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Autore: _ayachan_    14/07/2010    21 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 36
16/09/2016

Capitolo trentaseiesimo

La guerra ha inizio




Il messaggio era reale. Nero su bianco, timbrato e controfirmato da dieci dignitari della Roccia. La sua sola presenza soffocava tutta la scrivania dell'Hokage, nonostante fosse solo un pezzo di carta.
Nella stanza regnava il caos: la porta si apriva ogni trenta secondi per lasciar entrare Anbu che dovevano riferire, in un angolo Konohamaru sfogliava gli enormi archivi degli shinobi per reclutare tutti quelli che poteva, da un lato all'altro della scrivania Sakura prendeva pezzi di carta, li leggeva e li dimenticava sopra alte pile di fogli.
Naruto faceva avanti e indietro, intralciando praticamente tutti, nel mezzo di una violenta invettiva contro Kakashi - che aveva il cattivo gusto di essere in coma proprio in quel momento. Aspettava notizie da Shizune, che era stata mandata in ospedale per capire se c'erano speranze di risveglio a breve.
«Cosa devo farne di Baka?» domandò Konohamaru a un tratto, sovrastando il vocio. «Lo considero tra gli Anbu medici o...?»
«No, toglilo» lo interruppe Sakura. «Manda qualcuno a chiamare Morino!»
«Sono il messaggero del Daimyo, devo conferire con l'Ho... gli Ho... Chiunque sia il capo, qui» tentò di inserirsi un ometto un po' troppo elegante, facendosi largo oltre la porta.
«Che c'è?» sbottò Naruto. «Non ho tanto tempo, parla in fretta.»
«Naruto!» Sakura si mise in mezzo, afferrando il funzionario per il gomito e traghettandolo con mille scuse verso una stanza privata.
«Shizune, finalmente! Kakashi?» gridò Naruto, vedendo arrivare le notizie sperate dal fondo del corridoio.
Ma lei scosse la testa: «nessun cambiamento. Dorme.»
«Maledizione!» Naruto si trattenne dallo sbattere il pugno sulla scrivania, voltandosi di nuovo. «Ho bisogno di Sasuke qui. Andatemelo a prendere!»
Qualche centimetro oltre il bordo della scrivania, in cima a una piccola pila di promemoria, la dichiarazione di guerra della Roccia se ne stava quieta, un po' stropicciata. Così leggera, eppure così devastante.


Erano stati i dieci minuti più lunghi nella vita di Mei Lee.
Confrontati con l'interrogatorio di Hitoshi, anche gli esami per il coprifronte sembravano una bazzeccola.
Quando tornò da Kotaro e Tenten, Mei era fisicamente e mentalmente spossata, tanto che si lasciò cadere seduta a terra con una mano a coprire gli occhi.
«Chiharu non ha neanche voluto farmi entrare, il che secondo suo nonno è un buon segno» disse facendo un respiro profondo. «Hitoshi sta bene. Fin troppo bene. E' più insopportabile che mai, spero che prima o poi gli si paralizzi la lingua...»
«Non sei riuscita a sapere qualcos'altro di Haru?» la interruppe Kotaro.
«No! Se ti interessa tanto alza il culo e vai a farti insultare tu da lei!»
«Non istigarlo...» borbottò Tenten, porgendole un piattino di arance a spicchi.
«E Hitoshi perché è ancora in ospedale, se sta bene?» insisté Kotaro.
«Perché ha una nuova tecnica misteriosa, e sua madre lo tiene in ostaggio come la nostra fa con te. Ha detto che appena lo dimetteranno verrà a fartela vedere.»
«Una nuova tecnica? Ancora?» le spalle di Kotaro si afflosciarono di qualche centimetro, ma durò appena un secondo. «Beh, io ho aperto quattro porte del chakra e sto lavorando sulla quinta...»
«Tu stai cosa?» chissà come, il kunai lucidato era ricomparso tra le mani di Tenten.
«Significa che non tornerai a casa?» gemette Mei.
«Dai mamma, lasciami in pace!» si lamentò Kotaro.
Mei sbuffò, prendendosi la testa tra le mani. Era fastidioso sentire la sua famiglia che battibeccava ogni giorno, ogni ora, per ogni cosa... Hitoshi e Sakura avevano almeno l'eleganza di litigare quasi sottovoce; considerato che Kotaro e Tenten invece lo facevano a volume altissimo, Mei ammirava un po' gli Uchiha.
D'altronde, c'era qualcosa che quella famiglia non facesse con classe? Persino le minacce di Hitoshi erano state molto velate e quasi gentili. Alcune le aveva prese per complimenti, anche se riflettendoci meglio probabilmente non lo erano.
Sì, perché Hitoshi l'aveva invitata a restare in maniera molto minacciosa, su questo non c'era dubbio, e la minaccia era proseguita per tutto il tempo che erano rimasti insieme: per circa un minuto aveva finto di essere interessato a Kotaro, poi si era concentrato sull'elaborazione di un piano contorto per arrivare a scoprire se lei sapeva qualcosa di Chiharu.
Ed era stato difficilissimo sostenere la bugia di Sakura: mentre Mei si arrampicava sugli specchi per parlare di Kotaro senza nominare Chiharu, Hitoshi l'aveva vivisezionava alla ricerca di punti deboli; un po' l'aveva lusingata, un po' aveva preso i discorsi alla larga, un po' aveva cercato di coglierla di sorpresa, ma lei si era aggrappata all'unica frase che aveva pronunciato Sakura prima di uscire, e aveva ripetuto a oltranza che Chiharu era a casa perché aveva riportato solo ferite lievi.
Non aveva idea che un bel faccino potesse essere tanto suadente... Forse iniziava a capire un po' le sue amiche.
«Mamma, secondo te perché la madre di Hitoshi gli ha detto che Chiharu non è qui in ospedale?» chiese Mei tutt'a un tratto.
Tenten e Kotaro, che stavano ancora battibeccando, si zittirono per fissarla.
«Te lo ha detto Hitoshi?» chiese Tenten.
«No. L'ho sentito da lei. Quando Hitoshi ha chiesto se anche Chiharu era in ospedale mi ha impedito di rispondere e gli ha detto subito che era a casa, perché era rimasta ferita solo lievemente.»
«Se Hitoshi sapesse che Chiharu è qui andrebbe a cercarla anche con tutte e due le gambe rotte» borbottò Kotaro, con voce quasi inaudibile.
Tenten gli gettò un'occhiata veloce, poi socchiuse le palpebre, riflettendo.
«Mei, posso chiederti un cambio? Resta a controllare tuo fratello un paio d'ore, mi è venuta in mente una cosa che devo fare subito.»
«Ma io voglio tornare a casa!» piagnucolò Mei.
«Un'ora, non di più. Vado e torno.»
«Non voglio... Kotaro è vecchio, può cavarsela da solo!»
«Per una volta sono d'accordo» si inserì lui.
«E invece stai qui e gli proibisci di mettere i piedi giù dal letto. Non voglio sentire storie!»
Tenten si alzò dalla sedia, incurante delle proteste congiunte dei suoi figli. Lei sapeva che Yoshi era stato catturato – anche se gli ordini erano di non diffondere la notizia - e sapeva da Kotaro che lui e Chiharu erano molto intimi. Dal momento che si trattava pur sempre della squadra che doveva parare le spalle al suo primogenito, voleva capire se Chiharu era nei guai o cosa.
Quando la porta sbatté, lasciando scomparire Tenten, Mei e Kotaro si ritrovarono soli, ai lati opposti della camera, a squadrarsi con risentimento.
«Non ho bisogno di una balia più piccola di me» protestò Kotaro.
«Per me puoi anche andare subito a sbavare ai piedi del letto di Chiharu, sai che me ne frega?»
«Cosa? Io non... ah, lasciamo perdere! Sei spietata, Mei. Non capisco cosa ti ho fatto per renderti così crudele.»
Mei scrollò le spalle. Cosa gli aveva fatto, a parte essere uno degli alunni più brillanti del suo anno, l'allievo del quasi Hokage, aver aperto le porte del chakra e, particolare di grande rilevanza, essere il cocco indiscusso di papà? Ah sì: e non rendersi minimamente conto di tutto questo?
«Scommetto che Chiharu ti tratta molto peggio, ma a lei non dici niente» insinuò caparbia.
Kotaro non raccolse la provocazione, invece buttò le lenzuola in fondo al letto.
«Dove vai?» scattò subito Mei. «La mamma ha detto...»
«Vado in bagno! Vuoi seguirmi? Mamma lo fa.»
«Non voglio seguirti in bagno. Ma se provi a scappare...»
Qualcuno bussò alla porta. I due Lee si voltarono contemporaneamente, aspettandosi per un folle secondo che Tenten fosse tornata a controllarli; realizzarono che lei non avebbe bussato solo quando ad aprire la porta fu, a sorpresa, Hitoshi.
Mei si lasciò scappare un piccolo gemito sorpreso.
«Disturbo?» esordì Hitoshi, sgusciando all'interno rapidamente per poi richiudere subito la porta.
«Hitoshi! Non eri bloccato anche tu in camera?» esclamò Kotaro, suo malgrado felice di vedere un volto amico dopo tutte quelle ore di Tenten.
«Mi sono ricordato di essere un ninja: ho lasciato una copia in camera e sono venuto qui.»
Kotaro sospirò: lui non poteva lasciare copie da nessuna parte, e non era ancora stata trovata la porta del chakra che lo avrebbe aiutato. L'unica consolazione era che Hitoshi fosse venuto subito da lui, il che non era proprio scontato, anche se erano compagni di squadra... Non si vedevano da prima della missione di Loria. Finalmente sentiva un po' di spirito di gruppo – forse.
«E' vero che hai una nuova tecnica?» chiese al volo, dimenticandosi il bagno.
«Visto che c'è lui io posso andare?» tentò Mei.
«Sì sì, vai pure...»
«Poi mi copri con mamma?»
«Io non copro un tubo! Se devi andare vai, prenditi le tue responsabilità... Che tecnica è?»
Hitoshi rivolse una brve occhiata a Mei, che si sentì arrossire di colpo. Non era per il suo sguardo: era per tutte le bugie che gli aveva raccontato. O almeno le piaceva pensarlo.
«Sì, ho una nuova tecnica...» disse l'Uchiha, mantenendosi volutamente sul vago. «Per adesso è ancora acerba, ma il sennin Jiraya si è offerto di darmi una mano a svilupparla.»
«Jiraya!» esclamò Kotaro, colpito.
«Sì, mentre eravate via abbiamo fatto qualche missione insieme...» Hitoshi scrollò le spalle con finta noncuranza, incapace di resistere al vecchio vizio di vantarsi. Poi guardò di nuovo Mei, e si schiarì la voce. «A proposito, com'è andata la missione?»
«Quella di Loria, dici?» Kotaro esitò, incrociando lo sguardo allarmato di Mei. Doveva trovare un modo per non parlare di Chiharu. «Tutto bene, a parte un paio di costole rotte. Baka è stato... uhm... Sai che non dirò che è stato bravo. Mi fa venire i brividi.»
Hitoshi incurvò un angolo della bocca - l'equivalente di un sorriso, per lui - e Mei decise che doveva assolutamente andarsene.
«Le tue emicranie, invece?» riprese subito Kotaro, per non dargli il tempo di chiedere di Chiharu. «Sono passate con la nuova tecnica? Stai meglio?»
«Spero che passino. Per adesso vanno e vengono, ma riesco a controllarle» fece una smorfia. «Di sicuro non mi farò più rispedire a casa a metà missione.»
Kotaro sentì chiaro come il sole il biasimo nella voce di Hitoshi: probabilmente non gliela avrebbe mai perdonata. Ma non ebbe la prontezza di cambiare subito argomento, e così si fregò da solo, lasciando a lui il tempo per farlo.
«A proposito... Chiharu?»
Mei gettò uno sguardo orripilato a Kotaro, che ricambiò a malapena.
«E' passata a trovarmi ieri mattina» disse con calma. «E' a casa, perché è rimasta ferita solo superficialmente... Le sue costole sono più dure delle mie, sembra.»
«Capisco...» mormorò Hitoshi sottovoce. Allora da Kotaro ci era andata. Che stronza.
«Non è venuta da te?» Kotaro inarcò le sopracciglia, fingendo grande sorpresa. Ok, anche lui prendeva le sue piccole vittorie quando poteva.
«Ero in un reparto protetto. Probabilmente non aveva le autorizzazioni» ribatté Hitoshi seccamente.
«Capisco...»
Kotaro e Mei scambiarono un'altra occhiata, che non sfuggì a Hitoshi. Lo irritò.
«Domani dovrei essere dimesso» disse per cambiare discorso. «Andrò a trovarla io. Tu invece? Quanto ancora resti qui?»
«Chi lo sa? Per cercare di curarmi più in fretta ho aperto quattro porte del chakra e adesso i medici vogliono che io riposi come si deve.»
Mei soffocò una risatina in un colpo di tosse, mentre Kotaro arrossiva riconoscendo la sparata. Hitoshi invece ebbe un piccolo tic stizzito, e infilò le mani in tasca per chiuderle a pugno senza che lo vedessero.
Quattro porte del chakra?
«Bene. L'importante è che non ci siano conseguenze...» borbottò vago. «Allora torno a trovarti nei prossimi giorni.»
«Oh... Ok. Spero che ti dimettano davvero domani. In bocca al lupo.»
Hitoshi salutò con un cenno del capo, affrettandosi ad uscire. Era venuto nella speranza di sapere qualcosa in più di Chiharu, ma sembrava che tutti volessero sempre e solo ripetergli le due cose che già sapeva. Forse Sakura non gli aveva detto che erano rientrati perché aveva visto che nessuno era venuto a trovarlo. Beh, Kotaro aveva le mani legate e Chiharu era una stronza, si sapeva. Sakura non si sarebbe dovuta preoccupare per quello... Anche se lui, con quello che era successo tra loro, un po' arrabbiato lo era.
Quando lui se ne fu andato, Mei tirò un enorme sospiro di sollievo.
«Grazie. Non pensavo fossi un bravo bugiardo» disse, le gambe che tremavano leggermente.
«Nemmeno io» ammise Kotaro stupito. «Comunque mi devi un favore: ti ho aiutato anche se non lo meritavi.»
Mei sbuffò. «Cosa vuoi?»
«Devi creare una copia e metterla sotto le coperte trasformata in me.»
«No! Se mamma lo scopre...»
«Vado a richiamare Hitoshi?»
«No! Oh, accidenti a te! Non sei affatto buono come credi, sei perfido quasi quanto me. So cosa vuoi fare: vacci e torna presto.»
Kotaro sorrise, sfilandosi la camicia da ospedale per afferrare al volo dei vestiti buoni. «Grazie. Sei proprio un tesoro di sorellina!»

...Anche se un po' ingenua.
Kotaro non avrebbe mai rincorso Hitoshi per rivelargi che Chiharu era ricoverata: l'ultima cosa che voleva era che l'Uchiha andasse a trovarla con la sua nuova tecnica e il ciuffo bruno che ricadeva sulla fronte con quell'onda perfetta. E se Hitoshi avesse scoperto della sua visita segreta, gli avrebbe detto di aver saputo di Chiharu dopo aver parlato con lui.
Aveva trovato la stanza giusta grazie alle spiegazioni di Mei. Una volta arrivato in quella strana ala dell'ospedale si era accorto dei due uomini fuori dalla porta, ma aveva pensato che fossero lì per altri pazienti. A quel punto, visto che c'erano dei testimoni, aveva dovuto bussare senza potersi preparare adeguatamente.
«Chi è?»
La sua voce, un po' ovattata. Non sembrava aggressiva. Forse era solo stanca quando Mei era passata...
«Kotaro.»
Silenzio.
«Posso entrare?»
Altro silenzio.
Kotaro si voltò e vide i due uomini che si scambiavano un'occhiata.
«Chi tace acconsente?» tentò di buttarla sul ridere.
Non aveva voglia di diventare la barzelletta dell'ospedale perché era stato rimbalzato da Chiharu, così, di fronte all'ennesimo silenzio, abbassò la maniglia e aprì la porta.
Chiharu, che era coricata di spalle, sentendolo entrare si girò di scatto e lo fulminò.
«No, non puoi entrare!» sbottò.
«Io...» iniziò Kotaro, esitando; poi vide le occhiaie scure sotto i suoi occhi, i capelli che non venivano pettinati da giorni e il vassoio con il pranzo intatto. «Come sei ridotta?» gli sfuggì.
«Oh, perfetto!» esclamò Chiharu, tirandosi il lenzuolo sopra la testa. «Un altro medico.»
Kotaro entrò nella stanza e richiuse la porta, avvicinandosi al letto.
«Dai Haru, sono io... Ti ho vista venire fuori da un condotto fognario, una volta. Non puoi essere peggio di così. Almeno non puzzi.»
«Che vuoi?» chiese lei, senza uscire dal lenzuolo.
«Sono venuto a trovarti. E per farlo ho dovuto ricattare mia sorella e convincerla a mettere una copia nel mio letto, perché mia madre mi sta facendo la guardia peggio di un mastino.»
«E quindi?»
«Volevo sapere come stai...»
Un medico le aveva detto che sarebbe morta, il suo maestro le aveva detto che faceva schifo e suo nonno non le aveva detto proprio niente per tirarla su, perché non sapeva nulla di tutto ciò. Stava di merda.
«Sto. Ora te ne vai?» mormorò.
Kotaro sbuffò, ma prese una sedia e la trascinò accanto al letto. «Non te ne è mai fregato niente di essere pettinata, non sei sotto le coperte per quello. E' per come è finita la missione?»
Chiharu spinse via il lenzuolo e si scagliò contro di lui. «Cioè con me che salvo il culo a tutti, dici?»
«No, intendo perché sei stata male... Perché Baka diceva...»
«Non sono stata male! Ho solo... Beh, in ogni caso ho salvato il culo a tutti! Perché vi fissate sul fatto che poi sono crollata? Perché nessuno tiene presente il dettaglio che siamo qui a parlarne grazie a me?»
«Tu? Ma allora... Aspetta un secondo. Quell'evocazione era tua? Quando te l'ho chiesto a Suna avevi detto che era di Baka.»
«Dei del cielo, perché vuoi chiacchierare a tutti i costi?» esasperata, Chiharu nascose il viso dietro le mani.
Kotaro rimase in silenzio a lungo, ma lei non accennò a muoversi né a parlare ancora. Lui non voleva andarsene così. Voleva trovare il modo di comunicare con Chiharu, voleva essere sicuro di essere ancora parte di un gruppo. Di un gruppo con lei.
«Era un'evocazione figa» disse esitante. «Non ne ho mai vista una così grande. Sei stata... Beh, ok, io non riesco a evocare neanche un girino di Naruto, quindi forse i miei complimenti sull'argomento fanno schifo. Però sei stata grandiosa.»
Grandiosa, si ripeté Chiharu. Peccato che fosse la sua ultima evocazione, a detta dei medici.
Era incredibilmente frustrante sapere di avere tutto quel potenziale e non poterlo usare. Sentire Kotaro che si complimentava con lei era come assaggiare del miele dopo un lungo digiuno... Avrebbe dato qualunque cosa per continuare a farlo.
«Grazie» mormorò.
Intuendo uno spiraglio, Kotaro si fece coraggio e proseguì: «io sono ancora fermo a quattro porte del chakra. Mezzo ospedale e mia madre mi stanno addosso perché non tenti di aprirne altre e lasci che i processi di guarigione vadano avanti da soli. Il che, con due costole rotte, è di una lentezza orripilante.»
Chiharu tolse le mani dal viso e lo fissò.
«Mamma mi fa la guardia per essere sicura che non bari. Ti rendi conto? Ma tuo padre?»
«E' andato a Suna.»
«Ah. E non è tornato quando ha saputo...»
«Stavi andando bene finché parlavi di te.»
Kotaro si accigliò, ma tacque.
«Hitoshi?» chiese Chiharu distrattamente, in fretta, per non lasciargli il tempo di pensare ad altre domande.
«Hitoshi...» Kotaro si passò una mano sul collo, formicolante per il senso di colpa. «Lui è in forma, direi... I suoi mal di testa gli hanno fatto sviluppare una nuova tecnica – che sorpresa, Uchiha che fanno cose straordinarie solo sbattendo le palpebre. Strano, vero?»
«Una nuova tecnica» ripeté Chiharu.
«Non ha voluto dirmi cos'è. Dice che Jiraya lo aiuterà a usarla...»
Un muscolo sulla guancia di Chiharu guizzò nervosamente.
Hitoshi Uchiha, rispedito a casa con infamia perché inabile a completare la missione, sviluppava una nuova tecnica sotto la supervisione di uno dei tre ninja leggendari.
Lei veniva rinchiusa in una stanza di ospedale con l'etichetta di invalida, incosciente e minaccia per i compagni.
E Kotaro apriva porte del chakra come fossero noccioline.
Era ingiusto, troppo ingiusto.
«Dovresti andarsene» disse in tono duro.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Kotaro, senza capire.
Chiharu sentì un'ondata d'ira risalire dallo stomaco alla testa.
«Hai sempre...» iniziò, furiosa, ma fu interrotta.
«Permesso, buon... oh.»
Sia lei che Kotaro si voltarono verso la porta, da dove era appena entrata un'infermiera con un vassoietto metallico.
«Scusate, ma è l'ora dell'iniezione» disse sorridendo. «Può aspettare fuori, per cortesia?»
Kotaro si alzò dalla sedia così in fretta che la fece cadere. «Certo. Vado subito» assicurò, scusandosi a profusione. «Anzi, vado del tutto. Haru...» esitò, cercando il suo sguardo. «Noi siamo ancora il gruppo sette.»
Lei, guardando fuori dalla finestra, strinse le labbra senza dire nulla.
Kotaro sospirò e uscì.
«Allora, come stai oggi?» chiese l'infermiera, tirando fuori una boccetta trasparente e una siringa.
«Bene. Come sempre» ribatté lei, lasciandosi cadere sul cuscino e sollevando la manica. «Quando mi dimettono?»
«Sai che non lo devi chiedere a me. Chi era il ragazzo che è venuto a trovarti?»
«Un mio compagno.»
«Spero che la sua visita ti abbia fatto piacere.»
Chiharu fece una smorfia. Kotaro le aveva portato notizie orribili, ma... era venuto da lei. L'unico. Né Hitoshi né Baka, nonostante tutto quello che c'era stato, si erano presentati.
L'infermiera riempì la siringa con il medicinale e si avvicinò al letto, laccio emostatico alla mano.
Chiharu fece un respiro profondo, abbandonando l'espressione scontrosa per assumerne una afflitta. Le aveva fatto piacere vedere qualcuno che le voleva bene, oltre a suo nonno?
«Sì, mi ha fatto piacere.»
Negli occhi dell'infermiera passò un guizzo, il bagliore di qualcosa troppo rapido per essere definito. «Prima ti riprenderai, prima potrai uscire di qui» disse, con un sorriso un po' enigmatico.
Chiharu non la guardò mentre iniettava il medicinale - non le piaceva vedere l'ago che entrava nella pelle - ma lei guardò Chiharu.
Sorridendo.


La giornata era finita, anche se a fatica, ed era stata un incubo. Sia la dichiarazione di guerra sia la necessità di prepararsi ad affrontarla erano stati un brutto sogno scagliato nella realtà da una divinità crudele.
Molte famiglie, quasi tutte, quella notte avrebbero faticato a prendere sonno. Molte vite erano state stravolte, e molte cose dovevano ancora succedere.
Sasuke e Sakura, messi a letto i bambini, si trovarono soli nella loro camera da letto, in silenzio.
Si prepararono per andare a dormire scambiandosi brevi sguardi cauti, senza aprire bocca. Come automi compirono i gesti meccanici che avevano sempre preceduto le ore di sonno, in attesa del momento in cui uno dei due avrebbe parlato, o di un miracolo che avrebbe appianato ogni ruga. Infine si trovarono l’uno di fronte all’altra, in piedi alle estremità del letto, pronti per andare a dormire, eppure immobili.
Fu Sakura a parlare per prima.
«Vorrei solo svegliarmi domattina e scoprire che non è mai successo» disse sottovoce.
Sasuke annuì.
«Sono esausta. E so che domani sarà peggio, dopodomani peggio ancora e via così... E mi sento in colpa.»
«Perché? Non è colpa tua.»
Sakura strinse le labbra, parlando a fatica. «Mi sento in colpa... Perché anche se mi sarei dovuta preoccupare soltanto della guerra e di come prepararla, non ho mai smesso di pensare a Hitoshi e a quello che ha saputo di noi.»
Un attimo di silenzio.
«Avete parlato.»
«Sì.»
«E lui?»
«Ha detto che non è cambiato nulla. Che è ancora orgoglioso del cognome che porta e di quello che è.»
Sakura rialzò leggermente gli occhi, incrociando quelli di Sasuke. Lo vide esalare un sospiro di sollievo, e le sembrò che distendesse i muscoli del viso.
«Sei sicuro di avergli raccontato proprio tutto?» domandò dubbiosa.
Lui, sorprendentemente, si lasciò andare a un mezzo sorriso.
«Dalla prima all’ultima parola» assicurò. «Da quando avevo sei anni a oggi.»
«Quindi... Anche di Naruto...?»
«Anche di Naruto.»
«E lui è comunque orgoglioso di noi?»
«A quanto pare, sì.»
Sakura fece una smorfia. «Probabilmente non ha capito del tutto...»
«Io credo che abbia capito, invece» la contraddisse Sasuke. «Ma non so di preciso cosa gli frulli nella testa... Ha parlato molto poco, mentre io raccontavo, e alla fine non ha detto una parola. Credevo che avesse perso ogni briciola di stima...»
«Figurati» questa volta fu Sakura a sorridere. «Non è solo tuo figlio, è anche mio. Lo sai che, come me, non smetterà mai di amarti incondizionatamente.»
Sasuke la guardò. Erano sposati da quasi vent’anni, e dopo tanto tempo insieme certe frasi non si sentono più. Ne fu quasi imbarazzato.
«Nessun altro è stato dalla nostra parte, allora» mormorò, scurendosi di nuovo.
Sakura camminò attorno al letto fino a raggiungerlo; gli prese le mani tra le sue.
«Ma Hitoshi è parte di noi» disse. «Hitoshi è un Uchiha, ed è mio figlio. E poi... E' anche come Naruto. Un po' ingenuo, un po’ idiota... un po’...» la voce le morì in gola, soffocata da un nodo imprevisto. «Ci ha messo del tempo, ma alla fine è stato lui il primo a mettersi dalla nostra parte. Senza di lui nessuno ci avrebbe mai perdonati.»
Sasuke appoggiò la fronte contro quella di Sakura, serrando le palpebre. La luce delle lampade li avvolse in un abbraccio caldo, simile a quello delle parole che abbiamo bisogno di dire a voce alta, che premono per uscire fino a far male, fino a scavare solchi nella gola, fino a sfuggire, involontarie, rischiando di uccidere. Quelle stesse parole che, dette volontariamente, spesso salvano chi le dice e chi le ascolta.
«Perché ci ha perdonati?» sussurrò Sasuke. «Perché, nonostante quello che gli abbiamo fatto, ci ha perdonati?»
«Non lo so» rispose Sakura. «Ma lo ha fatto. E anche Hitoshi lo ha fatto... E forse, alla fine, gli unici che non sono riusciti a perdonare siamo proprio noi.»
Sasuke prese il volto di Sakura tra le mani e premette la bocca contro la sua con forza, come il primo giorno, quel giorno maledetto in cui avevano pugnalato Naruto alle spalle. Lei non si sottrasse - non lo aveva mai fatto - affondò le mani nella camicia del suo pigiama e si strinse a lui, il cuore che batteva forsennato dopo tanto e tanto tempo.
«Siamo orribili» sussurrò, a un passo dai singhiozzi, nascondendo il viso contro il suo collo. «In tutto questo tempo non ci siamo mai, mai pentiti...»
«Eppure lui ci ha perdonati» replicò Sasuke, baciandole i capelli, la fronte, le tempie. «E credo che se sapesse cosa pensiamo, direbbe che è ora che lo facciamo anche noi.»
Le sollevò il mento, asciugando le lacrime che erano arrivate alle guance. Guardandola, gli sembrò che il tempo non fosse mai passato; che fossero rimasti lì, a diciotto anni prima, intrappolati nell’attimo in cui avevano scoperto l’uno nell’altra.
Come allora, la baciò.
Come allora, le sue mani cercarono la sua pelle, il suo tepore, i contorni che aveva dimenticato, ma che erano sempre lì, familiari e rassicuranti.
Come allora, dopo tantissimo tempo, chiusero gli occhi, affondando nel mormorio dei loro respiri. E, baciandosi, sentirono che le guance di entrambi erano bagnate di lacrime.
«Sasuke... Quante volte ancora te ne andrai?» sussurrò Sakura, contro il suo orecchio.
«Non lo so.» rispose, sincero. Era inutile mentire.
«Ma tornerai sempre?»
«Sì.»
Sakura lo strinse più forte.
Tornare. Questo era l’importante, se Sasuke non poteva fare a meno di allontanarsi: che tornasse da lei.
Come lo aveva inseguito e ripreso una volta, lo avrebbe fatto altre cento, altre mille. Sempre.

Non potevano perdonarsi.
Non potevano dimenticare gli occhi di Naruto il giorno in cui lo avevano tradito, né la morsa allo stomaco quando si erano resi conto di avergli strappato passato, presente e futuro, tutti insieme.
Anche se gli altri erano riusciti a perdonare, loro non lo avrebbero fatto mai, non completamente...
Ma non si sarebbero nemmeno pentiti.


Nell'ufficio dell'Hokage, finalmente solo, Naruto fissava le stelle sorte da poco.
Aveva lavorato anni per evitare che si arrivasse a quel punto. Lui e Kakashi, insieme, avevano fatto di tutto perché la diplomazia scongiurasse il peggio... E poi era stato proprio Kakashi a far scattare la scintilla.
Assurdo. Triste. Arrabbievole.
Esisteva la parola arrabbievole? Ne dubitava. Ma era molto arrabbiato.
Dagli interrogatori di Haruka e Jin era emerso che si erano allontanati da Anka senza uccidere nessuno che non fosse un mercenario. La Roccia, quindi, aveva barato.
Avrebbero potuto fare ricorso, cercare di dimostrare che loro non c'entravano niente con il massacro di Anka, ma a cosa sarebbe servito?
Dimostrare che la loro dichiarazione di guerra era illegittima sarebbe stato macchinoso, complicato e lungo... Nel frattempo avrebbero dovuto combattere comunque. Non ne valeva la pena. La Roccia voleva la guerra e aveva avuto il suo pretesto; non li avrebbero ascoltati.
Con Sakura avevano stabilito di rilasciare una dichiarazione di non colpevolezza senza tante speranze, e nel frattempo di prepararsi a difendersi. Sarebbe stato difficile, doloroso e, a suo dire, inutile – come tutte le guerre. Ma che altro potevano fare? Erano caduti nella trappola.
E' per questo che siete stati addestrati, gli ricordò Kyuubi dalla sua gabbia. E' per questo che io e te siamo insieme.
Era davvero così?
La loro esistenza, la loro personalità, i loro sentimenti erano stati guidati per arrivare a sostenere quella guerra?
La profezia, Naruto... E' il tuo destino.
Erano solo fantocci senza potere? Le loro vite, i loro dolori, erano solo lo sfondo per qualcosa di più grande? Tutto quello che aveva vissuto con Sakura, Sasuke, con Hinata e i ragazzi che aveva cresciuto... Tutti asserviti al piano di una volontà misteriosa?
Come tutti gli uomini.
Naruto strinse le labbra.
«Io non sono come gli altri uomini» sussurrò. «Te l'ho detto tanti anni fa, te lo ripeto anche adesso. Io non sono così. E te lo dimostrerò.»



Fuoco.





* * *

Buongiorno a tutti!
Eccomi di nuovo qui,
con un nuovo capitolo (in tempo!).
Presto arriveremo a superare il capitolo in cui ci eravamo arenati,
yuhu!

Nel frattempo io ho scoperto il Tai Chi.

Allora!
Nonostante il titolo, questo capitolo parla di tutto meno che di guerra.
I mocciosi hanno ricominciato a quagliare
e Sasuke e Sakura hanno smesso di pesare con le loro paturnie.
Nel prossimo appuntamento,
il grande ritorno di Baka!

Ho allungato un poco i capitoli,
ma non so se per chi legge via cellulare sono troppo pesanti.
Fatemi sapere, se è necessario li dimezzo.

Grazie per aver letto anche oggi.
A presto!



Susanna
  
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