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Autore: Gackt_Agito    25/06/2010    0 recensioni
« Questa che sto per raccontarti è una storia vera, nipotina mia. Ascoltami. » sussurrò il vecchio « Desidero che qualcuno la conosca, prima che io abbandoni questo mondo. E se ti piace, vorrei che un giorno tu la raccontassi ai tuoi figli, e loro ai propri figli e così via per generazioni. Perché finché ci sarà qualcuno a ricordarsi di Samuel e Zackarhia, allora non morirò. E neanche lui morirà. I nostri ricordi vivranno insieme per sempre… »
« Parli di te e di quel ragazzo che amavi in gioventù, nonno? »
« Sì, tesoro. Non ti ho mai raccontato la storia… Ma adesso voglio farlo. Ora ascoltami. »
« Racconta: io ti ascolto. » Poi si voltò verso Josh. « Tu sei troppo piccolo. Vai via, su. »
« Uffa! » Piagnucolò il bambino. Ma, da bravo, prese le sue cose e se n’andò ugualmente. Madeline volse il viso di nuovo verso il nonno, sorridendo. Con un gesto delle mani, lento, lo invitava a parlare. Il vecchio sorrise appena.
« Questa storia inizia come le favole, tesoro mio… » e respirò lentamente, come se gli facesse male.
La bimba annuì, silenziosa.
« Inizia con un C’erano una volta… un ragazzino, un bambino ed un husky. »
E le raccontò la storia della propria vita.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C apitolo U ndicesimo
~you're my eternity



Si accese una sigaretta ed aspirò forte.
Poi buttò la schicchera per terra, dove capitava. Sbuffò e si sedette su uno dei gradini dell’aeroporto. Apatico come non era stato mai, guardava per terra senza muovere neanche un muscolo. Era in anticipo e lo sapeva: iniziò a tossire, perché abitualmente non fumava. Quasi si affogò con la saliva, e già che c’era poteva cadere per terra e lasciarsi morire. Al suo fianco c’era una valigia di dimensioni notevoli, e dentro poteva esserci qualunque cosa e anche niente. Ma sicuramente racchiudeva una vita passata a fare niente. Aspettava la sua famiglia per partire, era andato lì prima perché a casa non c’era niente da fare. Voleva lasciare Berlino il prima possibile, ormai. Non c’era più niente a trattenerlo lì.
Gli venne l’amaro in bocca, e sputò per terra, fra le gambe divaricate sulle quali poggiava le braccia. C’era un freddo cane, infatti era infagottato nel giubbotto di pelle e nella sciarpa. Dentro c’era sicuramente più caldo, ma la voglia di entrare scarseggiava.
Rimase dov’era per interminabili minuti, finché il cellulare non decise di squillare. Ma fu un momento, perché lo afferrò e lesse il messaggio.
Stiamo arrivando. Ah, va bene. Chi altro poteva essere infondo? Socchiuse gli occhi, pigiò un paio di tasti e scorse la rubrica telefonica. Sospirò, rivedendo quel suo maledettissimo numero. Lo sapeva a memoria. Che delusione era stata sentire quelle parole da lui... E dire che aveva sempre capito il contrario, ma ormai non importava più. Gli aveva dato quell’unica possibilità di farlo restare e l’aveva bruciata. Se Zackarhia l’avesse amato sul serio, sicuramente non lo avrebbe fermato così. Rimase a rifletterci per istanti che duravano un’eternità ciascuno. Chiuse gli occhi.
Ehi, Samuel.
Sì?
Sei la mia eternità.

Spalancò gli occhi e scosse la testa con forza, prendendola fra le mani. « Basta Sam, finiscila! » Si sussurrò a denti stretti. Non doveva ricordare tutto quello. Faceva male. Tutte quelle cazzate, tutte quelle cose dette lì per fare… figura? Per rendersi bello? Era davvero tutta una farsa? Non ci voleva pensare più. Voleva dimenticarlo in modo definitivo. Una volta per tutte. Doveva cancellarlo, perché Samuel voleva cancellarlo…
« Samuel! Siamo qui! »
Il ragazzo alzò gli occhi. Sua madre, suo padre, suo fratello e la sua piccola sorellina erano tutti lì. Si avvicinavano con calma portando pesanti valigie appresso. Gli scappò un sorriso. Che cosa stai facendo, Samuel? Scosse la testa. Se ne stava andando senza averlo visto un’ultima volta. Se ne stava andando per sempre con quell’orribile ricordo di lui. Di Zackarhia. Ma non è possibile. Quest’idea s’intrufolò nella mente di Samuel. Non è possibile che dopo diciassette anni sia così. No, infatti. Sam lo conosceva benissimo, e poteva giurare che c’era qualcosa che non andava.
C’era arrivato maledettamente in ritardo. Abbassò la testa e spense la sigaretta sui gradini, poi si alzò. Si stiracchiò un po’ e afferrò la sua valigia.
Quando la sua famiglia lo raggiunse, per un attimo gli sembrò di vedere qualcosa dietro le spalle di suo padre, in lontananza, ma subito rifugiò l’idea da un’altra parte. Salì i gradini che lo separavano dalle porte a vetri per entrare all’aeroporto. Poi si fermò.
« Sam, qualcosa non va? » Domandò sua madre, voltandosi in sua direzione. Lo osservò esitare, fermo sul posto. « Hai dimenticato qualcosa a casa? »
Samuel abbassò lo sguardo. « Non ho salutato. » Sussurrò.
« Non hai salutato, chi? »
« Zackarhia. »
Sua madre lo osservò, confusa. « Ma, tesoro… non avevate litigato? Mi hai detto così l’altro giorno, pensavo che… »
« Non l’ho salutato. » Insistette. Lasciò cadere la valigia per terra, che si sbilanciò e ruzzolò all’indietro lungo le scale. « Voglio vederlo. »
« L’aereo parte tra un’ora, non hai il tempo di andare da lui e tornare qui, abita troppo distante. Lascia stare per questa volta, tesoro. Durante l’estate verremo a trovarlo, okay? »
« Non è la stessa cosa. Non posso partire senza salutarlo. »
Il padre di Samuel si voltò. « Non potevi pensarci ieri, razza d’idiota? »
« Ieri lo odiavo a morte. » Ammise Samuel.
« E oggi? »
Samuel sollevò lo sguardo verso sua madre e suo padre. Distese stupidamente le labbra e iniziò a ridere. Portò una mano alle labbra e rise. Rise e basta. Poi scosse la testa. « Oggi è diverso! » Esclamò. Si voltò, dando le spalle ai suoi genitori. Scese i gradini di corsa e poi si voltò. « Partite senza di me. » Disse loro.
« COSA? » Urlò il padre.
« Papà, non posso partire ora. » Samuel sorrise. Poi prese a correre verso la stazione degli autobus.
« SAMUEL, TORNA QUI! »
Il ragazzo corse, e corse a perdifiato, fino a salire sul primo autobus che riportava in città. Rideva come un cretino, coprendosi il viso con le mani, e piangeva. Chi stava prendendo in giro? Non poteva odiarlo, e non poteva partire senza di lui.
No, papà, non posso partire. Ieri l’odiavo, ma oggi lo amo. Lo amo immensamente.





   
 
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