IV.
Da lei mi distolgo e mi volgo
verso la sacra, ineffabile
misteriosa notte.
Golubac e le torri sul Danubio.
Denis aveva protestato, perché Golubac era lontana, non era quel viaggio che potevi fare di pomeriggio di paese in paese, aspettando la sera per una birra. Andare a Golubac era cambiare città, due ore per andare e due ore per tornare, benzina nella macchina, quattro ore di superstrada che non finiva più. Questa volta, però, ce l’aveva fatta e si era fatto portare.
Le vecchie mormoravano mezzo in serbo e mezzo in rumeno, basso, aspro e cattivo, e facevano gli scongiuri e il segno della croce se avevi addosso una maglietta dei Black Sabbath.
Ma Golubac era la fortezza sui libri di scuola, e voleva dire alte torri che nascevano dall’acqua e più in alto dagli alberi per proiettarsi nel cielo, e ora le vedeva: affondavano nel cielo nero come inchiostro.
“Te l’ho detto che avremmo fatto tardi. Dai, torniamo a casa.”
Era splendida.
Di giorno si specchiava nel Danubio, e i turisti pranzavano nei bei ristoranti per compiacersi delle sue linee imponenti, del cielo azzurro, dei boschi scuri, una cartolina arrivata da lontano.
Di notte era sua.
“Stevo? Dai, andiamo. Stevo, guarda che non puoi entrare. Ehi!”
“Non possiamo?”
“No, di notte no, sei scemo?”
“Ma di notte è ancora più bella.”
“Facile fare lo splendido, quando manco l’hai vista di giorno. Dai, su. Andiamo.”
Stevan, prima di farsi riprendere, girò tutt’attorno alla fortezza, senza fermarsi un attimo. Denis era esasperato, ma alla fine rinunciò e si mise ad aspettarlo in strada. Stevan proseguì, invece. Per quasi un’ora.
La notte era nera e faceva paura, e lui c’era dentro.
Forse era l’umidità, forse il buio, ad appesantirgli le mani.
L’aria era densa, e lui c’era dentro.
Sentì un rumore.
“Denis?”
Denis aspettava in strada.
Stevan lasciò gli occhi sulle torri, e a malincuore lo raggiunse.
Sognò molte volte le torri proiettate nel cielo. Era notte e il nero del cielo era il fondo di caffè che dall’alto scorreva per le scanalature dei mattoni, facendo confondere i contorni, inghiottendo le fessure delle feritoie e le arcate delle finestre antiche: dov’era la torre, dov’era la notte?
Il rumore che aveva sentito era un fruscio dolce, per niente minaccioso; e sì che quella notte faceva paura, il Danubio fermo come se fosse un lago, le litanie indistinguibili delle vecchie, l’aria densa d’acqua. Denis aspettava in strada, e Stevan non sapeva che cos’era. Probabilmente non era niente.
Oppure era il motivo per cui si svegliava con il cuore che batteva forte e qualcosa, dentro di lui, come se pulsasse per essere liberata. E di notte non era mai bello.
Si ritorna alla vita di Stevan e al percorso verso il risveglio. Dovremo aspettare ancora a lungo per tornare nel Meikai… però intanto una capatina ce l’abbiamo fatta. Teniamo duro nel Nero! <3
Ribrib20: Ti ringrazio, ti ringrazio, ti ringrazio, oddio, non so sa dove cominciare per ribattere, anche perché sono tutti
complimenti! Come faccio? Me li prendo e basta, ecco! *C* Con grande
gratitudine, perché, accidenti, non potevo uscirne più soddisfatta di così! <3 Sono
contenta che ti stia appassionando! Per i pochi commenti, ho visto una ola incredibile solo al nominare Rhadamanthys, comunque. E dire che manco entra in scena –
e non c’entrerà. Siete una orda
di fan girl impazzite. Vi voglio bene. XDDD
Beat: Mi regali delle pecore vampiro! Oddio, che onore! Le coccolerò e
vorrò loro bene e le porterò a spasso ogni notte! *O* Grazie mille, tesoro. All’atmosfera
ci tengo tanto, quindi qualsiasi commento a riguardo è giubilo! Ti ringrazio e
ti abbraccio!
Kiki May: Io pubblico. Tu non
farti scrupoli. Quando torni trovi gli aggiornamenti. Allora
però vorrò commenti lunghi e dettagliati, muwahahahah…
no, davvero, cara, sei una soddisfazione impagabile. Buffy
me l’hanno già consigliata spassionatamente, e quando
potrò recupererò tutto, mi fido. Nel mentre, continuo
la mia personale lotta pro vampiri seri. Aw, sono
lieta del fatto che Stev acchiappi
le signorine. <