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Autore: Mokuren    23/06/2010    1 recensioni
[Vampirus, Scott Westerfeld]Cal Thompson è un bravo ragazzo, nessuno lo mette in dubbio, ma socializzare con lui può rivelarsi davvero, davvero pericoloso. Già, quando il “regista” della tua vita è un parassita millenario particolarmente efficiente le cose non possono far altro che precipitare. Breve storia in due capitoli sullo speciale "pip" creato da Scott Westerferld.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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II. D.R. final
II. Death Row



I found the sinner of fruit is late,
It is the center of truth today,
Cut the apple in two,
Oh, I pray it isn't true


Il proprietario del locale non si era ancora avvicinato per “strappargli” l’anima dal petto, questo era vero, ma la serata stava comunque prendendo una piega piuttosto singolare.
Insolito, tanto per fare un esempio, era il modo disinvolto con cui stava ballando con la ragazza dei volantini, ma la cosa più strana non era certamente quella.
Già, da quando in qua lui ballava?
Che si trattasse di un effetto secondario di quell’intruglio dal colore sgargiante che aveva sorseggiato solo pochi minuti fa? Improbabile. Al bancone del bar, salvo fantascientifiche novità dell'ultimo minuto, non servivano ancora analcolici fluo “cambia personalità”.
E se, a far scattare “l’interruttore ballo”, fosse stata quella canzone riguardante mele tagliate a metà e un cibo tassativamente proibito? Cibo. Avere ancora fame dopo due bistecche enormi non era affatto normale, come non lo era mangiare quotidianamente per tre e non mettere su neppure un etto di peso. Be’, sempre a proposito di “normalità”, anche la sua prima sbronza newyorkese con contorno di banane assiderate e ombrellini di carta annegati nel rum non si era di certo evoluta secondo i suoi schemi abituali. Era andata decisamente, e oltre ogni ragionevole dubbio, oltre.
Si concesse un sospiro leggero, impossibile da captare in mezzo a tutto quel frastuono, dando mentalmente la colpa di ogni cosa a "sua luminescenza la Grande Mela in persona" – sì, proprio la città delle famigerate magliette con il logo a cuore – che lo faceva sentire, praticamente ventiquattro ore su ventiquattro, come un sassolino ferroso alle prese con un’enorme e scintillante calamita in perenne movimento.
Un “sassolino” con tante domande e, fino a quel momento, neppure l’ombra di una risposta.
Di colpo, tutti quei se e quei forse evaporarono come brina al sole, come se avessero perso improvvisamente la loro importanza. Il piccolo neo sullo zigomo sinistro della ragazza a pochi centimetri da lui gli sembrò inspiegabilmente molto più interessante. Da quel piccolo dettaglio, un semplice accumulo di melanociti esteticamente piuttosto gradevole, allargò la visuale alla curva della sua guancia, al suo viso dai tratti delicati.
Ne aveva visti parecchi di volti in quell’ultimo periodo di notti sempre più insonni. Già, la sua vita di matricola sembrava essere diventata un effimero circo di facce nuove e alcuni, probabilmente molti, avrebbero anche potuto trovare la sua condizione un vero e proprio paradiso, un inno alla libertà più totale, ma dietro tutta quella patina luccicante si celava ben altro. Qualcosa che a volte avrebbe preferito non ricordare affatto.
Sarah. I suoi pensieri indugiarono su di lei, semplicemente non poteva farne a meno. Si immerse nel suo ricordo senza opporre resistenza, richiamando alla mente le sembianze di quella dolce fanatica di Elvis scomparsa nel nulla senza lasciare tracce. No, qualche traccia, o forse sarebbe stato opportuno definirla scia, l’aveva lasciata eccome: un inquietante tripudio di specchi rotti, superfici riflettenti distrutte chiaramente a mani nude. Che cosa poteva aver visto di tanto orribile in quegli specchi? Per non parlare di tutti quegli irregolari coriandoli di carta lasciati sul pavimento: in realtà, libri e album di fotografie che sembravano essere passati sotto le grinfie di un trita-documenti impazzito.
Che cosa poteva averla spinta a ridurre la sua stanza a quel modo?
Rabbrividì al ricordo di quell’incomprensibile devastazione, di quelle quattro pareti che non avrebbero affatto sfigurato come ambientazione per un film dell’orrore di dubbio gusto.
La mano della ragazza di fronte a lui, posata sulla sua t-shirt grigio fumo, fece sbiadire il ricordo di tutti quegli specchi e delle innumerevoli diatribe filosofiche finite tra baci, carezze languide e le pieghe di un'avvolgente coperta blu dal motivo scozzese.
Non avrebbe mai immaginato che un muscolo umano potesse fare tutto quel rumore, eppure riusciva quasi a contare i battiti del suo cuore, come se stesse isolando il suono della batteria della sua canzone preferita dei Kill Fee. Si stava per chiedere il “come” e il “perché” di quell'insolita capacità di ascolto, quando il profumo della sua pelle, una fragranza deliziosa appena velata da qualcosa di costoso e artificiale, lo avvolse completamente, dandogli un leggero capogiro.
Si concentrò sull’incavo del suo collo, sfiorandolo appena. La sentì tremare, qualcosa che avrebbe dovuto essere solo vagamente percettibile, eppure gli sembrò di essere riuscito a sentirla sobbalzare, di essere in grado di seguire i percorsi di quegli invisibili percorsi elettrici sotto la sua pelle.
Il passaggio dal centro della pista a quei divanetti rosso cupo immersi nella penombra non gli fu del tutto chiaro, ma lamentarsi per una cosa del genere era davvero l'ultimo dei suoi pensieri. I suoi occhi lucidi, le sue labbra lievemente dischiuse in un invito silenzioso… Mentre stava formulando il pensiero che avrebbe quasi voluto mangiare quelle labbra, gli sembrò di sentire qualcosa accendersi nella sua scatola cranica, divampare lungo la sua corteccia vertebrale fino a quelle mani, le sue, che la stavano tenendo stretta come per non farla scappare. Dopo, solo buio e puro istinto. Non aprì neppure gli occhi per guardarla, gli bastò assaggiare quelle labbra, esplorarle fino quasi ad assimilarle, ancora e ancora.
Una mano si appoggiò all’improvviso sulla sua spalla e l’incanto si spezzò, esplose come una bolla di sapone rimasta troppo a lungo a contatto con l’aria. Cal si sollevò, girando leggermente la testa per incontrare il proprietario di quella mano: una ragazza con un viso affilato, corti capelli ramati e lentiggini ovunque.
«Mi dispiace interrompervi, ma Liz… il nostro dormitorio chiuderà i battenti tra mezz’ora. Che intenzioni hai?».
La voce squillante della nuova arrivata gli giunse inaspettatamente nitida nonostante il caos sonoro che li circondava, ma il mezzo pensiero che aveva formulato al riguardo si disperse come cenere al vento, togliendo velocemente il disturbo dalla sua testa.
«Che cosa?» La ragazza sotto di lui si sollevò a sua volta, appoggiando ancora una volta una delle sue adorabili mani sul suo torace.
Liz. Probabilmente un diminutivo per Elizabeth o Lisa… Forse.
«Il dormitorio!», urlò, questa volta facendo arrivare il messaggio forte e chiaro anche alla diretta interessata.
«Certo, certo il dormitorio… », mormorò stizzita tra sé e sé, frugando nella sua borsa alla disperata ricerca di qualcosa. Un lucido cellulare nero adorno di un improbabile ciondolo dark di “Hello Kitty”, per l'esattezza. «Cal, ti lascio il mio numero. Potremmo uscire una di queste sere. Solo noi due magari… », gli sussurrò nell’orecchio, prendendogli il volto tra le mani.
Gli stampò un bacio a fior di labbra, mordendogli poi, decisamente con troppo vigore, il labbro inferiore.
Cal, sovrappensiero e decisamente ancora su di giri, seguì con scarsa attenzione quello scambio di squilli digitali che si stava svolgendo sotto i suoi occhi. La osservò allontanarsi, sempre più indistinta, mentre veniva come assorbita dalla brulicante massa di corpi umani di fronte a lui.
Braccia, gambe e cuori in movimento catturati dalla frenesia della musica.
Impossibile… ancora il martellio ipnotico di quella canzone.
Tentò di razionalizzare, oscillando mentalmente tra il pensiero di un dj fissato e un innocuo problema tecnico di origine sconosciuta.
Confidò ardentemente nell’ultima opzione, augurandosi che si risolvesse presto.
Quella litania velenosa gli ricordava troppo il piacevole battito impazzito che aveva sentito solo qualche istante prima.
Mentre sprofondava di nuovo in uno dei divanetti color sangue rappreso del Death Row, si rese conto per l'ennesima volta di avere la bocca asciutta.
Si inumidì le labbra, percependo un vago aroma metallico e salato: un ottimo sapore che si riverberò per un istante troppo breve sulla sua lingua.
Al tempo stesso socchiuse gli occhi, cercando disperatamente di scrollarsi di dosso una sensazione ben precisa.
La sgradevolissima sensazione di essere stato appena usato da qualcosa.


I drained my heart and burn my soul,
I trained the core to stop my growth,
I've got something you can never eat,
I've got something you can never eat




                                                                                                                                                 Fin


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E fu così che una nuova vittima si aggiunse alla lista della pip-generazione di Cal...

@amimy: Figurati, sapessi le mail che mi perdo io! Sono contenta che la prima parte ti sia piaciuta (a proposito: grazie mille per i complimenti, troppo buona *__*!). Spero che anche l'epilogo sia stato di tuo gradimento... Che dire? È stato un piacere scrivere su uno dei miei scrittori preferiti - qualche tempo fa ho letto e apprezzato molto anche  il primo romanzo della serie Uglies, non so se la conosci - e un grazie speciale va anche a te per aver messo l'annuncio sul forum... A volte basta un piccolo imput per mettersi davanti alla tastiera!

Credits: la canzone che sta “tormentando” Cal, con la relativa citazione in inglese, è la versione live di Apple of Sodom (Marylin Manson & Rasputina).
  
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