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Autore: Melanyholland    10/09/2005    14 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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26. Wind of Change

Ai giaceva stesa a terra, un cumulo scomposto di viola e grigio perla, i capelli biondi arruffati che le coprivano il viso; Shinichi si avvicinò lentamente, il cuore in gola, le viscere piene di piombo, mentre dietro di lui Ran lo seguiva in silenzio, una mano nell’incavo del suo braccio, come se avesse paura che, se avesse lasciato la presa o smesso un momento di toccarlo, lui sarebbe scomparso. Dalla sua visuale non poteva vedere il petto della giovane scienziata, dove sicuramente Vermouth aveva mirato: avrebbe dovuto avvicinarsi e voltarla. Una parte di lui insisteva perché si sbrigasse, la muovesse subito per accertarsi delle sue condizioni e salvarla in caso fosse ancora via; ma l’altra parte di lui era spaventata a morte al pensiero di poter scoprire che ormai era troppo tardi. Quante persone aveva visto morire durante la sua carriera, quanti cadaveri freddi, esangui, aveva osservato con l’occhio distaccato del detective, solo alla ricerca di indizi? E quelli erano estranei.

Nonostante avesse sempre cercato di restarne indifferente, la vista di tutti quei corpi l’aveva impressionato suo malgrado e non raramente, nelle notti in cui non riusciva a prender sonno, rivedeva  quelle immagini raccapriccianti nelle ombre della sua stanza, chiedendosi ossessivamente cosa sarebbe successo se solo fosse arrivato prima, se avesse capito tutto più in fretta, se dalla sua incapacità fosse dipesa la vita di un essere umano e la felicità delle persone a cui era caro. Insomma, se fosse stata colpa sua…se li avesse uccisi lui.

Ora, si trovava davanti alla stessa situazione, ma la persona che giaceva a terra era qualcuno a cui teneva, qualcuno che aveva promesso di proteggere e di aiutare, e tutto era infinitamente più orribile, più difficile. Non poteva sopportare il pensiero di scorgere i suoi occhi azzurri, di solito freddi, o ironici, o che qualche volta aveva visto perfino illuminarsi di gioia, svuotati e spenti come quelli di una bambola spezzata; non voleva osservare la sua pelle pallida e smorta, le sue labbra dischiuse a pronunciare un grido che non aveva avuto voce. No, non riusciva a essere distaccato come al solito, non al pensiero che, toccando il suo polso sottile, avrebbe potuto scoprirlo freddo e privo di pulsazioni.

Sentì lo stomaco attorcigliarsi dolorosamente e dovette reprimere un conato: no, di sicuro non sarebbe stato come osservare il cadavere di uno sconosciuto: lei era Ai Haibara, la ragazza che si divertiva a fargli scherzi macabri senza scomporsi minimamente quando lui si infuriava, la ragazza che era disposta a lasciare la casa del professor Agasa, l’unico luogo dove si fosse mai sentita al sicuro, per non creare problemi, la ragazza che l’aveva abbracciato in lacrime, disperata e sofferente, rimproverandogli di non aver salvato sua sorella…la ragazza che riponeva la sua massima fiducia in lui, nonostante tutti i suoi errori, ultimo questo…che forse le era costato la vita.

Ma perché, perché ha sparato a te? L’accordo era per me…cos’è successo?

Non riusciva a darsi pace; quando Vermouth aveva puntato la pistola, sicuro di essere arrivato al punto di non ritorno, lui aveva chiuso gli occhi: aveva voluto morire a testa alta, ma non aveva voluto guardare, perché la sua amica d’infanzia non avrebbe dovuto poi specchiarsi nelle sue pupille vuote e prive di vita.

No, con gli occhi chiusi, sarebbe sembrato pacifico e addormentato…

Si era aspettato di percepire per pochi decimi di secondo il dolore della pallottola che gli perforava la carne, colpendo gli organi, e poi più nulla. Invece, tutto ciò che aveva sentito era stato lo scoppio della pistola, un gemito soffocato dietro di sé, i singhiozzi e le urla disperate di Ran. Aveva aperto gli occhi, ritrovandosi davanti Vermouth che ancora reggeva la pistola contro di lui, ma solo per pochi attimi, perché la sua amica d’infanzia le era saltata addosso infuriata e lui era intervenuto. Ora non riusciva a capire: perché non era stato lui a essere colpito? Perché Ai? Avevano un accordo…

“Shinichi, chi è questa ragazza?” chiese debolmente Ran alle sue spalle, un groppo in gola.

“Si chiama A-“ si interruppe, scuotendo la testa “Volevo dire Shiho. Shiho Miyano.”

“M-ma…la donna, l’ha chiamata Sh-Sherry. Non è…una di loro?” sembrava che avesse difficoltà ad esprimersi, dopo lo shock che aveva subito, la voce ancora intrisa di lacrime, sebbene avesse smesso di piangere. Shinichi posò la propria mano su quella di lei, riscoprendola fredda e tremante, e cominciò ad accarezzargliela delicatamente con il pollice.

“Una volta lo era. Adesso sta dalla nostra parte.”

“È per questo che le ha sparato al posto tuo?” domandò ancora lei con un fil di voce, mentre i muscoli di rilassavano lentamente sotto il suo tocco.

“Non lo so.” Dichiarò sconfitto Shinichi, in un sospiro. Si staccò delicatamente da Ran, accennando ad un sorriso nella sua direzione, che gli uscì piuttosto stentato e innaturale, e si inginocchiò accanto ad Ai, il viso teso e preoccupato, il senso di nausea sempre più pressante e accentuato. Prese fra le braccia Ai, il suo corpo freddo come l’aveva immaginato, e la voltò, le viscere che si contorsero dolorosamente, il battito violento del cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Il viso di lei era pallido, le ciglia nere delle palpebre chiuse risaltavano contro le gote esangui; ciocche disordinate di capelli color paglia le incorniciavano il volto, che pareva profondamente addormentato, le labbra erano dischiuse, il corpo mollemente abbandonato contro il suo, una mano giaceva inerte in terra, l’indice posato sul grilletto di una pistola. Fu allora che Shinichi capì.

Capì, e ne fu orripilato.

“Oh mio Dio”  Sussurrò senza fiato, lo sguardo perso nel vuoto.

“Cos’è successo?” Chiese Ran esitante e preoccupata, accucciandosi vicino a lui e guardandolo intensamente. Il giovane detective sospirò, rispondendo senza guardarla, fiocamente, quasi stesse parlando a se stesso.

“La pistola. Lei deve aver-“ Scosse la testa, la voce che gli morì in gola. La sua amica d’infanzia, che lo conosceva meglio di chiunque altro, non insisté ulteriormente,  e gli posò una mano sulla spalla per rassicurarlo, per fargli sapere che era lì con lui, che non era solo. Shinichi le fu grato, ancora scosso per tutto ciò che era successo: perché Ai si era sacrificata in quel modo? Perché??

Avrebbe dovuto immaginare che avrebbe fatto una cosa del genere, rifletté. Avrebbe dovuto prevederlo, e impedirlo. Suo padre aveva ragione: era ben lontano dall’essere il grande detective che credeva, e che tutti ammiravano. Era un incapace, uno sciocco presuntuoso che lasciava morire le persone che gli stavano accanto incapace di muovere un dito per salvarle. Un moto forte di senso di colpa lo invase tutto in una volta, facendogli venire un capogiro mentre reprimeva l’ennesimo conato. Dio, quanto stava male.

Istintivamente, cercò con una mano quella di Ran, intrecciando le dita con le sue; aveva bisogno di quel contatto, aveva bisogno di lei, di sapere che era proprio lì, accanto a lui, che non l’aveva persa, perché Dio, sarebbe stato terribile, insopportabile. Un dolore tanto atroce che l’avrebbe ucciso.

Raccogliendo tutto il suo coraggio e stringendo più forte la mano della ragazza che amava, si mosse per premere il pollice sul polso di Ai e sentirne le pulsazioni, il cuore in gola.

In un brevissimo istante, fu come se qualcuno versasse all’interno del suo corpo un liquido tiepido e corroborante, e Shinichi si lasciò andare ad un respiro di sollievo, allentando la presa di ferro intorno alla mano di Ran, senza però interrompere il contatto e chiudendo gli occhi con un lieve sorriso sulle labbra.

“È viva” mormorò, felicemente “Grazie al Cielo è viva. Il battito è lento, ma c’è.”

“Bene.” rispose Ran con uno strano tono incolore. Ora che il momento critico era passato, Shinichi percepì le dita di lei irrigidirsi lentamente sotto il suo tocco. Si voltò a guardarla: aveva il viso pallido e tirato, due profonde occhiaie, i capelli arruffati, e nonostante ciò, gli parve bellissima. Tuttavia, c’era una strana ombra in fondo ai suoi occhi.

“Ran, che succede?” Chiese preoccupato, contemplandola, ma prima che potesse rispondergli, entrambi udirono una voce familiare che li fece sobbalzare.

“Kudo!! Mouri!! Siete qui!” la voce di Heiji era carica di gioia, anche se piuttosto affaticata e roca. Shinichi si voltò e sgranò gli occhi sorpreso e in ansia quando vide che si appoggiava faticosamente a Toyama, grosse macchie rosso scuro che impregnavano la felpa e il giacchetto jeans. Aprì la bocca per chiedergli spiegazioni ma Ran lo precedette, balzando in piedi e sciogliendosi dalla sua stretta per piombare davanti al ragazzo, il viso teso e gli occhi che scorrevano preoccupati sulle ferite. 

“Hattori-kun! Cosa…che ti è successo?”

“Oh, abbiamo avuto un brutto incontro.” Bofonchiò lui noncurante, tossendo. “Era-“

“Non puoi capire, Ran! Era un mostro perverso e schizofrenico! È stato orribile!” Esclamò Toyama col fiato corto, evidentemente affaticata dal passeggero, interrompendolo. “E a voi cos’è capitato? State bene?”

“Adesso sì.” Lo precedette ancora una volta Ran. Lui e Heiji si scambiarono un’occhiata complice che diceva chiaramente: Donne. Che ci vuoi fare?

“Ma sono stata ingannata da una falsa poliziotta e siamo quasi stati uccisi, quella ragazza, un’amica di Shinichi, è stata colpita, ma è ancora viva.” Continuò a spiegare concitatamente Ran, scuotendo infine la testa. “Dio, che serata da dimenticare.”

“Già.” Convenne Toyama con un sospiro.

“Dite un po’, dov’è questa falsa poliziotta?” Chiese Hattori con voce soffocata, guardandosi intorno. Shinichi si voltò per indicargli il luogo e fu allora che spalancò la bocca, sconcertato e allibito: la strada era vuota. Si sentì improvvisamente furioso con se stesso: concentrando tutta la sua attenzione sul corpo di Ai, non aveva badato alla criminale, che di sicuro ne aveva approfittato per fuggire. Accidenti, avrebbe voluto fargliela pagare per quello che aveva fatto, dannata bastarda.

“Se l’è data a gambe” Ringhiò, con rabbia. Si sentiva infuocare dentro, le mani strette a pugno lungo i fianchi.

“Beh, l’importante è che siamo tutti sani e salvi.” Cercò di consolarlo Ran, e lui annuì forzatamente.

“Bene” esordì, con tono autoritario, cercando di riprendere il controllo della situazione. “Adesso, dobbiamo…”

“…lasciare il campo ai professionisti.” Finì una voce per lui, e voltandosi Shinichi si ritrovò riflesso negli occhi neri e familiari dell’ispettore Megure. Strano, la vista dell’uomo gli infuse improvvisamente una sensazione di sollievo, come se fosse tornato finalmente a casa dopo anni di vagabondaggio nell’oscurità.  

“Allora non succede solo nei film, la polizia arriva veramente sempre quando è finito tutto.” Borbottò Heiji con un mezzo sorriso, guadagnandosi le occhiatacce della squadra, che furono indulgenti solo a causa delle sue ferite.

“Dovete chiamare un dottore!” Esclamò subito Toyama, lasciando andare seduto per terra con delicatezza il ragazzo, che emise uno sbuffo soffocato. “Gli hanno sparato!!”

“Anche alla ragazza!” Aggiunse Ran.

L’ispettore Megure fece un cenno eloquente ad uno degli agenti, che tirò fuori una ricetrasmittente e cominciò a parlare. Takagi, dal canto suo, si guardava intorno ansioso, lo sguardo che guizzava da una parte all’altra cercando di scrutare attraverso le ombre. Il suo viso era una maschera di preoccupazione, dolore e angoscia.

“Chi gli ha sparato?” chiese l’ispettore a Kazuha, e Heiji lo guardò storto con un misto di fastidio e orgoglio: poteva benissimo rivolgersi a lui, insomma, era un po’ ammaccato, mica morto!

“Un uomo. Non sappiamo chi è…ma posso descriverglielo.” Lo rassicurò lei, certa che non avrebbe più dimenticato quel volto terribile, quegli occhi iniettati di sangue, piccoli e spietati, quella bocca quasi priva di labbra… una faccia che avrebbe costellato molti dei suoi peggiori incubi futuri, anche se in quel momento lei ancora non lo sapeva.

“E alla ragazza?” domandò a Ran, che fece per rispondere ma stavolta fu Shinichi il più veloce. “Una donna, ma non ne conosco l’identità, né saprei descrivergliela. Era piuttosto buio. Per te è lo stesso, vero Ran?” La sua amica d’infanzia rispose al suo sguardo eloquente e speranzoso inarcando un sopracciglio confusa, ma per il resto non disse nulla su quella bugia. Sapeva bene che Shinichi non faceva mai niente se non aveva una buona ragione, e nei suoi occhi lesse perfettamente il profondo bisogno che aveva che lei gli reggesse il gioco. Dunque, anche se le parve una cosa sbagliata mentire alla polizia –perché era evidente che i due si conoscevano, da come parlavano e da come la sedicente Sheila si rivolgeva a lui, e poi lei avrebbe potuto benissimo fornire una descrizione dettagliata della donna- tacque e annuì all’ispettore, confermando la versione di Shinichi e prendendo nota a mente di chiedere spiegazioni al suo amico d’infanzia più tardi. Lui, dal canto suo, le lanciò un’occhiata di profonda gratitudine e un sorriso che le spazzarono via qualsiasi rimpianto per quella fandonia, almeno per un po’.

“Bene. In centrale vi interrogheremo tutti, così capiremo anche che cosa ci fate qui” aggiunse l’uomo con aria di rimprovero, rivolto alle due ragazze, che arrossirono vistosamente. “Adesso, state tutti accanto agli agenti, non allontanatevi e riposate.” Concluse, con una premura che era qualcosa di più che semplice prassi lavorativa: teneva davvero a quei ragazzi. Erano straordinari, coraggiosi quanto i suoi agenti più in gamba, sprezzanti del pericolo se si trattava di salvare delle vite, nonostante fossero poco più che adolescenti. Quante persone esistevano ancora così? Solo uno sciocco non l’avrebbe capito, dopo aver passato un po’ di tempo con loro.

“Mi scusi, ispettore Megure…” esordì Ran, crucciata “…sa dov’è mio padre? È lui che ci ha portato qui.”

“Oh? Kogoro è qui?” chiese sorpreso, e la vide impallidire. “Non lo sapeva?” chiese lei con un fil di voce.

“Non preoccuparti.” La rassicurò subito l’ispettore. “Manderò degli agenti a cercarlo….”

“Vado io!” Si offrì subito Takagi, con un’irruenza che non era da lui. Sembrava davvero teso e provato. “Posso andare con Chiba.” Ripeté più calmo, accorgendosi di essersi spinto troppo in là, ma per niente rammaricato. Evidentemente, rifletté Megure, voleva approfittare dell’occasione per non restare inchiodato lì e poter cercare anche la sua collega, oltre che l’investigatore. Non ne fu sorpreso: si era accorto di quanto il ragazzo tenesse a Sato, di come non la ritenesse solo una collega di lavoro. La guardava proprio come faceva lui con la sua cara moglie quando l’aveva conosciuta.

“D’accordo. Ma state attenti.”

“Vengo con voi!” Esclamò Ran, decisa. Megure scosse la testa. “No, tu resti qui.”

“Ma è mio padre!” insistette lei, gli occhi lucidi di determinazione “Ed è colpa mia se è qui!”

“Sì, ma-“

“La lasci andare ispettore.” Lo interruppe Kudo, il tono che non ammetteva repliche. “Andrò anche io insieme a loro. Con due agenti saremo al sicuro.”

Lui fece per replicare, ma chiuse la bocca e annuì sconfitto. Conosceva quello sguardo, caparbio, deciso; era lo stesso che leggeva negli occhi di Yusaku quando erano più giovani. Sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea, che avrebbe fatto di tutto per realizzarla, e in tutta onestà, preferiva che andassero con due poliziotti, piuttosto che sgattaiolare di nascosto come di certo avrebbero fatto al suo rifiuto.

Prima di raggiungere i due poliziotti e la sua amica d’infanzia, vide Kudo avvicinarsi quasi furtivo ad Hattori, posargli una mano vicino al fianco e confabulare qualcosa con lui, a voce tanto bassa che era impossibile percepire anche solo brandelli di conversazione. Vide il detective di Osaka annuire solenne, e il suo amico sorridergli riconoscente prima di precipitarsi al fianco di Ran.

Okay, saranno anche stati ragazzi eccezionali, ma in tutta franchezza, pensò Megure, alle volte aveva l’impressione che non c’era da fidarsi molto di loro.

 

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Heiji aveva ascoltato con molta attenzione le parole di Kudo, sebbene le avesse pronunciate a voce talmente bassa che aveva dovuto tendere l’orecchio e concentrarsi per capire; sapeva cosa doveva fare, anche se, in quelle condizioni, probabilmente avrebbe avuto bisogno di un piccolo aiuto esterno. Sospirò, tirando fuori dalla tasca il marchingegno che il detective dell’est gli aveva infilato in tasca senza farsi vedere dagli agenti e spingendo i pulsanti per scrivere un messaggio al vecchio vicino di casa di Kudo, proprio come da lui stabilito: Ai è stata ferita. Parcheggi qui vicino senza farsi vedere dalla polizia e aspetti. , seguito dalla loro posizione; capiva bene perché questa mossa: la biondina doveva tenere nascosta la sua identità, e una volta in ospedale questo sarebbe stato impossibile, soprattutto considerando che era la vittima di una sparatoria. Sia la polizia che i medici l’avrebbero riempita di domande su chi fosse, cosa ci facesse lì, perché fosse stata coinvolta…senza contare che di lì a qualche ora o anche meno quella procace diciottenne si sarebbe trasformata in una bimbetta delle elementari, un fenomeno che avrebbe attirato ancora più domande del solito. Così, l’anziano dottore avrebbe dovuto prenderla con sé, proprio come avevano fatto qualche mese prima, dopo lo scontro con Gin all’hotel Haido City, e curarla meglio che poteva finché non fosse tornata piccola. Poi avrebbero potuto portarla all’ospedale e inventare una storia di sana pianta che giustificasse le lesioni. Heiji prese un respiro profondo, il dolore delle ferite ancora pulsante nel suo corpo: non poteva sperare di trasportare la bionda fino alla macchina in quelle condizioni; doveva avvalersi dell’aiuto di qualcun altro, o meglio, di qualcun’altra. Scoccò uno sguardo di apprezzamento a Kazuha: avrebbe accettato di farlo? In fondo lei non sapeva nulla di tutta la faccenda, e l’affare visto da un occhio esterno risultava piuttosto losco. Un pensiero gli attraversò la mente: Kudo doveva sapere le difficoltà che avrebbe avuto lui a mettere in atto il suo piano, ora come ora, dunque…che si aspettasse che avrebbe chiesto aiuto alla sua amica d’infanzia? Che lo accettasse?? Diamine, lui e Kazuha non erano certo ottimi amici. Anzi, era più giusto dire che non lo erano affatto. Kudo era disposto a fidarsi di lei così ciecamente? Poco credibile, tutto sommato. E se non era così, perché aveva affidato a lui quell’incarico?

Fu allora che lo attraversò un altro pensiero, che gli scaldò il cuore e gli fece dimenticare per un secondo il dolore lancinante proveniente dalle ferite: lui non si fida di Kazuha, realizzò, con un sorriso si fida del mio giudizio.

Così Kudo si fidava di lui; era una sensazione strana, ma piacevole, che lo avvolse completamente dandogli calore come una coperta di lana in una notte ventosa d’inverno. Aveva sempre avuto l’impressione che il detective dell’est, sia nel suo lavoro che per proteggere i suoi cari, si fidasse solo di se stesso. Heiji era sempre stato consapevole di questo, in fondo, l’unico motivo per cui lavoravano insieme era che lui conosceva la sua identità; e lo ammetteva, non era stata esattamente una scelta volontaria di Kudo rivelargliela, piuttosto una…costrizione. Il sorriso si dipinse di una sfumatura diabolica al pensiero di come gli aveva strappato la confessione, vedendolo sudare freddo mentre fingeva di rivelare tutto a Mouri.

Lui si era sempre dichiarato il suo migliore amico, e il ragazzo di Tokyo non l’aveva mai smentito, certo, ma nemmeno aveva sostenuto il contrario. Il suo atteggiamento era stato condiscendente e distaccato, un qualcosa da ‘lasciamolo fare’. Heiji a volte ne era stato contrariato, ma per la maggior parte del tempo aveva riflettuto che doveva essere parte del carattere: Kudo era piuttosto diffidente nei confronti delle altre persone, non permetteva a molti di vedere il suo vero io, di leggergli dentro; anzi, lo permetteva solo ad una persona, che non era certo lui. Con gli altri, si limitava ad innalzare una barriera di distaccata cortesia, quel tanto che bastava per non risultare antipatico e borioso, bensì allegro, tranquillo: un ragazzo come tanti. Beh, nonostante avesse usato lo stesso schermo con lui, Heiji sapeva perfettamente che Shinichi Kudo non era una persona comune; possedeva una grande forza interiore, un senso di giustizia molto profondo, era insomma un esempio di lealtà e onestà genuina, una cosa sempre più rara nel presente. Certo, aveva i suoi difetti, come tutti: era presuntuoso fino a risultare quasi seccante, cocciuto come un mulo, e tante altre cose che di sicuro col tempo sarebbero venute fuori. Però, era una persona disposta a morire, a perdere tutto ciò che aveva per quelli che amava, senza un attimo di esitazione, una persona che, per quanto scontato e quasi melenso, si poteva riassumere in una sola parola: un eroe.  Per questo Heiji non poteva fare a meno di ammirarlo e rispettarlo.

Aveva sempre sperato di ottenere finalmente la sua fiducia un giorno, di essere accettato al suo fianco come un vero amico...  

E forse quel giorno era arrivato: per ben due volte, gli aveva dimostrato quanto contasse su di lui: prima chiedendogli di accompagnarlo in quell’avventura, adesso affidandosi al suo giudizio.

Era una cosa che gli faceva veramente piacere, nonostante gli fosse costata qualche litro di sangue e una felpa quasi nuova…

“Kazuha!” Chiamò con voce roca, e lei si accucciò accanto a lui, seduta sui talloni con aria preoccupata. “Che c’è?”

“Devo chiederti un favore.” Tossì. Cavolo, non si sentiva per niente bene, la vista era sempre più annebbiata. Doveva parlare in fretta.

“Certo.” Rispose quella, ma lui le posò un dito sulle labbra facendole cenno di tacere.

“No. Non sarà una cosa facile, e ti sembrerà piuttosto strana. Devi promettermi che, se accetti, non farai domande, e non lo dirai a nessuno. Se accetti, dovrai solo fidarti di me.” quasi sputò le parole. Parlare stava diventando sempre più faticoso e difficile, le ferite che pulsavano dolorosamente. Kazuha lo fissò, il verde dei suoi occhi carico di ansia mista a preoccupazione e sorpresa, il viso pallido teso e concentrato.

Stava riflettendo.

Heiji ne fu soddisfatto: se avesse accettato subito, non le avrebbe creduto.

“Okay” sospirò infine, anche se non sembrava del tutto convinta “Accetto. Dimmi che devo fare, Heiji.”

Lui sorrise, e con le ultime forze rimaste, le spiegò il piano. Lei annuiva ogni tanto, aspettando paziente ogni volta che faceva una pausa per riprendere fiato, sempre più scarso, e alla fine lo guardò come se fosse impazzito. Capiva che chiedere una cosa del genere alla figlia del capo della polizia di Osaka era come guidare bendati: pieno di incognite ed estremamente pericoloso. Beh, il pericolo era il suo mestiere, pensò con un sorrisetto.

Alla fine, lei sospirò, annuendo: “D’accordo, lo farò, e senza chiederti nulla” . Heiji si lasciò andare con un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi.

L’ultima cosa che udì, prima di perdere i sensi, fu, in tono quasi minaccioso:  “Per ora.”

 

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I due ragazzi camminavano l’uno al fianco dell’altra, Takagi davanti a loro, che avanzava concentrato, la pistola di ordinanza in mano, Chiba dietro a coprir loro le spalle, stessa arma in pugno. Shinichi le era così vicino che Ran poteva sentire il calore del suo corpo, il suo respiro calmo e controllato, e scoprì che stare accanto a lui ora le scatenava un insieme di sensazioni profonde e contrastanti, un qualcosa che la sconvolgeva dentro, mandandole scariche elettriche su per la schiena. Dio, ad ogni casuale contatto delle mani, ad ogni sfregamento dei fianchi, era come se qualcosa esplodesse nel suo cuore facendolo battere a mille, le guance che avvampavano. Si sentiva allo stesso tempo confortata e spaventata da quel tocco, da quella vicinanza: era combattuta fra tendergli una mano e allontanarsi, fra l’abbracciarlo e scappare, e non capiva perché dovesse sentirsi così…scombussolata. In fondo, era Shinichi! Shinichi, non un estraneo qualunque, uno capitato nella sua vita per caso. Era lo stesso ragazzo che le alzava la gonna quand’erano piccoli, che la rincorreva giocoso per il cortile dell’asilo, che le sorrideva con la bocca sporca di cioccolato. Lo stesso che, anche quando erano ormai cresciuti, la prendeva in giro, facendola arrabbiare, lo stesso che insisteva per convincerla ad andare a vederlo giocare a calcio la domenica mattina, che si vantava spavaldo delle decine di lettere che gli mandavano le sue ammiratrici.  

Eppure, qualcosa era cambiato. Era come se qualcosa di gelido e tagliente si fosse frapposto fra loro due. Ran cercò di convincersi che era solo l’effetto della lontananza, del fatto che era tanto tempo che non si vedevano…ma purtroppo non ci riuscì. Forse perché era una teoria che faceva acqua da tutte le parti: insomma, quando si era presentato vestito da cavaliere alla sua recita, e avevano poi passato del tempo insieme, era stato come se non si fossero mai divisi: la familiarità, il conforto, non li avevano mai abbandonati, e stare con lui era stato meraviglioso.

Ma ora, c’era qualcosa che la metteva a disagio, profondamente. Era come se sentisse che non aveva il diritto di prendersi tutta quella confidenza, il che sembrava quasi ridicolo, dato il loro passato, però…c’era quella maledetta vocina interna, che l’aveva martellata sin da quando Shinichi non si era presentato al loro appuntamento, sin da quando lui aveva infranto la sua promessa…

Se le cose fossero cambiate?

Lei era rimasta ancorata al rapporto che avevano avuto, aspettandolo, non interessandosi a nessun altro ragazzo, dando per scontato che, una volta ricomparso nella sua città e nella sua vita, tutto sarebbe tornato uguale; ma Shinichi?? Come poteva sapere quali esperienze avesse fatto lontano da lei? Le loro vite, che erano sempre andate avanti parallele, ora avevano preso ognuna la sua strada; che cosa l’aveva fatta illudere che anche il suo amico d’infanzia fosse rimasto attaccato a quella prospettiva, e non fosse invece andato avanti? Aveva di certo conosciuto altra gente, stretto nuove amicizie…la bionda ne era la prova. Le persone maturano, si allontanano...soprattutto durante l’adolescenza, il periodo della crescita. Shinichi le avrebbe sempre voluto bene, su questo non aveva dubbi, però…se ora la considerasse solo una vecchia amica, e nulla più? Una persona appartenente al passato? Dio, non poteva sopportarlo. Aveva bisogno di Shinichi, di quello che le faceva provare, guardandola come solo lui sapeva fare, parlandole come con nessun’altra…

Sospirò: le sue paure peggiori purtroppo si erano già avverate: l’allontanamento, e non parlava di quello fisico, c’era già stato. La prova era che le aveva nascosto il suo rapporto con la ragazza bionda; era molto importante per lui, si vedeva da come era stato preoccupato di perderla, da come il suo volto si era illuminato di gioia quando aveva scoperto che era ancora viva…dalla sua decisione di sacrificarsi pur di non darla in pasto a ‘Sheila’. Lei era qualcosa di più che una semplice conoscenza, avrebbe dovuto parlargliene. In passato, non c’erano segreti, fra loro due…

“Hai freddo, Ran?” Chiese premuroso il ragazzo, e solo in quel momento lei si accorse che si era abbracciata, stringendosi le mani sugli avambracci, come a voler proteggere se stessa da qualcosa –o da qualcuno-; si voltò verso Shinichi, che la fissava con gli occhi blu carichi di affetto e apprensione, in uno sguardo che, per un attimo, le cancellò ogni suo dubbio, facendola quasi sorridere.

Per un attimo.

“Uh, no; è solo che…questo posto…”

“…mette i brividi.” Finì lui per lei, leggendole nella mente con una capacità che solo un legame stretto e profondo poteva conferirgli. Lei annuì, abbassando gli occhi; avrebbe tanto voluto confidargli i suoi timori, ma aveva troppa paura di sentire la risposta. Non voleva essere lasciata alle spalle, accantonata nel passato in attesa che una delle nuove amiche di Shinichi gli chiedesse chi fosse, trovando per caso una sua foto da qualche parte, e sentendolo rispondere noncurante: ‘Solo una vecchia amica’.  

“Ran, c’è qualcosa che non va?” Chiese Shinichi esitante, a voce bassa per non farsi sentire dai due agenti. Lei sospirò, sempre fissando l’asfalto. “Sei strana…”

La rabbia esplose dentro di lei come una bomba, spazzando via i suoi timori e lei sbottò, con un sarcasmo malcelato dalla sofferenza, dalla rabbia:

“IO sarei strana!? Parla mr. Ora mi vedi, ora non vi vedi più!!” Si voltò verso di lui, gli occhi infuocati, e lo vide sussultare, disorientato e colpito. “Hai la minima idea di quanto sia difficile per me!?!” Sbraitò, la voce acuta e le lacrime che le pizzicavano gli occhi, un nodo bruciante in gola “Svegliarmi ogni giorno, sperando con tutta me stessa di trovarti a scuola, e poi rimanere costantemente delusa!? Vivere la vita di tutti i giorni facendo finta di niente, sussultando ogni volta che il telefono squilla, pregando che sia tu!? Ascoltarti ripetere che tornerai presto, sì, sicuro, e poi non vederti per mesi e mesi?!? Capire che un mucchio di stupidi casi polizieschi per te valgono più di me?!?”

“Ran, io-“

“NO! Non voglio sentire le tue solite, patetiche scuse!! Ti rendi conto cosa ha significato, dopo aver passato mesi e mesi ad aspettarti con ansia, dopo averti implorato di tornare anche solo per cinque minuti ieri e essere stata delusa per l’ennesima volta, rincontrarti mano nella mano con quella bella sconosciuta!? Lo puoi DEDURRE, grande detective?!? PUOI?!”  Scosse la testa furiosa, improvvisamente desiderando che lui non fosse lì, che non fosse mai tornato, le lacrime che scorrevano sulle guance senza che potesse far nulla. Takagi, davanti a loro, le scoccò un’occhiata depressa e preoccupata, ma per il resto finse di non sentire, lasciando loro l’intimità che avrebbe dovuto avere quella conversazione.

“Te lo dico io” sussurrò, con voce spezzata, tergendosi le lacrime con il dorso della mano. “Fa male. Fa male da morire”. Si sciolse in singhiozzi silenziosi, mentre Shinichi la guardava sofferente, incapace di fare qualcosa. Dio, poteva capire quanto fosse stato terribile, l’aveva vista giorno per giorno, nei panni di Conan, sopraffatta dal dolore per la sua lontananza, senza poter fare nulla. E adesso che era tornato Shinichi, si sentiva ugualmente impotente.

Aveva pensato che se fosse tornato adulto, le cose si sarebbero sistemate, i loro problemi risolti; ma era stata un’illusione, un miraggio effimero che si accostava più ai suoi desideri che alla realtà. Una parte della sua mente, quella fredda e razionale dell’investigatore, l’aveva sempre saputo, e l’aveva tenuto nascosto all’altra parte, quella del ragazzo innamorato. Ora, entrambe le parti accettarono con dolore questa verità, e Shinichi, vedendo la persona che amava di più al mondo piangere per la delusione, per la rabbia, per la stanchezza, si accorse che anche Ran aveva avuto la stessa illusione.

Sospirò, scuotendo la testa: era stato facile per lui prendersela solo con l’Organizzazione, con l’APTX, con Conan Edogawa…aveva alleviato un po’ il dolore ogni volta che l’aveva vista star male per lui; ma ora non poteva più ingannarsi: doveva crescere, e veramente, come Shinichi e non come Conan, se voleva sistemare davvero le cose. Affrontare la verità in tutte le sue sfaccettature, i suoi vantaggi e svantaggi.

Insomma, tener fede al motto che aveva caratterizzato tutta la sua vita da quando aveva deciso di diventare un detective.

Esiste una sola verità 

Così lei avrebbe potuto finalmente scegliere e, se voleva…lasciarlo andare.

Lui non gliel’avrebbe impedito.

Non più.   

“Ti prego, non piangere.” Mormorò implorante, senza ottenere risultati. Gli si spezzava il cuore a vederla così.

“Hai ragione…sono un mostro. Avrei dovuto dirti…di più. Trattarti meglio.” Sospirò, sconfitto. “Ma per favore, adesso non piangere più. Non è giusto che tu soffra per i miei errori. Io…ti spiegherò tutto. Ti farò capire davvero perché hai sopportato tutto questo”.

Stavolta ottenne qualcosa. Ran si voltò verso di lui, gli occhi brillanti attraverso il velo delle lacrime. “Mi dirai tutto? Niente più segreti?”

“Sì.” Annuì, grave.  “Niente più segreti. Dammi un’ultima possibilità di dirti la verità, ti prego. Potrai chiedermi quello che vuoi, e ascoltarmi, e dopo, se vorrai, potrai…decidere.

Voleva dire ‘odiarmi’, ma faceva troppo male. Non ne ebbe il coraggio, e gli rimase come un groppo in gola, impossibile da mandar giù, che gli soffocava il respiro.

“Lo so che non ho il diritto di chiederti questo, ma…ti scongiuro, dammi quest’ultima possibilità.”

Si fissarono per un lungo istante, il più lungo della loro vita. Infine lei annuì, ritornando a studiare l’asfalto. Voleva davvero parlare con Shinichi, chiarire tutto. Aveva così tanti dubbi, così tante ansie…tutte le domande che si erano affollate nella sua testa esigevano risposte; e nonostante tutto, una parte di lei si fidava ciecamente di Shinichi, era convinta che, dopo avergli parlato, lui avrebbe risolto tutto, facendole capire che ciò che aveva fatto era stato giusto e indispensabile. Quella parte che sapeva non sarebbe mai morta, non importava cosa avesse dovuto sopportare, o quanto le cose sarebbero cambiate in un futuro.  

La stessa parte che continuava a ripeterle, nonostante la scacciasse, quella teoria così assurda, così ingenua.

La stessa parte che le faceva vedere cose che non c’erano, che le faceva sentire parole tanto attese da una voce tanto gradita.

Ti amo, Ran…

Ma ora non era più il momento delle teorie e delle illusioni. Era il momento di scoprire le carte sul tavolo.

E stavolta, non l’avrebbe lasciato scappare prima di essere completamente soddisfatta.

 

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“Ehm, signorina Sato, è sicura che sia da questa parte?” chiese Kogoro, gli occhi neri che guizzavano da una parte all’altra della strada ombrosa e deserta, soffermandosi dolorosamente sul viottolo che la poliziotta voleva imboccare, più buio del resto a causa dei lampioni fulminati che lo costeggiavano. Sato annuì decisa e ostinata, le sopracciglia aggrottate:

“Ha sentito lo sparo, no? Dev’essere successo qualcosa. Veniva da quella parte” indicò col dito la stradina angusta facendo deglutire rumorosamente l’investigatore “Non posso individuare il punto esatto, siamo troppo lontani. Però, se ci dirigiamo in quella direzione, possiamo trovare qualche agente di polizia. Di certo saranno accorsi subito dopo lo scoppio.” Spiegò con gran sussiego, avanzando a testa alta. Kogoro dovette ammettere che aveva ragione, sospirò, si fece coraggio e la seguì: in fondo, non aveva scelta. Doveva trovare la sua bambina, smarrita chissà dove in quel postaccio, e la sua amica, anch’essa nei guai. Digrignò i denti rabbiosamente: Dio, come aveva potuto essere così stupido da accettare di portarle lì?? Per di più per una ragione così futile come cercare quel bamboccio che si credeva un detective!! Un brivido gelido gli percorse la schiena: se Eri Kisaki l’avesse saputo, di sicuro avrebbe chiesto il divorzio e poi gli avrebbe strappato la custodia della figlia; se avesse raccontato quell’episodio in tribunale, probabilmente non le sarebbero servite nemmeno le sue grandi doti di avvocato per vincere la causa.

Per adesso non voleva pensare a niente di più brutto; aveva paura anche solo a immaginare che alla sua dolce e piccola Ran fosse successo qualcosa e scacciava risoluto tutti i pensieri orribili che si affacciavano alla sua mente ogni minuto che passava, sebbene avesse il cuore stretto in una morsa e lo stomaco pieno di piombo. Era preoccupato e in ansia, tuttavia  continuava a ripetersi che sua figlia stava bene, che era una ragazza in gamba, e che probabilmente aveva raggiunto di corsa Takagi, il quale da bravo e coscienzioso poliziotto l’aveva fatta salire nella prima auto della polizia disponibile e protetta

Sì, era di certo andata così.

Dio, pregava che fosse andata così…

e non solo per Ran; non aveva dimenticato Kazuha Toyama e la sua alquanto stretta parentela con il capo della polizia di Osaka, il quale non sarebbe stato di certo entusiasta del guaio in cui l’investigatore aveva cacciato la sua unica, preziosa figlioletta. Inoltre, ammise sinceramente a se stesso che cominciava ad affezionarsi all’amica di Ran: le era sempre vicina quando aveva un problema, l’aveva consolata quando aveva pianto per il bamboccio –diamine, quanto lo odiava- e poi si vedeva che sua figlia teneva molto a lei. Sperava con tutto il cuore che entrambe stessero bene.

E sperava altrettanto intensamente di incontrare quel bellimbusto rubacuori il prima possibile, possibilmente fuori dalla portata della polizia o di chiunque altro potesse correre in suo aiuto: aveva una gran voglia di torcergli il collo come ad un pollo, era solo colpa sua se Ran aveva pianto così tanto la sera prima, se erano finiti in quel posto malfamato nel bel mezzo della notte, se lei adesso poteva essere in pericolo.

Se fosse accaduto qualcosa di grave alla sua bambina, l’avrebbe ucciso; e non era un modo di dire.

Sato, davanti a lui, lo bloccò con un cenno brusco del braccio, portandosi il dito alle labbra facendogli cenno di non aprire bocca quando lui fece per parlare. Kogoro obbedì, acquattandosi ancora di più nell’ombra, tendendo l’orecchio; comprese perché la poliziotta si era comportata in quel modo: nel silenzio della notte, un rumore sordo e costante di passi che si dirigevano nella loro direzione. Tutto il suo corpo si tese, mentre una goccia di sudore gelido gli scese dalla fronte sul bordo delle labbra strette; desiderò ardentemente di avere una qualche arma con sé, e strinse i pugni convulsamente, come sperando che comparisse magicamente fra le sue mani.

I passi si facevano sempre più vicini. Ora Kogoro poteva sentire il battito del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie, il sangue che pompava insieme all’adrenalina, una sensazione familiare di ansia e furore che aveva dimenticato e che adesso accostò senza difficoltà agli anni della giovinezza passati nel distretto di polizia, quando tutto ciò che voleva era catturare assassini, stringere le manette d’acciaio intorno ai loro polsi, provare il brivido dello scontro, del rischio e infine del trionfo.

Trattenne il respiro senza accorgersene mentre quelli si appressavano, lenti ma risoluti, e quando finalmente furono così vicini da mostrargli il loro volto, il fiato che aveva in gola si spezzò.

 

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Note dell’Autrice: salve!^^ Ecco qui un altro capitolo fresco fresco; uhm, credo di aver rubato il titolo ad una canzone degli Scorpions, anzi, più che un dubbio è una certezza…ma che ci volete fare? È una bella canzone e ci stava a pennello, per di più l’ho canticchiata un po’ mentre scrivevo. È abbastanza per definirlo un song-chapter? Direi di no, ma pazienza.

Okay, deliri di una che ha dormito poco a parte, torniamo al commento del capitolo: la prima parte si è praticamente scritta da sola, e spero che abbia chiarito i dubbi che erano sorti a qualcuno di voi leggendo della sparatoria la scorsa volta. Lo so, ero stata un po’ criptica, ma sapete, trattandola dal punto di vista di Ran, che in effetti ci aveva capito ben poco di tutta la faccenda, non ho potuto fare altrimenti. Le altre parti hanno richiesto un po’ più di lavoro e qualche riscrittura, soprattutto quella fra Ran e Shinichi (questi due mi faranno impazzire, un giorno o l’altro), ma nel complesso il capitolo mi soddisfa. Mi auguro che anche per voi sia lo stesso, e che l’aggiornamento sia una piacevole lettura e non una delusione. Detto questo, passo alle risposte singole, ringraziando con tutto il cuore chi continua a leggere e soprattutto chi commenta: mi aiutate davvero molto, siete grandiosi! #^^#

Shizuka: oh! Adesso ho capito la battuta. Giuro, ero lontana anni luce dalla soluzione!^^” Sono proprio tarda… comunque, ti ringrazio molto della recensione, mi dispiace che tu non abbia ben compreso la scena della sparatoria, come ho detto anche sopra, ero stata di proposito un po’ ostica. Spero che questo capitolo ti abbia chiarito le idee su quanto è accaduto. Mi raccomando, fammi sapere cosa ne pensi! Un bacio.

Yuki: ciao! Riesco a capire il tuo punto di vista, e accetto che tu possa non essere d’accordo con me per quanto riguardo la scelta di Shinichi, hai fatto bene a dirmelo. Da come la vedo io, però, Shinichi è una persona che non potrebbe mai decidere di far morire qualcuno che gli è caro, anche se non ne è innamorato; per di più lui nei confronti di Ai ha un debito immenso: ha lasciato che sua sorella fosse uccisa senza riuscire a impedirlo. Lo so che non è stata colpa sua, ma in ogni caso lui ci sta profondamente male, come si nota anche nel manga n. 18, quando lei piange e lo abbraccia. Inoltre più tardi, nel vol.24, le promette di proteggerla se avessero di nuovo incontrato l’Organizzazione. Alla luce di questi fatti, non credo che avrebbe permesso a Vermouth di farla fuori, e entrambe siamo d’accordo che non le avrebbe lasciato Ran. Dunque, non potendo salvarle entrambe, ha scelto se stesso; e la spiegazione di questa sua scelta la dice lui stesso a Vermouth nello scorso capitolo: “Ecco il problema di voi assassini: non riuscite a capire che possono esserci cose peggiori della morte.”  Ovvero: veder morire qualcuno a cui tieni senza poter fare nulla per salvarlo. Ecco, questo è il mio punto di vista; te l’ho detto, rispetto il fatto che tu possa pensarla diversamente e mi fa piacere che tu me l’abbia scritto, ma volevo comunque spiegarmi. Per quanto riguarda la sparatoria, spero che ora tutto ti sia più chiaro. Grazie del commento, spero di risentirti! Baci.

Lore: ciao, grazie mille per i complimenti, sei adorabile!^//^ In effetti cerco sempre di rendere i personaggi più umani possibile, mettendomi nei loro panni per fare in modo che le reazioni alle varie situazioni siano realistiche, così come le emozioni. I ‘personaggi etichette’ non mi hanno mai convinto… Ti ringrazio di nuovo per il gentilissimo commento, mi auguro che quest’ultimo capitolo non ti abbia deluso e che continui a leggere con lo stesso piacere. Un bacione!

Lily2000: salve! Mi fa piacere risentirti, sono contenta che la mia storia ti piaccia e ti ringrazio tanto per i complimenti: non sai che onore sia per me sentirti dire (o meglio, vederti scrivere) che questa fanfic è una possibile continuazione del mio manga preferito! ^//^ Thanks! Sei troppo buona. Spero che l’aggiornamento non si sia fatto attendere troppo (ho fatto del mio meglio, e con la scuola alle porte…brrr!) e ti auguro di superare presto il tuo blocco dello scrittore: è una cosa che manda ai pazzi, io lo so bene! Quando mi capita lo trovo tremendamente irritante, è come se una molla nella mia testa scattasse a vuoto con un sordo clang…orribile! Un bacio, a presto.

Kiara: ciao! Immagino che le tue domande abbiano avuto risposta in questo capitolo…in effetti non era nessuno degli attuali Uomini in Nero!^^ Eh eh…direi che lo sparo di Vermouth più che un atto di gentilezza nei confronti di Shinichi è stata una costrizione voluta da Ai. Grazie della recensione, come vedi questo chap è più lungo rispetto all’altro (non dipende sempre da me dove interrompere le scene, ho esigenze di copione!) spero che non ti deluda. Baci.

Ginny85: carissima Ginnuzza!^^ Non puoi capire quanto mi abbia fatto piacere leggere il tuo lunghissimo commento, sei stata davvero carina! #^^# Sono felice che la scelta di Shinichi ti abbia colpito così tanto, a me anche piaceva molto: un vero atto eroico del mio detective preferito! Non potevo mica far finire la storia senza avergli dato la possibilità di dimostrare le sue doti! Mi fa piacere essere riuscita a farti immedesimare nel dolore di Ran, ho fatto di tutto per descrivere al meglio le sensazioni che avrebbe provato se il suo amico d’infanzia fosse morto sotto i suoi occhi. Davvero ti ho quasi fatta piangere? Caspita! Beh, comunque ti ringrazio per i complimenti, cerco sempre di migliorare volta per volta l’esposizione, il linguaggio…per me scrivere è molto più che un hobby, adoro farlo! E sono ancora più soddisfatta e serena se attraverso quello che scrivo riesco a far provare qualcosa a qualcun altro. Grazie ancora per la recensione, spero che il capitolo non sia arrivato troppo tardi (prima del venticinquesimo sicuro). Come avrai letto la coppietta principale ha ancora qualche ostacolo da affrontare nel loro rapporto, chissà, forse se Shinichi glielo dicesse quello che prova invece di pensarlo soltanto…beh, vedrò quello che posso fare, ma non dimenticare che il ragazzo avrà anche il coraggio di morire per le persone a cui tiene, ma diventa un codardo se si tratta di rivelare i suoi sentimenti ad una certa ragazza. ^//^ Ti piace questo finale di capitolo? È sempre il pensiero di un (ex) poliziotto, non il tuo preferito, però… un bacione, a presto e scrivi pure nelle recensioni tutto quello che ti passa per la testa, non c’è problema!   

BPM: ciao, grazie della comprensione! Ho rimediato in velocità con questo capitolo?^^ Spero vivamente che ti abbia appassionato come quelli passati, e mi auguro di risentirti. Un bacio, ti ringrazio per il gentile commento e per le lodi.

Ersilia: bentornata! Ti ringrazio per i complimenti su entrambi i capitoli, sei stata davvero carina. Forse per te non sarà stato divertente aspettare tanto per leggerli e dopo aver avuto sotto gli occhi questo mio commento mi giudicherai una strega senza cuore, ma ti devo confessare che mi ha fatto piacere sapere che li attendevi con tanta trepidazione! Grazie! Sei un angelo. #^^# Un bacione, spero di risentirti presto.

Akemichan: ciao! Eh sì, il ventiquattro è sicuramente meglio…ma che posso farci? Simili gioielli (w la modestia!) vengono fuori una sola volta all’anno (almeno per quanto mi riguarda). Grazie per i complimenti comunque, sono contenta che la scena di Ran sia stata efficace quanto lo desideravo e che tu l’abbia trovata azzeccata per il personaggio, e riguardo alle riflessioni della bionda scienziata…uhm…tu dici? Personalmente avrei più paura ad essere sulla lista nera di Vermouth che di Ai…o almeno della mia Ai ^__~. Bene, detto questo ho un forte impulso a  concludere questa risposta (: P), grazie ancora per il commento, sei stata gentile. Baci, alla prossima.

Sita: wow! Grazie mille, mi fa davvero un immenso piacere che la frase di Shinichi ti sia piaciuta così tanto e che tu ne abbia afferrato così bene il significato. Grandissima! ^^ Dici che “le cose sono andate come dovevano andare”?? Perché, tu volevi che fosse colpita Ai?? Povera biondina! é __ è Non essere spietata! Ti ringrazio ancora per le lodi che mi fai, sono felice che la mia storia ti appassioni e mi auguro che sia così fino alla fine, ormai prossima. Un bacione, a presto.

Ruka88: ciao! Come meno male che non è morto nessuno per quel che ti importa?? Povera Ai-chan! Sei crudele! Scherzo. ^__^ Grazie della recensione, spero che il capitolo ti piaccia. Un bacio.

Con questo anche per oggi ho terminato: qua e là nel capitolo troverete riferimenti a episodi avvenuti nel manga, i volumi sono sempre gli stessi quindi evito di rifare la lista. Ringrazio ancora tutti i lettori, mi raccomando, se avete qualcosa da dire, criticare, commentare in qualunque modo fatelo! Sono sempre aperta a qualsiasi chiarimento o spiegazione. Onestamente non so quando potrò aggiornare il prossimo capitolo, con l’inizio della scuola ricominceranno gli impegni e il 24 settembre partirò per andare in Spagna per due settimane. Farò del mio meglio per aggiornare qualcosa prima di tale data, in caso non ci riuscissi, mi scuso con tutti.  

A presto ( o meglio, al prima possibile)

-Melany

  
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