miei, e Sola.››
‹‹Sono
sicuro che non
rimarrai sola troppo a lungo,›› disse Palo,
guardando avanti.
‹‹Non
sono sola. Ho i
bambini, e le mie amiche.››
‹‹E
Trepio.››
Palo
abbozzò un
sorriso timido, e Padmé rise.
‹‹Esattamente. E Trepio vale per due,
credo.››
La fronte del
suo
accompagnatore era corrugata, come se stesse pensando a qualche intensa
questione. Teneva gli occhi alti, verso il lago e la luna riflessa. Sul
mento l’ombra
di barba era traslucida nella luce notturna.
Quando
parlò, Padmé
infuse nelle sue parole uno slancio di genuino entusiasmo, che, alla
luce del
loro teso momento sulla terrazza, pareva intriso di
ingenuità.
‹‹Teniamoci
in
contatto, Palo. Non perdiamoci di vista, non rivediamoci tra dieci
anni…››
‹‹Tenterò
di farlo.››
‹‹E
devi finire il
mio ritratto. Presto, d’accordo? Conosci il mio indirizzo a
Coruscant.››
Palo sorrise,
stavolta sinceramente. ‹‹Lo avrai presto. Mi
mancano i dettagli, quelli
importanti…››
Furono al
molo, e fu
tempo dei saluti. Il gondoliere che effettuava i tragitti notturni
s’accinse a
preparare l’imbarcazione, mentre Padmé stringeva
il suo amico in un abbraccio
leggero. Palo le appoggiò le mani sulla schiena facendo
attenzione a mantere
delicatissimo il contatto. Il dettaglio commosse Padmé,
quella presente e quella dodicenne che era discesa dietro di loro
assieme ad un Palo sedicenne, entrambi confusi dal comportamento
bizzarro dei loro futuri sé. Ma presto avrebbero imparato
che il mondo degli adulti era un luogo curioso, in cui la logica
dominava assai meno che nell'infanzia.
‹‹Prenditi
cura di
te. E dai un bacio a Jan anche da parte mia. Buona fortuna per
tutto.››
‹‹Un
giorno te lo
farò conoscere.››
‹‹Sì.››
‹‹Siamo
pronti qui,
signora!›› chiamò il vecchio
gondoliere, la cui spessa barba era illuminata dai
raggi della grossa luna.
‹‹A
presto, Palo.››
In quel
momento
dargli un bacio sulla guancia sarebbe stato deleterio, quindi
Padmé si limitò a
posargli una mano sul braccio in saluto e a salire sulla sua gondola
con
l’aiuto del vecchio gondoliere che odorava
d’arrosto.
Mentre
l’imbarcazione
prendeva velocità, sfiorando appena la superficie
dell’acqua, Padmé rimase a
guardare il suo vecchio amico rimasto a riva, spostandosi dagli occhi i
lembi
del velo leggero scosso dal vento. Riuscì a pensare soltanto
che Palo, tutto
fermo come un soldatino, magro e abbandonato, aveva tutta
l’aria di chi
vorrebbe essere richiamato, e non lasciato solo.
Dopo che
Padmé ebbe
confermato la sua identità ai cloni che Anakin aveva posto
di vedetta alla
villa di Varykino, senza dubbio in un attacco di paranoia prima di
partire e
per il grande dispiacere di Padmé, la gondola
potè attraccare al molo
informale.
Sola la
salutò senza
preamboli.
‹‹Luke
sta mettendo i
denti, poverino!››
Sola sembrava
sentirsi in colpa mentre conduceva la sorella alla nursery.
‹‹E
perché non sei
tornata con Palo?›› continuò in un
sussurro sospettoso, afferrandole il
braccio.
Padmé
non stette a
sentirla.
‹‹Come sta Luke?››
Dimenticati
la
preoccupazione, e lo strisciante, ingiustificato senso di colpa che
sentiva,
Padmé spalancò la porte della nursery con un
gesto imperioso e feroce. Quando
Padmé entrò, il bambino, semi-seduto tra le
braccia di Jobal, aveva già la
testa girata in direzione della porta, come se l’avesse
sentita prima ancora di
vederla.
‹‹Oh,
Padmé. Non ti
preoccupare,›› disse Jobal, notando lo sguardo
agitato della figlia.
Luke
scoppiò a
piangere di nuovo.
‹‹Cos’ha
avuto?››
Padmé
prese il
bambino dalle braccia della madre e lo strinse forte al petto. Era un
po’ più
caldo del solito. ‹‹Sono qui, Lukie, sono qui. La
mamma è qui…››
Si sentiva
d’un
tratto soffocata dal senso di colpa, nei confronti di Luke, nei
confronti di
Palo, e, per qualche motivo, anche nei confronti di Anakin. Quel giorno
aveva lasciato
soli i suoi figli, in favore del suo amico, buona parte del pomeriggio
e poi
buona parte della sera; aveva spezzato il cuore del suo amico
– ma non era come
se avesse avuto altra scelta! – a conferma di essersi, forse, comportata in maniera da
alimentare quel sentimento, e, per
giunta, non era stata lì a consolare il suo bambino quando
s’era sentito male.
‹‹Il
droide medico ci
ha detto che ha iniziato la dentizione. Ha le gengive un po’
infiammate e una
febbriciattola, ma la pomata ha agito in fretta. Sta
bene.›› S’accigliò.
‹‹Per
loro è un po’ doloroso, poveri
agnellini.››
I lamenti del
suo
bambino si calmarono, degradando prima in singhiozzi e poi in un suono
a metà
tra una tirata su col naso e un sospiro. Com’era piccolo il
suo bimbo, nemmeno
sei chili di dolcezza! Com’era fragile, e delicato, e
com’era stata
irresponsabile a lasciarlo solo tutta la sera…
‹‹Il
primo dentino,
eh, Lukie? Solo tre mesi…››
Tenendo il
bimbo al
collo s’avvicinò alla culla che i gemelli
condividevano, e vi trovò Leia,
sveglia ma calma, con mani e pidi tesi verso la giostrina appesa su di
lei.
Pareva non solo disinteressata in quello che succedeva nella stanza, ma
volutamente disinteressata. Leia
dimostrava fin da neonata il cipiglio di una principessa.
Padmé sorrise.
‹‹Anche
tu hai
iniziato presto,›› commentò Jobal con
un sospiro. ‹‹Buona fortuna,
figliola.››
Jobal
uscì,
borbottando di dover supervisionare il lavoro di Trepio nel sistemare
le
valigie, e nella stanza rimase soltanto Sola.
La sorella
s’adagiò
sulla chaise longue sgomberata da
Jobal con un movimento elegante, lasciando che la veste leggera
cascasse in
pieghe raffinate fino al suolo. I suoi occhi blu risaltavano luccicanti
sulla
pelle abbronzata.
‹‹Allora,
perché non
sei tornata con Palo?››
‹‹Deve
partire per
Ryloth.›› Padmé si sedette
sull’altra chaise
assieme al suo bambino, e ripensò a ciò che aveva
detto. ‹‹Mi sbaglio. Parte
per Corellia, e poi per Ryloth. Ha ottenuto un contratto con un
giornale
twi’leki e -››
‹‹Non
mi stai dicendo
tutta la verità, vero?››
Padmé
sollevò lo
sguardo dagli occhi blu del suo bambino a quelli simili della sorella.
‹‹Non
sapevo di essere sotto qualche tipo di giuramento, quando ti
parlo.››
‹‹È
successo
qualcosa?››
‹‹Sai
una cosa, Sola?
Inizio a sospettare che tu abbia qualche piano -››
‹‹Ti
ha detto che ti
ama.››
Gli occhi di
Sola
s’illuminarono di malcelata eccitazione. Pareva che la
notizia la tangesse
enormemente.
‹‹Certo
che no, Sola.››
‹‹Bè,
lo ha detto a
me.››
Le parole di
Padmé le
s’ingarbugliarono in gola e divennero solide come sassolini,
fitti e capaci di
strozzarla. Non riuscì a parlare, e invece
aspettò che fosse Sola a continuare.
Luke, tra le sue braccia, si era addormentato. Sotto le sue mani
sentiva il
petto del bimbo alzarsi e abbassarsi in minuscoli sospiri.
Sola, con
occhi
carichi di pungente acutezza, parlò di nuovo.
‹‹Ha
detto anche che
non era venuto con l’intenzione di innamorarsi di te, ma che
è successo
comunque. Dice che sei, cito, irresistibile.
E mi ha chiesto se potevo mettere una buona parola per
lui…››
Stavolta,
Padmé trovò
le parole per la sua indignazione.
‹‹…allora è per questo che
eri tanto
intenzionata a parlarmi, l’altra sera! Oh, Sola, questa non
te la perdonerò
mai. Non posso credere che tu abbia pensato anche solo per un momento
che -››
Sola la
liquidò con
un gesto della mano.
‹‹Puoi
risparmiarti
la ramanzina, Padmé. La verità è che
con lui sorridi, mentre con Anakin…››
‹‹Con
Anakin sorrido
più che abbastanza.››
Il tono di
quella
conversazione sconfinava nel triviale, e Padmé non aveva
intenzione di stare ad
ascoltare. Le parole di Sola, però, la colsero alla
sprovvista.
‹‹Perché
non riesci
ad accettare che è stato un errore?››
Sola la
squadrava con
ferma determinazione, come se credesse davvero di poter allargare la
sua verità
anche a Padmé soltanto mediante affermazioni ben poste e
domande retoriche. La
sua posa reclinata sulla chaise ostentava rilassatezza, ma qualcosa
nella
maniera in cui agitava il piede a mezz’aria tradiva il
nervosismo che le
serpeggiava sotto la pelle.
Le sue
parole,
pronunciate nella stanza dove riposavano i suoi bambini, i bambini di Anakin, trasportarono Padmé in
una
dimensione surreale, in cui la difesa era l’unica opzione per
vociare il
ruggito che le era nato in petto.
‹‹Sola,
esci da
questa stanza. Adesso.››
‹‹Padmé,
non
comportarti da -››
La voce
profonda di
Amidala sorse dal nulla. ‹‹Non ho intenzione di
ascoltare. Non hai nessun
diritto di decidere cosa è giusto o cosa non lo è
nella mia vita, perché è la mia
vita. Stai parlando di mio marito
come se fosse un errore da parte mia, e con lui offendi me e i nostri
bambini.
Per favore, esci.››
‹‹Adesso
è così che
risolvi i tuoi problemi, sorellina? Comportandoti come lui? Oh, siete
diventati
più simili di quanto tu non creda!››
Padmé
non replicò, ma
un piccolo movimento del bambino che teneva al collo le
ricordò di moderare la
presa sul corpicino.
Sola,
nell’agitazione
della sua accusa, s’alzò in piedi,
s’impadronì del centro della stanza e si
rivolse direttamente alla sorella, colorando il suo discorso con i
gesti delle
mani.
‹‹E
ora difendi un
uomo che ti rende infelice, che ti fa tenere dei segreti con la tua
stessa
famiglia, che è il braccio destro di quel criminale che
abbiamo al potere…E che
ti ha fatto del male, vero, sorellina?››
Padmé
distolse lo
sguardo dalle parole crudeli della sorella. Lasciò che a
rispondere fosse uno
scomodo silenzio.
‹‹Non
credevo che
saresti mai diventata un tipico esempio di abuso
domestico.››
Nella sua
voce Padmé
riconobbe incredulità, delusione e rabbia. Doveva chiedersi:
è davvero questa mia
sorella, che una volta era una regina, e che per tutta la sua vita non
si era
mai fatta sopraffare da nessuno, maschio, femmina, giovane o vecchio
che fosse?
Doveva
crederla una
schiava di un uomo spregevole.
Com’erano
cambiati, i
tempi.
‹‹Io
lo amo.›› Anche
alle sue orecchie, parve come l’ultima difesa di qualcuno
posto con le spalle
al muro.
‹‹L’amore,
Padmé, non
è abbastanza.››
Avrebbe
voluto dirle
tante cose; avrebbe voluto dirle che sapeva, che era certa,
che Anakin sarebbe cambiato, che sarebbe ritornato quello
che era un tempo; avrebbe voluto dirle che Anakin non era il mostro che
lei e i
suoi genitori s’erano dipinti nelle loro teste ma un uomo
intimamente buono che
aveva perso la strada e che aveva bisogno del suo aiuto. Ma se la bocca
rimaneva muta gli occhi non potevano comunicare tutto ciò, e
nella stanza
rimase solo un silenzio brulicante di sottintesi.
‹‹A
volte mi sento in
colpa,›› confessò Sola.
‹‹A volte mi chiedo se – se io non sia
stata
strumentale. Se io non avessi insistito, se non ti avessi convinta a
perseguire
quello che provavi, tre anni fa…››
‹‹Oh,
Sola.››
E
all’improvviso
Padmé fu investita dall’enormità della
vita, dalla quantità di decisioni prese,
di scelte effettuate, di vie imboccate; dalla moltitudine indistinta di
passi
che avevano condotto lei, Sola, Anakin, Palo, tutti,
fino a quel momento; dall’improvvisa consapevolezza degli
innumerevoli possibili presenti, futuri, e passati e di come loro tutti
non
fossero altro che piume sparse nel vento dell’esistenza,
trascinate da disegni
– Forza, caso, chissà cos’altro!
– che non si curavano di loro. E su tutto, su
quel groviglio inestricabile e buio e dolceamaro che era una vita,
aleggiava ovunque e
per tutti lo spettro
brutale del senso di colpa, accompagnato dal fratello, il rimorso, che
s’infilava tra le cavità e i buchi
dell’immensa rete della vita e non
abbandonava mai nessuno.
Le venne da
piangere,
ma invece di scoppiare in lacrime strinse più forte il
figlio, terrorizzata
dall’incredibile esistenza in cui i suoi bambini erano
piombati senza né
saperlo né volerlo; e provò, per la prima volta,
senso di colpa per loro:
perché non erano stati loro a
scegliere lei come madre, ma era stata lei
a volerli e generarli, pur conoscendo – pur essendo parte di – quell’universo
terribile in cui avrebbero dovuto imparare a camminare.
Sola se ne
andò, scuotendo
il capo, non sapendo di non essere stata strumentale, ma strumento; e
nella
solitudine della stanza dei bambini Padmé
s’alzò e andò dov’era stata
sua
sorella un attimo prima, calpestando il soffice tappeto.
Chiuse gli
occhi e
ricacciò giù le lacrime.
‹‹Scusami,››
sussurrò, e le braccia del suo bambino attorno al suo collo
non erano mai state
tanto dolci.
In abito da
sera, con
i capelli acconciati e il trucco sul viso, esausta e infelice,
Padmé ondeggiò
al ritmo di una musica che non c’era, chiedendo scusa ai suoi
bambini, alla sua
famiglia, a tutti coloro che aveva deluso, a tutti coloro a cui aveva
spezzato
il cuore.
1:
Kadiköy è il nome di un sobborgo
di Istanbul. Il nome esotico mi sembrava appropriato in congiunzione
con