Epilogo
Bella
Avevo
solo ventitré anni, quando la mia vita ha cominciato ad
andare a rotoli. Avevo
ricevuto il dono più bello che una donna potesse avere:
aspettare un bambino.
Ma ciò non era sufficiente per James, l’uomo che
credevo di amare. Non era sufficiente
per i miei genitori, Charlie e Renèe. Sono stata abbandonata
da tutte le
persone che amavo incostantemente e incessantemente, senza pretendere
nulla in
cambio. Perché quello è
amore.
Ma,
da una parte, è stato un bene. Se ciò non fosse
accaduto, se il mio piccolo
Nathaniel non si sarebbe formato dentro di me, non sarei mai andata a
New York
e non avrei mai conosciuto Edward. Lui, il mio vero amore, lo spirito
affine
nato per completarmi. Oppure, se vogliamo metterla in termini
filosofici (cosa
che a lui piaceva molto e capivo il perché di quella laurea
in filosofia), un
essere generato per completare un androgino.
Probabilmente,
il caro vecchio Platone aveva ragione. Ma non siamo qui a filosofare.
Ripercorrere
daccapo la mia odissea amorosa è quasi traumatico, ma
tremendamente eccitante.
Come se fosse una storia da film o di un libro romantico senza pretese,
il che,
in un certo senso, è proprio così. Sembra un
racconto ideale, impossibile da
realizzarsi nel mondo reale. Eppure non è così.
È successo e basta.
Ricordo
tutto come se fosse accaduto ieri. Nel momento in cui Edward si era
inginocchiato davanti a me, chiedendo la mia mano, ero scoppiata a
piangere,
ebbra di gioia. Lo avevo baciato con passione e gli avevo concesso
calde
effusioni, dovendo stare attenti al pancione che bloccava ogni
possibilità di
fare l’amore.
Quando
Nathaniel stava per nascere, un irrazionale paura che potesse
assomigliare
tanto, troppo a James, mi aveva
assalita. Se non ci fosse stato Edward al mio fianco, non avrei saputo
che cosa
fare. Mi sarei persa, in un bel bicchiere d’acqua, anche.
“Edward,
io…”
Edward
aveva sibilato dolcemente, attirandomi contro di sé. Adoravo
il modo in cui mi
stringeva e mi accarezzava il ventre ormai al culmine del suo sviluppo.
Il mio
bimbo sarebbe nato tra poco e io avevo sempre più terrore
che il suo bel visino
potesse assomigliare a lui. E non
ci
avevo mai pensato. A dire il vero, avevo sempre rinviato questo
quesito. Lo
avrei amato lo stesso, no? Che cosa sarebbe cambiato?
“Bella,
non devi temere”, sussurrò Edward, premuroso.
Schioccò più volte le labbra
sulla mia nuca, tranquillizzandomi all’istante.
“Sono certo che se anche
assomigliasse a quel… ehm, a lui,
sono certo che tu lo amerai come se fosse nostro. Io
lo amerei come se fosse nostro. Te l’ho detto. James
è il padre
biologico, ma io sarò come se fossi il suo vero padre. E
poi, ho letto da
qualche parte che l’istinto materno non si può
reprimere. Supera di tutto e di
più. Fidati”
Naturalmente,
era già bastato il suono della sua voce a tranquillizzarmi.
Ma
il giorno del parto fu un vero tormento. Nathaniel non aveva
assolutamente
intenzione di uscire, e mi fece lanciare qualche urlo di vera
disperazione. Va
bene, molti urli. Ma, quando nacque, dopo nove mesi di gestazione, dopo
nove
mesi di tormento e fatica sopportati assieme, la mia forza, il mio
piccolo
angelo era nato. Non avevo mai visto gli occhi smeraldini di Edward,
sempre al
mio fianco a sopportare le mie grida isteriche (e molto probabilmente
con le
dita fratturate per le strette troppo forti), assumere quella
meravigliosa
sfumatura dolce.
Un
vagito mi aveva riscosso dai miei pensieri. Avevamo deciso di chiamarlo
Nathaniel, per la sua musicalità e la sua anima antica.
D’altronde, io ed
Edward lo eravamo fin troppo. E poi, Nathaniel Cullen era perfetto.
Non
appena le infermiere ebbero finito di lavarlo, me lo consegnarono. Era
una
gioia, una vera e propria bellezza. Guardai quel piccolo esserino,
sempre più
rapita e incantata. Stentavo a credere che fosse mio
figlio. Nathaniel piangeva disperato, ma, non appena gli
parlai, si immobilizzò.
“Edward,
mi riconosce!”, dissi concitata ad Edward, ammutolito dalla
scena. Mi rivolsi
al mio piccolo, accarezzandolo e baciandolo. “Ciao,
piccolino. Oh, bambino mio,
quanto sei bello!”
Diedi
un’occhiata ad Edward. Sorridente, glielo passai
silenziosamente. Edward lo
prese in braccio, con gesti quasi esperti. “Benvenuto al
mondo, Nathaniel”,
sussurrò.
Sorrise
quando il piccolo si voltò verso di lui, le manine per aria
nel tentativo di
raggiungere il suo viso.
“Sono
il tuo papà, piccolo. Sei bellissimo”,
mormorò Edward, baciandogli le guance
paffute.
Ridevo,
come non avevo mai fatto. Piangevo, come non avevo mai fatto.
Ed
Edward era lì. Edward era sempre stato lì.
Il
nostro matrimonio fu un evento spettacolare, manco si fossero sposati
due
principi o delle stelle del cinema. Ovviamente, era stato realizzato
tutto dal
folletto malefico.
Alice,
non contenta della sua cerimonia avvenuta pochi mesi prima, ce
l’aveva messa
davvero tutta. Nonostante il suo pancino ingombrasse appena, Alice era
infaticabile, tanto che io non avevo fatto un solo sforzo per prenotare
il
ristorante o comperare le fedi.
Le
nozze erano state fissate due mesi dopo la nascita del piccolo
Nathaniel,
spupazzato dalla famiglia al completo.
“Sono
stata proprio un genio a sposarmi subito dopo aver appreso di essere
incinta”,
si era lodata Alice, fiera e soddisfatta. “Tra due mesi ti
sarai anche
sgravata, ma sembrerai comunque una balena. Guarda invece che
figurino”, disse,
indicando la sua vita stretta, ma dai fianchi morbidi, in una foto del
matrimonio.
“Simpatica
come sempre, vedo”, commentai, acida.
Jasper
scoppiò a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia
dalla moglie (era strano
pensarla in quegli effetti a dire, il vero).
Alice
e Jasper si erano felicemente sposati il 26 aprile, organizzando il
più bel
matrimonio a cui avessi mai assistito. Non era stato sfarzoso come
quello che
aveva organizzato per me ed Edward, ma era stato comunque meraviglioso.
Ricordavo ancora con gioia quel giorno.
Alice,
avvolta nel suo bellissimo vestito bianco, appariva più un
angelo che un essere
umano. Il ventre appena accennato e i fianchi leggermente pieni le
conferivano
una bellezza eterea e perfetta. Non fu difficile comprendere lo
sbigottimento
di Jasper all’altare, all’apparizione della futura
sposa.
Ed
io non ero proprio riuscita a trattenere una lacrima nel momento
dell’unione
delle due metà. Ora erano un completo e perfetto androgino,
come lo saremmo
stati io ed Edward pochi mesi dopo.
Dopo
il tempo necessario che Carlisle ci aveva prescritto, io ed Edward
riprendemmo
a fare l’amore. Quando facevo l’amore con Edward,
era impossibile non riuscire
a comprendere il perché Alice fosse sempre avvinghiata a
Jasper. L’amore con
Edward era indicibile, solido e incrollabile. Intimo e passionale come
sempre,
senza che il tempo riuscisse a logorarlo.
Era
meraviglioso. Tutto era meraviglioso, e lo è ancora.
Un
anno dopo la nascita di Nathaniel, un mese prima del previsto, era nata
la
piccola Esther Whitlock. Jasper era radioso come non mai e, il giorno
della sua
nascita, mancava poco che scoppiasse a piangere. Si era buttato sulle
labbra di
Alice, non facendo che mormorargli scombussolato un
“grazie” quasi
impercettibile. Lo dico perché ho assistito commossa alla
scena, aggrappata al
braccio di Rosalie, ed è inutile dire che il povero Jasper
non fu per niente
risparmiato dalle battutine di Emmett.
In
quei giorni stava sempre dietro alla sua “bambolina”,
con un Alice stupenda e inverosimilmente tranquilla. L’aria
di madre iperattiva
le si addiceva perfettamente. Curava e giocava con Esther per tutto il
tempo,
senza risultare troppo apprensiva e senza trascurare suo marito. Jasper
era
quello più tendente a viziarla, e, così facendo,
si attirò completamente l’ira
funesta del folletto.
Erano
una famiglia stupenda e, grazie al cielo, rifiutarono di trasferirsi a
Houston.
Nello
stesso anno, ebbi due sorprese: la prima, era che finalmente Rosalie ed
Emmett
si sarebbero sposati. La seconda, era che ero incinta. Questa volta di
Edward.
Per
assistere al matrimonio di suo cugino, dovemmo tutti recarci in
Tennessee, in
mezzo alla natura incontaminata. Emmett non era mai stato serio in vita
sua,
cosa che non era sfuggita a Jasper, ancora in ricerca di qualcosa per
vendicarsi delle prese in giro nell’ultimo mese.
Inutile
dire che, al ritorno a casa, la mia gravidanza procedette molto
tranquillamente.
Edward non faceva che coccolare me e Nathaniel, sempre e comunque. Si
prendeva
cura di entrambi, e questo non era altro che una fonte di gioia
inaspettata per
me. L’idea che lui amasse Nathaniel come se fosse suo figlio
mi emozionava ogni
volta. Ma, questo, Nathaniel non lo avrebbe saputo mai.
Faith
nacque anche lei dopo nove mesi di gravidanza, bella e florida contro
il mondo.
Già dalla nascita, aveva un buffo ricciolo color del bronzo,
identico a quello
di Edward. Il nome, decisamente inusuale, lo avevo scelto io. Quando lo
avevo
annunciato ad Edward, era rimasto un po’ perplesso.
“Spero
che non sia per la mia religiosità”,
scherzò, dando il benvenuto alla sua nuova
creatura.
Scossi
la testa, ridacchiando, anche se, più o meno, era
così. Da quando era successo
tutto quello, dal mio confronto con Alice e da quello con Edward, mi
ero
riavvicinata molto alla fede, e la mia piccola non era altro che un suo
frutto.
Dio
mi aveva donato una famiglia che amavo e mi amava. Avevo Edward, un
marito
stupendo, e due figli meravigliosi. Avevo Alice e Jasper, i miei due
migliori
amici, Anthony, un suocero che consideravo come un secondo padre, e
Carlisle ed
Esme, gli zii che non avevo mai avuto. Per non parlare di Rosalie ed
Emmett, i
miei nuovi amici, che avevano appena scoperto di aspettare un piccolo,
che
avrebbero chiamato Alexander.
Già…
La mia vita ora era semplicemente perfetta e serena, come un cielo senza nuvole.
Diciotto anni dopo
Edward
“Ciao,
papà, io esco”, annunciò a gran voce
Nathaniel, nonostante fossi lì accanto a
lui.
Feci
una smorfia. “Ah, si? E dove vai?”, chiesi, sebbene
conoscessi benissimo la risposta.
Nate
si fermò davanti a me e si strinse nelle spalle. Era
incredibile quanto
assomigliasse a Bella. Aveva le sue stesse labbra piene e ben
disegnate, gli
stessi capelli di mogano e gli stessi e identici occhi di coccolata.
Sebbene il
naso e il viso virile non fossero suoi, nel complesso Nathaniel era
davvero un
bel ragazzo. Ero orgoglioso di lui, di mio figlio. Per me lo era a
tutti gli
effetti.
James
non aveva visto il pancione di Bella crescere. James non aveva visto
nascere
Nathaniel. James non aveva cresciuto Nathaniel.
Lui
era mio figlio, ed io ero suo padre. Questo contava.
“Vado
a prendere Esther, e poi usciamo a fare un giro”,
spiegò, come se niente fosse.
Mi
insospettii. “Un momento… Alice e Jazz lo
sanno?”, domandai, scettico.
Va
bene, forse ero esagerato. Avevo beccato Alice e Jasper discutere su
Nate e la
loro figlia più di una volta, e i loro pareri erano
contrastanti alla
grande.
“Insomma,
è bello, intelligente, colto e molto sveglio…
è perfetto per lei!”, aveva detto
Alice, lo sguardo impegnato ad analizzare i movimenti di Nate ed Essie
che
chiacchieravano indisturbati nella veranda.
Jasper
la guardò scandalizzata. “Alice, ma ti pare?
È la mia bambina”
Alice
aveva sbuffato. “Ho capito, ma la tua
bambina è quasi una donna! Ha diciassette anni
ormai!”
“Ma
anche no!”
“Vedrai
che lei e Nate si metteranno insieme”, replicò
lei, un sorriso soddisfatto
sulle labbra.
“Ma
dovesse solo provarci!”
“Meglio
lui che un drogato o un texano…”
Jasper
si immobilizzò, vagamente risentito. “Ehi, che
cos’hai contro i texani, scusa?”
Alice
sospirò. “Sei un idiota!”
“Cretina!”
“Deficiente!”
Allora,
in quel momento di discussione, mi ero intromesso, prima che la
situazione
degenerasse e i nostri figli li beccassero o a scannarsi o ad
amoreggiare. Con
quei due non si poteva mai sapere.
Nate
alzò gli occhi al cielo, sospirando. “Certo che lo
sanno, papà”
Sorrisi.
“Beh, dopotutto, Esther è molto bella, non
trovi?”. Eccome, se lo era. La
piccola Esther non solo era molto alta per la sua età, ma
anche ben sviluppata
e attraente. Era praticamente la copia al femminile di Jasper: biondo
miele e
dagli stessi lineamenti regolari. La forma degli occhi era quella di
Jasper, ma
il colore, quel nocciola tanto puro da sembrare giallo, era di Alice.
Era
misteriosa ed enigmatica come il padre, ma qualcosa mi induceva a
pensare che
fosse un’anima davvero dolce e passionale, come sua madre.
Nate
sospirò e capii già dal suo sguardo vacuo che era
partito per la tangente,
sebbene le guance fossero rosse. “Già…
è bellissima…”
Meglio
approfittarsene. “E… detta tra noi
uomini… avete già…?”
Nate
si riprese alla grande. “Papà!”,
esclamò, scandalizzato. Arrossì, se possibile,
ancora di più. “Ci stiamo frequentando, niente di
più. Ci siamo dati qualche
bacio… ma niente di quello che pensi tu”
“Se
nasconde il carattere di Alice, stalle alla larga il più
possibile”, scherzai,
ridacchiando.
Nate
sorrise. “No, Essie è molto più
dolce”
“Lo
immaginavo”
Nate
fece per andare, ma si bloccò all’improvviso.
“Ah, a proposito, la mamma è
andata a prendere Faith a danza. Tra un po’ arriva, va
bene?”
Annuii,
finché non sentii il rumore della sua auto percorrere il
vialetto.
Sospirai.
Possibile che fossero già passati diciotto anni? Il tempo
era volato. Mi
sembrava ieri quando Nathaniel e Faith erano nati… E Tanya
era solo un lontano
ricordo. Grazie a Dio.
“Siamo
a casa!”, urlò la voce musicale di mia figlia,
seguita dai passi di Bella.
Faith
fece irruenza in salotto nel suo turbinio dei lunghi capelli di bronzo
e mi
stampò un dolce bacio sulla guancia. “Ciao,
papà”
“Ciao,
tesoro. Come è andata la lezione?”
“Benissimo,
davvero. Tra un po’ faremo il saggio”, mi
spiegò, mentre si accomodava di
fronte a me. I suoi magnifici occhi verdi –i miei occhi-
scintillarono di
entusiasmo.
Faith
era completamente diversa da Nathaniel. Lui era un tipo più
tranquillo,
tendente alla riflessione, mentre Faith era un mix fin troppo esplosivo
di
vivacità e curiosità. Ed era splendida, come solo
mia figlia poteva esserlo.
“Tra un po’ vado a trovare Felicity”,
annunciò, allegra.
Naturalmente,
la tendenza di Alice e Japser ad accoppiarsi frequentemente (grazie a
Dio non
più nei bar o nei luoghi pubblici) aveva procurato a loro
altre due figlie:
Felicity e Savannah.
Emmett,
non avendo concluso i suoi battibecchi con la sorella, aveva
addirittura
scommesso (naturalmente, quando i bambini erano fuori a portata di
orecchio) se
Jasper sarebbe riuscito a darle tre figli, come lei aveva sempre
sognato. In
caso contrario, avrebbe dovuto pagare cento dollari. Emmett fu molto
contrariato
per la nascita di Savannah e, nello stesso momento in cui la stavano
lavando,
sborsò il dovuto denaro a un Jasper sogghignante.
Felicity
aveva un anno in meno di Faith, Savannah ne avrebbe presto compiuti
dodici ed
era la piccolina di casa. Erano entrambe bellissime. Felicity era
completamente
uguale ad Alice, in tutto e per tutto. Non era così
difficile immaginare perché
lei e mia figlia andassero tanto d’accordo. Era
l’eterna disperazione di sua
madre, che non sapeva mai come prenderla, a differenza di Jasper, ormai
abituato con la moglie.
Alice
non faceva che lamentarsi con Bella che Esther non aveva mai causato
simili
scempiaggini, che se Felicity avrebbe continuato così
l’avrebbe spedita al
collegio e che non aveva la minima idea di come facesse Jazz ad essere
così in
sintonia con lei.
Savannah,
invece, era una vera bellezza. Aveva i capelli lunghi e corvini ed era
l’unica
ad avere ereditato gli occhi azzurri di Jasper. Già a dodici
anni era sommersa
di corteggiatori, cosa che faceva mordere non poco le mani a Jasper.
“Dannazione,
per forza tre figlie dovevamo avere? Non riuscirò a tenerle
d’occhio tutte e
tre! Sono le mie bambine e sicuramente qualche idiota maschio
farà del male a loro!”, sbraitava Jasper,
disperato.
Alice
sbuffava, per poi dargli un bacino e una pacca sulla schiena.
“Credevo che
saresti morto a trent’anni di tumore ai polmoni, e invece ti
ritrovo qui a
sbraitare sulle possibili delusioni amorose che le tue figlie avranno.
Diagnostico che morirai a cinquant’anni per infarto”
Non
aveva tutti i torti, in effetti.
“Ah,
bene, allora troverai lì anche tuo fratello”,
dissi a Faith, sprofondando nella
poltrona.
Faith
si bloccò. “Non dirmi che è dai
cugini”
“Già”
Una
strana scintilla si propagò negli occhi di mia figlia.
“Secondo me lui ed
Esther si sposeranno”. Sorrise, trionfante. “Sono
cugini, ma cosa importa,
dopotutto? Sono bellissimi insieme. A differenza di Alice e Jasper,
sono fin
troppo simili”
“Forse,
ma il loro animo si completa nella loro similitudine”, dissi,
stringendomi nelle
spalle.
Faith
mi imitò. “Forse è così.
Esther è fin troppo sensuale”
“Chissà
da chi ha preso…”, scherzai, ironico.
“Da
Alice, è evidente”, disse Faith, come se fosse la
cosa più ovvia del mondo.
“Ah,
beh…”
Dopo
un quarto d’ora di chiacchierata, Faith decise di andare a
piedi a trovare la
sua migliore amica e cugina Felicity. Dopotutto, la nuova villetta in
cui ci
eravamo trasferiti non era così lontana da quella di Alice e
Jasper, abbastanza
grande da contenere un uomo beato tra le donne.
“Ehi”.
Bella sbucò finalmente in sala e mi stampò un
dolce bacio sulla guancia.
“Dov’eri?”,
chiesi, attirandola a me.
Si
sedette al mio fianco e si accoccolò nel mio petto. La mia
forma fisica non era
certamente migliorata negli anni, ma mi conservavo abbastanza bene,
dopotutto.
Nonostante Bella si lamentasse spesso di essere troppo fuori forma, io
la trovavo
più bella che mai. Per me, era sempre la piccola dea della
fertilità di cui mi
ero innamorato.
“In
cucina a mettere via la cena. Alice ci ha invitati da loro. Credo ce ci
siano
anche tuo padre, Esme e Carlisle”, mi informò,
baciandomi il mento.
Risposi
al bacio, stavolta in modo più passionale. “Allora
Nate sarà contento di essere
uscito con Essie, così potranno stare insieme prima
dell’interrogatorio
pubblico…”, risi, divertito.
Gli
occhi di cioccolata di Bella, così profondi e sensuali,
brillarono appena.
“Crescono così in fretta, vero? Mi sembra ieri
quando gli cambiavo il
pannolino… e ora già scorrazza dietro a
Esther”
“Oh,
beh, è innamorato di lei da una vita…”
Bella
ridacchiò, intrigata dalla situazione. “Peccato
che lei sia difficile da
corteggiare”
“Invece
no. Mi ha detto che si sono dati qualche bacio. E non hanno fatto
ancora…”
“Edward!
Non posso credere che tu chieda queste cose a nostro
figlio!”, esclamò,
scandalizzata.
“Andiamo,
Bella! È una cosa tra uomini!”, mi giustificai,
per quanto possibile.
“Si,
certo, come no…”, borbottò,
schiaffandosi una mano in faccia.
“A
proposito di sesso… sono
tutti via… che
dici?”, dissi, malizioso.
Bella
alzò gli occhi al cielo, fintamente esasperata.
“Se proprio dobbiamo…”
Sorrisi
e scattai in piedi, trascinandola con me. Bella atterrò sul
mio petto, la sua
dolce risata musicale già sonante.
“Ti
amo”, sussurrò, lasciandomi un innocente e
tentatore bacio sulle labbra.
“Ti
amo. Più della mia stessa vita”, aggiunsi, per poi
trascinarla al piano di
sopra.
Una
vita serena. Dolce, sensuale e appagante. Perché ero con
lei.
La
nostra vita, da diciotto anni, era come un cielo.
Un
cielo senza nuvole. Come il nostro
amore.
Fine
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Bene, gente, siamo
arrivati alla fine. Mancano ancora gli extra, lo so, ma, ormai, la
storia è
finita.
Mi dispiace mettere la
parola “fine” a questa fan fiction, mi ci ero
affezionata moltissimo. E
scriverla è stato fantastico. Soprattutto
immaginare la futura famigliola di tutti i personaggi
trattati. Beh, penso che capirete che il nome Renesmee non era
possibile utilizzarlo, in quanto fusione di Renèe ed Esme, e
Bella con la madre non ha fatto pace.
Spero che vi sia piaciuta
come è piaciuta a me realizzarla!
Prima di lasciarvi, un
gigantesco e meritatissimo grazie a tutti voi. Grazie a chi mi ha
aggiunto tra
i preferiti/seguiti/storie da ricordare/autori preferiti! Grazie mille!
Non
solo, ma grazie anche a chi ha recensito e seguito la mia storia,
lasciandomi
dei commenti stupefacenti e bellissimi! Grazie per avermi fatto
gongolare di
felicità nel sapere che, effettivamente, a qualcuno piace
ciò che scrivo!
GRAZIE DI TUTTO, A TUTTI!
P.S:
gli extra saranno
due o tre al massimo. Ho già qualche idea, e sono in fase di
scrittura.
Purtroppo tarderò un po’ a postarli
perché parto, ma non temete, sarà la prima
cosa che farò quando torno!