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Autore: Padme Undomiel    24/06/2010    4 recensioni
Strinse più forte al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto. Pregava con tutta se stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere appagate: almeno lui doveva sorridere.
Anche senza di lei. Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina, sempre più vicina.
Non riusciva a fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore straziante nei suoi occhi scuri.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei, Takeru Takaishi/TK
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Purity 16

16.


Barlume di luce





“Esattamente cosa vuoi che faccia?”

“Non capisco. Cosa dovresti fare?”

“Ascolta, Hikari-san, io … non è facile per me capire. Tutto questo è così nuovo, così estraneo a me, che non so proprio da dove cominciare per apprendere da voi. Dimmi cosa devo fare.”

Lo aveva guardato, sorpresa. “Io non voglio che tu pensi questo di me, Takeru-san: nemmeno io ho finito di apprendere, e forse non lo farò mai. Non so dirti esattamente cosa potresti fare.”

“Però … però potresti mostrarmi come vivete qui.”

“Eh?”

Lo sguardo di lui era deciso, e pieno di una sincerità disarmante. Lei non aveva potuto fare a meno di restarne interdetta.

“Prendimi come uno … studente che vuole apprendere, sì. Che vuole apprendere, ma che non conosce nulla di ciò che lo circonda e di ciò che ha dentro. Ti chiedo solo di spiegarmi come funziona qui. Cosa fate voi, come sono i bambini, come li fate ridere, da cosa traete conforto.

Vorrei che mi spiegassi semplicemente come vivete, passo per passo.

E io cercherò di capire con tutte le mie forze.”

“Vuoi capire noi e i bambini per poter capire meglio te stesso, quindi?”

“Sì, esatto. Non vedo altra via.”

Lei aveva esitato, sorridendo spiazzata.

“Quanto ti aspetti da me, allora?” E il suo viso era semplice imbarazzo. “Ti giuro che farò tutto ciò che posso per aiutarti a capire questo orfanotrofio, ma non vorrei che fossi deluso da ciò che posso offrirti.”

“Non vedo perché dovrei. Tu ami questo posto.”

Le aveva sorriso.

“E solo chi ama davvero la strada che ha intrapreso può aiutarmi adesso, credimi.”

“Ecco, entra pure.”

Si scostò dalla porta d’ingresso il necessario perché lui potesse passare, e si voltò a guardarlo ancora una volta, curiosa di scorgere sul suo viso i diversi tipi di emozioni che doveva star provando.

In quel momento, i suoi occhi azzurri erano ancora esitanti, mentre si posavano a tratti su di lei e a tratti sulla grande stanza davanti a loro. Sembrava che considerasse la sua voglia di sapere quasi invadente.

Ancora non era riuscito ad abituarsi a quello che stava facendo.

Sospirò, con un sorriso, mentre lo spingeva dolcemente verso l’entrata. “Avanti, Takeru-san: non ti succede nulla se dai un’occhiata!”

“Va bene, va bene. Allora io entro, d’accordo?” sorrise Takaishi Takeru, e un guizzo di divertimento balenò nel suo sguardo.

Yagami Hikari osservò i suoi passi incerti verso il centro della stanza, il suo cauto interesse verso ogni particolare della camera, il suo tentativo di calarsi completamente in quello che gli stava accadendo, e un senso di gioia non poté non farsi strada nel suo cuore.

Aveva fatto un grande progresso, senza alcun dubbio. Decidere di voler apprendere da loro e dai bambini era indice di una grande forza d’animo, di una persona che conosce le proprie debolezze e vuole cercare di rimediare.

E Hikari sperava davvero che l’orfanotrofio avrebbe potuto aiutarlo come aveva pensato. In ogni caso, le premesse erano buone: sorrideva più del solito, nonostante la sua confusione e la sua tristezza. Forse qualcosa avrebbe davvero potuto cambiare in meglio.

Takeru si era fermato accanto a un lettino, e ora aveva raccolto un soldatino che era rimasto per terra. Lo vide osservarlo in silenzio per qualche tempo, per poi sollevare lo sguardo e fissarlo su di lei.

“E’ la cameretta dei bambini?” chiese.

Hikari annuì, avvicinandosi a lui. “Una delle tante” gli spiegò serenamente, mentre lui subito si faceva attento. Sembrava davvero uno scolaro, quando assumeva quell’espressione. “Sai, in quest’orfanotrofio ci sono tanti bambini, e non possono entrarci tutti in una stanza. Di solito li dividiamo in gruppi di dieci, come vedi qui.”

Indicò i letti con un gesto della mano, e vide Takeru contarli velocemente.

Poi, con ancora il soldatino in mano, tornò a guardarla. “Con che criterio smistate i bambini nelle stanze, di solito?”

Hikari alzò le spalle, ancora una volta sentendosi a disagio per l’occhiata di lui. La guardava come se lei avesse la verità, come se fosse più saggia di quanto, purtroppo, era. “Dipende … Certe volte ci regoliamo in base all’età, altre volte in base a legami particolari o in base alla loro assenza. Quasi sempre, però, dividiamo i bambini dalle bambine. L’unico caso particolare” aggiunse poi, quando vide Takeru assentire in segno di comprensione “è Naoko, che non riuscirebbe mai a dormire senza Shinji. E’ come se non si sentisse al sicuro senza.”

“Aspetta” la interruppe Takeru ad un tratto, concentrandosi e aggrottando le sopracciglia. “Shinji è … quel bambino dai capelli ramati che gioca sempre a calcio? Quello che la difende quando gli altri sono ingiusti con lei?”

Hikari spalancò gli occhi, sentendosi tremendamente a disagio. Era un peccato dirgli che aveva confuso i nomi ancora una volta: sapeva che, ogni qualvolta ne sbagliava uno, lui si sentiva sempre più un estraneo da quel luogo e quella gioia.

“Ehm …”

Ma prima che avesse il tempo di dire alcunché, Takeru parve capire. Rise, imbarazzato. “… Ho sbagliato bambino, è così?” chiese, con un divertito tono di scusa.

“Sembra di sì ...” Rispose lei, ma si affrettò a continuare. “Però non hai sbagliato di molto. Il bambino che hai nominato è un suo grande amico, e si chiama Junichi. Shinji, invece, è suo fratello gemello.”

Lo guardò per qualche secondo, sperando di non averlo scoraggiato. Si rendeva conto di quanto fosse difficile imparare i nomi di tutti quegli orfani in così poco tempo: non poteva di certo pretendere miracoli da parte del giovane.

Takeru sospirò, sorridendo esasperato e guardandosi le mani. “Dovrai avere pazienza con me …” commentò, con quello che sembrava un rimprovero verso se stesso.

Pareva che si fosse scoraggiato di nuovo. Hikari si morse il labbro inferiore, per un istante indecisa sul da farsi.

Poi gli mise una mano sulla spalla, esitando come se non fosse sicura che quel gesto potesse significare qualcosa. Come se non sapesse precisamente cosa avesse intenzione di ottenere.

E Takeru la guardò, sorpreso, e improvvisamente Hikari credette di scorgere in lui l’animo smarrito di un bambino.

E la visione le scaldò il cuore.

Gli sorrise dolcemente. “Takeru-kun, sei tu che dovresti avere pazienza con te stesso. Io non ho fretta, e nemmeno mio fratello e gli altri.” Gli disse, cercando di risollevargli il morale.

E dopo un istante di attesa, infine un sorriso grato ma perplesso tornò sulle sue labbra. “Non credo capirò mai questa inclinazione ad aspettare e ad avere fiducia.”

Hikari rise in imbarazzo, all’improvviso avvertendo una strana sensazione di disagio nel contatto della sua mano sulla spalla di lui: ora che lui l’aveva vista, si sentì invadente. E arrossì, allontanandosi lievemente. “Non è un’inclinazione: non avrebbe senso pretendere da te cose impossibili. Sarebbe anche controproducente.”

Takeru alzò le spalle, con aria non del tutto convinta. “Sarà …” disse semplicemente. Poi lo vide guardarsi le mani, e sussultare. “Oh, dimenticavo …”

Le porse il soldatino che aveva stretto tra le dita per tutto quel tempo. “Era per terra. E non so dove metterlo …”

“Non preoccuparti, hai ragione. Haru-chan deve averlo lasciato in giro dopo aver giocato stamattina.”

Hikari allungò la mano per prenderlo,  ma si fermò all’improvviso, sorpresa più che mai.

Takeru sembrava così strano con quel giocattolo in mano. Così diverso.

Perché, malgrado sembrasse quasi desideroso di restituire l’oggetto che certamente non gli apparteneva, aveva gettato più di un’occhiata attenta a quel soldatino.

Come se cercasse di ricordare qualcosa che, col tempo, era andata sbiadendosi.

“… Hikari-san?”

Con un sussulto, la giovane ritornò alla realtà. E affrontò lo sguardo interrogativo di un Takeru ancora immobile con le mani tese verso di lei.

Con un sorriso di scusa, Hikari scosse la testa. Prese il giocattolo del bambino che tanto lo adorava dalle mani del giovane, e si voltò per rimetterlo nel cesto dei giochi.

Eppure, sentiva le domande premere nella sua testa, impazienti di essere formulate.

Osservò di sottecchi il ragazzo davanti a lei, che ancora osservava curioso ogni dettaglio della stanza, e si chiese se il domandare sarebbe stato invadente.

D’altra parte, era sicura di volerne sapere di più sul conto di Takaishi Takeru.

Sospirò, mentre si raddrizzava e richiudeva il cesto.

“Come giocavi quando eri piccolo, Takeru-kun?” chiese, questa volta osservandolo apertamente.

“Eh?”

Hikari arrossì, sentendosi più che mai a disagio. Takeru sembrava semplicemente sconvolto, come se non credesse alle sue orecchie. “Mi chiedevo …” continuò, questa volta più esitante. “Mi chiedevo come ti divertissi quando eri un bambino come Haru-chan.”

Doveva averlo sorpreso sul serio, perché lui sembrava dubitare seriamente della sua salute mentale. Lo vide aggrottare le sopracciglia e scrutarla, sospettoso. “Perché me lo chiedi?”

Ed era una domanda interessante, perché nemmeno lei sentiva di avere una risposta precisa. Aveva semplicemente sentito il bisogno di chiederlo, come se questo avesse potuto aiutarla a comprendere meglio la sua sofferenza nascosta, o semplicemente a capire lui.

Ridacchiò di questa apparente insensatezza, alzando le spalle. “Non lo so”, ammise sinceramente. “Sono solo curiosa, credo.” Sorrise, attendendo una risposta pazientemente.

Takeru era ancora dubbioso, ma non insistette oltre: doveva aver capito che sarebbe stato inutile chiedere per più informazioni. Una scintilla di curiosità balenò nei suoi occhi azzurri, prima che li sollevasse sul soffitto nel tentativo di ricordare.

Alcuni istanti di silenzio, durante i quali Hikari scorse sul suo viso emozioni di ogni genere affiorare rapidamente sul suo volto: confusione, stupore, imbarazzo, divertimento, dolcezza, e qualcosa di davvero simile alla nostalgia. La giovane si chiese, sorpresa, che genere di ricordi stesse rivivendo il suo interlocutore.

Alla fine, Takeru parve ritornare al presente. La osservò per un lungo istante, come per selezionare le parole giuste da dire.

“Sai, non è che ricordi con esattezza: è passato tantissimo tempo”, disse infine, a mo’ di scusa. “Ho solo qualche ricordo vago, nulla di particolare. Credo …” Rise, imbarazzato. “Credo che prediligessi le costruzioni. Ne avevo un bel po’, se non ricordo male. Per qualche motivo mi piaceva l’idea di costruire, smontare il tutto e ricostruire.”

“Effettivamente sembra un bel passatempo”, convenne lei, interessata più che mai alla sua risposta. “E quali erano le alternative?”

Takeru esitò, incerto. Corrugò la fronte, probabilmente cercando di ricordare meglio. “Non … non ricordo, mi spiace. Non credo ci sia nient’altro di particolare.”

Hikari rimase spiazzata. Possibile che, in tanti anni di infanzia, l’unica cosa che ricordasse fosse un solo modo per divertirsi?

“Sicuro di non ricordare altro?” chiese piano, cercando di non essere invadente.

“E’ così strano?”, ribatté Takeru, osservandola con aria incerta. “E’ passato molto tempo, dopotutto. Ero solo un bambino.”

Non seppe perché, ma in quell’istante una silenziosa tristezza cominciò a farsi largo nel suo cuore. Forse era solo strano sapere che restava così poco di uno dei periodi più importanti della vita dell’uomo nella mente del giovane.

“Potrei dirti soltanto che passavo davvero molto tempo con mio fratello maggiore, Yamato” stava intanto continuando il ragazzo, e ogni fibra del suo essere era concentrato nel rifar suoi quei momenti. I suoi occhi erano assenti, socchiusi, fissi sul muro. “Ho sempre visto in lui l’unica persona che potesse capirmi appieno, anche quando ero molto piccolo. Di questo sono assolutamente sicuro.”

Hikari lo vide sorridere distrattamente.

“E ora che ci penso … sì, probabilmente Yamato mi faceva compagnia anche quando giocavo con le costruzioni. Era sempre con me … o forse dovrei dire che io ero sempre con lui. All’inizio non avrei mai pensato di separarmi neppure un secondo da lui.”

Hikari colse chiaramente la nota d’affetto nel tono di voce di lui, e capì che poteva comprendere molto bene quello che sentiva. Ricordava tanto quello che aveva provato quand’era più piccola per suo fratello Taichi. Gli rivolse un largo sorriso. “Credo di capire cosa vuoi dire, Takeru-kun: anche io sono una sorella minore. E mio fratello aveva una grande tendenza a proteggermi, ad ogni modo.”

“Sul serio?” chiese lui, e parve ritornato da un lungo viaggio. La sua espressione era ora curiosa.

Lei annuì. “Credo sia un istinto naturale dei fratelli maggiori, comunque: non credo abbia smesso del tutto nemmeno adesso.”

Takeru ridacchiò, e Hikari si fermò ancora, sorpresa da quanto fosse semplice e dolce quella sua risata. Era fin troppo diverse da quelle amare risate che sentiva uscire dalle sue labbra quando pensava alla sua tristezza e frustrazione: non c’era davvero dubbio su quale preferisse.

Avrebbe dovuto ridere più spesso in quel modo, considerò.

Poi lui tacque, pensieroso. Sembrava stesse facendo delle considerazioni alle quali non era mai arrivato. “E’ strano, perché … non ricordo di aver più giocato sul serio dopo che sono andato via da casa, a vivere con mia mamma in un altro quartiere. Dovevo aver perso interesse in queste cose, non so.”

Le sorrise piano, mentre ogni cosa che il suo discorso implicava sembrava chiara, agli occhi sgranati di Hikari. “Forse ero così legato a Yamato da non aver più voglia di giocare in sua assenza. Ma credo che questo non potrò mai saperlo.”

Quando era cambiata l’immagine che Hikari credeva di avere di lui?

Quando quel viso era improvvisamente diventato così chiaro?

Non lo sapeva, ma in quel momento non riuscì a guardarlo negli occhi, abbassando lo sguardo. Non voleva che lui pensasse di lei che la sua tristezza fosse in realtà commiserazione.

Era tutt’altro.

Le sembrava di aver capito come mai Takeru avesse rimosso quasi ogni particolare della sua infanzia. Come mai non riuscisse a capire i bambini. Come mai non riuscisse a capire i ragazzi dell’orfanotrofio, che vivevano a contatto con i bambini.

Forse, Takeru non era mai stato completamente un bambino.

“Hikari-san … Va tutto bene?”

Hikari annuì in fretta, e alzò lo sguardo. Takeru sembrava confuso, e preoccupato, anche. Forse aveva trovato insolito il suo cambiamento d’umore.

“Mi dispiace”, fu tutto ciò che riuscì a dire, e sperò con tutto il cuore che le sue parole fossero sincere come il sentimento che avvertiva dentro di sé.

Takeru sgranò gli occhi per un istante, stupito; poi lo vide sorridere. “Lascia stare, Hikari-san: è accaduto tanto tempo fa, non c’è nulla di cui dispiacersi.”

E il suo sorriso era così rassicurante e dolce che Hikari non poté non ricambiarlo timidamente.

Osservò Takeru voltarsi ancora verso la camera per esaminarla, e le parve di farlo con occhi nuovi. Ed era bastata una sola conversazione. Una conversazione iniziata per caso. Una conversazione nella quale il giovane si era inconsciamente aperto a lei, in maniera del tutto inaspettata.

Ma era bello aver scoperto qualcos’altro di lui, anche se si trattava di eventi così tristi.

Si avvicinò lentamente a lui, notando che il giovane era totalmente preso dall’osservare una foto sul comodino dei bambini.

“Chi è questa donna?” domandò lui, mostrandole la cornice con aria interrogativa.

E nel momento in cui gli occhi di Hikari si posarono su quel viso sorridente, circondato da mille bambini che si spintonavano per poter comparire nella foto accanto a lei, il suo cuore si fermò per un istante.

Aveva quasi dimenticato quanto fosse dolce il viso di lei, la luce intensa nello sguardo di lei.

“E’ mia madre” disse a bassa voce a Takeru, quasi avesse paura di disturbare, con il suo chiacchierare, quel sereno quadro estivo. Forse era da troppo tempo che non si soffermava più a osservare quell’immagine: tutto quanto le appariva nuovo, quasi come se lo avesse visto per la prima volta.

Quasi come se lei fosse ancora viva, in quella cornice.

Si voltò a guardare Takeru, chiedendosi quanto il suo sorriso potesse celare malinconia. “Ogni camera da letto ha una foto del genere, sai. E’ un po’ come l’angelo di questo orfanotrofio … d’altronde, è stata lei a fondarlo. A lei si deve tutto questo.”

Indicò con il dito i bambini accanto a Yagami Yuuko, lasciando che lui potesse scorgerli bene, grandi e piccoli che fossero. Il loro sorriso era ugualmente luminoso, non importava l’età. “Molti di questi bambini sono ancora qui, altri erano grandi già allora, quando la foto fu scattata, e quindi sono andati via per le loro strade. Ma guarda, Takeru-kun: riesci a vedere il legame che c’era tra mia madre e tutti loro? Riesci a scorgere il clima di complicità che mia madre aveva con quei bambini?”

Takeru annuì, e il suo viso era incredula ammirazione. “E’ per questo che ho notato subito questa foto” ammise. Poi esitò, come se stesse decidendo tra sé se domandare ancora o tacere. Hikari attese, curiosa.

“Cosa … Voglio dire, come ha fatto a stabilire questo rapporto con loro?” domandò infine, guardando ora lei, ora sua madre nella foto. E Hikari era sicura che Takeru, ancora una volta, stesse cercando di capire cosa gli altri avessero compreso in più di lui.

Cercava ancora di imparare. Nei suoi occhi c’era nuovamente quel desiderio di non restare indietro, di mettersi al passo con chi aveva capito cosa fare della propria vita.

Chissà se sua mamma avrebbe potuto dargli il punto di partenza che cercava. Lei, Hikari, ci avrebbe provato ugualmente, perché non conosceva un modello migliore da seguire.

Sospirò piano, guardando un’ultima volta sua madre sorriderle dalla foto per trovare le parole giuste per il giovane.

“Il suo segreto era una grande semplicità.” Disse infine, affrontando con intensità lo sguardo di lui. “Sapeva mettersi alla pari con i bambini: anche quando doveva sgridarli per qualcosa trovava sempre il modo di non umiliarli, ma di insegnare loro ad essere migliori. Amava maggiormente le cose piccole, come un gioco, un disegno, uno scherzo, una filastrocca: le trovava la fonte della vera felicità, a dispetto delle grandi cose irraggiungibili e inutili. E non affrontava i problemi enumerando ciò che aveva sbagliato, ma solo ciò che avrebbe potuto fare, e da lì ripartiva. E’ per questo che era amata dai piccoli.”

E allora il viso di lui si riempì di imbarazzo, e distolse lo sguardo, con aria colpevole. E le parole parvero improvvisamente essere sigillate sulle sue labbra, troppo intime e segrete per poter essere rivelate a lei.

E Hikari seppe che ci aveva visto giusto.

Takeru sembrava aver perso quella semplicità infantile che aveva provato troppo tempo prima.

Era per questo che ogni sua aspirazione era sempre più grande, sempre più eclatante rispetto alle sue possibilità. Le piccole cose che aveva non riuscivano mai a soddisfarlo, perché troppo insignificanti.

Era per questo che la giovane sperava ardentemente che il modello di vita di Yagami Yuuko potesse spingerlo a ritrovare la serenità: non aveva senso continuare a tormentarsi per nulla. Takeru avrebbe potuto fare tanto nel suo piccolo, anche se lui ancora non lo sapeva. Anche se lui non ci credeva.

“Era?” disse a un tratto Takeru, e Hikari sussultò.

Qualche istante di silenzio, in cui lei ripensò a ciò che era venuto a mancare a tutti. A quanto quell’orfanotrofio era più triste, senza di lei. A quanto sua madre le mancava.

Era strano che fossero ancora tutti lì, anche senza di lei. Era strano che tutto andasse avanti ugualmente.

“Sì, Takeru-kun. Era.” Rispose a bassa voce, guardandolo con un sorriso triste. “E così lei non può che essere l’angelo di questo orfanotrofio.”

Takeru alzò lo sguardo, turbato. C’era una muta domanda nei suoi occhi, ora. Una muta domanda che trovò la sua muta risposta nell’espressione di lei.

E Hikari fu colpita dal senso di partecipazione alla sua tristezza che scorse nei lineamenti di lui. Sembrava quasi che lui riuscisse ad avvertire le sue sensazioni, e a condividerle.

Takeru aprì la bocca, intenzionato a parlare, ma si fermò prima di aver formulato qualunque frase.

“Cosa sta succedendo?” chiese, confuso.

Hikari batté le palpebre, perplessa. “Succedendo dove?” Si guardò intorno, chiedendosi cosa le fosse sfuggito.

E solo allora sentì del vociare nell’altra stanza, e dei pianti infantili. E sussultò, preoccupata, comprendendo infine quello che Takeru stava cercando di dirle.

“Sarà successo qualcosa ai bambini?” domandò lui, accigliato.

Hikari scosse la testa. “Non ne ho idea …” Rispose. Ma sapeva che doveva andare a vedere quanto prima: quando litigavano, i bambini sapevano essere davvero aggressivi.

Si avviò verso la porta, con passi rapidi. “Aspettami qui, non ci metterò molto.” Gli disse, prima di uscire per i lunghi corridoi.

“Posso venire anche io … voglio dire, se vuoi.”

Hikari si fermò, sorpresa, e si voltò indietro.

E si ritrovò ad osservare il sorriso di scusa di Takeru. Sorriso che esprimeva alla perfezione il suo desiderio di essere reso partecipe, di capire.

Si illuminò. “E allora cosa stai aspettando, Takeru-kun?” chiese. “Vieni.”

E il suo sorriso si allargò quando Takeru, imbarazzato, la raggiunse per seguirla.

Sapeva che avrebbe fatto progressi, di questo passo.

***

“Shinji-chan, dammi subito quei fogli: hai fatto il dispettoso abbastanza!”

Mimi, con cipiglio severo e con Ryoko, in lacrime, aggrappata alla sua maglia, era davanti a Shinji, e gli tendeva una mano, evidentemente perché il bambino imbronciato e dagli occhi bassi le restituisse qualcosa che le serviva.

Tutt’intorno a loro, c’erano i bambini, che ascoltavano, attenti, infuriati, delusi, sconsolati o annoiati, ciò che Mimi diceva loro. Hikari individuò Asami, seduta a gambe incrociate, osservare con aria interessata un libro di fiabe aperto con una grande illustrazione colorata che occupava quasi tutta la pagina.

C’era un gran chiasso, tra pianti, lamentele, litigi e spintoni, e Junichi sembrava fosse l’unico a cercare, con aria esasperata, di calmare le acque. Accanto a lui, un Keiji vagamente sconvolto ascoltava ogni parola che il bambino dai vivaci occhi scuri diceva.

Hikari era appena arrivata, ma intuì subito che la situazione fosse davvero seria. Diede un’occhiata a Takeru, accanto a lei, e non fu sorpresa di vederlo così sgomento.

“Sono sempre così quando litigano?” le chiese, e nel suo tono c’era qualcosa che assomigliava molto alla paura. E in quel momento non si poteva biasimarlo, in effetti.

“Non sempre … ma quando litigano così, è meglio correre ai ripari.” Rispose lei, cercando con gli occhi suo fratello per avere spiegazioni. Lo individuò accanto a Mimi, con le sopracciglia aggrottate e chiaramente pronto a intervenire se ce ne fosse stato bisogno.

“Forse Taichi può dirci cos’è successo. Dai, cerchiamo di farci largo.”

Camminare in mezzo ai bambini non fu affatto facile: con tutti i loro spostamenti rapidi da una parte e dall’altra, con la loro agitazione e le accese discussioni, con il loro spingersi per poter vedere meglio e le esclamazioni irritate che queste comportavano, Hikari si trovò spesso urtata dai piccoli distratti, e più di una volta perse di vista Takeru, che appariva sempre più sconvolto. Si chiese se questo litigio avrebbe spaventato abbastanza il giovane da farlo desistere dal venire nell’orfanotrofio, ma mise da parte il pensiero, considerando che aveva un problema più immediato, al momento.

Quando i due raggiunsero Taichi, Ryoko era ormai in preda ai capricci.

“Sorellina, mancavi solo tu: qui si è scatenato il putiferio!” esclamò Taichi scorgendola. Sembrava anche abbastanza sollevato. “In certi casi la mano maschile non serve più di tanto, sai … Non so davvero come comportarmi!”

“Ma che sta succedendo? Cosa ha fatto Shinji-chan stavolta?” chiese Hikari a suo fratello, tentando ancora di osservare la discussione allungando la testa. “Pensavo che Mimi-san stesse leggendo loro la fiaba pomeridiana.”

In effetti, era davvero strano che i bambini non fossero tutti presi dai commenti sulla fiaba appena ascoltata: solitamente amavano discutere del finale, dei personaggi, o giocare a interpretarne i ruoli con la loro personale fantasia. Hikari aggrottò le sopracciglia, confusa.

“Ci ha provato”, rise esasperato Taichi. “Ma c’è stato un piccolo intoppo. Mimi aveva quasi finito di leggere quella storia, quando si è resa conto che le ultime due pagine che contenevano la fine erano strappate. Che fortuna, eh?”

“Che cosa?” Hikari si voltò di scatto verso Mimi e Shinji, con gli occhi sgranati. I libri di fiabe erano tenuti al sicuro quasi come oggetti di grande valore, considerando l’importanza che loro ragazzi credevano avesse far lavorare di fantasia i bambini. Era strano che fosse successa una cosa del genere. “Com’è possibile?”

“Credo …. Ehm … sia stata anche colpa mia, in effetti.”

Il tono improvvisamente colpevole di Taichi la fece immobilizzare. Con un brutto presentimento, Hikari posò di nuovo lo sguardo su di lui, temendo il resto della frase.

Taichi sembrava davvero imbarazzato, in quel momento. “Stavo insegnando ai bambini a fare aereoplanini e barchette di carta, e così ho detto loro di, beh, munirsi di fogli, e di strapparne dal mucchio di vecchi libri che erano nello studio. E’ che ho … dimenticato di riordinare i libri, e così …”

“… tra quelli è rimasto anche il libro di fiabe che leggiamo ai bambini. E Shinji non è interessato in queste cose, così non ci ha fatto caso.” Terminò per lui Hikari, mentre non sapeva più se ridere o piangere. Taichi era un grande capo, ma non si poteva contare proprio sul suo senso dell’ordine. Si batté la mano con la fronte, esasperata. “Grandioso. Sora-san ti ucciderà, non appena avrà finito con i neonati.”

Questa volta, Taichi sembrò davvero allarmato. Hikari non riuscì a trattenere un sorriso.“Ma tu, che ci tieni a me, non dirai nulla a Sora, vero?”, fece lui all’istante, con aria preoccupata. “Dai, c’è bisogno anche di me qui!”

Anche Takeru, al suo fianco, ridacchiò divertito, non appena il giovane dai folti capelli castani terminò la frase.

Hikari scosse la testa, rinunciandoci. Tanto, non sarebbe mai cambiato. “D’accordo, vedi se riesci a tenerlo nascosto il più possibile”, gli rispose, ridendo dei mille ringraziamenti sollevati che ricevette in risposta.

“Shinji-chan, per favore, fai l’uomo e consola Ryoko-chan, che piange per te” stava intanto esclamando un’esasperata Mimi, tendendo ancora la mano. “Dammi quei fogli.”

Shinji, un broncio adorabile sul viso e gli occhi bassi, mugugnò un: “No.”

All’ennesimo rifiuto, Mimi cambiò tattica. “Per favore, Shinji-chan! I tuoi compagni vogliono conoscere la fine di quella fiaba!”, esclamò, nel più supplichevole e commovente dei toni. Hikari rise piano: quella era l’espressione che usava più spesso per incastrare chi non si comportava come lei voleva. Il più delle volte era Jyou il suo obiettivo … e riusciva nel suo intento praticamente sempre.

Con grande stupore, vide Shinji arrossire, sempre con quell’aria scontrosa. “Tanto non potranno più saperla, perché li ho buttati via, quegli stupidi fogli!” sbottò, e la sala si zittì all’istante. Tutti i bambini trasalirono, fissando la scena con occhi sgranati.

“Beh, in questo non c’entro nulla” si giustificò subito Taichi, non appena si sentì osservato dalla sorella.

Poi, scoppiò il caos.

Ryoko cominciò a strillare: “Io voglio la storia!”, con quanto fiato avesse in gola. Molte bambine scoppiarono in un pianto, Naoko picchiò Shinji, ottenendo solo di essere spinta via violentemente, Junichi scattò in piedi sconvolto, parlando animatamente con Ichiro, seduto accanto a lui, Keiji prese Asami per mano, e, dopo essersi affrettato a prendere tutti i suoi fogli e i colori, corse quanto più velocemente possibile verso Hikari.

La guardò con i suoi grandi occhi castano chiaro sgranati. “Sono impazziti!” esclamò.

La giovane si mordicchiò il labbro inferiore, preoccupata. Non sapeva assolutamente come fare per calmare i piccoli, fuori di sé dalla rabbia o dalla tristezza. Proporre loro qualcosa di altrettanto interessante e avvincente era difficile, se non quasi impossibile: il momento delle fiabe era fondamentale per loro, lo era sempre stato. La bravata di Shinji davvero non ci voleva. Accarezzò distrattamente i capelli del piccolo, cercando di pensare rapidamente.

Quasi leggendole nel pensiero, Takeru fece: “E adesso come risolvete la questione?”

Scosse la testa, impotente. “Non lo so, Takeru-kun. Ci vorrebbe un miracolo.”

“Peccato, perché la fiaba era carina!”, intervenne all’improvviso Asami, con un’alzata di spalle. “Keiji-kun ha fatto anche tanti disegni molto belli!”

Hikari si illuminò, interessata. Quando posò il suo sguardo su Keiji, lo vide arrossire di orgoglio. “Disegni che rappresentano la fiaba? Dai, fammi vedere!”

Era bellissimo osservare i suoi lavori: lei li trovava interessanti. Erano così variopinti, alle volte così fantasiosi, altre così realistici, ma in ogni caso Hikari non si sarebbe mai stancata di guardarli. Le sembrava che fossero la maniera migliore in cui lo spirito creativo di Keiji decideva di uscire allo scoperto.

Keiji glieli tese, con un sorriso di aspettativa. “Sono solo quattro! Ma te li regalo, se vuoi!”

Hikari li prese. “Grazie mille, Keiji-chan”, gli disse, e lo vide illuminarsi.

Diede una rapida occhiata ai quattro fogli d’album che il piccolo le aveva donato: in nessuno di loro c’era un singolo spazio bianco. Keiji sembrava aver voluto dare il meglio di sé.

Ed erano belli e variopinti come sempre, notò ammirata, osservando il disegno di un bambino ben vestito con una corona sulla testa e un’aria tranquilla sul viso. Accanto a lui c’era persino un trono dorato e tante altre persone sorridenti che non riuscì ad identificare.

“Quello è il principino di un regno molto lontano, e molto bello. I suoi genitori sono morti quando era ancora un neonato: suo padre mentre combatteva, sua madre per una malattia gravissima. Così lui è diventato il re.” Keiji, tutto animato, indicò gli uomini che lo attorniavano, cercando di rendere Hikari il più partecipe possibile alla fiaba che aveva ascoltato da poco. “Vedi questi signori? Sono i consiglieri reali. Sono vecchi perché erano i consiglieri del re suo padre, e sono loro che proteggono il principino e lo aiutano a governare il paese. Lui è molto piccolo, ma è tanto saggio, e il popolo gli vuole bene come a un adulto.”

Vide gli occhi castani di Keiji brillare di eccitazione, e non poté fare a meno di osservare quella sua strana reazione. Pareva che fosse molto affezionato a quel personaggio, per qualche motivo a lei ancora sconosciuto.

“Il principino faceva un sacco di feste, dove si cantava, si ballava e si suonava. E si mangiavano tante cose buonissime!” Intervenne Asami, indicando il tavolo imbandito alla sinistra del bambino con la corona troppo piccola. Poi sbuffò, imbronciata. “Uffa. Vorrei essere anche io una principessa, per mangiare tutte quelle cose!”

Aveva un tono così serio che Hikari non poté impedirsi di ridere e di abbracciarla per un istante. Asami sarebbe rimasta sempre la solita golosona: se questa caratteristica fosse cambiata in qualche maniera, probabilmente non l’avrebbe più riconosciuta. “Facciamo così”, aggiunse poi, strizzandole l’occhio. “Se ti fidi della nostra cucina, ti prometto che ti prepareremo un pranzo degno di una principessa, un giorno o l’altro. Che ne dici?”

Asami si illuminò tutta, come se la notizia fosse la più esaltante del mondo. “Certo!”

All’improvviso Hikari si accorse di essere osservata con attenzione. Lanciò un’occhiata di sottecchi alla sua destra, cogliendo l’espressione curiosa di Takeru.

La fissava mentre parlava con Asami, e non apriva bocca, quasi avesse paura di disturbare. Ma il suo sguardo era intenso e pieno di serietà, tanto da rasentare l’incredibile.

La giovane si sentì arrossire, e distolse lo sguardo, a disagio. Incerta su come comportarsi, gli passò il disegno di Keiji che aveva appena finito di osservare, prendendone il secondo.

I disegni variopinti erano scomparsi: ora le tonalità cupe regnavano sovrane. Così come la grande figura in nero con un sorriso sadico che gli deformava il volto, al centro del disegno, tra figure deformi e gente urlante che fuggiva da una parte e dall’altra.

“Quello è il mago cattivo, fratello della mamma del principino. La mamma era tanto buona, ed era amata da tutti, e aveva poteri magici che usava solo perché nel suo regno regnasse sempre la pace.” E Hikari non poté non notare la luce strana negli occhi del piccolo, con un groppo in gola improvviso. Conosceva il pensiero di Keiji sulle madri, forse fin troppo bene. “Ma suo fratello voleva governare sul suo regno. Così attaccò il castello, e conquistò il potere con la sua magia perfida. Il regno diventò scuro, nero e senza più prati né sole.”

La crudeltà del mago e il terrore sul viso del popolo erano ben visibili sul foglio d’album: Hikari ne rimase spiazzata, ancora senza parole per l’abilità acerba di Keiji. Sentiva davvero le emozioni dei suoi personaggi, in maniera quasi inspiegabile, per un bambino di soli otto anni. Un senso d’orgoglio la colse all’improvviso, al pensiero di quanto i progressi del piccolo fossero così evidenti.

“Il consigliere che più di tutti voleva bene al principino, però, lo fece scappare in segreto dal castello.” Continuò Asami infervorata, tanto che il suo tono si fece più alto, come succedeva spesso quando immaginava avventure, guerre e fiabe. “La mamma del principino, prima di morire, lo aveva avvertito che suo fratello era cattivo e voleva impossessarsi del regno, e così gli aveva detto una cosa importante: Quando accadrà, porta il principino fino ai limiti della Cascata Lucente, e fa’ che colga il fiore della Purezza. Solo con questo potrà  sconfiggere suo zio. E così il consigliere disse tutto al principino, e gli chiese se si sentiva pronto per quest’impresa. Lui rispose subito di sì.”

“Si stanno radunando tutti qui”, disse all’improvviso Takeru, e Hikari alzò lo sguardo dal disegno, disorientata.

Effettivamente, era proprio così. I bambini che piangevano, che litigavano, che strillavano, che facevano i capricci, attirati nuovamente dal racconto e probabilmente desiderosi di sapere cosa Hikari ne pensasse del finale mancato, pian piano si erano accalcati attorno a loro, e adesso fissavano il gruppetto con i fogli in mano con aria seria.

Sorrise, incredula. “Quando sono arrivati tutti qui?”

Takeru alzò le spalle, e sembrava stupito quanto lei. “Adorano proprio tanto il momento delle fiabe, eh? Questa reazione ha dell’incredibile …”

Hikari lo fissò per qualche istante, cercando di indovinarne i pensieri. Sembrava assorto. Ma ancora non aveva capito.

“Adorano giocare con la fantasia, Takeru-kun. Qui possono essere e sognare ciò che vogliono, senza limiti. Perché ti sembra così strano?”

Takeru apparve spiazzato, e rimase muto a osservarla senza aggiungere altro.

E intanto il racconto procedeva, incalzante. Con Keiji improvvisato cantastorie e un pubblico che proprio non voleva saperne di abbandonare quel mondo fantastico.

“Il principino iniziò a viaggiare con il consigliere verso la Cascata Lucente. In fretta, perché suo zio stava distruggendo il suo popolo, e lui non voleva questo.” Il disegno successivo aveva come ambientazione una notte blu elettrico, e Hikari scorse tra le mani del consigliere una specie di spada sguainata. Davanti a lui, un enorme drago spaventoso sputava fuoco dalle fauci poderose. Forse dietro al drago c’era anche una cascata molto piccola, in lontananza. “Ma quando arrivarono alla Cascata, apparve un drago feroce, che sorvegliava il fiore della Purezza e non lasciava passare nessuno per non farlo rubare. Il consigliere prese la spada e disse al principino di andare a cercare il fiore mentre lui teneva impegnato il drago: lui non voleva lasciarlo solo, ma alla fine scappò via, perché tanta gente sarebbe morta se lui si fosse fermato lì.”

E l’ultimo disegno raffigurava il principino, spaventato e sorpreso, davanti alla cascata. Quando Hikari porse il disegno a Takeru perché lo osservasse, lo vide trattenere un moto di sorpresa. E non si poteva biasimarlo: l’espressione sul viso del piccino era quasi reale. L’affetto di Keiji verso quel personaggio era quasi palpabile, in quei lineamenti abbozzati.

In fondo, era un eroe. Un eroe bambino. Un eroe bambino orfano che prendeva in mano la sua vita e la impiegava nel salvare la vita altrui. Ma anche un bambino che sentiva forte la lontananza da sua madre.

Un moto di commozione rischiò di far vacillare la sua calma, e Hikari si ritrovò a guardare con occhi pieni di affetto Keiji, che la fissava serio e pieno di intensa partecipazione alla storia. Certe volte era così strano pensare alla sofferenza che quel bambino tanto sensibile doveva provare ogni giorno: le sembrava che quei desideri irrealizzati avrebbero potuto, col tempo, distruggere quel corpicino da bambino così piccolo e così innocente.

Le sembrava, alle volte, di rivederlo avvolto nelle coperte, davanti alla porta di casa sua, con quel visetto che da poco si era affacciato alla vita, quando qualcuno aveva deciso per lui che avrebbe vissuto una vita diversa dai suoi coetanei.

“Così il principino arrivò alla cascata, e si guardò intorno, cercando il fiore. Fu allora che vide …” Il tono solenne e carico di emozione di Asami si spense, mentre aggrottava le sopracciglia confusa. “Beh … poi Shinji-kun ha strappato le pagine finali. Non sappiamo come va a finire.”

E i bambini ricominciarono a vociare, delusi.

Hikari sospirò. Sarebbe bello poter avere la tua capacità di improvvisare sempre, mamma, pensò con rimpianto. Cosa avresti fatto tu per risollevare il morale?

“E se …”

Curioso come, alla frase spezzata e pensierosa di Takeru, che ancora osservava il disegno di Keiji, fosse calato un improvviso silenzio. I bambini lo fissarono, un po’ diffidenti, un po’ speranzosi, forse curiosi di conoscere la soluzione al loro problema, ma ancora incerti su cosa pensare riguardo il giovane.

Hikari, sorpresa e curiosa, lo fissò a sua volta, cercando di interpretare i suoi pensieri. Cosa aveva in mente, tanto particolare da indurlo a parlare in pubblico dopo la sua esitazione sempre presente?

E Takeru alzò gli occhi, disorientato da tanto silenzio. “Pensavo che, magari, si poteva … immaginare la conclusione, ecco. Se è tanto piaciuta la fiaba …”, esordì, incerto. “Non dovrebbe essere poi così difficile.”

E lo stupore fu così grande che la cosa più difficile, per Hikari, fu credere che una frase del genere fosse stata davvero pronunciata. Era tutto così permeato di irrealtà che sembrava di star vivendo un momento fuggevole quanto inesistente.

Quella era una trovata che non era venuta in mente a nessuno di loro, che da tanti anni vivevano con i bambini. Era una trovata che aveva avuto Takaishi Takeru, che tanto dubitava di sé, ma che aveva dimostrato, forse per la prima volta, di aver capito la regola fondamentale dei piccoli.

Giocare.

Ma probabilmente non si sarebbe mai decisa a parlare, se non l’avesse scorta. Quella luce negli occhi azzurri quasi nascosta, di cui forse Takeru anche si vergognava. Ma si era accesa appena aveva finito di parlare, e non ne voleva sapere di andarsene.

Sorrise. “Prova, Takeru-kun. Immaginiamo un finale.”

“Eh? Io?”

E lo smarrimento nell’espressione di lui balenò all’improvviso, mentre si schermiva. “Non credo di esserne capace. Potreste provarci voi, e …”

“Ti prego, Takeru-san! Raccontaci la fine della storia!” Intervenne Naoko con tono supplichevole, e Hikari vide con rinnovato piacere che, pian piano, gli altri bambini avevano cominciato a fare eco delle sue parole.

“Per favore, dai!”

E rise, quando Takeru la guardò con un’aria a metà tra l’imbarazzato e il tradito. “Davvero, davvero non lo so fare, Hikari-san. Perché mi hai messo in questo pasticcio?”

“Hai fatto tutto da solo, sai? L’idea è stata tua”, replicò lei, ricambiando l’occhiata serenamente. “Devi solo provare. Se la trovata è stata tua, avrai immaginato qualcosa, no?”

Takeru sembrava ancora dubbioso. “Ma davvero, non …”

“Fidati. Potresti imparare qualcosa, e non sto mentendo.”

Era vero. Hikari non credeva si potesse trovare qualcosa di più ricco di insegnamenti.

E lasciò che le sue labbra si piegassero in un ulteriore sorriso, quando il giovane si arrese. “D’accordo.” Disse piano, per poi guardare i bambini e sospirare di nuovo. “D’accordo! Lo farò!”, esclamò a voce più alta.

E il silenzio improvviso durò giusto il tempo che occorse ai bambini per rendersi conto di quello che era successo; poi esplosero in urla di gioia, e fecero a gara a chi conquistava i luoghi più vicini al nuovo narratore, per poter sentire meglio.

Ormai tutti gli occhi erano puntati su Takeru, compresi quelli di Hikari. Lei cercava di leggere nella sua espressione quella storia che poteva quasi vedere formarsi nella sua testa.

E Takeru fissò a lungo il principino nel disegno, quasi volesse far suoi quegli occhi, quel carattere, quei lineamenti. E non li staccò da quel foglio nemmeno quando iniziò a parlare, incerto e concentrato.

“Fu allora che il principino vide, alla sua destra, un enorme prato, con una distesa immensa di fiori coloratissimi e di tutte le forme. Era davvero uno spettacolo meraviglioso: ognuno di loro brillava al suo interno, come se ci fossero migliaia di lucciole in ogni corolla. Il bambino, incuriosito, fece per avvicinarsi ad un fiore azzurrino, quando all’improvviso apparve accanto a lui una donna bellissima, incoronata di fiori, e circondata di luce. Lei disse al principino che era la guardiana di quel giardino: il suo compito era quello di impedire ai malvagi di cogliere quei fiori, e di usarli per conquistare il potere. Il bambino le chiese dove avrebbe potuto trovare il fiore della Purezza, e la donna sorrise. Cammina davanti a te, guarda bene e lo troverai in mezzo agli altri. Solo così potrai portarlo con te, gli disse, e poi sparì.

“Allora lui fece come gli era stato detto. Camminò e camminò, guardandosi intorno: c’erano tantissimi fiori, tutti bellissimi, ma non sapeva quale fosse il fiore che sua mamma gli aveva chiesto di cercare. E camminò finché non sentì un profumo buonissimo, che nessun fiore aveva mai emanato. Si alzò in piedi, e seguì quel profumo, curioso di sapere da dove provenisse, finché non si ritrovò davanti ad una piccola aiuola, all’interno della quale c’erano solo tre fiori, di grandi dimensioni.

“Uno era rosso fuoco, con petali grandi e delicati, e sembrava che brillasse più degli altri: era alto, con uno stelo sottile e leggermente ripiegato su se stesso; l’altro era blu notte, misterioso e attraente, più basso del primo, ma dritto e imponente; l’ultimo, era l’esatto opposto, con i suoi petali grigiastri e appassiti, lo stelo afflosciato, le foglie appassite: era così brutto che il principino lo guardò solo per un momento, e si concentrò sugli altri due. Forse uno dei due può essere il fiore della Purezza, pensava. Ma era indeciso su quale dei due scegliere, perché erano entrambi i fiori più belli che avesse mai visto.

“Il principino decise di cogliere il primo fiore, e si chinò per raccoglierlo. Ma quando stava per staccarne lo stelo si accorse di un particolare: l’odore emanato da quel fiore luminoso era sgradevole, non era quello che aveva sentito. Allora andò verso il fiore blu, ma l’odore era ancora più sgradevole del primo. Accanto a sé non c’erano altri fiori, solo quello grigio e rinsecchito: si avvicinò a quel fiore, non sapendo cosa fare, ma rimase sorpreso: era proprio quel fiore così brutto ad emanare quel profumo così buono.”

Un moto di stupore seguì l’ultima parte della fiaba: nessuno dei piccoli, fino a quel momento, si era aspettato un simile capovolgimento di eventi.

E Hikari non riusciva più a nascondere un sorriso luminoso, ormai.

Takeru era venuto lì con tutta l’intenzione di imparare da loro, da lei. Ma probabilmente non si era accorto che ad apprendere qualcosa di lui sarebbero stati loro.

Quella fiaba parlava di Takeru molto di più dei suoi stessi discorsi.

“E il principino, deciso, colse quel fiore grigio, per via di quello che poteva sentire e non vedere. E improvvisamente il fiore si illuminò di una luce abbagliante, e quando il piccolo aprì nuovamente gli occhi, si ritrovò di nuovo accanto alla cascata. Ma il fiore che aveva tra le mani non era più morto: era bianco, immacolato, e bellissimo. Era davvero il fiore della Purezza che sua madre gli aveva detto di cogliere.”

“E poi?”, incalzò ad un tratto Junichi, interessato. “Andò a salvare il suo popolo e il consigliere con il drago?”

Vide Takeru alzare lo sguardo, e fissare il bambino come se non credesse ai suoi occhi, come se il senso di meraviglia per quello che vedeva lo stesse sopraffacendo. Poi annuì. “Certo. Corse dal suo consigliere ferito, e allora il fiore si illuminò, e fece scappar via il drago, e guarì le ferite dell’uomo. E bastò desiderare di tornare subito a casa perché il fiore ubbidisse al suo comando.

“Il regno era diventato un luogo nero e triste, e l’usurpatore si arricchiva dei beni che sottraeva al popolo. Il principino andò al castello, ma non volle combatterlo: desiderò che suo zio perdesse ogni potere, e così fu. Il mago cattivo venne chiuso in prigione, e il regno tornò ad essere prospero e bello per sempre.

“Il principino regnò per tutta la vita con saggezza e bontà, sempre accompagnato dal suo fido consigliere. Ma non dimenticò mai il fiore che aveva raccolto: lo tenne con sé, nel suo giardino più bello, e lo osservò ogni giorno, perché sapeva che un buon re deve essere sempre puro di cuore, per potersi prendere cura del suo popolo.”

Lo sguardo di Takeru divenne timido, quando infine tacque.

“Cosa ne dite?”

“E’ una storia meravigliosa!” strillò Ryoko, finalmente asciugandosi le lacrime e saltellando per la gioia, e presto commenti simili si levarono da ogni dove.

“Caspita: chi lo immaginava che avessi tanta inventiva?”, commentò Mimi, felicemente stupita, e gli sorrise con aria ammiccante.

Asami si alzò in piedi, dichiarando allegramente: “Sarebbe bellissimo avere un fiore magico!”

Keiji fissava Takeru con tanto d’occhi, la bocca spalancata fino a formare una buffa O. E per una volta non ebbe il coraggio di commentare nulla contro di lui.

E nello stupore generale, Takeru si aprì in un sorriso entusiasta. Guardava i bambini come se lo spettacolo fosse il più bello che avesse mai visto, e i suoi occhi brillavano di una gioia difficilmente spiegabile a parole.

Ma mentre lui era preso dal suo pubblico, Hikari osservava il giovane come se fosse lui lo spettacolo più bello che avesse mai visto.

Non aveva mai visto comparire sul suo viso un sorriso tanto bello. Forse non si era mai nemmeno accorta di quel lato semplice e dolce del suo carattere, che inquietudine e solitudine avevano tentato in tutti i modi di soffocare e nascondere.

Ma ora li vedeva in tutta la loro chiarezza.

E sentì il suo cuore accelerare inspiegabilmente i battiti, mentre continuava a guardarlo. Perché il suo viso era davvero bello, ora che una luce timida, ma più forte di quella del fiore della Purezza di cui aveva parlato, cominciava a porre, pian piano, le basi per un piccolo castello di sogni e speranza nei suoi sorpresi occhi azzurri.



Bene, molto bene. Un capitolo più chilometrico non poteva uscirmi xD Ma pazienza... Dopotutto c'erano da analizzare diverse cose, e ho preferito non dimezzarlo. Per me aveva più senso lasciarlo così com'è u.u
Comunque sia, bentrovati :) andando avanti con le pubblicazioni mi rendo conto che questa storia è qui da quasi un anno... E dovrebbe essere un anno preciso da quando l'ho ideata per la prima volta. Per me è davvero un bel traguardo, considerando quanto impegno richieda scrivere una storia del genere... E mi sento lusingata una volta di più dai vostri commenti fantastici. Sul serio: sono commossa ** ripagate un anno di fatiche, e non potrò mai ringraziarvi abbastanza!
marghepepe, mi fa piacere aver risolto l'equivoco con Satsu: avevo davvero pensato al peggio, scusami ^//^ piuttosto, mi hai lasciato una recensione interessante da diversi punti di vista, e per questo ti ringrazio. Prima di tutto, per la questione di Ken e Osamu, che dici di non aver mai sentito vicini come Yamato e Takeru, o come Taichi. Ti dirò... anche a me è occorso più tempo per comprenderli del tutto, perché io trovo che il loro rapporto sia molto più complicato di quello tra le altre due coppie di fratelli. La mia passione per loro è iniziata quando ero grande abbastanza per capirli ^^ e ad ogni modo li trovo molto interessanti da analizzare. Poi ... la questione Takeru. Dici che la Rai ne ha travisato il personaggio? Mmm ... non sono totalmente d'accordo, a dirla tutta. Ho visto tutta la serie in giapponese, e ti do ragione sulla questione della censura delle parolacce, ma a me sembra che il Takeru italiano soffra esattamente come quello giapponese. Non so ... sarà questione di opinioni xD Infine, ti ringrazio anche per aver tentato di indovinare l'identità del padre di Keiji :) ma preferisco non rivelarti nulla per questione di suspence xD e mille grazie anche per i complimenti! Aspetto pareri  **
Shine, ogni volta che leggo una tua recensione mi sembra sempre che tu abbia capito appieno ciò che volevo dire di ogni protagonista di cui tratto ... e l'analisi che fai delle sensazioni e delle vicende che riguardano Ken sono, lo ammetto, le mie preferite. Forse perché si vede che lo adori ^^ Mi fa tantissimo piacere leggere, ogni volta, l'interpretazione che dai ai miei aggiornamenti: è in questi momenti che penso davvero che il mio lavoro serva pure a qualcosa xD E i complimenti sui fratelli di Miyako sono davvero preziosi: credo che tu sola possa sapere quanto mi è stato difficile renderli così sofferenti -dopo tutto il retroscena che tu sai-, e quanto, soprattutto, è difficile differenziare le reazioni tra loro. Grazie, grazie per ogni parola che spendi per questa storia ^^ e ovviamente per la lunghezza dei pareri, per i dettagli ... li adoro sinceramente **
Un grazie e un bacione grande anche a Mystery Anakin, che purtroppo stavolta non ha potuto lasciarmi una recensione causa esami ... non credere che anche soltanto leggere e apprezzare non sia una gran cosa, per me ;) e terrò ben presente i tuoi sospetti riguardo il padre di Keiji!
Ancora una volta un grazie a chi legge e segue in silenzio :) al prossimo capitolo!
Padme Undomiel

   
 
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