Ciao a tutti! Sono secoli che non scrivo e qualche lustro che non leggo decentemente. Questa è una mia "cosa" di qualche tempo fa aggiunta qui per reazione ad una bellissima mail ricevuta. Le parole scrittemi mi han fatto ricordare quanto ci rimango male quando perdo di vista lo scrivere di qualcuno che seguivo con attenzione. Pertanto ecco un "contentino". Non che mi ritenga qualcuna da seguire, ho scritto così poco, ma voglio fare contenta una “fan” (uhauhauauhauhaua Una fan?! Moi?! Uhuhauahaua… me/ si schiaffeggia allo specchio per l’ardire J.)
Un bacio a tutti,
Dan
Il nastro rosso
Irragionevolmente le poso la mano
sulla spalla pur sapendo
che se ne rimarrà immobile alla finestra, a guardarmi
giù in strada inforcare il vialetto del
giardino saltellando.
Ho come l’impressione di risentirmi canticchiare quella
stupida canzone. Quella che parla di elefanti in equilibrio su un
sottile filo
di ragnatela. E’ proprio cosi che mettevo i piedi uno avanti
l’altro, come in
equilibrio, appunto, su una linea invisibile. Sgranando numeri in
progressione…
uno, due, tre elefanti a dondolarsi come tanti idioti nonostante la
loro mole.
E sfido chiunque a camminare celermente con un paio di
ballerine rosse fiammanti, la fibbia di traverso e le suole nuove
scivolose.
Ma a me pareva cosa da nulla improvvisarmi circense pur senza il vuoto
sotto.
Mi ci sentivo bravissima.
“Voglio la treccia col nastro rosso” devo aver
detto,
conoscendo la mia mania di abbinare gli accessori a quello che indosso.
Lo
faccio tuttora, anche se con minor senso.
Non sempre la memoria è precisa in verità, ma
con un po’ di
buona logica la si può aiutare con ragionevole
approssimazione.
Qui nel soggiorno noto, in controluce, il dorso della mia
mano striarsi di vene e solchi che prima sembravano non esserci. Mi
rendo conto
del tempo che è passato da quando era liscia e morbida e mi
sento strana in
questa mia pelle adulta. Da bambina vanesia a donna insicura il passo
è stato
insospettabilmente breve. Nel mezzo una voragine, a volte. Oppure,
quando mi
concedo di ricordare, sempre più spesso,
un’angoscia sorda s’incolla ai fatti
nudi e crudi con cui mi trovo a dover fare i conti. Inutilmente.
Sposto appena lo sguardo ed eccola, la sua nuca raggrinzita
da uccello stanco. I capelli bianchi si mischiano a quelli neri in
ciocche
disordinate e sfuggenti dal mollettone scalcagnato.So che in questi
momenti non devo parlarle. Lo so dal
tremito delle spalle e dai bisbiglii indistinti che emette senza quasi
prender
fiato, in apnea.
Per la prima volta da anni ho bisogno che il mio peso, la
pressione della mia mano, faccia leva sul suo corpo per riportarla a
me.
Sforzo
inutile, mi ignora con ostinata perseveranza. Come tutte le altre volte
che ho
provato il desiderio di strapparla via da quella finestra.Non so
nemmeno cosa mi spinga a farlo dal momento che, non
appena le diciannove saranno scoccate nel gong secco e metallico
dell’orologio
a pendolo, è certo che lei si volterà e
inizierà a darmi il tormento come se
nulla fosse. Pressandomi con domande e premure soffocanti.
E allora perché non preferire questo silenzio immancabile e
puntuale come il sorgere del sole?
Mezz’ora esatta al giorno di sollievo, se sollievo
può
chiamarsi questo suo catatonico isolamento. Senza bisogno di
cronometro,
questa mezz’ora mi si scandisce
dentro con lentezza e non mi resta che aspettare.
Potessi guardarle il viso, nelle sue pupille immobili, sono
sicura, vedrei il riflesso di lui giù in strada, poco oltre
il
cancello. Mi aspetta
col motore acceso, appoggiato al manubrio della moto.“Salta
su, principessa”. Ma questo lei non può sentirlo.
E
nemmeno ricordarlo.
Il gong del pendolo mi fa trasalire cogliendomi di
sorpresa. Già le diciannove esatte.Stavolta ero cosi assorta
da non
essermene nemmeno
accorta.Come previsto lei si gira con gli occhi annacquati e
tremolanti. La sua voce, ingannevolmente lieta, trilla entusiasta
“Tesooooro,
cosa vuoi per cena?” Potrei risponderle qualunque cosa. Ma so
che tanto lei ha
gia deciso. Cosi le dico ciò che vuol sentirsi rispondere.
“ Cotoletta e
patatine. E gelato naturalmente.” Il mio presunto piatto
preferito.Sorride soddisfatta. Poi sparisce in cucina con fare
attivo..Le vado dietro perché non mi permetterebbe di stare
per
conto mio. Ha bisogno di avermi costantemente intorno e io non riesco,
letteralmente, a sottrarmi. Perciò la seguo rassegnata.
Oggi sono stanca. Mi sono accorta con raccapriccio di essere
adulta ma di sentirmi centenaria. L’ansia mi opprime.
Sono intrappolata in questa casa come un malato di cancro
morente lo è al suo letto. Ma a me non è concesso
sperare in una
salvifica eutanasia.
Odio queste mura silenziose. Ma a lei non posso dirlo. Odio le foto sul
camino,
il mio piumone rosa vecchio di anni e, soprattutto, odio la cotoletta
che
rimarrà nel piatto intatta, cosi come il gelato sciolto nel
bicchiere. Lei che,
esasperata, butterà via tutto dicendomi gelida quanto sia
inutile digiunare.
Poi, alzando il tono, accorata, ribadirà quanto mi ama e che
non vuole restare
sola in questa casa. Che sono la sua bambina . Che tutto
andrà bene se farò
come dice. Basta! Ma è un urlo silenzioso che lei si rifiuta
di ascoltare. Mi si stringerà il cuore nel sentirla piangere
nella notte,
già lo so. Contro le sue lacrime sono impotente. Come in
molte altre cose del
resto. Questa angoscia che attanaglia il petto non la sopporto
più! Al pari dei
libri, dei vestiti e delle scarpe che mi compra. Tutte cose che non
userò mai,
ma che continua a mettermi davanti convinta di vincere la sua guerra.
Ho trent’anni. Nessuno lo direbbe. Ne ho cosi tanti e non
vedo mio padre da quando ne avevo
otto.
Allora veniva a prendermi con la moto tutte le sere.
Abbinavo i vestiti per lui. Perché mi vedesse bella e
decidesse di portarmi via
una volta per tutte. Lo seducevo di baci e cinguettii solo per sentirmi
chiamare principessa.Poi lei l’ha allontanato da me. Dal
giorno esatto che evoca,
guardando fuori dalla finestra, ogni sera.
Lui non mi merita. Sono solo sua.
“Mamma” le dico.
Non mi ascolta. Non lo fa mai se non è lei a reggere i fili
del discorso. Ad indurmi alle risposte che si aspetta.
“Mamma, credo
che
dovrei andar via. Per il bene di entrambe.”
E’ inutile. Sta già sparecchiando e tra poco
batterà con la
mano sul divano, al posto accanto a sé, per guardare la tv
assieme. Parleremo
della mia laurea, del mio fidanzato, dei miei futuri figli, della
grande casa
dove la porterò a stare.
“Ascoltami. Ragiona. E se me ne andassi?” bluffo di
nuovo,
sapendo che tanto non lo farò mai senza il suo consenso.
Mio padre non so più dove sia. A dire il vero so ben poco
anche di altre persone che conoscevo. Mi ha fatto il vuoto intorno.
Certo,
potrei tentare, faticosamente, di mettermi in contatto. Ma non so se
sia
fattibile e di certo è meglio cosi. Che mi abbiano
dimenticata col passare
degli anni.
Del dopo non ho memoria perché lei non me l’ha
permesso.
Sempre con buona approssimazione di logica
presumo, o piuttosto sono certa, che lei fosse
là, alla finestra.
A guardarmi portar via da mio padre. L’incidente le ha solo
dato l’alibi
necessario per allontanarlo da me. E un motivo in più per
odiarlo, quel marito
fedifrago e giovane che le ha succhiato la bellezza e poi preso il
volo. Da
allora mia madre ha un’unica grande eccentricità
di cui tutti sono a conoscenza
e sulla quale non permette intromissioni di sorta. E’
ossessionata da me.
Forse solo nell’ora di quel giorno, tutti i giorni, per
tutta la mezz’ora successiva, lei fa andare tutto per come
è realmente stato.
Senza bugie né menzogne né accuse. Ma per il
resto del tempo vivo qui perché
lei lo desidera. E cresco. Sfiorisco.
Faccio le cose che vuole io faccia, in questa mia vita
insensata che lei pretende sia piena e appagante. Me ne sto
aggrappata al
suo amore egoista perché non mi lascia andar via. Ne
morirebbe. Sono l’ultima
cosa che le resta.
E quanto vorrei che, per esempio, alla prossima visita in
cui il dottore le chiederà condiscendente come sto
quest’oggi, lei, invece di
raccontare l’ennesimo episodio o lamentarsi di me, dicesse,
facendomi volare via:
“Dottore la smetta di prendermi in giro. Lo sa che mia
figlia è morta che aveva appena otto anni.”