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Autore: Ilaja    18/07/2010    2 recensioni
Un amore imprevisto.
Una parte di mondo che si apre sotto il getto del cuore.
Un intreccio di pensieri, sentimenti, filosofie di vita.
Disegni sul petto. Segni di carboncino tra le dita.
Emozioni d'amare.
Dedicato a tutti quelli che si chiedono cosa c'è dietro la sensazione più bella della vita; cosa c'è dietro l'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tracce di sentimento

 

I

Dalla parte della sfiducia

 

Un altro treno passò sferragliando accanto al giovane. Un altro carico di idee, di sentimenti, di passioni appartenenti a ciascuno dei passeggeri che viaggiavano nelle poltroncine imbottite, chi leggendo il giornale in un attimo di rilassamento, chi telefonando concitato al collega di lavoro, chi sprofondato in sogni incantevoli e irreali, chi guardando con aria assorta fuori dal finestrino.

Un altro vagone mosse l’aria accanto al ragazzo, facendo nascondere quel musetto peloso che era il suo gatto dietro le sbarre della cuccetta da viaggio. La sua giacca sbatteva concitata, per il vento che, il quel mentre, si era alzato con impetuosa voluttà, giocando allegro con i cappelli della gente, con i palloni dei bambini, con le pagine dei volumi tascabili che giacevano sui tavolini del bar, dimenticati dalla distrazione dei viaggiatori.

Così si sentiva il giovane: rapito dalla distrazione, dalla sensazione di smarrimento che andava corrodendo il suo animo avventato, gaio e fiducioso nel futuro. Un animo che gli era appartenuto, ma che non ricordava dove, né quando. Una personalità ormai persa, così come aveva perso la sua voglia di vivere.

Ora non desiderava altro che lasciarsi andare, farsi trasportare dalla corrente che seguiva la folla frettolosa. Voleva solo prendere il primo treno che passava e andarsene da quella città carica di rancori e di dolorosi ricordi, lasciarsi alle spalle la vita precedente, per ricominciarne una nuova, fondare un’esistenza diversa, che non doveva avere niente a che fare con quella che l’aveva fatto soffrire tanto.

Rumore. Stridore di ferraglia. Il treno che tanto ambiva si era fermato di fronte a lui, le porte aperte in un allettante di invito di salita, di una andata probabilmente senza ritorno.

Si chinò a prendere le poche cose che si sarebbe portato dietro: un bagaglio senza altro fine che rammentargli, negli eventuali periodi in cui si sarebbe sentito di nuovo solo, che aveva vissuto un’altra realtà, a tratti rosea e felice, a tratti blu come la malinconia e la tristezza che, quando la luna non mostrava il suo lato più chiaro, lo pervadeva. Gli unici oggetti veri, che non l’avrebbero mai abbandonato: l’album che soleva sfogliare con lei, pieno di suoi disegni, regalatogli per Natale; un quaderno dove lui appuntava di tutto, dai piccoli, frivoli pensieri che l’attraversavano di notte, quando non riusciva a dormire, alle poesie e alle storie che componeva in un momento di pura ispirazione; il suo gatto, una tenera palla di pelo che aveva trovato in strada, perso nei cassonetti della spazzatura; alcuni abiti e il suo libro, pubblicato un paio di anni prima. Era pieno di sottolineature e commenti, stranamente non del giovane. No. Le note appartenevano a lei, la ragazza che si era impossessata del suo cuore. E che gliel’aveva rubato, spezzato, ridotto a tanti e taglienti pezzi di vetro, privandolo della gioia di vivere.

Ancora ricordava con chiarezza le chiacchierate che si facevano la sera, stesi sul tappeto soffice, alla luce delle candele che così tanto lei amava. Parlavano di tutto: dei genitori, dello studio, di politica. Ma anche della vita. Di come un destino potesse cambiare semplicemente seguendo la volontà del suo protagonista. Di come la semplice fiammella della speranza potesse animare i cuori e di come le stelle, così minuscole e impercettibili all’occhio umano, potessero contenere così tanta luce. Lui, studente di biologia e fisica all’Università, le aveva spiegato della combustione e del funzionamento di quelle enormi masse di fuoco. Eppure lei preferiva non crederci. “Perché togliere alla gente la speranza che, oltre il cielo, ci sia un universo incantato? Perché spiegare così freddamente il fascino che l’infinito crea su te stesso, facendoti sognare a occhi aperti che il mondo di fate e unicorni possa esistere veramente?” soleva dire, mentre osservava il manto nero della notte avvolgere la terra, abbracciata da lui, immersa nelle sue fantasticherie. Sì, lei di fantasticherie ne faceva tante. Adorava il come la magia potesse penetrarle nella mente e conquistarle il cuore. Qualche volta, il ragazzo pensava che amasse più l’universo incantato che si creava nella mente di lui. Però, quando lei gli rivelava che le sue storie non avrebbero mai avuto senso senza un sottofondo passionale, si doveva ricredere, e ridacchiava di sé. Già, erano stati felici insieme. Di una felicità decisamente irreale.

Lei scriveva e disegnava quasi tutti i giorni, al pomeriggio, quando non andava a scuola. Frequentava il liceo classico, ed era all’ultimo anno. Con l’avvicinarsi dell’estate e, dunque, del suo esame di maturità, gli chiedeva sempre più assiduamente come avesse fatto a superarlo. E il cuore del ragazzo si scioglieva di fronte a quei grandi occhi blu, profondi quanto l’oceano ed enormi come il cielo che amava dipingere.

Dipingeva e schizzava di tutto: dai piccoli aspetti della vita quotidiana, come una tazza di caffelatte accanto a un cornetto o un vecchio che spazzava le foglie secche di fronte a casa sua, ai suoi sogni di personaggi fantastici, come le fate dalle ali frementi e i draghi dalle squame luccicanti. I draghi.

Il giovane chiuse gli occhi, come se quella piccola sottigliezza gli si fosse piantata nel petto, tanto tagliente come la lancia di un cavaliere. Lei adorava ritrarre i draghi. La sua camera, che lui aveva visitato così tante volte e che, nonostante la frequenza, non conosceva ancora del tutto, straripava di disegni, ritratti fatti con una tale precisione che sembrava che l’autrice avesse avuto draghi di fronte per anni. Le linee della sanguigna che tracciavano, lievi sulla carta, il contorno delle creature trasudavano la passione che ci metteva nel disegnarle. E ogni macchia, ogni imperfezione, non venivano cancellate, ma semplicemente strisciate via dal dito inumidito, creando così una traccia sfumata, un’ombra di lei che rimaneva anche nei disegni che non firmava. Perché quegli schizzi non erano semplici righe, o segni sulla carta, ma assumevano il suo profumo, e nei personaggi ritratti si poteva scorgere lo stesso sguardo della ragazza che li aveva raffigurati, la stessa luce che animava le iridi acquamarina, la stessa, gioiosa passione che aveva trasmesso nella traccia della matita.

Spesso lui le diceva che, se i disegni avessero potuto tramutarsi in parole, lei sarebbe stata la più grande scrittrice di tutti i tempo. E glielo aveva detto così spesso che, alla fine, l’aveva convinta a mettersi a scrivere. Aveva preso spunto dai suoi disegni sulle creature magiche, creandosi non più solo nella mente, ma anche in un quaderno, il suo tanto amato universo magico.

C’era riuscita, l’anno prima. Lui l’aveva convinta a spedire il manoscritto al suo stesso editore. “Così avremmo tutto in comune” le aveva detto, baciandola. “Sia i sogni che le realtà.”

Ci aveva creduto davvero, a quelle parole. Ci aveva creduto per altri dodici mesi. Fino a quando, poco più di tre giorni prima, il mondo che già si erano programmati da tre anni che stavano insieme, era franato improvvisamente, crollando sotto i suoi stessi piedi, disordinato e distrutto, ucciso da quei troppi sguardi malati d’amore.

Il portello del vagone era ancora aperto, mentre gli ultimi passeggeri si affrettavano a salire, trasportando enormi valige e borse stracolme. Doveva essere molto lontano, il posto dove stava andando. Non che gli interessasse granché. L’unica cosa importante era allontanarsi da quella città grigia e malinconica, ormai priva di quella gaiezza che l’aveva animata solo tre giorni prima. Allontanarsi da quella città, da lei e dall’altro.

L’altro. Il giovane strinse i pugni, ma non trovò più la forza dentro di sé di fremere di collera. Si sentiva così svuotato, inerte, un libro senza più pagine, un cielo senza più stelle. Stava lì in piedi, come un automa, un robot, freddo e meccanico come era prima di incontrarla.

 

Era andato a prendere sua sorella, quel giorno di metà settembre in cui era iniziato tutto, una piccola peste di quattordici anni della quarta ginnasio che era uscita quella mattina elettrizzata per il primo giorno di scuola. All’epoca lei frequentava il terzo anno, e lui l’ultimo del liceo scientifico. Aspettando il suono della campanella, si era sistemato sul muretto di fronte alla scuola, cercando di venire a capo a un complicato problema assegnatoli per l’estate, per cui non aveva ancora avuto tempo per risolverlo. Una voce trillante gli era giunta all’orecchio. “Sembra piuttosto noioso.” A parlare era stata lei: una ragazza dai folti capelli ricci e neri pieni di riflessi, il volto pallido e gli occhi blu nascosti da lunghe ciglia scure. Lo fissava con intensità, quasi stessero litigando. Intensità e ostinazione.

Lui invece aveva mantenuto la calma. “No, invece è coinvolgente” aveva ribattuto, guardandola dritta negli occhi. “Ma scommetto che tu non lo capisci.”

“Capire cosa?”

“Il senso di questi numeri. Naturalmente per te non sono altro che un groviglio di calcoli senza alcuna logica.” Non sapeva nemmeno lui perché l’aveva detto. In genere era sempre gentile con le ragazze carine. Forse era solo curioso della sua reazione.

Lei aveva sporto fuori il mento, la luce che le illuminava lo sguardo. Presto il giovane avrebbe capito che odiava essere presa sotto gamba solo perché era più piccola.

“Invece lo capisco perfettamente. Ti stupiresti a vedere i miei voti in matematica. Però, purtroppo, non ho ancora compreso l’anima dei numeri.”

“L’anima?”

“Tutte le cose hanno un’anima. I libri. I fiori. Le scarpe. Hanno tutte la missione di trasmetterti qualcosa. Ma, dopo tutti questi anni in cui ho studiato la matematica, ancora non ho compreso il messaggio dei numeri. Sono solo freddi, gelidi, meccanici. E rendono altrettanto ghiacciata l’anima delle persone che li studiano.”

Lui aveva scosso la testa. “Tu sei pazza. Vivi nella fantasia. L’unica cosa che ha un’anima, in questo mondo, che poi è l’unico, è l’essere umano.”

“Sarà” aveva soppesato gentilmente la sua risposta lei. “Ma, alla fine, che gusto c’è nel vivere in un mondo senza fantasia?”

E così l’aveva lasciato, con la fronte corrugata e il cervello andato in panne di fronte al suo odore che si era impadronito dell’aria che respiravo.

 

Era andata. Si erano poi rivisti e ciascuno di loro due era stato abbastanza intelligente da capire che, nonostante la diversa visione del mondo, erano fatti l’uno per l’altra.

Tuttavia, le cose erano cambiate. E lui, ancora, non sapeva cosa avesse sbagliato.

Ormai, però, non gli interessava granché. L’unica cosa che voleva era trovare la forza di salire su quel maledetto treno, chiudersi il portello alle spalle e ordinare alle proprie gambe di smettere di tremare così convulsamente. Non lo sopportava.

Il gattino miagolava in modo tanto straziante da sciogliergli il cuore, già sin troppo percorso dai valichi delle ferite. Il giovane avrebbe voluto consolarlo, grattarlo dietro le orecchie come piaceva a lui, spiegargli del perché doveva essere trasportato via assieme agli altri animali. Ma come poteva fare, se non riusciva nemmeno a tacere il battito incessante che picchiava contro il suo petto?

Si limitò a fissare con sguardo vuoto la valigia che veniva afferrata dall’assistente di viaggio e il micio che si allontanava, fremendo di paura e collera nei confronti del suo ormai così malinconico padrone.

Posò un piede sullo scalino.

Il portello si chiuse e il treno fischiò un’ultima volta.

 


Salve gente!

Questa fanfiction è nata qualche mese fa, però solo ora sono riuscita a postare il primo dei tre capitoli. Come avrete capito, è una storia d'amore, ma che comprende anche alcune mie riflessioni sulla vita e su quello che penso valga la pena di vivere.

Tengo a ringraziare le mie più care amiche di efp, Erica_8, _Gemellina_, CieloSenzaLuna, Starfantasy e _ki_. Bacioni, ragazze, e grazie di tutto quello che avete fatto per me in questi mesi!

Ciao a tutti!!

Chiara<3

  
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