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Autore: fallsofarc    01/07/2010    180 recensioni
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Danielle trascorre il viaggio quotidiano in autobus fissando il paesaggio sempre uguale, con poca voglia di tornare a una casa dove si sente solo ospite. Peter resta sempre in piedi vicino all’uscita, isolato da tutti e protetto dal cappuccio sempre alzato.
Sulla linea 97, il destino dà appuntamento a due vite all’apparenza diverse, ma gravate entrambe da troppi addii e sogni infranti.
Riusciranno a vedersi, pur avendo ormai rinunciato a guardare davvero il mondo, e ad arrendersi al bisogno disperato del calore di un abbraccio, per lenire anni di solitudine?
Questa non è solo una storia d’amore, è un inno alla speranza che non deve mai scomparire, alle seconde opportunità che la vita ci offre, perché l’autobus, presto o tardi, percorre la strada di ognuno di noi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
Capitoli:
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linea 97 - capitolo 1


1.


Il sole basso all'orizzonte la stava infastidendo, la tendina era rotta come su ogni autobus che si rispetti e l'unica soluzione era continuare a muoversi sul rigido sedile blu sbiadito tentando di non accecarsi.
Danielle non rinunciava mai alla sua routine scacciapensieri: con gli auricolari nelle orecchie, guardava il paesaggio che scorreva lento. Ogni sera le stesse fermate, ogni sera lo stesso identico tragitto, in cui riusciva però a scorgere sempre nuovi particolari, dietro quel vetro sporco.
Sull'autobus si alternavano pendolari occasionali e volti noti. Quelli nuovi si riconoscevano subito: litigavano con l'obliteratrice perché infilavano male il biglietto, avevano un'aria trafelata prima ancora che l'autobus si rimettesse in movimento e puntualmente chiedevano indicazioni al conducente su dove dovevano scendere.
Gli abituali erano la signora delle pulizie che saliva alla fermata del grande palazzo di vetro, la nonna che ritornava a casa dopo aver fatto visita ai nipoti, il militare che rientrava in caserma e la mamma che riportava a casa il figlioletto dall'asilo.
Poi c'era lui, il ragazzo misterioso. Cappuccio sempre in testa e cuffie nell'orecchio, non si sedeva mai ma saliva e si posizionava accanto all'uscita; a volte scriveva su un taccuino ma non alzava mai lo sguardo.
Erano settimane che lo vedeva. Una sera l'autobus aveva inchiodato bruscamente e, per reggersi, si era aggrappata al palo contro cui era sempre appoggiato lui. Aveva sfiorato lievemente una sua mano e lui aveva alzato gli occhi.
Quella era stata l'unica volta che li aveva visti ma non li avrebbe mai dimenticati: verdi con sfumature castane, caldi e rassicuranti; erano passate due settimane da quella sera e ancora li ricordava perfettamente. Probabilmente era uno studente, come lei, ma erano solo supposizioni: lo vedeva solo salire cinque fermate esatte dopo la sua. Non si sedeva mai, nonostante il viaggio non fosse breve.
Improvvisamente l'autista inchiodò bruscamente, costringendola ad appoggiarsi di riflesso al sedile anteriore. Ad autobus fermo cominciò a levarsi un brusio di protesta, che sfociò in imprecazioni indignate all'annuncio della gomma bucata.
Tra una lamentela e l'altra, i passeggeri si rassegnarono a scendere per attendere il mezzo sostitutivo che sarebbe arrivato il prima possibile dal deposito.
Anche lì, sul bordo della strada, il ragazzo se ne stava in disparte, appoggiato ad un albero mezzo sbilenco e colpito da un fulmine. Il sole filtrava da dietro le sue spalle creando strani giochi di luce: la felpa con il cappuccio assumeva quasi i connotati magici di un mantello o una tonaca medioevale e l'albero morente conferiva un che di decadente all'insieme.
Distogliere gli occhi da lui non fu semplice, in quell'occasione ancora meno del solito.
Finalmente arrivano due piccoli minibus da una trentina di posti l'uno. Distratta dall'osservazione dello sconosciuto, Danielle raggiunse la fila troppo tardi per accaparrarsi l'agognato posto accanto al finestrino.
Il corridoio centrale era sufficiente a malapena per muoversi, perciò anche il ragazzo era stato costretto a sedersi. Giunta a due passi dal posto vuoto accanto a lui, Danielle si fermò, indecisa.
Lui guardava, incurante, fuori dal finestrino.
"Signorina?" l'uomo dietro di lei la richiamò all'ordine, spazientito e ansioso di superarla per andare a sedersi.
Prese quindi, d'istinto, la decisione di sedersi. Il ragazzo non si girò a guardarla ma le sembrò di vederlo sussultare lievemente; la mente però gioca strani scherzi, soprattutto dopo una giornata intera di studio intenso.
Si sentiva un po' a disagio ma ne approfittò per osservarlo, di sottecchi: una mano era poggiata al finestrino, le sue dita si muovevano sul vetro come se stesse suonando qualche strumento, forse al ritmo della musica che stava ascoltando.
Lo sentì sospirare: di stanchezza, di delusione, di sofferenza? Non lo sapeva, poteva soltanto aggiungere l'ennesima domanda alla lunga lista.
Dalla sua borsa, poggiata in grembo, Danielle sentì provenire una vibrazione: chiamata in arrivo. Già leggendo il display il suo umore sprofondò ma non poteva evitare di rispondere.
"L'autobus ha bucato una gomma, per questo sono in ritardo" spiegò, con pazienza. Si sforzò di tenere bassa la voce, anche se avrebbe voluto urlare di fronte alle cattiverie gratuite che doveva nuovamente subire.
"Non ero in giro. Stavo studiando" le tremò la voce, nel trattenere la rabbia. A nulla sarebbe servito: quella non era sua madre e stava solo cercando un nuovo pretesto per criticarla.
Chiuse la telefonata con le lacrime agli occhi e la voce incrinata. Gettando il telefono in borsa, si accorse di un particolare: non sentiva più la musica provenire ovattata da accanto a lei. Ma proprio mentre stava temendo che lui avesse ascoltato tutta la discussione al telefono, la musica ripartì con una nuova canzone. Che stupida: era solo finita la precedente.
Passarono i minuti e la tentazione di non scendere dall'autobus era sempre più forte, quelle parole velenose e ingiuste l'avevano scossa e non si sentiva pronta per il secondo round a casa.
La fermata era vicina, avrebbe dovuto alzarsi per raggiungere l'uscita ma non si mosse. L'autobus ripartì, inoltrandosi nella periferia. Dopo qualche fermata, giunsero al capolinea, quando ormai erano rimasti solo lei, il ragazzo misterioso e una coppia di anziani.
Scesero tutti ma il ragazzo rimase in piedi sotto la pensilina, intento a sistemare qualcosa nello zaino.
Danielle, conscia di essere fin troppo in ritardo e di aver solo peggiorato la situazione, si affrettò a rimettersi in movimento per cercare un autobus che l'avrebbe riportata indietro. Il sole era quasi tramontato, gli ultimi raggi erano dolorosi alla vista appannata dalle lacrime trattenute.
Fece solo due passi sull'asfalto scuro, poi si sentì trattenuta per la maglia. "Attenta!"
Un'automobile sterzò e suonò il clacson a pochi centimetri da lei.
Ansimò riprendendo a respirare dopo lo spavento, dandosi della stupida per essere stata così distratta.
"Stai bene?" Il ragazzo dell'autobus la stava guardando, preoccupato.
"Sì. Grazie. Mi ero... distratta."
"Perché devi attraversare la strada? Ci sono solo campi di là" le domandò, senza più guardarla in viso.
"Io... devo riprendere l'autobus per l'altra direzione." Si vergognò ad ammetterlo.
"L'ultimo è già passato, di solito passa insieme a questo ma stasera eravamo in ritardo" Le spiegò. Aveva una voce bassa e calda, rassicurante.
"Oh. Grazie per l'informazione." Si sforzò di sorridergli, sperando che lui non la considerasse solo una pazza che nemmeno guardava prima di attraversare e che era scesa alla fermata sbagliata.
Il ragazzo semplicemente annuì in risposta e si girò per andarsene. Non le rimase che incamminarsi verso casa, a passo spedito, sperando di arrivare prima del buio.
"Ehi!"
Danielle si girò e aspettò che lui la raggiungesse. "Ma torni a piedi? E' pericoloso."
"Devo tornare a casa al più presto" sussurrò.
"Non puoi farti venire a prendere?" Domanda più che lecita.
"Non... non saprei chi chiamare" ammise, abbassando il capo per la vergogna.
"I tuoi genitori, un parente, un vicino, il tuo ragazzo...?" la incalzò lui, con palese curiosità.
"Non hanno la macchina." Era meglio puntare sulla mancanza dei mezzi piuttosto che ammettere l'assenza nella sua vita delle persone citate.
"Nessuno di loro?"
"No."
Un silenzio imbarazzato crollò tra loro, poi lui sospirò.
"Senti, io ho la macchina... Se mi aspetti alla fermata vado a prenderla e ti accompagno."
Non poté non alzare nuovamente lo sguardo dopo quell'invito. "Non vorrei disturbarti."
"Nessun disturbo, non te l'avrei offerto altrimenti. Arrivo tra pochi minuti."
Prima che potesse ringraziarlo, si era già allontanato. Non le rimase che sedersi sulla panchina ad attenderlo.
Razionalmente, accettare un passaggio da uno sconosciuto era l'ultima cosa da fare. L'alternativa però non era certo migliore: camminare su una semi deserta strada di periferia al tramonto.
Danielle controllò di avere ancora lo spray antiaggressione nella borsa e si sentì un po' più tranquilla. Era incuriosita dall'idea di trascorrere alcuni minuti lui, ma la fantasia e la realtà difficilmente vanno di pari passo.
Dieci minuti dopo, vide avvicinarsi un'auto. Doveva essere bianca, in origine, ma la vernice era scrostata in così tanti punti che non era semplice definire il colore.
Dal finestrino aperto, si sentì chiamare. "Sali pure davanti."
Danielle temette che la portiera le rimanesse in mano quando la aprì, tanto cigolava.
"Grazie." Si allacciò a fatica la cintura mezza sbrindellata.
"Prego."
Fu l'unica parola che lui le rivolse. Nemmeno in auto aveva calato il cappuccio. Rimasero in silenzio fino a che Danielle non gli disse che poteva lasciarla alla fermata successiva.
"Va bene." Lui non insistette per portarla fino a casa.
Arrivata a destinazione, faticò a scendere, non solo per l'evidente problema della carrozzeria, ma perché le sembrava di aver sprecato l'occasione di conoscerlo.
"Non mi sono nemmeno presentata! Io sono Danielle." Gli porse la mano.
Lui rimase un secondo immobile in silenzio, poi la strinse. "Io sono Peter."
Scendendo da quell'auto, Danielle spuntò mentalmente una voce dalla sua lista di domande: ora sapeva almeno il nome del ragazzo.
L'accoglienza a casa non fu delle migliori, come aveva già immaginato.
"Alla buon'ora! Se ti occorrono così tante ore per studiare, mi dispiace dirtelo tesoro, ma non sei molto brillante."
Danielle si trattenne dal rispondere, non ne valeva la pena.
"Ciao Janice." Cercò di essere il più educata possibile, come sempre.
La seconda moglie di suo padre era fin troppo giovane, nonché egoista e completamente nullafacente. Rimaneva il mistero di perché suo padre l'avesse sposata ma probabilmente nemmeno la conosceva, considerando che era in viaggio per lavoro la maggior parte del tempo
"Spero che non sia una scusa quella dello studio! Stai fuori troppe ore, vedi almeno di non farti mettere incinta." La delicatezza era qualcosa di totalmente estraneo alla sua matrigna.
"Domani torna mio padre allora?" domandò, ignorando il suo ennesimo commento cattivo.
"Sì. A proposito, c'è una pila di vestiti da stirare in lavanderia. Già stai sempre fuori e tratti questa casa come un albergo, cerca di non fargli trovare tutto in disordine, visto che ti mantiene."
Danielle dovette stringere i pugni per non reagire. Era un fantasma nella sua stessa casa, ma era anche l'unica che ne occupava.
"Stai uscendo?" Cambiò argomento, notando la tuta e la borsa sotto braccio.
"Sì, corso di yoga. Mi hai fatto anche fare tardi per aspettarti, vedi di avere più rispetto anche dei miei di impegni!" Quello fu il suo saluto caloroso prima di uscire.


La sera successiva, Danielle era emozionata all'idea di rivederlo, tanto che gli sorrise con calore, vedendolo salire in autobus.
"Ciao! Peter..." Quella che era iniziata come un'esclamazione di saluto, a voce persino troppo alta, finì in un sussurro, quando lui si limitò a farle un mezzo cenno con il capo per poi raggiungere la sua solita postazione vicino all'uscita.
Sentendosi in imbarazzo, sprofondò di nuovo nel sedile, limitandosi a guardare fuori dal finestrino.
Da quando sua madre aveva capito che fare la moglie e la madre non faceva al caso suo, Danielle era rimasta da sola con suo padre e lo aveva seguito, un trasferimento dopo l'altro.
Ogni volta che si faceva degli amici finiva per doverli salutare non più tardi di un anno dopo, perciò ormai si era abituata a non intrecciare relazioni, anche se erano tre anni che non si spostava più. Il matrimonio del padre con Janice aveva, quantomeno, posto fine alla catena di traslochi.
Danielle si sentiva ancora un po' imbarazzata, quando giunse il momento di scendere dall'autobus. Con il passare dei minuti, aumentò in lei l'amarezza perché le sembrava di aver perso un'occasione.
Non appena le porte si aprirono, scattò in avanti per scendere ma non fu abbastanza rapida. Distinse chiaramente un inaspettato saluto: "A domani Danielle".
Le porte si richiusero mentre lui accennava un saluto con la mano, solo un cenno.
Chi era davvero quel ragazzo misterioso? Aveva qualcosa da nascondere o era semplicemente un'anima sola come era anche lei? Danielle aveva solo domande e nessuna risposta ma, anche il mattino successivo, si svegliò con un sorriso: potere della speranza, potere di Peter o semplicemente illusione di una ragazza sola e sognatrice?
I sogni non costano nulla, sono sempre disponibili e donano un sorriso ma forse il sorriso di Peter avrebbe potuto donarle più di una semplice fantasia.






   
 
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