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Autore: wolfin    17/06/2010    2 recensioni
“Sì, scusi, mi sento.. confusa. Che mi è successo?” chiesi, per poi sentire una fitta alla testa. Ma cosa..? “Non ne abbiamo idea” iniziò a spiegare. “L’ha trovata un passante sulla tredicesima. Era svenuta. Ha chiamato subito l’ambulanza. Era il diciassette agosto”. Diciassette agosto. Ma.. “Scusi, e oggi quanti ne abbiamo?” chiesi, perplessa. “Sedici” “Come scusi?” Lui mi guardò, e fece un sorriso tra le scuse e l’apprensione. “Scusi, signorina, dimenticavo. È il sedici novembre”. [Dal capitolo 1]
Genere: Generale, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.  Temuta

 

Di tutto il fascicolo, le cose interessanti furono parecchie.

Prima di tutto, scoprii i nomi dei miei genitori. Julia Keehl e Anthony Carter. Del perché avessi entrambi i cognomi non avevo idea. In ogni caso, mio padre aveva un’importante azienda di computer, cellulari e altri apparecchi tecnologici, mentre mia madre non lavorava.

La denuncia di scomparse era stata fatta dai miei nonni paterni, che abitavano qui in America. Però poi, pochi mesi dopo, erano morti, prima una e poi l’altro.

Da quel momento, il caso era stato affidato a un solo uomo, che non era arrivato a nulla, e un mese dopo il caso era stato archiviato.

Durante l’indagine, erano stati interrogati tutti i vicini e conoscenti, senza arrivare a nulla.

Una cosa che notai, fu che il mio fratello fu nominato soltanto una volta, dicendo che era dai nonni quando sparimmo, e così si salvò. Nient’altro.

Non c’era accenno ala fatto che fosse stato interrogato. Ma c’era il nome: Nathan, Nathan Keehl Carter.

Sorrisi tra me. Almeno, aveva un nome.

Quando chiusi il fascicolo, mi chiesi cosa dovevo fare.

Alla fine, decisi di andare in banca.

 

Mi rigirai la chiave della cassetta di sicurezza tra le mani, mentre aspettavo il mio turno alla banca centrale.

Quando toccò a me, andai allo sportello e chiesi il numero della mia cassetta di sicurezza. La signora mi guardò male, pensando che la stessi prendendo in giro.

“Scusi, è che l’ho dimenticato.. ecco la mia carta d’identità” dissi, per provare che fossi io. L’avevo rifatta il giorno prima, all’ufficio anagrafe, spiegando tutto.

Le sbuffò, e mi indicò la cassetta 509. Ringraziai e andai verso di quella.

Quando la raggiunsi, ci infilai la chiave, ma non girò. Dovevo aver sbagliato qualcosa. Eppure era la 509.

Andai dall’uomo che era addetto alle cassette di sicurezza.

“Scusi, non riesco a ricordare il numero della mia cassetta.. mi pareva fosse il 509, ma non combacia. Si può risalire al numero dalla chiave?”

“Ma certo signorina, mi dia pure, ora controllo sul database” disse, diplomatico.

Inserì un codice nel computer, e guardò la schermo. Sgranò gli occhi.

“Oh mio dio signorina, ma è lei. Oh mio dio, scusi la mia memoria! Non l’avevo riconosciuta con questo taglio di capelli e.. così insomma!” mi disse, inchinandosi ripetutamente in segno di scusa.

Mi stupii. Di solito non ci si ricorda i nomi di tutte le persone che depositano lì. E non capivo tutte queste scuse da parte di quest’uomo. Mi trattenni dal chiedere spiegazioni. Se avesse scoperto che non ricordavo, forse non mi avrebbe più aperto quella cassetta.

“Non si preoccupi, signore, non fa nulla” dissi, cordiale.

Mi guardò stranito. “O-ok.. ora la accompagno. Mio dio, mi scusi ancora, non l’avevo davvero riconosciuta, sto diventando vecchio” disse, iniziando a dirigersi dalla parte opposta della banca.

Arrivammo davanti ad un altro gruppo di cassette. Erano meno, e supposi fossero più sicure e più costose come servizio.

“Ecco, la sua è la 95, nel caso non ricordasse” disse l’uomo, per poi congedarsi.

Lo guardai allontanarsi, confusa, mentre lui gesticolava maledicendosi ancora perché non mi aveva riconosciuta.

Scossi la testa, e andai alla cassetta di sicurezza. Questa volta, la chiave funzionò.

La prima cosa ce vidi fu un computer portatile nella sua custodia. Decisi di prenderlo, per vedere cosa ci fosse dentro. Forse, avevo qualche foto, qualche indirizzo e-mail di qualcuno che conoscevo. Anche se non capivo perché tenerlo in una cassetta di sicurezza.

Poi, trovai anche quattro carte di credito. Non una, quattro. Le presi e lasciai vuota la cassetta.

Passai davanti al signore di prima. “Arrivederci, signorina. Mi scuso ancora per il malinteso” disse.

Alzai gli occhi al cielo. Non sopportavo chi si scusava tremila volte. “Le ho detto che è tutto a posto. Quindi la smetta di scusarsi. Arrivederci” dissi, secca.

Con la coda dell’occhio, lo vidi deglutire, quasi spaventato.

 

Dopo aver aspettato mezz’ora in coda, fu finalmente il mio turno.

Una ragazza giovane dallo sguardo gentile mi osservò attentamente. “Buongiorno. Potrebbe dirmi il saldo di questo carte di credito?” dissi, mostrandole.

Lei le prese, e inserì nel computer il codice della prima. Dovevano essere venuti fuori i miei dati. Mi osservò. “Signorina, nella foto che c’è qui.. non che non sia riconoscibile, ci assomiglia.. ma non scommetterei che siate la stessa persona. Forse perché qui è truccata.. comunque, potrebbe darmi un suo documen..” disse, ma poi venne interrotta da una signora più anziana, che la spinse via e si mise al suo posto.

Iniziò a parlare a macchinetta. “Signorina, sono mortificata! La ragazza è qui da poco, e quindi non la poteva conoscere. La prego immensamente di perdonarla.. è stata assunta due mesi fa e lei non viene qui da alcuni mesi, non poteva riconoscerla, la prego la..” alzai la mano, sperando che s’interrompesse. Lo fece all’istante.

Rimasi stupita, ma non lo diedi a vedere. “Voglio solo sapere quanti soldi ci sono in queste carte di credito” sottolineai.

La signora cominciò a smanettare, quasi nevrotica, sul computer. “Le faccio una stampa?”

“Sì, grazie” annuii.

Osservai la donna che lavorava. Sul suo viso leggevo diverse cose.

Innanzitutto, fretta. Sembrava volesse finire il prima possibile, per togliersi da questa situazione. Ma non capivo. Forse voleva finire il suo turno e andare a casa. Ma ne dubitavo, poiché, guardando bene il suo viso, potevo leggerne il motivo.

Devozione. Grande, infinita. Avrebbe eseguito ogni mio ordine, lo sentivo. Avevo avuto la conferma dal fatto che solo alzando una mano l’avevo zittita. Ma non capivo da cosa derivasse.

E.. paura. Oh sì. Sembrava a dir poco terrorizzata. La sua fretta nevrastenica, quel leggero sudore sulla fronte.. oh sì, erano paura. Ero davvero così spaventosa? Insomma.. finché non scoprivano chi ero veramente, non mi temevano. Ma quando se ne rendevano conto, era un’altra cosa. E poi, quel tremore della mano mentre mi porge il foglio.. Che razza di persona ero?

  
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