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Autore: Fiamma Drakon    11/07/2010    2 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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2_Scomodi contrattempi Nelle semitenebre del retrobottega era steso un corpo umano, un cadavere.
Era riverso a terra, vicino ad un pentolone nel quale era contenuta una strana sostanza verde fosforescente, e sembrava già in decomposizione, anche se non poi così tanto.
L’odore di cadavere era persistente, ma sottile, tanto che dopo qualche istante smise di farvi caso.
«Oddio... - sussurrò la ragazza, orripilata, mettendosi le mani a coppa sulla metà inferiore del viso - Signorina Penelope, cosa...?».
«Guarda» la interruppe quest’ultima, un sorriso tenero ad incresparle le labbra.
La donna le circondò le spalle con un braccio e le indicò l’uomo steso a terra, che... si stava muovendo?!
Erika sbatté più volte le palpebre, incredula: non c’erano dubbi, si stava muovendo sul serio!
Le braccia tremavano un po’, nello sforzo di rimettersi in piedi. Sembrava che avesse preso una bella botta.
«C-che cosa... è?» domandò la ragazza, intimorita.
Penelope non rispose: era troppo occupata ad ammirare l’uomo mettersi carponi, una mano alla testa, che scosse con vigore.
«Fanculo, Circe! Che male...» ringhiò, sedendosi sul pavimento.
Erika sgranò gli occhi: la voce che aveva sentito nella testa era la sua, non c’erano dubbi e pure il suo aspetto le era familiare. Era l’uomo che aveva visto nei suoi sogni!
La proprietaria del negozio rise.
«La mia antenata ha fatto la sua parte, Alan...» esclamò, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del suo interlocutore.
Alan... dove ho già sentito questo nome?
La ragazza lo esaminò, incuriosita: alla luce del calderone poté notare che i capelli erano ispidi e un poco lunghi, castano scuro, della stessa tonalità dei suoi, e gli occhi pure somigliavano un sacco ai suoi. La pelle era pallida e smorta, ma c’era ancora indice di un vecchio colorito scuro, abbronzato. Indosso portava una t-shirt verde militare e un paio di pantaloni alla militare. Ovviamente, i capi d’abbigliamento erano sforacchiati e macchiati di terra e quelli che sembravano essere aloni di sangue.
Era un uomo giovane, sulla trentina e atletico.
«Erika, lui è...»
«Erika?».
Lo sconosciuto alzò gli occhi verso di lei, incrociando il suo sguardo per lunghissimi, interminabili minuti. Lei si sentì stranamente completa, grazie a quella presenza, a quel contatto, ma non sapeva dire perché.
Quando lui si alzò, indietreggiò d’un passo.
«C-chi sei? E perché sei... sembri... morto?» chiese.
L’uomo parve rabbuiarsi.
«Arianna non ti ha mai parlato di me?».
Fu a quel punto che riuscì a ricordare dove aveva già sentito il suo nome, e il cuore le mancò un battito.
«Sei... sei... - balbettò, incredula - ... papà?».
A quel punto, lui sorrise e annuì.
«Vi somigliate davvero tanto» commentò Penelope.
«Già, non ci avrei mai sperato: pensavo avresti preso tutto da tua madre».
Iniziava ad essere veramente confusa: quello era suo padre? Perché era tornato così improvvisamente e in quello stato? Perché sembrava morto? Perché aveva nominato “Circe”, poco prima?
Cominciava ad avere davvero troppe domande e troppe poche risposte, ma non poteva negare che la loro somiglianza non fosse solo una supposizione, perché l’aveva notata anche lei.
Le ginocchia le tremarono e cedettero. Cadde a terra, gli occhi fissi al suolo.
«Erika! Tesoro, che cosa c’è?».
Lei scosse la testa, più per scacciare le lacrime che minacciavano di travolgerla che per rispondere a lui, tuttavia non riuscì a trattenersi a lungo. Fu così che si sciolse in un pianto carico di sollievo, gettando le braccia al collo di suo padre e stringendolo a sé forte.
«Papàààà...!» singhiozzò.
Alan parve sorpreso, ma poi le circondò le spalle a sua volta.
«Erika...».
Penelope si chinò vicino a lei, scostando l’altro per guardarla negli occhi.
«Tuo padre non è più...»
«Aspetta, lascia che glielo dica io: non voglio essere accusato d’essermi sottratto alle mie responsabilità».
Erika passò lo sguardo dall’uno all’altra, perplessa.
«C-che cosa... succede? Cosa dovete dirmi?» chiese, agitata.
«Be’, vedi...».
RATATATATATATATATATATANN!!!
La giovane Reagh schizzò in piedi, allarmata.
Penelope si volse verso la porta, coprendo la ragazza, mentre Alan le afferrava il braccio con forza, tanto da intorpidirle la mano.
«Cos’è stato?!» gridò, ma suo padre le tappò la bocca, ammonendola silenziosamente.
«Ehi, mezza-strega, cosa è successo...?» chiese a sua volta alla padrona del negozio, in un labile sussurro.
RATATATATATAN!
La donna digrignò i denti.
«Sono qui...» sibilò.
«Chi?» domandò Erika.
«Merda! - imprecò suo padre, rinsaldando la presa sul braccio della figlia, strappandole un soffocato gemito di dolore - Mi hanno già trovato?»
«Hanno uno stregone, e potente. Non è difficile per certi soggetti percepire la tua presenza».
«Che si fa?».
Silenzio.
«Prendete la mia macchina e fuggite. Potrò tenerli impegnati, ma non troppo».
Detto ciò, Penelope lanciò ad Alan una chiave, che questo afferrò al volo.
«Andiamo, tesoro» esclamò quest’ultimo, avviandosi verso una porta posteriore.
Erano quasi arrivati quando, dall’altra parte della stanza, fu violentemente abbattuta la porta e tre figuri si fecero avanti.
Erika strillò, terrorizzata, al vedere i mitra che due dei tre impugnavano.
«Eccola! Prendete il Contatto!!!».
Uno degli uomini armati si avvicinò a Penelope con l’intenzione di superarla, ma questa schioccò le dita, facendo apparire un grosso tomo sopra di lui. Con un sonoro slam il libro piovve sulla sua testa, mandandolo steso a terra, KO.
«E così tu sei una strega» esclamò un uomo che Erika non riuscì a vedere perché coperto dalla donna.
«Preferisco essere definita maga, se non ti spiace».
E schioccò le dita, materializzando istantaneamente un centinaio di sottilissimi dardi, che scagliò con potenza inaudita verso i suoi avversari.
«Troppo rudimentale per essere efficace» commentò aspramente l’uomo di prima.
La stanza fu subitaneamente illuminata da una fiammata che incenerì le frecce di Penelope, la quale tuttavia non si arrese.
«Sigfred, vai a prendere la piccola Reagh» ordinò poi.
L’uomo armato ancora in piedi si avvicinò a grandi passi, l’arma saldamente puntata contro mio padre.
«Pensi che quel giocattolino mi faccia qualcosa, allo stato attuale, eh?» esclamò Alan, sprezzante: l’importante non era la sua incolumità, bensì quella di sua figlia.
Ormai era tardi perché lui si preoccupasse di certe cose.
Penelope fece per dirigere il suo prossimo attacco contro Sigfred, ma lo stregone la precedette, materializzando robuste corde, che si avvinghiarono attorno al suo petto, immobilizzandola, quasi stritolandola.
«Signorina Penelope!» urlò Erika.
Non capiva più niente, tutto era così assurdo e stava accadendo così in fretta che il suo cervello non riusciva ad elaborarlo.
Tutto il mio tranquillo e noioso mondo sconvolto in pochi decimi di secondo... da non credere!
«Sta’ zitta, mocciosa...!» esclamò Sigfred, ormai arrivatole dinanzi, puntandole il mitra al petto.
La canna dell’arma le sfiorò la pelle, spaventandola: terribilmente vera e vicina.
«Ehi, razza di imbecille! - osservò Alan, arrabbiato, afferrando con la mano libera la canna del mitra, spostandola - Non ti azzardare a spararle, chiaro?!».
«Fottiti!» gli ringhiò Sigfred, sparandogli una raffica di proiettili in petto.
Lui si afflosciò contro la parete, la mano ancora stretta attorno alla canna.
Erika urlò, mentre le lacrime minacciavano di uscire di nuovo: l’aveva appena ritrovato ed era... era...
«Te l’ho detto che queste stronzate non funzionano con me» commentò suo padre, rimettendosi in piedi e ridendo di gusto.
«Cazzo! Che cosa...?».
«Sigfred! Prendi la mocciosa e andiamo! Il capo la vuole viva, razza di idiota! - esclamò lo stregone, che adesso stava sopra Penelope, osservandola dall’alto in basso con ostentata superiorità - Per quel che riguarda te, piccola “maga”...».
L’avrebbe uccisa, Erika lo sapeva.
Sentiva quella certezza strisciarle sulla pelle, insinuarsi in ogni suo singolo poro e penetrarle dentro, viscida come un serpente.
«Coraggio, ragazzina andiamo!» esclamò Sigfred, afferrando Erika per un braccio e strattonandola.
Tuttavia, incontrò la resistenza del padre, ancora saldamente ancorato all’altro braccio.
«Oh, no» disse, spingendolo con forza e velocità il mitra verso il sicario, il quale non poté fare niente più che incassare il colpo e cadere in ginocchio a terra, agonizzante.
Gli strappò quindi di mano l’arma e la puntò contro lo stregone.
«Avanti, liberala, altrimenti ti riempio quella testa bacata di piombo» minacciò, agitando il suo nuovo giocattolo.
Lo stregone, tuttavia, non fece niente di più che rimanere fermo dov’era.
«Non voglio ripetermi».
Iniziava a stufarsi di tutti quei contrattempi: voleva solo un po’ di pace per poter parlare con calma a sua figlia, spiegarle la situazione e, magari, riuscire ad ottenere qualche informazione sulla sua vita, che lui non aveva mai avuto il piacere di seguire.
Lo stregone, infine, obbedì: liberò Penelope e la rimise in piedi, scaraventandola contro Alan, che prontamente l’afferrò prima che cadesse a terra, spingendola poi verso sua figlia.
«Signorina...!» esclamò Erika, preoccupata.
«È tutto a posto, non mi ha fatto niente» assicurò la donna, carezzando con mani tremanti le guance esangui della ragazza.
Erano spaventate ambedue, ma sembrava che la più giovane avesse un maggiore controllo sui propri nervi, forse perché non era stata sul punto di morire.
«E adesso, te e i tuoi scagnozzi potete levare le tende» esclamò Alan, serio.
Lo stregone, a quel punto, rise.
«Non essere troppo presuntuoso, redivivo! Anche se ce ne andiamo, ricorda che io posso rintracciare la tua aura dovunque. Non avrai comunque scampo!».
«Redivivo...» sussurrò senza voce Erika, stringendosi a Penelope, gli occhi sgranati e stravolti che andavano lentamente a posarsi su suo padre.
No, non può essere! Questo vuol dire che...!
«Per il momento mi accontento che tu ti eclissi» continuò il castano, rinsaldando la presa sul calcio del mitra, pronto a premere il grilletto.
Nessun movimento da parte del misterioso aggressore.
Fu allora che Alan perse veramente la pazienza e sparò.
Il colpo perforò la spalla dello stregone, che imprecò a mezza voce, mentre un secondo colpo gli trapassava un fianco e un terzo la gamba destra.
«Vattene, adesso» avvertì l’uomo, pronto a sparare di nuovo.
La sua vittima lo fissò con occhi ardenti di ira.
«Verrà il giorno, redivivo, in cui la pagherai per questo, e cara».
Detto ciò, alzò le mani sopra la testa e le unì. In una nube viola, lui e i due tirapiedi sparirono.
Alan rilassò le spalle, gettò da un lato l’arma e si volse per tornare dalla figlia.
«Tesoro, come stai?».
Per tutta risposta, la ragazza picchiò debolmente i pugni sul suo petto e scoppiò in lacrime.
«Papà... perché non mi hai detto che... che... - deglutì e si fece forza, cercando disperatamente le parole che non riusciva a trovare - ... che eri morto?!».
Singhiozzò e cadde in ginocchio, mentre il pianto aumentava, dando sfogo alla sua tristezza e alla sua angoscia: l’aveva finalmente trovato, dopo ben quindici anni di vita, solo per scoprire che era già morto.
«Mi dispiace... ma volevo dirtelo, credimi. Non volevo che venissi a saperlo da una persona del genere!».
«Alan, non c’è tempo per queste discussioni, adesso: dovete andarvene. Di certo arriverà qualcuno, dopo tutti quegli spari» li interruppe Penelope, preoccupata.
Si prese qualche attimo per rifletterci, dopodiché annuì.
«Hai ragione. Erika, andiamo».
L’aiutò a rialzarsi e la trascinò via ancora in lacrime. Aprì la porta che dava sul retro e, quando stava per portarla fuori, la ragazza oppose resistenza, voltandosi verso la padrona del negozio.
«Signorina! - esclamò, attirandone l’attenzione - Protegga la mamma da quelle persone, la prego!».
Penelope si sorprese di una così acuta intuizione: aveva già afferrato il tipo di situazione in cui si era appena venuta a trovare.
Le sorrise in modo incoraggiante.
«Non preoccuparti, ci penso io! Tu impegnati ad aiutare tuo padre, mi raccomando!».
La porta si richiuse davanti alla ragazza, impedendole di rispondere.
Decisa, smise di lasciarsi trascinare e iniziò a camminare con le sue gambe.
Lo farò, non dubiti.





Angolino autrice
Dato che mi è sembrato di vedere un certo interesse per questo lavoro, il verdetto è di continuarlo, sperando che ciò non implichi da parte dei lettori una mancanza di opinioni nei capitoli a venire.
Ringrazio vivamente e con tutto il cuore Sachi Mitsuki, Nana_vampiro e xXxNekoChanxXx che si sono prodigate nello scrivere qualche riga per invogliarmi a proseguire la fic. Mi auguro che questo capitolo vi piaccia! ^^
Inoltre, ringrazio coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
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