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Autore: nuria    16/06/2010    2 recensioni
Padmé aspetta. Obi-Wan non arriva su Mustafar. Il destino della Galassia tanto, tanto lontana cambia per sempre. E anche Anakin, l'Eroe Senza Paura, è cambiato - forse per sempre: nella catastrofe della sua vita, Padmé cerca di capire cosa fare per riportare indietro suo marito.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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Padme_Undomiel: grazie, grazie e ancora grazie per la tua recensione e i tuoi complimenti. Just lovely. :) La psicologia dei personaggi è la mia passione, e cerco di mettercela davvero tutta per provare a rendere almeno alcune delle infinite sfumature e meraviglie di una psiche. Scrivo anche altro materiale originale, e la fanfiction mi serve non solo a sfogare il mio immenso amore per questa saga, ma anche per migliorare e – perché no – imparare di più sulle persone :)

VesiSchwartz: Ti rispondo qui e ti ringrazio infinitamente per i bei complimenti (e i baci! :D). Aggiorna presto la tua, di storia!  

Come sempre, grazie a tutti coloro che continuano a leggere questa storia, nonostante le sue non indifferenti lungaggini :)

 
 

xix.

 

Dopo che ebbero finito di cenare, Palo insistè per fare una passeggiata con lei tra le stradine di Kadikoy1. L’aria era frizzante e la conversazione piacevole.

Il suo pittore le aveva chiesto, terminata la loro piccola escursione tra i vitigni, di ricompensarlo per i suoi servigi artistici semplicemente venendo a cena con lui quella sera al villaggio di Kadikoy, dove aveva soggiornato durante l’ultimo mese. L'avrebbe portata ad un ristorante semplice, per il quale non avrebbe avuto bisogno di agghindarsi e nel quale avrebbero potuto cenare in tranquillità ed abbondanza Padmé non aveva avuto il cuore di rifiutare quella richiesta accorata, e la cena si era rivelata una faccenda piacevole, nonostante si fosse astenuta dal sorseggiare il buon vino della casa.

Kadikoy era un borgo pittoresco che s’inerpicava su per un altro ramo del lago color piombo di Varykino e vi s’affacciava come un’amante malinconica, assieme alle due lune di Naboo. Il luogo era di un’ineffabile bellezza.

Palo, forse anche sotto l’influsso del buon vino, era più loquace del solito, e le sue riflessioni e i suoi sguardi erano velati di un alone romantico, sfrontato e che non chiedeva scuse. Le sue mani trovavano spesso il corpo di Padmé, fosse alla vita, al braccio o alle spalle, ma i suoi erano sempre contatti garbati, da gentiluomo. Mentre i minuti insieme passavano, in Padmé si cementificava la certezza che il suo buon amico era alla ricerca di ben altro che una semplice amicizia.

La metteva a disagio.

Aveva la continua sensazione che da lì a poco Palo si sarebbe prodotto in qualche perfetta, artistica, dichiarazione d’amore. Le occhiate amorose diventavano sempre più lunghe e assorte, e le necessarie distrazioni di Padmé più evidentemente artefatte. Ben presto, quella convinzione non fece altro che amareggiarla e Padmé si scoprì progressivamente più taciturna.

Come quel pomeriggio durante la loro passeggiata in campagna, Padmé riconosceva nelle vie, nelle casette e nelle botteghe  i luoghi dove era già stata con Anakin. Alcune volte, la sensazione di nostalgia era insopportabile; e quelli erano i momenti in cui si sentiva più grata per il buonumore rilassato di Palo quella sera. Il suo pittore dimostrava un’inesauribile curiosità nei confronti di lei, ma riusciva a mantenere con grazia la linea sottile tra l’essere interessati e l’essere invadenti; inoltre, sapeva speziare le loro conversazioni con gli aneddoti della sua vita, tra le comunità artistiche di vari pianeti della galassia.

‹‹E su Scipio ho conosciuto questo vecchio pazzo, e gli ho fatto un ritratto. Tutte le sue rughe, tutte le macchie e le mani coperte di vene…era l’uomo più bello che io avessi mai visto, ti giuro. Aveva carattere, capisci. Alcuni pensano che i pazzi siano grotteschi. Io penso che siano bellissimi. Non c’è nulla di più affascinante di qualcuno che è totalmente imprevedibile, totalmente…assorbito dalla propria vita emotiva.››

‹‹Credo che chiunque, se fosse totalmente assorbito dalla propria vita emotiva, impazzirebbe.››

‹‹Perché lo dici?››

Padmé sorrise suo malgrado. Mentre passeggiavano, il lago appariva come una visione tremolante di luce tra i muri e le fronde della macchia, e l’abbraccio caldo dell’estate era al suo culmine. ‹‹La cefalea mi uccide se m’immergo in profondità nei miei pensieri per dieci minuti. Anzi, sento di aver bisogno di un’altra testa – per condividere il lavoro. Immagina qualcuno che non riesce ad uscire dalla propria testa, ed è costretto a convivere con se stesso dal mattino fino alla sera.››

‹‹Trovi difficile convivere con te stessa?››

‹‹Forse. A volte.››

‹‹Ma qui su Naboo va meglio.››

Palo citò quello che Padmé gli aveva confidato un pomeriggio, un paio di settimane prima mentre posava per lui alla villa. Padmé annuì e guardò dritto, evitando lo sguardo intenso del suo accompagnatore.

‹‹Su Naboo va tutto meglio. Temo il giorno in cui dovrò ritornare su Coruscant.››

‹‹Devi?››

Padmé annuì e Palo schioccò la lingua contro il palato, in segno di disappunto.

‹‹Questo è il luogo perfetto dove vivere. Potresti scomparire da ogni radar,›› continuò, ‹‹potresti dimenticarti del resto della Galassia…››

‹‹…della politica, dell’impero, dell’Imperatore…››

‹‹E il tempo è sempre mite, e ci sono campi in abbondanza per i bambini e i picnic, fiumi freschi e shaak che brucano…››

Padmé rise, e con la sua risata cercò di far dileguare il fantasma di quella terribile consapevolezza. La regione dei laghi sarebbe stata il luogo perfetto per condurre un'esistenza felice, ma mai come allora le appariva un miraggio in mezzo al deserto.

Camminarono discorrendo fino a che non arrivarono su una terrazza dalla quale si godeva una bella vista sul lago. Kadikoy era piena di piccole meraviglie, come se fosse uscita dalle fiabe (e forse era vero: a Naboo molte fiabe erano ambientate nell'ammaliante regione dei Laghi). C’erano un paio di ragazzi accoccolati su una panchina, dimentichi del mondo; e non alzarono nemmeno la testa quando li videro arrivare e sistemarsi alla balaustra decorata di fiori rampicanti.

‹‹Sei stato carino oggi a portarmi fuori, Palo. Mi hai insegnato che dopotutto i bambini non moriranno se non mi hanno tra i piedi per un paio d’ore.››

Palo le cinse le spalle con un braccio e sorrise. ‹‹Sei una madre novella. Conoscendo i miei soggetti, posso dire che sei molto equilibrata. È un complimento.››

Padmé si districò dall’abbraccio con nonchalance e s’appoggiò con entrambe le mani alla balaustra della terrazzina, ficcando gli occhi nella distesa scura del lago e cercando le due chiazze delle lune. ‹‹Hai detto che avevi qualcosa di importante da dirmi, stasera.››

‹‹Sì. Più d’una.››

‹‹E…?››

Palo si schiarì la voce.

‹‹Parto stasera. Torno su Corellia.››

Padmé non fu del tutto sorpresa. Tutta quella serata aveva avuto il sapore di un lungo, piacevole addio; tutta la giornata appariva come l’ultimo tentativo di Palo di rafforzare la loro amicizia prima della separazione. Non potè evitare del tutto di sentire un tuffo al cuore, e non seppe mai se fu per il dispiacere per  vedere un amico partire o per una più egoistica paura di rimanere di nuovo sola.

‹‹Da Jan.››

‹‹Sì. Da Jan.››

‹‹E cosa farai?››

Palo s’accarezzò la barba corta e le guance scavate. ‹‹Me la caverò. Ho firmato ieri un contratto  con il giornale La Twi’lek. Devo fare degli schizzi e scrivere degli articoli sulle dieci Twi’lek più influenti della Galassia oggi.›› Sorrise con uno sbuffo improvviso di fiato. ‹‹Porto Jan con me su Ryloth. Ci divertiremo.››

‹‹Buona fortuna con i tempi di rotazione.››

‹‹Non me ne parlare.››

‹‹Mi mancherai.››

Rimasero in silenzio per un po’, osservando il gentile ondeggiare sulla superficie del lago. Su quella terrazzina ci si sentiva a riparo dall'universo, stretti nell'abbraccio delle montagnole che s'alzavano ripide direttamente dal lago, andando ad oscurare la tela stellata del cielo con le macchie delle loro cime. Lo sguardo poteva alzarsi fino alle stelle e viaggiare tra le costellazioni, ma Padmé s'accorse di non ricordare più quali fossero quali. Astronomia era stata la sua materia preferita a scuola; ora s'accorgeva di conoscere più il cielo opaco di Coruscant che quello vivace del suo pianeta.

Poi parlò, divertita da un ricordo che l'aveva colta mentre pensava alla scuola.

‹‹Te l’ho detto che questo è un luogo importante per i Naberrie? I miei si sono conosciuti tramite delle amicizie in comune. Mio padre è nato poco lontano da qui. Mia madre è di Theed. Gli amici che avevano in comune avevano raccontato a mia madre delle storie che l’avevano lasciata…un po’ indisposta, per così dire. Mia madre era un po’ una ribelle di buona famiglia. Aveva questa vita molto attiva e interessante nella capitale, e conosceva tutti gli artisti e i perditempo…››

‹‹Stai equiparando artisti e perditempo?›› Il sorriso di Palo la stava prendendo in giro.

‹‹No. Artisti e perditempo. E mio padre invece era il tuo tipico aristocratico di campagna, famiglia ricca da tante generazioni, intellettuale. Almeno, così lo avevano descritto a mia madre. Ripensandoci, non riesco a capire se questi amici volessero farli mettere insieme o far passare qualsiasi voglia a mia madre. Alla fine si conobbero, e mio padre riuscì a strapparle un appuntamento. In realtà, mia madre non voleva uscire con lui, ma la convinse sua sorella. Mia madre era molto richiesta all’epoca. Molto prosperosa.›› Rise. ‹‹Molto bella…››

‹‹E la portò qui, e il resto è storia.›› Palo concluse per lei e la guardò serio, appoggiando la schiena alla balaustra e incrociando le braccia sul petto. ‹‹Questo posto farebbe innamorare chiunque.››

Padmé colse al volo l’opportunità di ribadire i limiti tra di loro. ‹‹Esatto. Ne so qualcosa.›› Alzò una mano e gli mostrò l’anello che luccicava sotto la luce della luna. Era strano e liberatorio insieme poter portare un simbolo del suo matrimonio. Ricordò la prima volta che le era stato infilato al dito, su una terrazza non troppo dissimile da quella, e sorrise più a se stessa che al suo accompagnatore.

Ma Palo forse fraintese.

‹‹Padmé?››

‹‹Sì?››

Si schiarì la voce. Ora aveva i suoi occhi verdi e carismatici puntati su di lei, che non ammettevano che Padmé guardasse via. In qualche modo, Palo aveva trovato la maniera di avvicinarsi ancora di più a lei, e il suo corpo era a una spanna dalla mano di Padmé. Poteva sentire il suo calore sulla mano.

‹‹Padmé, credo che tu sia la donna più bella e intelligente che io abbia mai conosciuto. E ora che me ne devo andare, io mi accorgo di non volerlo fare. Io - ››

Padmé alzò una mano.

‹‹Palo, per favore.››

‹‹Padmé…››

‹‹Palo, quello che dici – quello che dici mi lusinga, e sei e sempre sarai mio amico, ma non è…››

Si sentì ridicola, e dovette nascondere il viso e le guance che le parevano di fiamma.

‹‹…possibile.››

Palo annuì e chinò il capo. Fece qualche passo in avanti, superando Padmé e allontanandosi dalla balaustra. Padmé lo seguì piegando il collo. I ragazzini erano scomparsi, e lei e Palo erano soli. Le casette che s’affacciavano sulla piazza erano bellissime, tutte illuminate dai piccoli, eleganti lampioni, e in mezzo c’era la figura alta e magra del suo amico.

Palo doveva accettare che il suo rifiuto era un favore fatto non solo a se stessa, ma anche a lui, e al ragazzo che era stato. Poteva vedere il giovane Palo sedicenne, lì in mezzo alla piazza, che la guardava un po’ spaesato, con i suoi occhi sempre un po’ sognanti. La patina di sogno l’avevano levata gli anni e le esperienze, ma in lui rimaneva, amplificato dalla maturità, il fascino dell’uomo artista. E una Padmé dodicenne sedeva alla panchina e dondolava le gambe osservando la scena, chiedendosi perché fossero arrivati a quel punto, quindici anni dopo. Oh, la vita era bizzarra.

‹‹Palo, mi dispiace.››

Palo fece qualche passo in silenzio, poi si fermò, scosse la testa e sorrise.

‹‹Non si migliora con l’età…››

Padmé si girò e appoggiò la schiena alla balaustra, sicché erano in piedi, a pochi metri di distanza, e si guardavano. Palo sembrava a disagio quanto lei e aveva le mani infilate nelle tasche dei suoi pantaloni fini, chiuse a pugno. Era un uomo delicato, Palo, pieno di tante piccole vibrazioni emotive che Padmé aveva intravisto più volte nelle ultime settimane della loro amicizia rifiorita sotto il sole di Varykino. Non aveva niente da dirgli, perché niente lo avrebbe consolato; quindi rimase lì a guardarlo, sentendosi come un premio irraggiungibile, o un bonbon infiocchettato negato al bambino che voleva disperatamente afferrarlo.  

‹‹Hai ragione tu. Tu  stai facendo…›› mosse in aria la mano, come a liquidare il pensiero per il quale stava cercando le parole, ‹‹tu stai facendo quella che si chiama la cosa giusta. Fai bene.››

‹‹Sto facendo ciò che desidero, Palo.››

Palo la guardò come se fosse vagamente sorpreso dalle sue parole, poi distolse lo sguardo. ‹‹Ovviamente. Sono stato insolente. Ti chiedo scusa.››

‹‹Non devi chiedere scusa per come ti senti.››

‹‹Non chiedo scusa per quello.››

Padmé non disse nulla e distolse lo sguardo. Osservò le pietre lisce della pavimentazione sulla terrazzina, e i ciuffi d'erbetta che spuntavano tra gli interstizi e i pochi, deboli fiorellini gialli che s'allungavano dai ciuffetti verdi. Infine parlò, cercando di ostentare tranquillità.

‹‹Forse è meglio se tornassi a casa, ora. I bambini si staranno chiedendo dove sono finita.››

Palo s’avvicinò a passi lenti. ‹‹Ti accompagno.››

‹‹Non ti preoccupare. Ci sono le gondole.››

‹‹Ti accompagnerò fino al molo, allora.››

Bastava un minuto per rovinare l'atmosfera di un giorno. Prima c'era stata tra loro un'aria calda e dorata d'amicizia e garbato cameratismo, ora c'era una freddezza imposta dalle circostanze che nessuno dei due amava ma a cui entrambi dovevano sottostare. Palo era cupo e contemplativo, Padmé a disagio. Respirando ad ogni passo le parole che non s’erano scambiati, camminarono in silenzio, giù per le scalinate che conducevano dalle terrazze alla sommità del borgo fino al molo. Seguirono i percorsi tra le stradine tortuose illuminate dalle fiaccole. Sulle piante rampicanti erano incastonate numerose gemme in boccio, che aprivano i loro petali delicati la sera e inondavano le vie del loro profumo. C’erano poche persone in giro. Per lo più, erano gruppetti di due o tre persone sedute fuori dalle loro case, attorno a un tavolo con una bottiglia di vino e un mazzo di carte. Si sentivano le loro voci di qua e di là, dicevano ‘bella fortuna!’ e ‘ah, che mano!’. Qualcuno suonava un violino. Quel luogo era remoto dal progresso tecnologico, dai soli, dai pianeti e dagli intrighi. Su tutto aleggiava un velo di sopita malinconia, e non c'erano parole per spiegarne la ragione.

Passarono davanti al cancello di una bella villa, imboccando la via dolcemente in discesa del molo. A Padmé pareva che con ogni passo l’intimità costruita col vecchio amico si sgretolasse tra le sue mani come sabbia che fuggiva tra le dita come niente.

‹‹Domani se ne vanno anche i miei, e Sola.››

‹‹Sono sicuro che non rimarrai sola troppo a lungo,›› disse Palo, guardando avanti.

‹‹Non sono sola. Ho i bambini, e le mie amiche.››

‹‹E Trepio.››

Palo abbozzò un sorriso timido, e Padmé rise. ‹‹Esattamente. E Trepio vale per due, credo.››

La fronte del suo accompagnatore era corrugata, come se stesse pensando a qualche intensa questione. Teneva gli occhi alti, verso il lago e la luna riflessa. Sul mento l’ombra di barba era traslucida nella luce notturna.

Quando parlò, Padmé infuse nelle sue parole uno slancio di genuino entusiasmo, che, alla luce del loro teso momento sulla terrazza, pareva intriso di ingenuità.

‹‹Teniamoci in contatto, Palo. Non perdiamoci di vista, non rivediamoci tra dieci anni…››

‹‹Tenterò di farlo.››

‹‹E devi finire il mio ritratto. Presto, d’accordo? Conosci il mio indirizzo a Coruscant.››

Palo sorrise, stavolta sinceramente. ‹‹Lo avrai presto. Mi mancano i dettagli, quelli importanti…››

Furono al molo, e fu tempo dei saluti. Il gondoliere che effettuava i tragitti notturni s’accinse a preparare l’imbarcazione, mentre Padmé stringeva il suo amico in un abbraccio leggero. Palo le appoggiò le mani sulla schiena facendo attenzione a mantere delicatissimo il contatto. Il dettaglio commosse Padmé, quella presente e quella dodicenne che era discesa dietro di loro assieme ad un Palo sedicenne, entrambi confusi dal comportamento bizzarro dei loro futuri sé. Ma presto avrebbero imparato che il mondo degli adulti era un luogo curioso, in cui la logica dominava assai meno che nell'infanzia.

‹‹Prenditi cura di te. E dai un bacio a Jan anche da parte mia. Buona fortuna per tutto.››

‹‹Un giorno te lo farò conoscere.››

‹‹Sì.››

‹‹Siamo pronti qui, signora!›› chiamò il vecchio gondoliere, la cui spessa barba era illuminata dai raggi della grossa luna.

‹‹A presto, Palo.››

In quel momento dargli un bacio sulla guancia sarebbe stato deleterio, quindi Padmé si limitò a posargli una mano sul braccio in saluto e a salire sulla sua gondola con l’aiuto del vecchio gondoliere che odorava d’arrosto.

Mentre l’imbarcazione prendeva velocità, sfiorando appena la superficie dell’acqua, Padmé rimase a guardare il suo vecchio amico rimasto a riva, spostandosi dagli occhi i lembi del velo leggero scosso dal vento. Riuscì a pensare soltanto che Palo, tutto fermo come un soldatino, magro e abbandonato, aveva tutta l’aria di chi vorrebbe essere richiamato, e non lasciato solo.

 

 

Dopo che Padmé ebbe confermato la sua identità ai cloni che Anakin aveva posto di vedetta alla villa di Varykino, senza dubbio in un attacco di paranoia prima di partire e per il grande dispiacere di Padmé, la gondola potè attraccare al molo informale.

Sola la salutò senza preamboli.

‹‹Luke sta mettendo i denti, poverino!››

Sola sembrava sentirsi in colpa mentre conduceva la sorella alla nursery.

‹‹E perché non sei tornata con Palo?›› continuò in un sussurro sospettoso, afferrandole il braccio.

Padmé non stette a sentirla.

‹‹Come sta Luke?››

Dimenticati la preoccupazione, e lo strisciante, ingiustificato senso di colpa che sentiva, Padmé spalancò la porte della nursery con un gesto imperioso e feroce. Quando Padmé entrò, il bambino, semi-seduto tra le braccia di Jobal, aveva già la testa girata in direzione della porta, come se l’avesse sentita prima ancora di vederla.

‹‹Oh, Padmé. Non ti preoccupare,›› disse Jobal, notando lo sguardo agitato della figlia.

Luke scoppiò a piangere di nuovo.

‹‹Cos’ha avuto?››

Padmé prese il bambino dalle braccia della madre e lo strinse forte al petto. Era un po’ più caldo del solito. ‹‹Sono qui, Lukie, sono qui. La mamma è qui…››

Si sentiva d’un tratto soffocata dal senso di colpa, nei confronti di Luke, nei confronti di Palo, e, per qualche motivo, anche nei confronti di Anakin. Quel giorno aveva lasciato soli i suoi figli, in favore del suo amico, buona parte del pomeriggio e poi buona parte della sera; aveva spezzato il cuore del suo amico – ma non era come se avesse avuto altra scelta! – a conferma di essersi, forse, comportata in maniera da alimentare quel sentimento, e, per giunta, non era stata lì a consolare il suo bambino quando s’era sentito male.

‹‹Il droide medico ci ha detto che ha iniziato la dentizione. Ha le gengive un po’ infiammate e una febbriciattola, ma la pomata ha agito in fretta. Sta bene.›› S’accigliò. ‹‹Per loro è un po’ doloroso, poveri agnellini.››

I lamenti del suo bambino si calmarono, degradando prima in singhiozzi e poi in un suono a metà tra una tirata su col naso e un sospiro. Com’era piccolo il suo bimbo, nemmeno sei chili di dolcezza! Com’era fragile, e delicato, e com’era stata irresponsabile a lasciarlo solo tutta la sera…

‹‹Il primo dentino, eh, Lukie? Solo tre mesi…››

Tenendo il bimbo al collo s’avvicinò alla culla che i gemelli condividevano, e vi trovò Leia, sveglia ma calma, con mani e pidi tesi verso la giostrina appesa su di lei. Pareva non solo disinteressata in quello che succedeva nella stanza, ma volutamente disinteressata. Leia dimostrava fin da neonata il cipiglio di una principessa. Padmé sorrise.

‹‹Anche tu hai iniziato presto,›› commentò Jobal con un sospiro. ‹‹Buona fortuna, figliola.››

Jobal uscì, borbottando di dover supervisionare il lavoro di Trepio nel sistemare le valigie, e nella stanza rimase soltanto Sola.

La sorella s’adagiò sulla chaise longue sgomberata da Jobal con un movimento elegante, lasciando che la veste leggera cascasse in pieghe raffinate fino al suolo. I suoi occhi blu risaltavano luccicanti sulla pelle abbronzata.

‹‹Allora, perché non sei tornata con Palo?››

‹‹Deve partire per Ryloth.›› Padmé si sedette sull’altra chaise assieme al suo bambino, e ripensò a ciò che aveva detto. ‹‹Mi sbaglio. Parte per Corellia, e poi per Ryloth. Ha ottenuto un contratto con un giornale twi’leki e -››

‹‹Non mi stai dicendo tutta la verità, vero?››

Padmé sollevò lo sguardo dagli occhi blu del suo bambino a quelli simili della sorella. ‹‹Non sapevo di essere sotto qualche tipo di giuramento, quando ti parlo.››

‹‹È successo qualcosa?››

‹‹Sai una cosa, Sola? Inizio a sospettare che tu abbia qualche piano -››

‹‹Ti ha detto che ti ama.››

Gli occhi di Sola s’illuminarono di malcelata eccitazione. Pareva che la notizia la tangesse enormemente.

‹‹Certo che no, Sola.››

‹‹Bè, lo ha detto a me.››

Le parole di Padmé le s’ingarbugliarono in gola e divennero solide come sassolini, fitti e capaci di strozzarla. Non riuscì a parlare, e invece aspettò che fosse Sola a continuare. Luke, tra le sue braccia, si era addormentato. Sotto le sue mani sentiva il petto del bimbo alzarsi e abbassarsi in minuscoli sospiri.

Sola, con occhi carichi di pungente acutezza, parlò di nuovo.

‹‹Ha detto anche che non era venuto con l’intenzione di innamorarsi di te, ma che è successo comunque. Dice che sei, cito, irresistibile. E mi ha chiesto se potevo mettere una buona parola per lui…››

Stavolta, Padmé trovò le parole per la sua indignazione. ‹‹…allora è per questo che eri tanto intenzionata a parlarmi, l’altra sera! Oh, Sola, questa non te la perdonerò mai. Non posso credere che tu abbia pensato anche solo per un momento che -››

Sola la liquidò con un gesto della mano.

‹‹Puoi risparmiarti la ramanzina, Padmé. La verità è che con lui sorridi, mentre con Anakin…››

‹‹Con Anakin sorrido più che abbastanza.››

Il tono di quella conversazione sconfinava nel triviale, e Padmé non aveva intenzione di stare ad ascoltare. Le parole di Sola, però, la colsero alla sprovvista.

‹‹Perché non riesci ad accettare che è stato un errore?››

Sola la squadrava con ferma determinazione, come se credesse davvero di poter allargare la sua verità anche a Padmé soltanto mediante affermazioni ben poste e domande retoriche. La sua posa reclinata sulla chaise ostentava rilassatezza, ma qualcosa nella maniera in cui agitava il piede a mezz’aria tradiva il nervosismo che le serpeggiava sotto la pelle.

Le sue parole, pronunciate nella stanza dove riposavano i suoi bambini, i bambini di Anakin, trasportarono Padmé in una dimensione surreale, in cui la difesa era l’unica opzione per vociare il ruggito che le era nato in petto.

‹‹Sola, esci da questa stanza. Adesso.››

‹‹Padmé, non comportarti da -››

La voce profonda di Amidala sorse dal nulla. ‹‹Non ho intenzione di ascoltare. Non hai nessun diritto di decidere cosa è giusto o cosa non lo è nella mia vita, perché è la mia vita. Stai parlando di mio marito come se fosse un errore da parte mia, e con lui offendi me e i nostri bambini. Per favore, esci.››

‹‹Adesso è così che risolvi i tuoi problemi, sorellina? Comportandoti come lui? Oh, siete diventati più simili di quanto tu non creda!››

Padmé non replicò, ma un piccolo movimento del bambino che teneva al collo le ricordò di moderare la presa sul corpicino.

Sola, nell’agitazione della sua accusa, s’alzò in piedi, s’impadronì del centro della stanza e si rivolse direttamente alla sorella, colorando il suo discorso con i gesti delle mani.

‹‹E ora difendi un uomo che ti rende infelice, che ti fa tenere dei segreti con la tua stessa famiglia, che è il braccio destro di quel criminale che abbiamo al potere…E che ti ha fatto del male, vero, sorellina?››

Padmé distolse lo sguardo dalle parole crudeli della sorella. Lasciò che a rispondere fosse uno scomodo silenzio.

‹‹Non credevo che saresti mai diventata un tipico esempio di abuso domestico.››

Nella sua voce Padmé riconobbe incredulità, delusione e rabbia. Doveva chiedersi: è davvero questa mia sorella, che una volta era una regina, e che per tutta la sua vita non si era mai fatta sopraffare da nessuno, maschio, femmina, giovane o vecchio che fosse?

Doveva crederla una schiava di un uomo spregevole.

Com’erano cambiati, i tempi.

‹‹Io lo amo.›› Anche alle sue orecchie, parve come l’ultima difesa di qualcuno posto con le spalle al muro.

‹‹L’amore, Padmé, non è abbastanza.››

Avrebbe voluto dirle tante cose; avrebbe voluto dirle che sapeva, che era certa, che Anakin sarebbe cambiato, che sarebbe ritornato quello che era un tempo; avrebbe voluto dirle che Anakin non era il mostro che lei e i suoi genitori s’erano dipinti nelle loro teste ma un uomo intimamente buono che aveva perso la strada e che aveva bisogno del suo aiuto. Ma se la bocca rimaneva muta gli occhi non potevano comunicare tutto ciò, e nella stanza rimase solo un silenzio brulicante di sottintesi.

‹‹A volte mi sento in colpa,›› confessò Sola. ‹‹A volte mi chiedo se – se io non sia stata strumentale. Se io non avessi insistito, se non ti avessi convinta a perseguire quello che provavi, tre anni fa…››

‹‹Oh, Sola.››

E all’improvviso Padmé fu investita dall’enormità della vita, dalla quantità di decisioni prese, di scelte effettuate, di vie imboccate; dalla moltitudine indistinta di passi che avevano condotto lei, Sola, Anakin, Palo, tutti, fino a quel momento; dall’improvvisa consapevolezza degli innumerevoli possibili presenti, futuri, e passati e di come loro tutti non fossero altro che piume sparse nel vento dell’esistenza, trascinate da disegni – Forza, caso, chissà cos’altro! – che non si curavano di loro. E su tutto, su quel groviglio inestricabile e buio e dolceamaro che era una vita, aleggiava  ovunque e per tutti lo spettro brutale del senso di colpa, accompagnato dal fratello, il rimorso, che s’infilava tra le cavità e i buchi dell’immensa rete della vita e non abbandonava mai nessuno.

Le venne da piangere, ma invece di scoppiare in lacrime strinse più forte il figlio, terrorizzata dall’incredibile esistenza in cui i suoi bambini erano piombati senza né saperlo né volerlo; e provò, per la prima volta, senso di colpa per loro: perché non erano stati loro a scegliere lei come madre, ma era stata lei a volerli e generarli, pur conoscendo – pur essendo parte di –  quell’universo terribile in cui avrebbero dovuto imparare a camminare.

Sola se ne andò, scuotendo il capo, non sapendo di non essere stata strumentale, ma strumento; e nella solitudine della stanza dei bambini Padmé s’alzò e andò dov’era stata sua sorella un attimo prima, calpestando il soffice tappeto.

Chiuse gli occhi e ricacciò giù le lacrime.

‹‹Scusami,›› sussurrò, e le braccia del suo bambino attorno al suo collo non erano mai state tanto dolci.

In abito da sera, con i capelli acconciati e il trucco sul viso, esausta e infelice, Padmé ondeggiò al ritmo di una musica che non c’era, chiedendo scusa ai suoi bambini, alla sua famiglia, a tutti coloro che aveva deluso, a tutti coloro a cui aveva spezzato il cuore.

 

 

1: Kadiköy è il nome di un sobborgo di Istanbul. Il nome esotico mi sembrava appropriato in congiunzione con la Varykino di Pasternakiana memoria.


 

  
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