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Autore: Ashbear    28/06/2010    1 recensioni
Rinoa e Squall. È la caduta che definisce il tuo cammino attraverso la vita. È come continui a vivere dopo la caduta che definisce chi sei. In un secondo, un proiettile ha cambiato tutto. Se le parole che hai confessato non dovevano essere sentite, non sarebbe abbastanza cancellare il passato?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Rinoa Heartilly, Squall Leonheart, Zell Dincht
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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AFTER THE FALL
di Ashbear, tradotto da Alessia Heartilly
~ Capitolo VI. Your Thousand Seas ~

Il Comandante tornò camminando all'albergo, chiedendosi perché avesse sentito il bisogno di seguirla come prima cosa. Non era che l'incontro avesse fatto del bene a uno dei due, aveva solo reso peggiore una situazione imbarazzante. Eppure, dopo tutto questo tempo, sentiva un inspiegabile bisogno di darle conforto, e comunque l'unica cosa da cui lei aveva bisogno di essere salvata era lui. Aveva giurato che non avrebbe permesso alle sue emozioni di tornare in superficie, che le avrebbe soppresse nella parte interna della sua anima che le aveva custodite così a lungo. Aveva velocemente perso la battaglia quel giorno. Diavolo, aveva perso la battaglia quando l'aveva vista per la prima volta dalla finestra della chiesa.

Il giovane uomo dietro al bancone lo fissò mentre entrava nell'albergo. Con un leggero cenno di saluto, l'ex Cavaliere si diresse all'ascensore senza una parola. Dannato barista. Il giovane lavoratore lo stava guardando in modo arrogante, perlomeno secondo l'opinione di Squall. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era un qualche dannato senso di colpa per un estraneo che lo giudicava.

Il tragitto al secondo piano gli sembrò una piccola eternità, e mentre copriva la distanza rimanente verso la sua stanza, gli sembrò l'equivalente di qualcosa di perpetuo. Il Comandante si trovò a fissare impotente la porta di Rinoa, chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse trovato il coraggio di bussare. Se avessero potuto lasciarsi alle spalle una parte del passato, se c'era un infinitesimale frammento di speranza.

Certo che no, perché adesso?

Se avesse voluto combattere per lei, avrebbe dovuto farlo molto tempo prima. Lei aveva reso chiaro come l'acqua che lui non era il benvenuto, e l'unica cosa che poteva fare era rispettare i suoi desideri. Ci teneva a lei fino a quel punto. Nel profondo del cuore, sapeva che l'avrebbe soltanto ferita di nuovo; non aveva mai meritato il dono che lei gli aveva fatto così spontaneamente. Quello che lui aveva spontaneamente accettato, e che aveva poi scambiato per il tradimento e per un titolo.

No, non avrebbe mai potuto bussare alla sua porta... né ora, né mai.

Erano le sue decisioni ignobili a costargli di più di quanto avrebbe mai saputo. Due matricole, la sua considerazione di sé, e l'amore di cui non era mai stato degno. Non importava cosa affermassero i rapporti ufficiali, come le sue azioni fossero state liquidate dal Garden, dal Consiglio. Ai loro occhi, lui non poteva fare nulla di male; era quasi perverso il modo in cui era ancora riverito da loro, dal Preside. Eppure c'era una persona da cui non avrebbe mai ricevuto l'assoluzione - e quella era l'unica sentenza adatta per i suoi crimini.

La chiave scivolò nel lettore e la luce dell'indicatore si accese di una sfumatura iridescente di verde. Fece alcuni passi nella stanza, desiderando per un momento che Lauren non si fosse fatta viva quella sera. Non era che lui l'avesse invitata, o persino che fossero andati di proposito come coppia. Lei c'era e basta. Non erano una coppia... lei era solo... beh, non era lei, Dio, non poteva nemmeno spiegare la sua presenza nella sua vita a se stesso, figurarsi a qualcun altro.

E quello era tutto ciò che Lauren avrebbe mai potuto essere, qualcuno che non lo amava. Andava bene, perché in quel modo non avrebbe potuto ferirla. Lauren aveva una sola cosa in mente, ambizioni di carriera, e con quello per lui era molto più facile relazionarsi. Non si era mai lamentata dei suoi orari, o di come volesse passare più tempo con lui. Soprattutto, lei non gli avrebbe mai fatto scegliere tra le due cose...

Ma di nuovo, nemmeno Rinoa non l'aveva mai costretto a decidere - aveva preso quella decisione solamente di sua spontanea volontà.

Si sbottonò la camicia e la gettò su una sedia vicina. Lauren stava già dormendo e lui ne era grato. Non sapeva se lei gli avrebbe chiesto cosa era successo, ma in quel momento, non avrebbe dovuto preoccuparsene comunque. Si spogliò, rimanendo in boxer, prima di stendersi sul letto. Tutto quello a cui riusciva a pensare era che Rinoa era così vicina a lui, eppure mai così lontana. Passandosi una mano tra i capelli, rotolò sulla schiena, fissando il soffitto.

*~*~*~*~*

Rinoa si strofinò il naso sospirando, quella era veramente la cosa più inutile che provava a fare da tantissimo tempo. Non c'era modo a parte un piccolo miracolo, o l'uso di una magia, di riuscire a dormire almeno un minuto. Scalciò via le coperte disgustata, prima di voltarsi e fissare duramente il luccichio sarcastico della sveglia digitale. Erano passati ben due minuti dall'ultima volta che aveva controllato... avrebbe potuto giurare che ne fossero passati almeno cinque. Quella notte sarebbe durata per sempre - e non era un eufemismo.

Di nuovo sospirò, allungandosi verso i suoi piedi, e afferrò il lenzuolo che aveva scalciato via pochi minuti prima, rendendosi conto che ora aveva freddo. Quell'intera giornata non stava andando come avrebbe dovuto... ma come avrebbe dovuto essere? Non ne aveva idea. O sì? Si sentiva sempre come se qualcosa nella sua vita fosse rimasto non finito, non fatto, non detto? Se davvero fosse stato semplice quanto dirgli addio, perché non riusciva semplicemente a trovare il coraggio di farlo? Perché non poteva semplicemente alzarsi, andare alla sua stanza, bussare alla sua porta, e dire addio? Ok, di sicuro avrebbe svegliato lui e la sua ragazza e quello era qualcosa con cui non voleva davvero avere a che fare in quel momento.

Non poteva biasimarlo, era contenta per lui, e per quanto fosse duro per lei ammetterlo, era quasi invidiosa di lui. Sembrava avere tutto ciò che aveva voluto tre anni prima; ora lui sapeva esattamente cosa voleva dalla vita. Sarebbe stato Preside visto l'annuncio recente del ritiro di Cid, e aveva tutti i suoi amici a dargli supporto. Aveva Lauren, che sembrava davvero 'carina', per quanto fosse duro persino da pensare. E il ragazzo che aveva a malapena parlato quando si erano incontrati sotto una stella cadente, quel giorno aveva ballato, aveva sorriso, e aveva persino trovato il tempo di sapere qualcosa di più di lei quella sera. Sì, la sua eccitante routine quotidiana di lavoro e, beh, altro lavoro. Ironico. Di sicuro lui non aveva bisogno di conoscere quella parte - mai. Forse era stato un bene che avesse visto quanto bene lui stesse senza di lei; non era che lui avrebbe mai bussato alla sua porta. Forse una volta che fosse tornata a Timber avrebbe potuto fare uno sforzo consapevole per cercare di iniziare la sua vita. Forse aveva davvero bisogno solo di dire addio.

Ma allora perché qualcosa sembrava così sbagliato?

Forse il tempo le aveva fatto guardare le cose in maniera diversa, vedere le cose per come erano davvero allora. Aveva sempre cercato di comportarsi da innocente, aveva sempre cercato di recitare quel ruolo. No, non avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo ad Esthar, ma parte di lei si chiedeva se non fosse parzialmente responsabile. A lui erano state buttate addosso tante cose, così tanto di più di quello che chiunque avrebbe mai potuto aspettarsi di affrontare e comunque lui aveva costantemente superato tutti gli ostacoli posti sul suo cammino. In pochi, brevi mesi era passato da matricola a SeeD, da soldato a Comandante, da sconosciuto a salvatore, e da orfano a figlio di un Presidente.

Lei aveva cercato di dargli spazio; aveva cercato di dargli supporto. Ma eccola che era sempre stata nel mezzo del tumulto che circondava la vita di lui... da cliente a qualcuno per cui aveva quasi dovuto fare da 'baby-sitter', da qualcuno che viveva al Garden a fidanzata, e da qualcuno con cui scappare il fine settimana a qualcuno che chiedeva di passare la notte nella sua stanza - senza curarsi ciò che pensavano gli altri. Come avrebbe potuto fare lui a non sentire una sorta di pressione in più? Senza parlare dell'intero impegno di essere un Cavaliere, qualcosa che lei gli aveva praticamente buttato addosso senza lasciargli scelta. Sì, lui aveva accettato, ma quanto aveva saputo davvero, quanto aveva capito davvero? Nessuno di loro due lo aveva fatto.

Sin da quando aveva cinque anni aveva conosciuto un unico tipo di vita, un modo organizzato e strutturato di sopravvivere... non il modo spensierato in cui lei era scappata di casa da adolescente. Diamine, aveva persino criticato il suo stile di vita nel campo da basket di Trabia, e lui le aveva comunque chiesto di combattere con loro... forse avrebbe dovuto cogliere l'allusione fin da allora. Ma no, lei era troppo testarda, troppo egoista. Aveva spesso cercato di pensare al momento in cui si era davvero sentita 'innamorata' di lui, ma onestamente non c'era un unico momento ben definito. Forse era ciò che rendeva la loro relazione così speciale. Avrebbe potuto essere un'attrazione a prima vista, una reazione fisica, forse qualcosa che la sua anima sapeva ma il suo cuore no, ma non era stato fino a più avanti che aveva potuto onestamente dire che fosse amore. Fino al momento in cui avrebbe volentieri dato la vita per lui senza fare domande, se quello era amore, o forse qualcosa che andava oltre... forse qualcosa tra Strega e Cavaliere. Ma qualunque cosa fosse, si era resa conto quella sera che per quanto tempo fosse passato, per quanto volesse essere arrabbiata, odiarlo, odiare le cose che lui aveva fatto, provava ancora qualcosa per lui. Forse era per questo che non poteva ancora dire addio - ma lui l'aveva fatto.

*~*~*~*~*

Lui era coricato in silenzio, ad ascoltare ogni suo respiro. Il suo respiro profondo e regolare. Alcune notti ne aveva tratto conforto, sapere di essere vivo... avere il miraggio di una relazione per gli altri. Ma quella sera era diverso, nella stanza accanto a lui c'era l'unica cosa che desiderava... l'unica cosa che non poteva avere. Era colpa sua e questa era la sua punizione. Per quasi tre anni, aveva superato qualsiasi giorno, ma quel giorno era diverso. Quel giorno era il primo giorno che non voleva superare... e quello lo spaventava a morte.

Questo posto era pieno di così tanti ricordi. All'inizio, dopo Artemisia, era così preoccupato delle apparenze che lui e Rinoa si toglievano di torno per mantenere una sembianza di innocenza. Come avesse pensato di poter reprimere quei ricordi andava oltre la capacità mentale di chiunque, molto oltre la sua. Le loro fughe del fine settimana erano alcuni dei ricordi che avrebbe custodito di più nella sua vita, quando erano ovunque tranne che al Garden. Timber, Balamb, Dollet... avevano fatto vacanze del fine settimana praticamente da ogni parte del globo.

Forse per due brevi giorni poteva quasi dimenticare di essere il Comandante ed essere la persona che voleva. La persona che voleva essere per lei, il Cavaliere che sentiva che lei meritava di avere. Ma non aveva mai del tutto funzionato così; e il Garden aveva il suo modo di diffondersi nella sua vita come un cancro... uno che si sarebbe rivelato altrettanto letale e indiscriminato. Non aveva mai trovato il modo di separare completamente se stesso dal suo comando, persino allora.

Rinoa aveva sempre cercato di sorridere allora. Aveva cercato di non mostrarsi ferita, ma lui poteva vederlo - poteva sentirlo. Ma in tutto quel tempo non aveva mai avuto il coraggio di chiederle che cosa volesse davvero, vivevano sempre secondo regole e regolamenti che lui aveva stabilito. Era strano come allora non potesse vederlo, ma ora lo vedesse chiaramente... tutto quello a cui lei aveva rinunciato senza chiedere nulla in cambio a parte... beh... che lui fosse se stesso e basta. E non era riuscito a fare nella maniera giusta nemmeno quello.

Voltandosi verso la finestra, fissò il balcone. Ricordava di essere stato in una stanza d'albergo quasi identica a questa. Era sullo stesso dannato piano, diamine, avrebbe potuto essere esattamente la stessa stanza, avevano iniziato tutte a confondersi dopo un po' di tempo... il tempo aveva un modo tutto suo di mescolare le realtà con le fantasie.

Ricordava solo l'aria piena di sale, insieme a una brezza calmante. Ma più di tutto ricordava di aver fatto l'amore con lei e poi di averla abbracciata fino a quando si era addormentata tra le sue braccia. Era strano come avesse dato per scontato le piccole cose... forse era perché non voleva ammettere a se stesso di aver aspettato che lei si addormentasse per andare al suo portatile e lavorare senza che lei si arrabbiasse. Ma non voleva ricordare quella parte, avrebbe potuto andare al suo computer e farlo adesso. Stare con lei era perso nel tempo, perso nei suoi ricordi... ma il Garden e il suo lavoro erano ancora lì. Ogni giorno. L'unica costante della sua vita, anche più dei suoi amici.

Forse nel profondo sapeva quando le cose avevano iniziato a cambiare. In superficie era lo stesso mondo di zucchero in cui voleva credere, in cui lei voleva così tanto credere, ma dentro, era lo stesso incubo che aveva negato fin dall'infanzia. Le apparenze arrivavano solo a profondità di pelle, e allo stesso modo forse la sua abilità di ingannare se stesso...

Qualcosa lo aveva svegliato una mattina lì a Balamb, e si era vestito prima dell'alba. Era stata la loro ultima volta in quell'albergo come coppia, ma allora non lo sapeva... a dire il vero aveva programmato di chiederle di sposarlo entro poche settimane, a dire il vero aveva scelto l'anello. Forse era meglio che lei non lo sapesse mai. Ma quella mattina era stato sul balcone da solo, aveva guardato il cielo illuminato dalle stelle, e ascoltato le onde che si infrangevano in migliaia di mari. Forse era una qualche specie di presentimento telegrafato nelle sottili sfumature della natura, che lui era troppo ignorante per afferrare. Forse era troppo preso dai suoi stessi difetti, preoccupato di come chiederglielo, preoccupato della sua risposta, preoccupato del tipo di marito che sarebbe stato. Forse era troppo preoccupato di tutto, tranne di quello che era proprio davanti a lui.

Guardò i piccoli insetti che volavano intorno ai lampioni e alle luci alogene. Assorbì ogni piccolo dettaglio nei suoi sensi, scavandoli per sempre nel ricordo di quel momento. Non se ne era mai reso conto allora, quella era la parte più stupefacente di tutto, senza mai saperlo fino a quando non era stata strappata dalla vera essenza del suo essere. Eppure i ricordi sarebbero rimasti per sempre solidi, cesellati nella pietra come una buona muratura.

Attraverso il suo stupore illuminato dalla luna, quella notte forse nel profondo lo sapeva... sapeva che non sarebbe, che non avrebbe potuto durare per sempre. Nessuno poteva prevedere il futuro, giusto? Forse lui poteva. Diamine, voleva che durasse, ma aveva troppi dubbi, troppe paure. Per quanto cercasse di seppellirle, trovavano sempre il modo di tornare in superficie. Lei aveva sempre avuto l'illusione che l'amore avrebbe potuto e avrebbe vinto su tutto, e beh... forse poteva... se avesse creduto in se stesso - creduto in loro, riposto la sua fiducia in qualcos'altro che copie carbone e domande in triplice copia che trovava nella burocrazia del Garden. Poi si voltò a vederla lì, che dormiva... pacificamente.

Si mise le braccia dietro la testa, ricordandolo come se fosse successo il giorno prima.

*~*~*~*~*

Lei si tirò le lenzuola sulla testa mentre lui si sedeva sul letto. Sorrise alla sua figura, facendo scorrere gentilmente la mano su quella che credeva essere la sua spalla. Non smetteva mai di meravigliarlo quanto il contatto più semplice potesse farlo sentire vivo. Il contatto umano che aveva evitato così tanto, ora lo desiderava così tanto, anche attraverso la barriera sottile del tessuto.

"Rin, alzati."

"Che cosa vuoi?" grugnì lei irritata.

"Dai, alzati, voglio farti vedere una cosa."

"È notte fonda... e se ti stai riferendo a 'quello' come a 'una cosa', l'ho già visto... e dalle esperienze passate 'quello' ci sarà ancora domattina."

"Non intendo nemmeno commentare... ora alzati."

"Non capisci che il fine settimana di vacanza significa stare a letto?"

"L'ho fatto! Sono già passate le cinque. Ora alzati."

"È dannatamente troppo presto, Leonhart..."

"Ora basta," affermò con fermezza. In una mossa veloce, le fece fare quasi un giro completo nelle lenzuola. Lei si sarebbe infastidita se non fosse che stava ridendo. Lui mise entrambe le braccia sotto di lei, formando una specie di bozzolo. Lei usò le mani per liberarsi, scoprendo la testa.

"Non sono vestita!" protestò mentre lui riusciva ad aprire le porte scorrevoli di vetro con una mano.

Usò il piede per aprire la porta fino in fondo, prima di portarla fuori. "Beh, quello può essere il nostro piccolo segreto, ok?"

"Squall! Non posso credere che lo stai facendo!" Si strinse fermamente il lenzuolo sul seno, sperando che nessuno dalle stanze accanto guardasse sul loro balcone.

"Già, dillo più forte e lo sapranno tutti gli altri ospiti. Fidati di me e basta."

"Fidarmi di te, tu sei quello completamente vestito!" rise lei mentre lui si sedeva su una sedia da veranda.

"Avresti dovuto ascoltarmi."

"Non ci provare nemmeno."

"Beh, non hai sempre voluto guardare l'alba nuda?"

"Uhm... no... assolutamente... NO!" Ricadde contro il suo petto, sempre tenendosi stretto il lenzuolo sul seno. Piegò la testa così che i loro occhi si incontrarono e lui le rivolse un sorriso malizioso.

"Oh, mi sa che ero io a voler guardare te che guardi l'alba nuda."

"Pensi sempre solo a quello."

"No, penso a due cose... l'altra è stata momentaneamente abbandonata per il fine settimana, ma sarà completamente operativa lunedì mattina. Oh, ho dimenticato di dirti che Cid pensa che possiamo ottenere i fondi-"

Lei si allungò con una mano libera, cercando di coprirgli la bocca dal suo angolo scomodo. "Smettila... sembrano discorsi di lavoro. E non ce ne saranno questo fine settimana. Abbiamo regole, ricordi?"

"Ma..." iniziò a dire lui, ma lei mosse la mano sulla sua bocca.

"Niente ma... solo sole." Tolse la mano, ma la rimise velocemente a posto pensando prima di lui. "E non provare nemmeno a pensare di fare una battuta sul mio 'sedere'(1), Squall. Mi hai fatto alzare, e ora guardiamo questa dannata alba... capito?"

Lui annuì, e lei tolse la mano, mentre sorridevano l'uno all'altra sotto il luccichio alogeno della luce.

Quella mattina, a Balamb, non aveva potuto evitare di guardarla. Guardare la sua pelle d'alabastro nella prima luce del sole. I raggi del sole avevano rimpiazzato l'illuminazione artificiale. Le sue braccia l'avevano circondata mentre lei guardava ogni splendido momento della natura. Infine lei parlò, e il loro silenzio si interruppe ancora una volta.

"Squall, quando potrò passare la notte nella tua stanza? Non è che non ami questi fine settimana... vorrei solo svegliarmi con te a casa."

"Rinoa, è contro le regole."

"Sai, la gente non è stupida, Squall... sanno cosa facciamo nei fine settimana."

"Sì, ma non lo stiamo facendo al Garden."

"Fa differenza?"

"Per me sì. Sono il Comandante, ricordi?"

*~*~*~*~*

Dieci mesi prima che Rinoa se ne andasse, passò per la prima volta la notte nella sua stanza. Aveva finalmente ceduto, ma non completamente di sua spontanea volontà. Lei era stata molto convincente, senza parlare del fatto che erano entrambi un po' su di giri. Dopo quella prima notte, le uniche volte in cui lei si fermava da lui erano prima di una missione e la notte immediatamente successiva al suo ritorno. In qualche modo, si era convinto che in quelle circostanze era diverso. Ora avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla rimanere solo alcuni minuti; ironico come la situazione sembrasse ridicola quando la guardava con gli occhi dell'età.

Lei aveva ragione, non faceva una dannata differenza dov'erano, fino a quando erano insieme. Ora lo capiva. Allora non riusciva a capirlo.

Ora, quando immaginava il suo viso, non ricordava mai i bei momenti. Così era troppo facile. Era sempre più facile immaginare il brutto - la notte finale. Il suo viso bagnato di lacrime mentre usciva nella pioggia. Allora non importava, sale mescolato ad acqua fresca che cadeva impotente a terra. Lei lo aveva guardato, mordendosi il labbro. Era quasi come se la sua mente avesse accettato quel destino, non più arrabbiata o infastidita, non più amara o disprezzata. Lei non aveva sorriso; non aveva fatto altro che lasciare che il peso dei suoi capelli si appiccicasse al suo viso. Poi, come se ci avesse ripensato, gli aveva detto infine un'ultima cosa.

Squall, chi diavolo trova la sua anima gemella a diciassette anni, eh?

Due anni più tardi, steso più vicino che mai, ma mai così lontano, trovò finalmente la forza di rispondere alla sua domanda. "Io, Rinoa... io."

*

Note al testo
(1) Sedere: qui c'è un gioco di parole intraducibile. In inglese Rinoa dice "no buts" (niente ma) e poi, subito dopo, di non fare battute sul suo "butt". But significa ma e butt significa sedere. Si pronunciano praticamente allo stesso modo: è come se Rinoa dicesse insieme 'niente ma' e 'niente sederi'. Da qui la battuta sul suo sedere.

*****
Nota della traduttrice: 14 aprile 2013: ho corretto errorini sparsi che mi erano scappati.
La storia che dà il titolo a questo capitolo è Your thousand seas di Vick330; è stata tradotta in italiano, e potete trovare tutti i link da cui leggerla qui. Scusate se ho usato il mio blog, ma pubblico su vari siti e non volevo creare casini linkandoli tutti^^ Si tratta di una storia post-game su Final Fantasy VIII, con protagonisti Squall e Rinoa.
Vi ricordo come sempre la newsletter e che ogni commento verrà tradotto & inoltrato ad Ashbear. Alla prossima! - Alessia Heartilly

   
 
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